Augusto Mazzoni (Brescia), La
stratificazione dell'opera musicale: una questione
estetico-filosofica
Quando si parla di stratificazione
dell'opera musicale ci si riferisce sovente al pensiero
di Heinrich Schenker. Come è noto, la teoria
schenkeriana intende ogni composizione tonale come
struttura organizzata su molteplici strati (Schichten),
a partire da un livello profondo (Hintergrund) rappresentato
dallUrsatz, ossia da una struttura basilare
che esprime il fondamento tonale-cadenzale del brano,
attraverso livelli intermedi, fino a un livello esterno (Vordergrund)
rappresentato dal brano nella sua concretezza. Lanalisi
musicale ha il compito di procedere a ritroso per
scendere dalla partitura sempre più in profondità.
La visione schenkeriana si basa naturalmente su una
concezione strutturale della musica, ma se lo si
considera sotto un profilo estetico e filosofico è
possibile elaborarne una concezione alquanto più ampia,
in particolare grazie al confronto tra Hartmann e
Ingarden.
In Das Problem des geistigen Seins (1933), Nicolai
Hartmann ha descritto l'opera d'arte come oggetto
stratificato: l'opera musicale, per esempio, possederebbe
almeno due strati, uno esterno costituito dalla materia
sonora e uno profondo costituito dal contenuto
propriamente musicale. Nell'Ästhetik (1953)
quest'idea è ripresa e ulteriormente ampliata. Roman
Ingarden viceversa, e in polemica con Hartmann, ha
propugnato una concezione dell'opera musicale come
oggetto a un solo strato: come oggetto in cui i momenti
non sonori (qualità formali, estetiche ed emotive) sono
comunque impiantati nel substrato sonoro.
È evidente che in una prospettiva filosofica l'idea di
stratificazione dell'opera musicale acquista sfumature
assai differenti rispetto a quelle assunte in una
prospettiva puramente teorico-analitica: la molteplicità
degli strati (o perlomeno una loro intima complessità)
indica non solo una articolazione secondo livelli
strutturali, ma anche un'autentica ricchezza di senso e
di significato.
Tutto questo, d'altra parte, può essere importante per
la stessa riflessione musicologica se consideriamo, per
esempio, che Carl Dahlhaus ha approfondito in senso
critico le affermazioni di Ingarden, mentre Walter Wiora
ha fatto propria l'impostazione di Hartmann. Un ulteriore
sviluppo della questione promette esiti anche
relativamente alla semiotica ed ermeneutica della musica.
Giorgio Pagannone (Bologna), "Rhapsody
in Blue": un concerto metropolitano
Il concerto solistico è un banco
di prova non soltanto per il solista, ma anche per il
compositore che deve mediare tra le esigenze
dell'orchestra e quelle del solo, tra la logica
del discorso musicale e del virtuoso.
In Concerto Conversations (Harvard University
Press, 1999), Joseph Kerman individua fondamentalmente
tre tipi di rapporto tra solista e orchestra: Polarity,
Reciprocity, Diffusion. In regime di polarità
tra i due soggetti non c'è dialogo, né relazione (il
dialogo si ha infatti quando due interlocutori parlano la
stessa lingua, condividono un discorso). La reciprocità
è invece l'arte del dialogo, della conversazione,
ovvero della contesa. La diffusione è infine la
negazione del dualismo: il solo rinuncia al
proprio egocentrismo e si integra nell'orchestra in un
tessuto sonoro e timbrico onnicomprensivo. Kerman ha
notato come ogni epoca del concerto solistico privilegi
uno dei fattori enunciati: il concerto barocco (in
particolare Vivaldi) privilegia la polarità, quello
classico-romantico la reciprocità, quello moderno
la diffusione.
Rhapsody in Blue di Gershwin (1924) non viene mai
citata nello studio di Kerman: si tratta invero di un
concerto anomalo, se confrontato con la grande
tradizione, e presenta problemi di assetto testuale e di
attribuzione (esistono più versioni del pezzo, e si sa
per certo che l'orchestrazione originale fu realizzata
dall'arrangiatore ufficiale dell'orchestra di Paul
Whiteman, Ferde Grofé). Il titolo stesso Rhapsody,
non Concerto è un'implicita
ammissione di atipicità, quasi di estraneità, rispetto
al genere in questione.
