Archivio Storico:- ex Dipartimento di Musica e Spettacolo - Universita' di Bologna Dipartimento di Musica e Spettacolo - La Soffitta 2008
in collaborazione con Musica insieme
giovedì 6 marzo, ore 21
Aula magna di Santa Lucia ( via Castiglione 36 )
ingresso libero  - posti limitati



Franz Joseph Haydn (1732-1809)

Trio in Do maggiore Hob. XV:27

Allegro
Andante
Largo
Finale: Presto



Julius Röntgen (1855-1932)

Trio n. 4 in Do minore op.50

Allegro non troppo e serioso
Andante
Allegro non troppo



Dmitrij Šostakovič (1906-1975)

Trio n. 2 in Mi minore op. 67

Andante – Moderato
Allegro con brio
Largo
Allegretto



TRIO DEI SOLISTI DEL ROYAL CONCERTGEBOUW DI AMSTERDAM:
Il Trio è formato da prime parti del Royal Concertgebouw, l’illustre formazione sinfonica neerlandese di cui è direttore stabile, al momento, Mariss Jansons.
Junko Naito, primo violino dell’orchestra, si è esibita sotto la direzione di Frans Brüggen, Riccardo Chailly, Robert Spano e David Zinman. Ha inoltre collaborato con solisti quali Martha Argerich, Yefim Bronfman, Joshua Bell e Mstislav Rostropovič.
Il violoncellista Gregor Horsch collabora con solisti come Vadim Repin e Maxim Vengerov. Con altri colleghi dell’orchestra ha di recente intrapreso un progetto di musica da camera che lo vedrà impegnato anche in formazioni più ampie in una tournée europea, Italia compesa.
Il pianista Sepp Grotenhuis ha studiato al Curtis Music Institute di Philadelphia e, giovanissimo, ha vinto il primo premio al concorso “Principessa Cristina d’Olanda”. Apparso con orchestre e formazioni cameristiche insigni, la sua inclinazione per la musica contemporanea lo ha portato a stabilire collaborazioni personali con compositori come Kurtág, Stockhausen e Ligeti. Ha inciso per Chandos l’integrale della musica da camera di Schönberg, Webern e Berg. 

Letizia, dovizia, mestizia

Trio dei solisti del
Royal Concertgebouw di Amsterdam


Junko Naito  violino
Gregor Horsch  violoncello
Sepp Grotenhuis  pianoforte



Nel 1797 Franz Joseph Haydn compone tre Trii per la pianista londinese Therese Jansen Bartolozzi, cui aveva già dedicato due Sonate. Questi Trii, al pari di altre composizioni di questi anni, rivelano l’influenza dello stile pianistico brillante di Muzio Clementi, che contribuisce a proiettare in una dimensione concertistica un genere fin lì predestinato al dilettantismo domestico. Il virtuosismo pianistico contrassegna l’intero Trio in Do maggiore; ma fin dall’Allegro esso si coniuga con una linearità melodica spiegata, come nei brillanti passaggi in ottave; spiccano peraltro i momenti di sospensione, introdotti fin dal sospiro interrogativo su cui immediatamente ripiega il radioso tema d’apertura. Il movimento vive del contrasto fra l’energica risolutezza dei passaggi in semicrome, che preponderano nelle due sezioni estreme, e momenti di rarefazione melodica evidenti soprattutto nello sviluppo (che ingloba anche una falsa ripresa). I due movimenti successivi contengono episodi concertanti di singolare intensità. Il primo irrompe subito forte nell’Andante tripartito, contrastando col canto disteso dell’inizio e della fine, nell’improvviso mutamento di piani dinamici, di tonalità e di scrittura. Nel Presto finale il violino tiene testa al predominio del pianoforte, e il gioco di rimbalzi tematici, elaborazioni, passaggi rapidi accumula via via una prodigiosa energia, che culmina nella superficie sonora poderosa e compatta della coda finale.
Formatosi nella natìa Lipsia, amico di Brahms e Grieg, Julius Röntgen fu pianista rinomato e compositore dallo stile eclettico, tendenzialmente conservatore. Le opere giovanili mostrano reminiscenze schumanniane, mentre in quelle successive sono evidenti gli influssi di Brahms. Elementi dello stile compositivo brahmsiano traspaiono nel Trio n. 4, scritto nel 1904 e dedicato al compositore danese Carl Nielsen. L’Allegro iniziale – una classica forma-sonata – si apre con il gesto rapsodico di un’introduzione che attraverserà poi ciclicamente l’intero trio: essa contiene un nucleo motivico che genera il primo tema, e che tornerà prima della coda. Allo slancio appassionato della prima idea tematica, affidata all’intreccio degli archi su una florida scrittura pianistica distesa sull’intera tastiera, si contrappone il lirismo più raccolto della seconda. La melodia principale dell’Andante, col suo andamento anapestico e il tono di ballata, palesa l’interesse di Röntgen per la musica popolare scandinava, coltivato ben prima d’incontrare Grieg; ad introdurre le variazioni sul tema ricompare modificata l’introduzione al primo movimento. Anche l’energico finale, un rondò-sonata dalla fastosa opulenza sonora, fonda il tema principale sulla scansione triadica e sul giro armonico dell’introduzione, che ricompare ancora, nella forma originaria, prima della brillante chiusa.
Composto nel 1944, il Trio in Mi minore di Dmitrij Šostakovič fu l’addolorata risposta a due eventi tragici: l’improvvisa scomparsa dell’amico quarantunenne Ivan Sollertinskij, brillante critico musicale, e la diffusione sulla stampa delle notizie relative ai campi di concentramento nazisti di Treblinka e Majdanek liberati dall’Armata Rossa. Sprigiona un’attonita desolazione il canone iniziale a tre parti, basato su di una diafana linea melodica, quasi smarrita. Segue, nello stesso movimento, un Moderato in forma-sonata: il dolente primo tema è esposto dal pianoforte in ottave estremamente divaricate, sopra le ossessionanti quinte vuote ribattute degli archi; il secondo tema ne condivide l’abbattimento angosciato, col suo frequente accasciarsi sulla tonica. Sul gesto estroverso dell’Allegro con brio – nel piglio volatile e ghiribizzoso si è voluto cogliere il ricordo del brillante conversatore Sollertinksij – grava pur sempre l’oppressiva ineluttabilità delle ricorrenti figure cadenzali. Sinistra è l’atmosfera della passacaglia nel Largo: sull’ ostinato di una greve progressione di otto accordi scanditi dal pianoforte, gli archi intrecciano un appassionato duetto lirico che infine, dissolvendosi, sfocia nel frenetico rondò conclusivo. Qui Šostakovič introduce – ed è una novità nella sua opera – specifiche movenze ebraiche, riconoscibili nei ritmi spigolosi e zoppi, nel trattamento degli strumenti ad arco, nel ricorso a particolari inflessioni melodiche ed armoniche. Il brano evoca la macabra danza cui le vittime venivano costrette dagli aguzzini nazisti dinanzi alle fosse già scavate, ed è interrotto nel suo punto culminante dalla ricomparsa di elementi tratti dal terzo e dal primo movimento, quasi a dar voce allo sgomento del musicista di fronte a un orrore indicibile.
  

Alberto Mura
Laurea triennale DAMS

coordinamento e redazione

Anna Quaranta



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info: tel. 051 2092413; soffitta.muspe@unibo.it






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