Archivio Storico:- ex Dipartimento di Musica e Spettacolo - Universita' di Bologna MUSICA URBANA Relazione di base (CC)

Conferenze e convegni

 
BOLOGNA, 17 - 19 maggio 2002
CONVEGNO di STUDIO
Musica urbana: il problema dell’inquinamento musicale
 
Bologna, palazzo Marescotti, via Barberia 4

 

Carla Cuomo

Relazione di base: Inquinamento musicale – una questione di civiltà

Quand la musique était rare, sa convocation était bouleversante
comme sa séduction vertigineuse. Quand la convocation est
incessante, la musique devient repoussante et c’est le silence qui
vient héler et devient solennel.
Le silence est devenu le vertige moderne.
PASCAL QUIGNARD, La haine de la musique (1996)

Nella civiltà greca la musica (mousikè) era ‘arte delle Muse’, le divinità generate da Zeus e da Mnemosine "perché fossero l’oblio dei mali e il sollievo degli affanni" (Esiodo, Teogonia, 51 sgg. e 915 sgg.). Il mito d’Orfeo evoca il potere magico, incantatorio e persuasivo della musica. Nel 1767, nel Dictionnaire de musique, Rousseau definisce la musica "l’arte di combinare i suoni in maniera gradevole all’orecchio"; e nel senso comune l’idea di musica si è sempre associata a quella di piacere. Eppure, questa equazione tra musica e piacere oggi non è più una verità incontrastata: la musica può essere causa di fastidio, di disturbo, di gravi danni biologici, psicologici, patrimoniali, esistenziali, quando si è costretti a subirla in luoghi, modi e contesti che trascendono la propria volontà. Si parla, così, di ‘inquinamento musicale’.

Tale tipo d’inquinamento va inteso essenzialmente come inquinamento da musica, ed è un caso particolare di inquinamento acustico, problema già di per sé sempre più avvertito nella società moderna. La riflessione sull’inquinamento musicale si colloca nel panorama internazionale dei soundscape studies, che sviluppano il concetto di acoustic ecology, lo studio del rapporto tra uomo e ambiente da un punto di vista sonoro. Il tema oggi coinvolge studiosi e ricercatori di ogni ambito disciplinare, e in campo accademico questo tipo di riflessioni interseca molteplici punti di vista nella sfera dei cosiddetti cultural studies.

L’inquinamento musicale è un fenomeno recente, specifico della società odierna: la musica è divenuta incessante, di giorno come di notte, nella quasi totalità dei luoghi pubblici, bar, ristoranti, ipermercati, mezzi di trasporto, piazze, parchi, stazioni, aeroporti, studi professionali, locali d’intrattenimento al chiuso e all’aperto, dappertutto. Il fenomeno è peculiare della nostra èra tecnologica, che all’abbondanza di musica associa il culto imperante dell’amplificazione. (Questo spunto, come altri che vengono sviluppati qui, si rifà alla relazione di base che Tullia Magrini svolse nella giornata di studio "Musica come disperazione" tenuta a Bologna, nel Dipartimento di Musica e Spettacolo, il 3 marzo 1998: Per una ecologia sonora, "Il Saggiatore musicale", IV, 1997, pp. 492-495.) La diffusione indiscriminata di musica, tanto più ad alto volume, ignora i principii fondamentali della convivenza civile: il rispetto della differenza e la libertà, intese in questo caso come dissenso dall’onnipresenza della musica, e come libertà di ascolto, importante quanto la libertà di parola.

L’inquinamento musicale è così una questione di civiltà.

La musica urbana, leitmotiv della nostra vita sociale, s’inserisce in un continuum spazio-temporale non privo d’effetti sulla vita personale e di relazione. Si assiste oggi ad un radicale cambiamento dei modi di produzione, riproduzione e fruizione sonora, condizionati dalla funzionalità assegnata alla musica urbana (Magrini).