Ad un'analisi attenta e fondata sulle categorie di
Kerman, la composizione presenta però un rapporto di reciprocità
molto speciale tra solo e orchestra. Molti
studiosi hanno osservato che nella musica di Gershwin, e
in particolare in Rhapsody, agisce lo
"spirito della metropoli". Lo stesso autore
dichiarò che Rhapsody era "una specie di
caleidoscopio musicale dell'America ... della nostra
incomparabile follia metropolitana". Mario
Pasi ha notato che "confluisce nella musica di
Gershwin il sentimento della grande città, la proiezione
umana del dialogo fra l'individuo e la metropoli".
Il mio intervento mostra come questo particolarissimo
dialogo tra individuo (solo) e metropoli (orchestra) si
realizzi in Rhapsody, dove il rapporto di reciprocità
sconfina quasi nella polarità: il solo reagisce
replays, nel gergo di Kerman
spesso in ritardo all'orchestra, sembra esigere lunghe
parentesi solistiche (cadenze), per metabolizzare
ed interiorizzare tutti gli stimoli (temi) che da quella
l'orchestra, ovvero la città derivano.
Questo concerto rispecchia dunque la modernità, si pone
come metafora della lotta, ovvero della distanza tra
l'individuo e la metropoli, che con le sue mille voci,
rumori e frenesie rischia di sommergerlo. Come antidoto
alla follia metropolitana.
Lisa Navach (Cremona), Francesco
Gasparini e Alessandro Scarlatti: una sfida allombra
delle sirene partenopee?
Dopo un lungo torpore che aveva
rallentato se non addirittura congelato la pubblicazione
di cantate a Roma, nel 1695 Francesco Gasparini, quasi
trentenne e ormai musicista in carriera, consegna alle
stampe per i tipi di Mascardi la sua op. 1 dedicata alla
duchessa di Maddaloni: una raccolta di dodici cantate per
voce sola e basso continuo, le sue uniche cantate edite
su un repertorio di oltre cento esemplari. A spingere
Gasparini a pubblicare questa raccolta potrebbe essere
stata la speranza di un impiego a Napoli, appoggiato dallinfluente
famiglia, più che un generico desiderio di
riconoscimento pubblico. Proprio la duchessa, il cui
ruolo è stato finora poco indagato nella biografia di
Gasparini, sembra essere un primo trait d'union tra
il musicista ed Alessandro Scarlatti di cui la famiglia
Maddaloni fu a lungo tempo protettrice. L'amichevole
rivalità tra i due compositori, chiaramente
manifestatasi nella ben nota corrispondenza cantatistica Andate,
o miei sospiri (1712), nonché da non pochi altri
contatti biografici e musicali trova forse radici proprio
in questi anni sul finire del XVII secolo. Li accomuna
anche un testo Augellin vago e canoro musicato
da entrambi a distanza di quattro anni (la cantata di
Gasparini è inclusa nella sua op. 1, quella di Scarlatti
è datata 16 giugno 1699). Diverse nella destinazione
l'una a stampa, l'altra manoscritta -, diverse
nelle risorse musicali e nelle tecniche impiegate
l'una per soprano e basso continuo, l'altra con due
flauti concertanti le due cantate verranno
analizzate per rivelarne differenze e analogie.
Saverio Lamacchia (Bologna), Quel
despota del Conte, quel buono a nulla di Figaro: una
rilettura di "Almaviva, o sia L'inutile precauzione"
vai all'intero articolo
Tutti sanno che in principio Il
barbiere non era Il barbiere: la prima
rappresentazione romana (1816) del capolavoro di Rossini
andò in scena col titolo Almaviva, o sia L'inutile
precauzione. Nel famoso "Avvertimento al
pubblico" stampato in apertura del libretto, gli
artefici del nuovo allestimento dichiarano la derivazione
dell'argomento dalla celebre commedia Le Barbier de Séville
ou La Précaution inutile di Beaumarchais (Parigi,
1775).
