Giuseppina La Face Bianconi
- Introduzione: Storia
di una casa, di un seminario e di alcuni tacchini
-
Il 14 novembre 2001
in Afganistan cadeva il regime dei Talebani: le
televisioni di tutto il mondo trasmettevano le
immagini di un popolo povero ma fiero, che,
provato dalla tirannide, sinebriava della
libertà. E questo popolo si riappropriava subito
della musica: proibita dal regime, essa, mediante
radioline e stereo gracchianti, ritornava nelle
strade di Kabul. Dava voce ad emozioni per lungo
tempo represse e diveniva simbolo di speranza: di
un futuro migliore, di una vita più degna.
Due mesi prima, un altro
popolo, quello americano, fiero anchesso, ma ricco
e tecnologicamente avanzato, impietrito dallo sgomento di
fronte alle macerie delle Twin Towers intonava
spontaneamente God bless America: alla musica
dellInno nazionale consegnava il suo dolore e la
speranza della ricostruzione; nella musica cercava
consolazione ad una disperazione senza luce.
In quei giorni drammatici
ogni musicologo comprendeva tali atteggiamenti. Il
musicologo sa che la musica organizza le emozioni, dà
forma a moti dellanimo scomposti o disorganizzati,
e sa che può esercitare unazione consolatoria. Lo
hanno daltronde proclamato i filosofi: per Marsilio
Ficino la musica è "consolazione delle fatiche e
pegno di vita duratura" (De vita, II, xv),
per Schopenhauer "panacea di tutti i nostri
dolori" (Il mondo come volontà e
rappresentazione, I, iii, § 52); lo
sapevano gli operisti del Settecento, che alla musica
chiedevano di procurare il plaisir des larmes:
efficace per lenire lanimo dolente e stemperare le
sofferenze in una dolcissima malinconia.
Immanuel Kant non era di
questo parere. Nella Critica del giudizio mette a
confronto arti figurative e musica, e dichiara la
superiorità delle prime. Della musica elenca una serie
di qualità negative; tra laltro dice: "Alla
musica è propria quasi una mancanza di urbanità ein
gewisser Mangel an Urbanität, dice proprio così
, specialmente per la proprietà che hanno i suoi
strumenti di estendere la loro azione al di là di quel
che si desidera (sul vicinato), per cui essa in certo
modo sinsinua e va a turbare la libertà di quelli
che non fanno parte del trattenimento musicale; il che
non fanno le arti che parlano alla vista, bastando che si
rivolgano gli occhi altrove, quando non si vuol dare
adito alla loro impressione" (§ 53).
Il che è come dire: le
orecchie non hanno le palpebre.
Personalmente credo, come
Marsilio e Schopenhauer, che la musica sia dono degli
dèi, medicina dellanima, compagna della nostra
vita, consolazione dei nostri dolori. Da musicologa, ho
fatto di essa la mia professione. Ho tuttavia avuto
loccasione di sperimentare come, su questo punto,
in molte circostanze il grande Kant abbia ragione: la
"mancanza di urbanità", connaturata alla
musica, può venire esasperata dal suo uso violento o dal
suo abuso. E ciò comporta una conseguenza: la musica, da
consolazione, si trasforma in disperazione. Perdonerete
se farò un riferimento personale, nel quale, tuttavia,
altri si potranno riconoscere.
Ho una casa al mare, al
Sud: ci ritorno ogni anno per un mese. Sono nata lì, e
mi piace ritrovare i colori, i suoni, i sapori
dellinfanzia. Limbrunire è un momento
magico: la notte arriva dolcemente, dal terrazzo si
vedono chiarissime le stelle, si odono i grilli. È stato
così per tanti anni. Poi, allimprovviso, una sera
è finito tutto. Da un bar vicino provenne una musica
intensa: canzoni che conoscevo, perché erano quelle
della mia giovinezza. Sul momento, pensai ad un
avvenimento sporadico, ma la sera dopo fu uguale, e così
ogni altra sera. Mi accorsi di non udire più i grilli,
di non poter dialogare in libertà con gli amici, di non
poter guardare le stelle in silenzio. La musica
sintrometteva come un ospite non invitato, la sua
compagnia era pervasiva e fastidiosa. Lincantata
"ora che volge il disìo" aveva perduto la sua
dolcezza, si tramutava in un momento ansiogeno, perché
sapevo, e temevo, che di lì a poco la musica sarebbe
giunta, implacabile. Ero diventata scorbutica e
intrattabile: perché ero impotente a fermare il
fenomeno, e perché mi sentivo aggredita. Che nel suono,
anche il più dolce, ci possa essere un quoziente di
aggressività, è fenomeno risaputo. Lo dice molto bene
Eugenio Borgna nel confrontare esperienza visiva ed
uditiva. Il noto psichiatra enunzia lo stesso concetto
espresso da Kant, ma illustra con unimmagine
suggestiva la violenza devastante che lesperienza
sonora può esercitare nella sfera dellIo. Ecco le
sue parole: "La relazione che unesperienza
visiva (un colore ad esempio) ha con loggetto
colorato, è radicalmente diversa dalla relazione che
unesperienza uditiva ha con la sua sorgente sonora.
