Archivio Storico:- ex Dipartimento di Musica e Spettacolo - Universita' di Bologna Dipartimento di Musica e Spettacolo - La Soffitta 2008
in collaborazione con “L’altro Comunale”
martedì 5 febbraio, ore 21
Aula absidale (via de' Chiari 25a)
ingresso libero - posti limitati



Karlheinz Stockhausen (1928-2007)

Klavierstück IX
per pianoforte


Paolo Perezzani (1955)

Il volto della notte
per flauto, clarinetto basso e pianoforte


Franco Donatoni (1927-2000)

Nidi
due pezzi per ottavino


Giulio Castagnoli (1958)

Trio IIb
per flauto, clarinetto basso e pianoforte


Pierre Boulez (1925)

Domaines
per clarinetto con o senza orchestra


Roderick de Man
(1941)

Gramvousa
per flauto, clarinetto basso, pianoforte e nastro magnetico



Lavinia Guillari. Nata a Napoli nel 1982, si diploma con il massimo dei voti e la lode al Conservatorio "Arrigo Boito" di Parma, sotto la guida di Grazia Bovio; in seguito ottiene anche il compimento medio di composizione con Luigi Abbate. Si perfeziona con Chiara Tonelli, Michele Marasco e Nicola Mazzanti. Attualmente segue i corsi di Bruno Cavallo all'Accademia "Incontri col Maestro" di Imola. Vincitrice di numerosi concorsi nazionali ed internazionali, ha tenuto concerti in Italia e all'estero, sia da solista sia in formazioni cameristiche (Farben Ensemble, Ensemble “Il Teatro delle Note”, Ensemble FontanaMIX) e in gruppo con musicisti quali Harry Spaarnay e Francesco Dillon. Ha suonato nel 2000 come Primo Flauto presso l'Orchestra Sinfonica di San Remo e nel 2002 con i Virtuosi Italiani di Modena; dal 2006 come Secondo Flauto presso l'Orchestra Toscanini e la Filarmonica Toscanini di Parma. Nell'ottobre 2007 è risultata finalista al Concorso per Secondo Flauto indetto dal Teatro Comunale di Bologna e consegue l'idoneità per l'Ottavino presso l'Orchestra Haydn di Bolzano.

Marco Ignoti. Nato nel 1975 a Sant’Ilario d’Enza, compie gli studi musicali nel Conservatorio "Arrigo Boito" di Parma, diplomandosi nel 1997 in clarinetto con il massimo dei voti e la lode, sotto la guida di Cesare Salati. Si perfeziona con Harry Spaarnay e, tuttora, con Corrado Giuffredi nell'Istituto “Orazio Vecchi” di Modena. Al clarinetto affianca lo studio della composizione. Si esibisce come solista e in formazioni cameristiche quali il Trio Klee, il Farben Ensemble e l'Ensemble FontanaMIX. Nel 1999 la sua esecuzione di Dal niente (interieur III) per clarinetto solo di Helmut Lachenmann riceve gli elogi del compositore.

Irene Puccia. Nata a Noto (SR) nel 1985,  a 17 anni  si diploma in pianoforte col massimo dei voti, lode e menzione d'onore sotto la guida di Ernestina Argelli. Giovanissima, consegue il diploma accademico di secondo livello con 110 e lode al Conservatorio “G.B. Martini” di Bologna. Si perfeziona con Cristina Landuzzi, Paul Badura-Skoda, Bruno Mezzena, Antonio Ballista, Alberto Miodini, Rocco De Rosa, Piernarciso Masi, Michele Marvulli. Vincitrice di numerosi concorsi internazionali, si è esibita in Italia (Teatro Comunale e Teatro Manzoni di Bologna, Teatro Regio di Parma, Teatro Borgatti di Cento, Teatro Vittorio Emanuele di Noto, Teatro Rossini di Lugo), in Germania, per l’Internationales Seiler Klavierfestival di Kitzingen, e in Svizzera. Ha collaborato con varie orchestre, tra cui l'Orchestra Mozart diretta da Claudio Abbado.

FontanaMIX/trio. Lavinia Guillari, Marco Ignoti e Irene Puccia hanno da poco costituito un Trio, che prende il nome dall’Associazione FontanaMIX nella quale si sono conosciuti. Accomunati dalla passione per la musica del Novecento e del Duemila, i tre giovani musicisti si trovano insieme per accrescere e approfondire la propria esperienza musicale.
Il volto della notte, sopra Creta

FontanaMix/trio
Lavinia Guillari, flauto e ottavino
Marco Ignoti, clarinetto e clarinetto basso
Irene Puccia, pianoforte