Essi motivano il cambiamento del titolo come gesto
d'ossequio a Giovanni Paisiello, compositore dellallora
più nota trasposizione melodrammatica della pièce francese:
Il barbiere di Siviglia, ovvero La precauzione inutile,
Pietroburgo 1782.
In genere si è propensi ad accettare tale
giustificazione: invero in modo irriflesso. Ci sono
infatti diverse ragioni che sconsigliano di dare
eccessivo credito all'"Avvertimento", la
principale e stranamente la più trascurata
delle quali è che Il barbiere di Paisiello non
ebbe fortuna alcuna sui palcoscenici di Roma, dove forse
non fu mai rappresentato.
Pare difficile quindi che Rossini stante anche la
consuetudine diffusa di dare nuova musica a soggetti già
intonati potesse preoccuparsi più di tanto del
precedente di Paisiello, e il pubblico romano scaldarsi
troppo per esso; come del resto il Pesarese ammise in una
lettera datata 8 agosto 1868: "io non mi credetti
per certo audace allorquando musicai (in dodici giorni)
dopo il papà Paisiello il graziosissimo soggetto di
Beaumarchais".
Partendo dalla circostanza della sostituzione di Figaro
col Conte d'Almaviva nel titolo, s'intende proporre una
lettura controcorrente del melodramma così come fu
concepito originariamente da Sterbini e da Rossini, cioè
comprensivo dell'aria finale del Conte "Cessa di più
resistere", uscita precocemente dalla vita esecutiva
e mai più ripristinata, neppure oggi dopo quasi tre
decenni di Rossini renaissance. Quest'aria
in assoluto la più lunga e difficile dell'opera
rende evidente che quella ch'è diventata un'opera per
baritono era nata come un'opera per tenore; e mi
riferisco non solo e non tanto alle "convenienze
teatrali" (il tenore Manuel García era certamente
la star dell'allestimento), quanto alla deliberata
volontà drammatica di Sterbini e di Rossini di dare un
peso ed una caratterizzazione diversa ai personaggi di
Almaviva e di Figaro rispetto ai modelli. L'aria del
Conte ed anche i molti altri significativi
cambiamenti rispetto a Beaumarchais e a Paisiello, sui
quali mi soffermerò mette bene in chiaro come e
perché Rosina e il Conte riescono a sposarsi e ad averla
vinta su Bartolo: non certo grazie alla furbizia e alla
scaltrezza di Figaro (la cui vitalità passa comunemente
per abilità: i suoi bislacchi stratagemmi si rivelano
però tutti fallimentari), quanto ad opera d'un
deliberato atto di forza del Grande di Spagna, che fa
valere nel momento decisivo le sue prerogative: "Zitto
tu, qui si fa quello che dico io perché il più forte
sono io", dice in sostanza a Bartolo, a parole e,
quel che conta di più, in musica.
Insomma, vale la legge del più forte: altro che
celebrazione delle virtù borghesi, dell'intuito e
dell'intelligenza, tradizionalmente attribuita alle
commedie dedicate a Figaro del nemico dell'Ancien Régime
Beaumarchais (una visione che sembra aver
condizionato troppi musicologi). Questa lettura
dell'opera potrà essere difficile da accettare per noi
oggi, ma in fondo è in linea con le idee dello scettico
e conservatore Rossini.
