giovedì 17 - venerdì 18 marzo
Laboratori DMS - Teatro
ore 21
Teatro delle Briciole Teatro Stabile di Innovazione
Fondazione Culturale Edison
in collaborazione con CinemaZero di Pordenone
e Mercadante Teatro Stabile di Napoli - Progetto Petrolio
’NA SPECIE
DE CADAVERE
LUNGHISSIMO
un'idea di Fabrizio Gifuni
da Pier Paolo Pasolini e Giorgio Somalvico
regia di Giuseppe Bertolucci
con Fabrizio Gifuni
disegno luci Cesare Accetta
posti limitati
per informazioni: tel. 051 2092413
GIUSEPPE BERTOLUCCI
cineasta (Berlinguer ti voglio bene, Oggetti smarriti, Segreti segreti, Amori in corso, Il dolce rumore della vita, L’amore probabilmente), a teatro ha messo in scena quasi esclusivamente monologhi con Roberto Benigni, Marina Confalone e Antonio Piovanelli; protagonista de Il pratone del Casilino, tratto da Petrolio di P.P. Pasolini (1994).
FABRIZIO GIFUNI
attore, ha lavorato in teatro con M. Castri (Elettra, Trilogia della villeggiatura), G. Sepe (Macbeth), e T. Terzolpoulos (Antigone); al cinema, fra gli altri, con G. Tavarelli (Un amore, Qui non è il paradiso), G. Amelio (Così ridevano), A. Porporati (Sole negli occhi), G. Bertolucci (L’amore probabilmente), G. Chiesa (Il partigiano Johnny), N. Di Majo (L’inverno), M.T. Giordana (La meglio gioventù). Attore rivelazione europeo al Festival di Berlino nel 2002..
GIORGIO SOMALVICO
poeta milanese, autore di un corpus lirico in perenne controtendenza rispetto ai modi letterari coevi, è stato negli anni, in quanto inedito, molto apprezzato, da Montale a Testori, da Vigorelli a Principe e Merini. Fra le sue opere, L’Aida in piazza Giulio (1957), Il sogno di Kriminal (1965), Il Dio di Roserio ovvero Gli impagabili (1974), Circasse (1993), Macbeth (1999), Macky d’Ungheria (2000).
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Fabrizio Gifuni
L’emergenza drammaturgica di quest’idea di spettacolo nasce dal desiderio di distillare sostanze linguistiche dai sapori apparentemente opposti: la prosa politica e polemica del Pasolini luterano e corsaro e gli endecasillabi inediti e sorprendenti di Giorgio Somalvico, che – in un romanesco crepitante e reinventato – costringe in metrica il delirio dell’omicida, in fuga da Ostia, in un’immaginaria scorribanda notturna alla guida dell’Alfa GT.
Il Teorema pasoliniano – genocidio culturale, imbarbarimento consumistico, uso strumentale dei media da parte del Nuovo Fascismo – si dispiega inesorabilmente in tutta la sua lucida disperazione, delineando – attimo dopo attimo – i connotati dell’assassino. Generandone i tratti identitari, le demotivazioni profonde, “pensandolo” quell’assassino, prima ancora di incontrarlo, in un vertiginoso (quanto involontario?) processo di invenzione. Quello a cui stiamo lavorando è una sorta di agone tragico (inteso come scontro, ma anche come agonia) tra un Padre e un Figlio, vissuto in scena da un solo corpo e da una sola voce che de-genera, senza soluzione di continuità, da vittima a carnefice, da Dottor Jekyll a Mister Hyde, in una reazione a catena culturale e linguistica tutta da sperimentare.
Come spesso accade, il monologo è un appuntamento. Tra un attore e il suo talento, tra un regista e un attore, tra la teatralità e l’affabulazione, tra lo spettatore pellegrino e l’eremita in preghiera nella grotta. E il luogo dell’appuntamento è, appunto, la grotta del testo, dove tutti troviamo un comune riparo alle intemperie e ai disagi del viaggio, ma anche l’unico luogo dove tutti – immobili, in ascolto – paradossalmente viviamo l’esperienza del viaggio.
Giuseppe Bertolucci e Fabrizio Gifuni
Il mio rapporto con Petrolio risale a dieci anni fa, quando nel’ 94 ho lavorato con Antonio Piovanelli al monologo Il pratone del Casilino, ricalcato su un capitolo del romanzo di Pasolini. Allora rimasi stregato da quelle pagine che verbalizzavano la fisiologia della genitalità con una precisione e una proprietà mai raggiunte in letteratura né prima né dopo. Mentre, lo confesso, il disegno politico allegorico dell’opera mi lasciò del tutto indifferente. Ma, come spesso succede con Pasolini, sono il tempo e lo sguardo retrospettivo che restituiscono tutta la pienezza e la lungimiranza della sua affabulazione.
Su questo formidabile “effetto ritardato” si basa anche il monologo al quale stiamo lavorando con Fabrizio Gifuni: una sorta di illusione ottica “temporale” che ci fa ritrovare il presente nelle pagine di un passato che era già futuro.
Giuseppe Bertolucci
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