In alcuni casi, la musica viene diffusa a basso impatto sonoro per creare un sottofondo, un "profumo sonoro" che con la sua presenza invisibile, discreta, percepita d’istinto, infonda benessere e dinamismo senza lasciare che si focalizzi troppo l’attenzione. È il caso della ‘musica d’ambiente’, creata sin dai primi anni ‘70 per migliorare il rendimento del personale negli uffici. Questa musica, sempre solo strumentale e mai vocale – il canto attirerebbe l’attenzione cosciente –, evita i timbri penetranti e i toni troppo bassi o troppo acuti, che stimolerebbero i movimenti del corpo. È assemblata a partire da brani di musica classica o di consumo, arrangiati e riorchestrati per rispondere a tali criteri. Sebbene quest’artificio voglia evocare le antiche musiche di lavoro, che sempre hanno accompagnato le attività dell’uomo, vi è una profonda differenza rispetto al passato: non sono i lavoratori a crearle. (Dalle sperimentazioni di Brian Eno alla produzione su scala industriale da parte della ditta americana Muzak, la musica d’ambiente è notoriamente debitrice dei media e delle nuove tecnologie: della loro influenza sulle mutate condizioni d’ascolto parla Michel Chion, Musica, media e tecnologie, Milano, Il Saggiatore, 1996.)

In altri casi di diffusione a basso impatto sonoro, la musica vorrebbe svolgere una funzione architettonica, vorrebbe costruire e delimitare uno spazio acustico. Nell’idea delle ditte specializzate che la producono e dei gestori dei locali e degli spazi pubblici, essa non viene diffusa per essere ascoltata, ma per farci familiarizzare con l’ambiente tramite l’esperienza sensoriale collettiva: lo spazio frequentato transitoriamente, che alcuni antropologi definiscono ‘non luogo’ perché anonimo e deputato all’individualità solitaria, diventerebbe così un ‘luogo’, ovvero uno spazio identitario e relazionale (Marc Augé). Negli ipermercati, per esempio, la musica che ci accoglie al parcheggio esercita una funzione convocativa, rafforzata dai messaggi pubblicitari interposti tra una musica e l’altra: ha lo scopo di rassicurarci e renderci familiare il posto. Questo spiega anche la presenza della musica sui mezzi di trasporto che, attraverso la diffusione sonora, vorrebbero diventare spazi abitati, abitabili, atti a farci sentire a nostro agio. La musica è in grado di semantizzare gli spazi, dunque di creare un legame dell’individuo con l’ambiente, una "contrattualità": la fidelizzazione del cliente passa anche per queste vie.

Tale uso della musica, tuttavia, diventa spesso disagio, disturbo ambientale, rumore di fondo, se è reiterato, continuo, ossessivo, e non consente di gestire il proprio spazio di relazione, anche attraverso la scelta del silenzio. Perché, insieme col biglietto dell’autobus, debbo acquistare l’ascolto di una musica che non ho scelto, in un momento che non ho voluto?

Per quanto riguarda la diffusione di musica ad alto impatto sonoro, registriamo situazioni in cui musiche diverse vengono sapientemente calibrate nell’alternanza di momenti lenti e distesi con momenti dinamici e ben ritmati, sì da influire sui ritmi fisiologici. Il sistema-musica di molti locali è computerizzato in base a questo assemblaggio, così da passare automaticamente, nelle ore di punta, a musiche più forti e più veloci. Ciò si verifica, ad esempio, in certi ristoranti in cui viene diffusa musica ad alto volume e assai ritmata, considerata congeniale ad un locale giovane e alla moda. In verità, la questione investe il sistema dei bilanci e dei profitti: questo tipo di colonna sonora ambientale è studiato per accelerare il ritmo di alimentazione e dunque di rinnovo dei clienti nel locale, ossia per aumentare il ritmo di produzione, negli interessi del gestore.