Francesco Del Bravo (Siena), Problemi
testuali in una "frase male istromentata" di
Bellini
In una lettera a Bellaigue del 1898,
Verdi si sofferma su un tema dell'Introduzione dell'Atto
I di Norma, definendolo una "frase
male istromentata, ma che nissuno ha mai fatto altra più
celestiale". La frase cui viene fatto riferimento
presenta diversi problemi testuali, che indicano come la
"celestialità" melodica e la "cattiva
stromentazione" siano parte di un unico percorso
compositivo. Un'analisi attenta dell'autografo ci rivela
infatti due volontà di fondo, mostrandoci il significato
dei singoli dettagli (grafici, melodici, ritmici). Da un
lato Bellini fa sì che ad ogni apparizione il tema, pure
se tra esitazioni ed incongruenze, contenga elementi che
lo differenzino dalle altre apparizioni. Dall'altro,
all'interno di ogni apparizione, viene uniformata
l'esposizione del tema alla sua ripetizione. Tale
uniformità è stata raggiunta tramite interventi
successivi alla prima stesura, in cui la ripetizione del
tema aveva un profilo melodico più fiorito: è stato
eliminato, cioè, un (se pur minimo) processo
elaborativo, per presentare il tema nella forma più
fiorita sin dalla sua esposizione. L'originale modello
tematico A-A', però, viene mantenuto per mezzo della
strumentazione (ad un uno stadio compositivo avanzato,
quindi), tramite un diverso accompagnamento. Durante la
stesura di un brano, dunque, Bellini sa mostrare
attenzione compositiva sia nel raggiungimento della
definizione melodica di una tema, sia nella sua
strumentazione.
Elisabetta Fava (Torino), Il
tono di leggenda fra Biedermeier e
stilizzazione
In ambito musicale il termine
"tono di leggenda" ricorre esplicitamente nella
sezione centrale della Fantasia op. 17 di
Schumann; le modalità di scrittura a cui il compositore
fa ricorso in questo frangente si riallacciano a un
canone arcaicizzante definitosi soprattutto in ambito sia
liederistico sia oratoriale. Nel primo caso si può fare
riferimento a Carl Loewe (con Gregor auf dem Stein,
Das Wunder auf der Flucht e altri), a Louis Spohr,
in seguito allo stesso Schumann con Stirb, Lieb
und Freude op. 35, poi Peter Cornelius con i Weihnachtslieder
op. 8; quanto alloratorio, si potrebbero citare
numerosi esempi in cui ricorrono sezioni trattate in
stile di leggenda, dal Siebenschläfer di Loewe
fino alla Leggenda di Santa Elisabetta di Franz
Liszt. Per mettere a fuoco gli agganci di questa leggenda
musicale con la pittura e la letteratura coeve, è di
particolare interesse un articolo di Friedrich Schlegel (Descrizione
di dipinti da Parigi e dai Paesi Bassi, pubblicato
sulla rivista Europa nel 1802) che istituisce
apertamente un parallelo fra il primitivismo di alcuni
pittori del periodo e una scrittura musicale "in
deutlichen Akkorden": parallelo tanto più
significativo in quanto Schlegel riprende testualmente
varie considerazioni già espresse in romanzi di poco
precedenti dove il rapporto musica-pittura era stato
consapevolmente affermato (Ardinghello di Heinse, Herzensergiessungen
di Wackenroder, Sternbalds Wanderungen di
Tieck). Larticolo di Schlegel rappresentò il
breviario estetico del cenacolo Nazareno; in quel periodo
per i pittori limmagine di Raffaello divenne lesatto
pendant di ciò che Palestrina rappresentava per i
musicisti, con precisi riscontri stilistici (assenza del
chiaroscuro, resa musicalmente dalluniformità
dinamica; nitore dei contorni, tradotto in una scrittura
accordale, senza aloni, perfettamente regolare sotto il
profilo metrico; tinte pastello un po appannate,
cui corrisponde nella leggenda musicale il ricorso
sistematico a stilemi arcaicizzanti). Da varie pagine di
diari o epistolari di autori come Loewe, Spohr,
Mendelssohn si ricavano infine testimonianze di un
effettivo interesse per la pittura, espresso in termini
che concordano con le interpretazioni riportate.
Luísa Cymbron (Lisbona), Drammaturgia
italiana e influenze melodiche brasiliane nell'opera del
compositore portoghese Francisco de Sá Noronha
L'utilizzo di modelli operistici
italiani da parte di compositori di altre nazionalità
costituisce senza dubbio un aspetto significativo della
storia della ricezione. Con l'avanzare del XIX secolo,
poi, questi modelli cessano progressivamente di essere
lingua franca per porsi al servizio di tematiche
nazionali o incrociarsi con altre influenze, a volte più
lontane e esotiche.