Un suono si stacca, come acqua che scaturisce
da una fonte, dalla sua sorgente sonora, mentre un colore
aderisce fenomenicamente a un oggetto. Il
contenuto di una percezione visiva resta
insomma al suo posto, mentre quello di una percezione
uditiva si muove e si avvicina. Un suono ci
insegue e ci assale: non ci si può difendere se non
dopo essere stati afferrati. Dal contenuto di
unesperienza visiva si può invece fuggire
prima di essere stati afferrati".
Dalla musica di quel bar
io mi sentivo assalita, invasa, violentata. Cercavo
scampo nella fantasia immaginando unarma-laser che
zittisse gli altoparlanti o un apparecchietto che
impedisse alle onde sonore di penetrare nella mia casa,
nel mio terrazzo. Mi accorgevo intanto che la casa della
mia infanzia, così amata, mi stava diventando invisa:
incominciavo a detestarla. Non era più
casa amica, ventre materno,
si trasformava in uno spazio vischioso, in una prigione,
in casa nemica. Ma mi accorsi anche
e ne ero costernata che la musica stessa si
metamorfizzava. Le canzoni della mia giovinezza non erano
più loro. Quelle canzoni io le avevo amate, adesso le
odiavo: risuonavano sinistre, bieche, insopportabili.
Dunque non a me soltanto, ma alla musica stessa veniva
inferto un danno: risuonava stravolta, si tramutava in
strumento di tortura, suscitava sentimenti dodio.
I paesani erano infuriati:
ci furono battibecchi, denunzie, raccolte di firme. Ci si
appellò ai vigili, ai carabinieri, si andò dal sindaco,
si parlò con la giunta. Non si ottenne molto; crebbe la
sfiducia nei vigili, nei carabinieri, nella giunta, nel
sindaco: insomma, nella Pubblica Amministrazione. Il
barista intanto procedeva imperterrito. Un giorno gli
parlai, mi guardò incredulo, e mi rispose quasi
accorato: "ma come, anche a lei che è musicista la
musica non piace?". Tacqui, annichilita. Poco dopo
ritornai a Bologna. Ero triste: per il mio paese, per la
mia casa, per il Sud che mi ripetevo è
arretrato, terra di nessuno, senza il senso dello Stato.
Ma non era un problema Nord-Sud. Anche nella civilissima
Bologna il fenomeno si andava espandendo: interi
quartieri risuonavano come discoteche, e non cerano
distinzioni fra quartieri popolari e quartieri in.
La musica, in questo senso, attuava una perfetta
eguaglianza. Sul "Resto del
Carlino" e sulla "Repubblica" di frequente
si leggevano e si leggono tuttora lettere
di cittadini esasperati, tutte accomunate dal leitmotiv
dei miei paesani: la sfiducia nella Pubblica
Amministrazione.
In questi anni ho
riflettuto e qualche deduzione, forse banale, lho
tratta. Se la musica talvolta diventa
disperazione, se le abitazioni possono
tramutarsi in case nemiche, in prigioni,
ciò dipende da vari fattori. Ne elenco qualcuno.
(1) La musica, la
più temporale delle arti, occupa spazio: fisico e
psichico. Pertanto può ridurre quella zona privata,
fisica e psichica, essenziale per la vita dellIo e
per la vita di relazione. Con leccesso di decibel
può occupare brutalmente le abitazioni; ma sottovoce
è il caso della musica di sottofondo può
inserirsi nello spazio comunicativo che più persone
condividono; in ambedue i casi, se luditore non
vuole sentirla, essa occupa, o addirittura colonizza, lo
spazio privatissimo della psiche.