In altri casi, il cittadino medio è costretto a subire la violenza invasiva di volumi sonori al di sopra della soglia fisiologica di "normale tollerabilità" (art. 844 del codice civile). L’aggressione acustica di attività produttive quali discoteche, pubs o palestre situate in zone ad elevata densità abitativa, in prossimità di condominii se non in spazi addirittura adiacenti, suscitano una reazione crescente, riportata sempre più spesso dai quotidiani: le lamentele dei cittadini invasi nella propria abitazione da immissioni sonore provenienti da locali con musica ad alto volume. L’aggressività sonora può determinare la sfiducia del cittadino, strisciante o palese, nei confronti della Pubblica Amministrazione cui compete da un lato la tutela della quiete pubblica, dall’altro la tutela del diritto alla salute che, come recita l’articolo 32 della Costituzione, è "fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività". L’inquinamento musicale può seriamente compromettere la salute di una persona, il suo equilibrio complessivo, e procurare anche un ‘danno esistenziale’, figura di recente riconosciuta dalla nostra giurisprudenza. Esso consiste in un’alterazione del benessere psicofisico, con conseguente riflesso sulle normali attività quotidiane, tale da tradursi in una lesione della serenità personale quale diritto di ciascun soggetto nell’ambito sia lavorativo sia familiare. A volume alto o basso, una musica non gradita in quanto non richiesta, soprattutto quand’è reiterata e ossessiva, può ‘inquinare’ negli stessi termini in cui l’inquinamento acustico è definito dalla legge-quadro n. 447/1995: può cioè rappresentare un "pericolo per la salute umana", poiché interferisce "con le legittime fruizioni degli ambienti". Al contempo, l’inquinamento da musica può contribuire al "deterioramento degli ecosistemi" di cui parla la stessa legge, e nuoce all’"interesse della collettività" sancito dall’articolo costituzionale.

È per tutte queste ragioni che il problema dell’inquinamento musicale è innanzitutto un problema politico: è questione civile che va affrontata in primis da un punto di vista giuridico.

L’esame delle situazioni sopra descritte lascia emergere come la musica, nella nostra civiltà, da arte consolatrice, incantatrice e benefica, sia divenuta potenziale sorgente di sofferenza sonora, invasione molesta e martellante, strumento vessatorio di un ascolto coatto. Perché questo ribaltamento di paradigmi? Il mutamento trasforma il concetto stesso di ‘musica’, che nella realtà urbana è ormai un distillato di tante sonorità diverse, costruite in funzione di un consumo, alla stregua di altri prodotti commerciali. Che cosa si nasconde dietro questo fenomeno?

Possiamo facilmente osservare che la presenza invasiva della musica scaturisce dalla consapevolezza, da parte di chi la diffonde, del suo potere seduttivo. Si può dire che la musica ha una natura ontologicamente autoritaria: chi può resisterle? Questo potere della musica – e diciamo per estensione del suono – è dovuto da un punto di vista soggettivo alla dimensione olistica della percezione uditiva, da un punto di vista oggettivo alla proprietà di propagazione isotropa del suono. Inoltre, sotto l’aspetto psicologico il suono sollecita in modo particolare il sistema limbico, che regola il comportamento emotivo-motivazionale. Grande è dunque la forza evocativa dei suoni che si associano alle nostre esperienze e fanno leva sulla memoria.

La musica, insomma, non ha semplicemente potere: essa è potere, che si associa ad altri poteri.

La dimensione olistica della percezione uditiva ci fa riflettere su un aspetto del potere della musica oggi assai sfruttato: la sua forza di comunicazione, che agisce a livello sia biologico sia simbolico. Il suono ci raggiunge in qualsiasi momento, in qualsiasi condizione, anche nel sonno, in modo indipendente dalla volontà cosciente. La dimensione acustica rappresenta un aspetto fondamentale della vita dell’uomo: basti pensare che, in età prenatale, l’udito precede la visione, e alla nascita costituisce il primo canale di comunicazione dell’essere umano col mondo. L’udito è connesso alla valutazione della situazione spazio-temporale: ascoltare è, da un punto di vista antropologico, il senso stesso dello spazio e del tempo. Tuttavia, vi sono livelli d’ascolto diversi: tra udire e ascoltare vi è la differenza che passa tra una mera percezione quantitativa dei suoni, che non vengono interpretati, ed una percezione qualitativa che via via mette in atto processi cognitivi superiori.

Ad un primo livello, l’ascolto genericamente inteso è un importante mezzo di adattamento dell’uomo all’ambiente: l’appropriazione dello spazio è in parte sonora. I suoni e i rumori dell’ambiente domestico ce lo rendono familiare in forza della nostra abitudine ad essi, in virtù, cioè, del loro riconoscimento. In questo caso il suono porta con sé informazioni riguardanti il territorio: l’ascolto è, al livello basilare, una selezione di indizi che permette di delimitare il territorio, lo spazio sicuro (Roland Barthes). Se l’ambiente è acusticamente inquinato, anche dalla persistenza di musica, l’uomo non può comunicare correttamente con esso. Se la musica urbana provoca notevoli disturbi e anche danni, ciò significa che il territorio della città non è più avvertito come sicuro.