Il Portogallo dove la tradizione vocale italiana,
religiosa e operistica predominava fin dal XVIII secolo
risente particolarmente del legame con il Brasile
e vi si riscontra già molto presto, in un repertorio
semierudito come quello della "modinha" la
fusione di un melodizzare di natura operistica con
melodie e ritmi di danze afro-brasiliane. Nel corso dei
XIX secolo, e malgrado l'indipendenza del Brasile del
1822, il flusso di musicisti e di compagnie teatrali tra
i due paesi fu intenso: il primo tentativo consistente di
opere basate su testi della letteratura portoghese fu così
importato proprio dal paese sudamericano.
Protagonista di questo tentativo fu il compositore e
violinista Francisco de Sá Noronha (1820-1881), un
portoghese che a diciotto anni si era trasferito in
Brasile. Alla fine del 1859 questi rientrò a Lisbona
portò con sé l'opera su testo italiano Beatrice di
Portogallo destinata ad essere cantata al S. Carlos
di Lisbona. L'idea di comporre un'opera su tema
portoghese sembra esser stata influenzata dalla
fondazione, a Rio de Janeiro nel 1857, dell'Imperial
Academia de Música e Ópera Nacional, alla quale si
devono anche le prime due opere di Antônìo Carlos Gomes.
Durante la permanenza in Portogallo Noronha compose altre
due opere: L'arco di sant'Anna (1865) e Tagir (1870),
ispirata ad un romanzo di argomento brasiliano.
Questo intervento analizza alcuni esempi in cui il
musicista portoghese muove da libretti tratti da opere di
Almeida Garrett, iniziatore del Romanticismo letterario
in Portogallo, e utilizza modelli drammatici e
convenzioni formali della tradizione italiana (spesso per
analogia di situazioni drammatiche come accade tra L'arco
e Il trovatore di Verdi) e li contamina con
influenze melodiche brasiliane.
Michele Curnis (Torino): "Salamandre
ignivore... orme di passi": sul libretto di "Un
Ballo in maschera"
Il libretto di Un ballo in
maschera costituisce da sempre punto di passaggio
obbligato degli studi sulla letteratura del teatro
musicale, verdiano e non; le vicende della censura, gli
innumerevoli cambiamenti di titolo, ambientazione, nomi e
caratteri dei personaggi, l'unicità del prodotto finale
(pressoché il solo libretto di Antonio Somma completato
e musicato da Verdi, a differenza dello sfortunato Re
Lear), contribuiscono ad affermare la
suggestione esercitata dallopera, unitamente alloriginalità
del libretto stesso. A tale originalità letteraria ogni
musicologo ha accennato, soffermandosi ora sull'"innegabile
carico di sciatterie e balordaggini" (Cassi Ramelli),
ora sul fatto che Somma fosse comunque "un buon
poeta" (Baldacci), ma il prodotto per Verdi sia
comunque "uno dei suoi libretti più tartassati e
artisticamente più infelici" (Oberdorfer). In realtà
giudizi così contrastanti sul libretto di Un ballo in
maschera derivano da disamine per lo più parziali,
limitate a quei sintagmi considerati (a posteriori)
anodini, errati, incomprensibili (valga per tutti "Sento
l'orma de' passi spietati") e soprattutto condotte
su di una prospettiva estetica non sorretta da adeguati
riferimenti testuali. L'indagine lessicografica, ma ancor
più quella filologica, di collazione dei testi,
dimostrano la grande complessità del libretto di Somma,
sempre sospeso tra fedeltà al modello (il libretto Gustave
III ou Le Bal masqué di Eugène Scribe, musicato da
Auber nel 1833) e innovazione terminologica, a sua volta
giocata sul riuso di precedenti libretti (non a caso
verdiani: in primo luogo Macbetb di Piave e Il
trovatore di Cammarano; ma, a riprova
dell'ammirazione per lo stesso Cammarano, anche Il
reggente, desunto sempre da Scribe per la musica di
Mercadante).