(2) Si dà per
scontato che sempre e dovunque, in ogni luogo e in ogni
momento, la musica piaccia. Questa credenza risale ad
unidea condivisa, ad un luogo comune inveterato:
la musica unisce. È vero sì che la musica
unisce ed aggrega, ma solo chi da essa vuol essere unito
ed aggregato: ossia unisce coloro che in una data musica
si riconoscono. Proprio in forza di ciò, essa separa e
segrega chi non vuole in essa riconoscersi. In tal caso,
la musica di un gruppo diventa nemica degli individui che
in quel gruppo non intendono inserirsi. Al mio paese, le
canzoni del bar univano chi voleva ascoltarle, e a
costoro risultavano gradite; ma segregavano me e gli
altri poiché non volevamo sentirle, e a noi risultavano
disperanti. (E qui sia detto en passant
si manifesta tutta lillusorietà di una credenza
diffusa, e cioè che la musica allaperto sia un
antidoto efficace contro il degrado e la
microcriminalità endemici in intere zone dei nostri
centri storici. Un pubblico esercizio che di notte attiri
gli avventori mediante musiche diffuse da altoparlanti
allaperto potrà magari tenere alla larga qualche
malintenzionato, ma il prezzo che si paga è la
devastazione della quiete notturna per i cittadini che
abitano nella zona; è mai proponibile lalternativa
tra due violenze egualmente insopportabili,
langoscia dello scippo o la nevrosi da insonnia?)
(3) Manca nella
nostra società la coscienza diffusa che la musica
produca inquinamento, e che questo inquinamento non sia
equiparabile sic et simpliciter a quello acustico
generico, ossia al rumore. Linquinamento musicale
è un inquinamento subdolo, perché particolare è
lelemento inquinante. Essendo la musica
linguaggio organizzato, incide sul sistema
limbico ed induce, con il ritmo, attivazione
senso-motoria: anche i capolavori di Chopin o le più
belle canzoni di Gino Paoli possono risultare
insopportabili se in quel momento non si è psichicamente
disposti a seguirli. (Ciò è tanto più vero se
lascoltatore è musicalmente alfabetizzato. Per un
musicista può essere particolarmente difficile compiere
attività intellettuali, come leggere o scrivere, o
anche solo conversare, se cè musica; a
guisa di una lingua nota, essa cattura il sistema
cognitivo ed emotivo nella rete della sua organizzazione
ritmica armonica melodica: il tapino non può fare a meno
di seguirla.) Dai tre punti enunziati ne discende un
quarto, importantissimo.
(4) Lamplificazione
elettronica, è ovvio, aumenta a dismisura
linvadenza della musica, e i danni connessi:
perché somma violenza a violenza con lo spostare i
confini del suono e collaumentare la cerchia dei
succubi. Reputo che la semplice abolizione degli
amplificatori abbasserebbe ipso facto i livelli
dellinquinamento musicale. Ma sappiamo che molte
musiche del giorno doggi non vivono, non
esistono senza lamplificazione.
Quegli anni in cui la mia
casa fu occupata dalla musica io li definisco di
lutto: è il termine col quale gli psichiatri
indicano la perdita dolorosa di qualcosa che ci è caro;
ed io infatti avvertivo di aver perduto la mia casa.