Ad un livello superiore, ascoltare non è semplicemente cogliere indizi e discriminarli per un adattamento territoriale: esso è coinvolgimento del soggetto nell’atto d’interpretare la cosa ascoltata, perciò è esercizio d’intelligenza. Tocchiamo qui l’aspetto più intangibile dell’inquinamento musicale, ma non il meno rilevante in senso culturale. Il concetto di ‘inquinamento’ si raccorda sempre con quello di ‘abuso’, che nel caso della musica ha le sue principali cause nel consumismo, anche di tipo musicale. L’abuso di musica àltera gli atteggiamenti uditivi, modifica gli abiti d’ascolto dell’uomo, trasforma quello che Murray Schafer (1977), pioniere degli studi sul paesaggio sonoro, definiva un ascolto hi-fi, cioè ad alta fedeltà, in un ascolto lo-fi, a bassa fedeltà. Ne consegue un effetto di saturazione, che trasforma l’ascolto in indistinta esperienza sensoriale. Se ‘ascoltare’ significa entrare in relazione viva con la musica stessa, ovvero partecipare alla costituzione del significato della musica, l’abuso di musica ha due conseguenze inevitabili: da un lato, si disperde il ruolo attivo del soggetto in tale processo di significazione, dall’altro, diventa impossibile il silenzio, diritto soggettivo inalienabile, momento del riposo, del rapporto con sé stessi, della riflessione, habitat propizio all’ascolto attento.

L’inquinamento musicale è in tal senso anche una questione filosofica.

Il continuum sonoro negli spazi pubblici tiranneggia il nostro tempo esistenziale. Se ogni società crea la cultura di cui ha bisogno, la nostra società crea una cultura rumorosa per negare il silenzio. Il chiasso, il frastuono, il bombardamento sonoro esprimono la paura del silenzio: nel ritmo incessante degli eventi della vita odierna, sottoposta ad infinite sollecitazioni, non vi è spazio – in senso letterale – per il silenzio, vissuto come stasi, immobilità, horror vacui. Si mobilita così la musica in funzione apotropaica, per scongiurare l’assenza di suono come angoscia, tedio, momento improduttivo.

In realtà, bisogna osservare che anche il nostro concetto e la nostra pratica del silenzio sono stati profondamente modificati dal milieu tecnologico nel quale viviamo. La moderna tecnologia ha permesso di superare la natura effimera del suono, cioè di separare il suono dalla sua fonte e di renderlo permanente. La schizofonia (Schafer), ovvero la possibilità di scindere il suono dalla sua fonte originaria, permette di comporre, ricomporre, moltiplicare, variare i suoni, agire su di essi come più piace. Anche il silenzio è assoggettato agli sviluppi tecnologici: sarebbe superficiale credere che esso sia solo assenza di suono. La scomparsa del silenzio si può forse considerare una delle cause dell’individualismo odierno: l’imbottitura sonora può inibire la socializzazione. Il problema dell’eccesso di suono tocca da vicino la sfera educativa. Stare in silenzio permette di ascoltare, perché il silenzio inaugura una relazione: esso è attività, non stasi. Ascoltare significa anche sondare. Il silenzio permette l’attenzione e perciò la capacità critica, selezionatrice: favorisce la "fermentazione del pensiero" (Jankélévitch). Se pensiamo alla progressiva scomparsa del silenzio dalla nostra civiltà nei termini di una crescente occupazione sonora degli spazi, e intendiamo per ‘spazio’ anche quello della nostra mente, comprendiamo come il problema dell’inquinamento musicale sia persino un problema di "ecologia della mente". L’ambiente musicalmente inquinato nel quale viviamo incide sul nostro modo di conoscere, pensare, decidere. Da questo punto di vista, il problema dell’inquinamento musicale è una questione epistemologica, nella prospettiva del superamento della dicotomia mente/natura, a favore del modello di un pensiero complesso, vòlto ad integrare scienze umane e scienze naturali in un orizzonte transdisciplinare.