In I,6 lindovina Ulrica invoca la "salamandra
ignivora" che "tre volte sibilò":
l'attributo "ignivoro" (opposto al più
frequente ignivomo, ben attestato nel teatro musicale)
appare essere hapax legómenon nell'intera
letteratura italiana (almeno in ambito poetico) ed è
segnale della peculiarità compositiva di Somma, che
conia il metaplastico termine a partire dalla suggestione
di un locus di Cammarano; nel Reggente,
infatti, lindovina Meg (antecedente strutturale di
Ulrica) invocava un Belzebù dall'"occhio ignifero",
affinché presiedesse alla predizione del futuro.
L'intera scena creata quasi ex novo da Cammarano
rispetto a Scribe sarebbe stata ripresa da Piave nel Macbeth
(III,1: il Coro delle Streghe, con rispondenze
lessicali estremamente puntuali), e ancora da Somma (che
ricorda tutte le rielaborazioni, sul gusto del macabro,
di Piave e del Cammarano del Trovatore) proprio
per Un ballo in maschera. In un percorso poetico-leggendario
che ha origine nella cultura antica (Ar. HA 552 b
16, Thphr. Ign. 60, Ael. NA 2,
31, Plin. 10, 188) e attraversa la poesia italiana, la
qualifica della salamandra "che ne lo foco [...]
dentro si nodrisce" (Chiaro Davanzati) raggiunge la
sua sintesi più icastica all'interno di un libretto
d'opera. Il gusto della preziosità verbale non sembra
fine a sé stesso, ma rivela riferimenti letterari ben
precisi: è il caso della ripresa di un hapax dantesco
(Pd. 4, 28) come il verbo indiare nel verso
"D'un amplesso che l'essere india".
Altra occorrenza, certo più eclatante, quella delle orme
sentite in II,3; nel dibattito musicologico e
letterario, sempre screziato di venature sarcastiche e
ironiche sulla qualità della poesia 'asservita' alla
musica, intervenne addirittura Francesco Flora per
spiegare lenigma delle orme sentite, forse
eco di un passaggio manzoniano, della seconda versione
dei Promessi sposi (ma il locus similis manzoniano
non sarebbe allora l'unico da citare quasi solo per
giustificare un'anomalia stilistica: il romanzo andrebbe
additato anche a modello per altri riferimenti lessicali,
tra cui la daga di II,3 e, non ultima, la stessa salamandra
di I,6); altri hanno insistito sulla
legittimità di sinestesie e metonimie del genere in base
alla concitazione richiesta dalla scena; altri ancora
hanno utilizzato il sintagma quale vessillo del dileggio
o del pietismo critico nei confronti del
libretto d'opera. A onor del vero il verso di Somma, al
di là della perspicuità dell'immagine, non è altro che
tentativo di traduzione del modello francese, in cui
compaiono già tutti gli ingredienti dell'immagine (espressione
archetipica della piéce, tra le altre, il verso
"leurs pas retentissent"): ad evitare annosi e
sterili dibattiti sull'opportunità di espressioni del
genere, sarebbe stato sufficiente improntare la ricerca
con la semplice collazione filologica delle fonti.
Giangiorgio Satragni (Torino), Vita
dietro il mito: il caso della "Liebe der Danae"
di Richard Strauss
Die Liebe del Danae è la
penultima opera composta da Richard Strauss, che tuttavia
poté vederla in scena soltanto nel 1944 due anni
dopo il testamento teatrale Capriccio e
alla prova generale dello spettacolo programmato al
Festival di Salisburgo: la cosiddetta "guerra totale"
comportò, infatti, la chiusura dei teatri. Il soggetto
fu proposto dallabituale librettista Hugo von
Hofmannstahl, scomparso nel 1929, a dieci anni dalla
stesura di un abbozzo che venne poi ripreso tempo dopo
dal musicista in collaborazione con Joseph Gregor.