Però stavo maturando la consapevolezza che il problema
fosse assai diffuso: pensai dunque che bisognasse
perlomeno discuterne. Magari con altri intellettuali, se
è vero che il primo compito dellintellettuale è
di elaborare la comprensione della realtà, di coglierne
le dinamiche per indirizzarle verso unevoluzione
propizia. Fu così che, grazie alla Soffitta e al
"Saggiatore musicale", organizzammo una prima
giornata di studio, interdisciplinare: nel 1998, proprio
in questa sala. Responsabile scientifica fu Tullia
Magrini, antropologa della musica, che scrisse la
relazione di base. Invitammo il Sottosegretario
allAmbiente, on. Valerio Calzolaio: inviò un
intervento formidabile, lo pubblicammo nella nostra
rivista, assieme a quello della Magrini (li trovate nella
cartellina). Sul momento fummo contenti di noi, avevamo
aperto un discorso, che, tuttavia, conclusa la giornata
di studio, sembrava già chiuso. Avevamo fatto
accademia, un elegante incontro di distinti
intellettuali: ma tutto era finito lì. Occorreva
compiere un passo ulteriore. Bisognava sensibilizzare
anche i giovani damsiani: dopotutto, spesso i laureati in
Discipline dellArte, della Musica e dello
Spettacolo trovano impiego nella Pubblica
Amministrazione, negli assessorati, nellindustria
della comunicazione; ed è sempre opportuno che chi
promuove, organizza, autorizza sia consapevole dei
problemi prima che si presentino o
sincancreniscano. Ora, è sotto gli occhi di tutti
(pardon, sotto le orecchie di tutti!) che il
nostro ambiente urbano luoghi pubblici, bar,
ristoranti, ipermercati, mezzi di trasporto, piazze,
parchi, locali dintrattenimento è invaso
dalla musica. E che ciò danneggia tanti e dà luogo a
polemiche talvolta veementi. Tentammo la sfida:
organizzare un seminario nel quale gli studenti avrebbero
appreso che labuso di musica è in primis un
insulto alla musica, un danno ad essa arrecato perché
comporta una conseguenza aberrante; àltera
lascolto, riducendolo a indistinta esperienza
sensoriale, in cui tutto è uguale a tutto. Esattamente
il contrario di ciò che occorre per fruire la musica,
qualsiasi musica: una discriminazione uditiva efficiente
e non ovattata. In termini generali, poi, la capacità di
ascoltare è essenziale alla relazione fra noi e gli
altri, quindi indispensabile alla comunicazione,
razionale e sentimentale, tra gli esseri umani.
Non poteva che essere
linterdisciplinarità il fondamento di un tale
seminario. Perciò noi musicologi avremmo dovuto chiedere
lintervento delle Facoltà forti,
Giurisprudenza Medicina Ingegneria. Ma, daltra
parte ci siamo detti in un moto dorgoglio
, la musica e gli studi sulla musica penetrano in
campi disparati, dalla letteratura alla scienza, dalla
storia dellarte alla filosofia, dalla fisica alla
psicologia: è questa la nostra forza. Non sarà giusto
che proprio il DAMS coinvolga studiosi di discipline
svariate perché affrontino assieme a noi un problema che
avvertiamo urgente e che riguarda tutti? Non potremmo
spingere noi i nostri dotti colleghi a focalizzare ancor
più lattenzione su un tema, importante non solo
per la difesa e la tutela della musica ma anche per la
qualità stessa della vita associata? I dotti colleghi
compresero le nostre richieste, condivisero il nostro
entusiasmo, si prestarono con generosità. Senza di loro
voglio citare innanzitutto Marcella Gola, Gianluca
Gardini, Francesco Antonio Manzoli, Alessandro Cocchi
non avremmo potuto intraprendere unavventura
culturale stimolante: un seminario di quattro anni, di
cui si è già concluso il secondo, rivolto agli studenti
DAMS. Gli alternativi ragazzi del DAMS, tutti
gel, ricciolini e piercing, hanno compreso
anchessi: si sono calati con slancio nello studio
della dottrina giuridica, della giurisprudenza, della
medicina; si caleranno lanno prossimo anche
nellacustica e nella fisica, e nel quartanno
nella sociologia e nella comunicazione. Hanno prodotto
tesine, hanno compiuto ricerche. E ci hanno aiutato ad
organizzare questo convegno. Che nel titolo, Musica
urbana, gioca sulla doppia accezione
dellaggettivo: urbana nel senso che ha luogo
in un contesto urbano, comunque abitato; urbana
nel senso kantiano, ossia provvista di discrezione. Il
convegno, uno dei primi al mondo che affronti la
questione sotto un profilo così profondamente
interdisciplinare, vuol essere un momento di riflessione
e di dialogo fra le tante parti coinvolte e interessate
al fenomeno: musicologi, giuristi, medici, ingegneri,
psicologi, sociologi, pedagogisti, amministratori,
politici, rappresentanti delle associazioni
ambientaliste, esercenti di locali pubblici. Desideriamo
che lurbanità sia lo stile del nostro convegno, e
che la discussione sia improntata sempre alla
ragionevolezza e alla civiltà.