Con la forza espressiva di un “volto” – il Volto della notte enigmatico di Perezzani – i brani in concerto questa sera “ammaliano”, avvolgono l’ascoltatore in un’atmosfera incantata: un’isola senza tempo – la Gramvousa di de Man – dove immaginare il mitico canto di una sirena omerica.
Il concerto si apre con il Klavierstück IX di Stockhausen (concluso nel ’54 e rifinito nel ’61), dedicato al pianista Aloys Kontarsky, che lo eseguì per la prima volta a Colonia nel maggio 1962. Il brano rientra in una raccolta di 14 Klavierstücke, scritti tra il ’45 e l’85, in cui il compositore sperimenta differenti modalità espressive del pianoforte – dai clusters, insiemi di suoni contigui eseguiti simultaneamente, ai violenti scarti dinamici agli ampi salti di registro – sfruttando in particolare la Gruppen-Technik: l’impiego di entità sonore (gruppi) percepibili nell’insieme più che nel singolo dettaglio. Il Klavierstück IX si basa sull’alternanza di un accordo, presentato all’inizio e ripetuto molte volte nel corso del brano, con zone “rarefatte”, costituite da una successione di note dal carattere improvvisato. In sintonia con le ricerche di quegli anni sul rapporto speculare tra musica e matematica, alcuni gruppi di note – quello conclusivo ad esempio – o i rapporti metronomici del brano sono costruiti secondo le relazioni numeriche della serie di Fibonacci.
Dalle suggestioni della Musica della notte di Béla Bartók – un alternarsi di arabeschi melodici evanescenti e brusche sonorità minacciose – proviene invece il Volto della notte (1987) di Perezzani, compositore e docente al Conservatorio di Mantova. Nel brano, scritto per flauto, clarinetto basso e pianoforte, una serie di frammenti melodici si uniscono pian piano a formare una rete articolata, come a voler “catturare” l’ascoltatore incantato dal potere ipnotico del “volto”.
Dopo una fase dedicata alla composizione seriale (basata su una successione preordinata di suoni), dalla metà degli anni ’70 Donatoni – allora anche docente al DAMS di Bologna – ritorna ad una scrittura di più immediata comunicativa. Nidi, per ottavino (1979), consta di materiali minimi sottoposti a procedimenti di trasmutazione e permutazione. Il brano si suddivide in due movimenti di carattere differente, la cui scrittura, tuttavia, si mantiene sempre su toni di acrobatica agilità e di delicata leggerezza. Le difficoltà di esecuzione non puntano ad un virtuosismo gratuito, bensì sono il risultato dell’esplorazione delle ricche possibilità offerte dallo strumento.
Per la costante attenzione ai fenomeni fisici del suono, la musica di Castagnoli – compositore, saggista e didatta al Conservatorio di Torino – è stata spesso associata a quella degli autori spettrali francesi, o dell’italiano Giacinto Scelsi. L’influenza di quest’ultimo è evidente nelle opere che si accostano all’estetica del pensiero orientale o in quelle caratterizzate da una raffinata sperimentazione timbrica, come il Trio IIb (1987), scritto in origine per l’accostamento inconsueto di flauto, clarinetto basso e arpa. La lettera “b” indica una seconda versione del Trio II, che a sua volta riprende il materiale di un Trio precedente per violino, violoncello e pianoforte. La ricerca timbrica è evidente nell’impiego di tecniche di emissione del suono sulla cordiera del pianoforte e nell’uso di shell chimes – letteralmente ‘campane di conchiglie’ – poste accanto al flautista e di un piatto medio sospeso con catenella, da suonarsi con la mano o con una bacchetta morbida, posto accanto al clarinettista.
In Domaines di Pierre Boulez (1968) il gusto per le sonorità impressionistiche si fonde con una raffinata speculazione seriale, oltre che con il ricorso ad una scrittura aleatoria. Verso la fine degli anni ’50 in Europa i compositori seriali, di cui Boulez è stato uno dei massimi rappresentanti, cominciarono, nella scia di alcuni colleghi statunitensi, a impiegare l’alea: un tipo di scrittura basato su decisioni fortuite, che lasciasse all’interprete ma anche al caso ampi margini di scelta. Il “caso” entrava a far parte così del processo compositivo, ma soltanto nella combinazione di elementi stabiliti dall’autore: non si raggiunse mai cioè il “puro fortuito” di alcune musiche aleatorie americane (si pensi a John Cage). Domaines consta di sei “fogli”, costituiti ciascuno da diversi frammenti melodici, il cui ordine di successione è affidato alla scelta dell’interprete. Ai primi sei fogli ne seguono altri sei “a specchio”, in cui cioè i frammenti melodici sono ripresentati in moto retrogrado (dall’ultima alla prima nota), secondo un principio di organizzazione seriale.
Nella produzione del compositore tedesco Roderick de Man (originario dell’Indonesia) spiccano i lavori cameristici ed elettroacustici: Gramvousa (1995), per flauto, clarinetto basso, pianoforte e nastro, è, nel nome, dedicata alla splendida isola ad ovest di Creta, sede di una fortezza veneziana. Aloni sonori impalpabili e risonanze inquietanti creano una musica d’“ambiente” che restituisce la suggestione misteriosa di un’isola sospesa nel tempo.
  

Anna Scalfaro
Dottore di ricerca in Musicologia e Beni musicali




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info: tel. 051 2092413; soffitta.muspe@unibo.it






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