La presenza di musica programmata negli spazi pubblici fa riflettere altresì sul silenzio in una nuova accezione, e cioè nel significato di ambiente disponibile, spazio non programmabile, condizione aperta all’accadimento degli eventi, dunque libertà. In quanto raro e straordinario, il silenzio è diventato oggi – nei termini propri dell’ecologia – ‘risorsa’, e da un punto di vista giuridico ‘bene comune’. La sofferenza sonora colpisce tutti gli esseri viventi, e nell’ambito dell’esistenza umana raggiunge tutte le persone, senza distinzioni di ceto o censo: il silenzio è così necessità civile. La pubblicità televisiva di un’automobile, tuttora in programma, mostra un uomo che trova finalmente sollievo dall’intenso rumore del traffico cittadino entrando nella propria vettura, dotata di straordinari mezzi d’isolamento acustico. Lo slogan è: "La qualità si misura in decibel". Da quest’esempio ricaviamo che il silenzio, nella società dei consumi, ha già acquisito un valore commerciale.

La mancata regolamentazione della diffusione di musica nel contesto pubblico corrisponde ad una privatizzazione del paesaggio sonoro, sotto l’aspetto della manipolazione indebita di umori, emozioni, condizioni vitali dell’individuo che si ripercuotono sulla collettività. L’’ecologia urbana’ conferisce importanza al concetto di ‘ecosistema urbano’ – l’insieme degli organismi viventi e non viventi della città e delle immediate adiacenze – e al concetto di ‘comunità’, che pone l’accento sulle correlazioni esistenti tra le caratteristiche fisiche ed ambientali della città e i fenomeni di patologia sociale, disadattamento, alterazione psichica. È in questa prospettiva che va valutato il problema dell’inquinamento musicale, cioè nel quadro più ampio del rapporto tra uomo e ambiente sonoro, sia nel senso della salubrità dell’uno e dell’altro, sia nel senso del valore dell’ambiente sonoro quale pubblico dominio, ‘bene’ comune, parte integrante dell’ecosistema che va tutelato.

Se dal punto di vista giuridico si registrano nel nostro Paese innovazioni importanti, come il recente affermarsi della categoria di ambiente quale "fenomeno giuridico unitario" e l’estensione dell’ambito di tutela fino a comprendere "la persona umana in tutte le sue estrinsecazioni" (sentenza n. 210/1987 della Corte costituzionale), riscontriamo tuttavia nella realtà dei fatti un’insufficienza della tutela preventiva, e dunque la preponderanza di quella successiva ai danni acustici – anche da musica –, con conseguente elevato costo sociale. Soprattutto, è urgente predisporre nelle città piani di zonizzazione acustica, che siano efficaci anche nel regolamentare le attività produttive con musica situate nei centri abitati. In questa prospettiva, le potenzialità degli strumenti legislativi sono affidate alla sensibilità politico-amministrativa dei Comuni, che sono peraltro i primi responsabili della qualità della vita urbana e del suo ‘sviluppo sostenibile’. Questo stesso concetto di ‘sviluppo’ impone dei limiti all’organizzazione tecnologica e sociale nell’uso delle risorse ambientali, fra le quali poniamo il silenzio come diritto soggettivo e inalienabile.

In conclusione: quali esseri umani nella società, quali cives appartenenti ad una polis, abbiamo diritto a non essere aggrediti dal suono, soprattutto dal suono diffuso per ragioni di profitto. Il problema dell’inquinamento musicale è una questione di diritti umani. Esso è strettamente connesso al complesso rapporto tra ambiente ed economia, nodo delle politiche economiche e sociali. La sostenibilità del benessere individuale e collettivo esige modificazioni degli assetti istituzionali, e un cambiamento non solo economico e sociale, ma nello stesso stile di vita della comunità. Il problema si pone dunque su un piano più ampio, quello cioè dei valori culturali e morali della nostra società.

L’inquinamento musicale è così un problema etico: esso è, alla radice, questione di civiltà.

   

PRESENTAZIONE

         

PROGRAMMA

          MODALITÀ DI PARTECIPAZIONE
 

in collaborazione con

   
 
con il patrocinio di
World Forum for Acoustic Ecology
Regione Emilia Romagna
Provincia di Bologna - Assessorato alla Cultura
Comune di Bologna - Assessorato alla Sanità e Ambiente
Comune di S. Lazzaro di Savena - Assessorato alla Cultura e Ambiente

con il sostegno della
Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna
e del
Ministero per i Beni e le Attività culturali
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