Abbiamo lavorato parecchio
per metterlo sù, questo convegno. Esso è la
dimostrazione che la separatezza tra discipline
umanistiche e scientifico-tecnologiche è una finzione
intellettuale, non un riflesso della vita reale; tutte le
discipline qui convocate, da sette diverse Facoltà
universitarie, concorrono a definire e ad affrontare un
problema che riguarda il benessere delluomo. Voglio
ringraziare tutti coloro che hanno contribuito, con il
loro lavoro, il loro sapere, il loro sostegno, a rendere
possibile il convegno (non tutti figurano sul programma).
Il dopo convegno lidea è del professor
Cocchi potrà magari vedere la creazione di un master
in Ecologia del suono: un master interfacoltà radicato
nel corso di laurea DAMS ma con lapporto delle
discipline di Giurisprudenza, Medicina, Ingegneria,
Comunicazione. E, aggiungo, Scienze della formazione:
perché la consapevolezza della ricaduta educativa di un
tema come questo è essenziale. Se infatti con la musica
si educa, bisogna nel contempo educare alluso e
alla fruizione consapevole della musica. I colleghi
pedagogisti svolgeranno perciò un ruolo essenziale.
La casa, il seminario, il
convegno, il master: restano i tacchini. Sono
stati uccisi trecento tacchini. Dal lupo o dalla volpe,
penserete. Ai bambini una volta si raccontava che lupi e
volpi uccidono polli e tacchini. Niente di tutto questo.
I tacchini sono stati uccisi dalla musica. Non sto
inventando una macabra favola per concludere la mia
relazione: ahimè, il fatto è reale, la notizia si è
letta nella "Repubblica" del 26 luglio scorso:
"Trecento tacchini sono morti per il terrore causato
dal frastuono di un rave party in campagna. È
accaduto a Baone, nel Padovano, dove i tacchini di un
allevamento sono stati improvvisamente svegliati nel
cuore della notte dai boati degli amplificatori. I
pennuti, terrorizzati, si sono ammassati contro una
recinzione, calpestandosi a vicenda. Alla fine, ne sono
rimasti a terra senza vita circa trecento". La
musica, consolazione della vita, è diventata per i
tacchini un killer. I giovani del rave party,
possiamo esserne certi, non pensavano affatto di usarla
come arma offensiva. Saranno stati anzi giovani pacifici,
forse pacifisti, e magari anche vegetariani integralisti.
E non è neppure detto che sia stato il ritmo del rock,
così percussivo, ad uccidere le povere bestie: forse i
tacchini sarebbero morti anche con la più bella sinfonia
di ostakovic o con la Nona di Beethoven. Sono morti
perché non avevano bisogno di musica: volevano solo
dormire, godere il sonno, riparatore per tutti gli esseri
viventi delle ferite diurne. Glielhanno impedito.
La musica ha tolto loro il sonno e lo spazio. La musica,
creatura apparentemente priva di spessore, è penetrata
nel recinto e, carica di inaudita violenza, li ha
inchiodati allangoscia, privandoli dello spazio
vitale. Sono morti disperati, i poveri tacchini,
schiacciati dalla sublime arte dApollo.
Sarò una donnetta, ma
questi tacchini mi hanno commosso. Mi sono detta che il
nostro convegno fra le tante cose dovrà
essere anche un atto di riparazione per la morte di
trecento animali, simbolo doloroso dellambiente
violato, sia pur inconsapevolmente, dalluomo. Se
riparazione vuol essere, il convegno deve porsi uno scopo
primario: sottolineare con energia che in una società
civile la musica deve acquisire urbanità; il che
equivale a dire che la musica va tutelata dagli
abusi che possono stravolgerla; equivale anche a dire che
la musica, questarte così fragile e così
violenta, ha bisogno dei suoi luoghi, luoghi dove
il dentro e il fuori siano ben definiti e
ben delimitati. "Musica urbana", dunque, nel
senso profondo del termine. Cioè non invadente,
rispettosa, discreta. A disposizione di chi la desidera,
assente da chi non la vuol sentire. In fondo, è quel che
avrebbe voluto Kant: così lavrebbe apprezzata di
più e le avrebbe conferito il primo posto tra le arti.
Musica come consolazione, perciò, non come disperazione.
Perché siamo tutti daccordo, non è vero?
di musica, come gli afgani di Kabul, come gli
americani di New York, vogliamo vivere; di musica, come i
tacchini di Baone, non vogliamo morire.
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