Memore dellidea maturata con Hofmannsthal, durante
la genesi della Ägyptische Helena, del mito come
specchio della vita e del teatro mitologico come metafora
dellesistenza umana, Strauss affronta in questa
prospettiva lamore di Danae e il congedo di Jupiter
dal mondo dopo che la donna ha preferito lamore per
Mida al suo. Nel doppio congedo di Jupiter prima dalle
regine in precedenza amate (Semele, Europa, Alcmene, Leda)
e poi da Danae, Strauss sceglie il registro sublime dun
canto ampio e melodioso della grande orchestra. Sono i
medesimi caratteri delladdio supremo e crepuscolare
dei Vier letzte Lieder. Separati da un interludio
strumentale stilisticamente affine, e non meno
significativo, in base alla strategia tonale e al
registro elevato il congedo di Jupiter e il congedo di
Strauss vengono sovrapposti: dietro Jupiter che prende
coscienza di vivere in un mondo non più suo, sta
nascosto Richard Strauss che si ritrae dal mondo.
Sandra Martani (Cremona), Il
manoscritto Crypt. B. ß. II e il "proprium"
liturgico di san Nilo
Il 25 settembre 1004, durante la
celebrazione dei vespri, moriva Nilo, fondatore del
monastero di Grottaferrata e una delle figure di maggiore
rilievo del movimento monastico bizantino in Italia sia
per la statura spirituale, sia per quella culturale.
Come racconta il suo agiografo, egli non si preoccupò
solo di educare al canto i confratelli, ma fu egli stesso
innografo; il suo insegnamento e la sua opera non
restarono senza frutto: dopo di lui e fino agli inizi del
XIII secolo, Grottaferrata conobbe la fioritura di una
ricca produzione innografica, proprio quando, nella parte
orientale del mondo greco, il genere era già in netto
declino.
In questo quadro di rinnovata produzione musicale si
inserisce anche la progressiva creazione di un proprium
liturgico per celebrare degnamente il dies natalis di
chi, di questa rinascita, era stato l'iniziatore. Al
discepolo di Nilo, Bartolomeo, viene infatti attribuito
il canone a lui dedicato che, assieme a due kathismata
e a tre stichera, costituisce il primo
nucleo di innografia in suo onore.
Progressivamente il rito acquisisce maggiore importanza e
vengono create altre composizioni musicali: testimone di
questa solennizzazione del culto di Nilo è il
manoscritto Crypt. B. ß. II che raccoglie,
insieme al Bios del santo, l'innografia a lui
dedicata.
Alle soglie del millenario del sua morte, nel monastero
di Grottaferrata continua ancora oggi a vivere il rito
bizantino nella originale variante italo-greca: lanalisi
delle composizioni a lui dedicate è inserita nel quadro
dello sviluppo della musica e della liturgia bizantina.
Giuliano Di Bacco (Bologna-Ravenna),
Filippotto dAndrea da Caserta: un italiano a
Parigi, o un francese in Lombardia?
Fra i compositori italiani di fine
Trecento, Filippotto da Caserta è di quelli dalla
biografia più ardua da ricostruire: a suo nome sono
attribuite ballades polifoniche, trattati di canto
figurato e contrappunto; c'è per esempio chi ritiene che
dietro al profilo del personaggio così come lo si
ricostruisce (Grove 2001) si celino in verità le identità
e attività di due persone distinte (di Andrea / da
Caserta).
In ogni caso, alcuni brani celebrativi indirizzati a
Clemente VII antipapa e a lui attribuiti sono stati
collegati ora alla residenza della curia pontificia nel
napoletano, ora al possibile soggiorno del musicista ad
Avignone. Un'ipotesi molto fortunata, almeno fino a un
paio di anni fa, ne poneva in verità il floruit alla
corte pavese di Giangaleazzo Visconti, in compagnia di un
gruppo di musicisti francesi che avrebbero avuto un ruolo
centrale nella diffusione in Italia della cosiddetta Ars
subtilior.
Indagini più recenti tendono però a sottolineare
come tale repertorio fosse coltivato originariamente (e
soprattutto) in ambienti culturali parigini: a questo
punto sarebbe importante poter confermare l'attribuzione
al compositore del trattato De diversis figuris,
che più di tutti rispecchia le particolarità tecniche (perlopiù
ritmiche) di quell'arte "più sottile", e che
si ha ragione di credere sia stato scritto in Italia;
purtroppo, ad aumentare la confusione, anche tale dato è
oggetto di un irrisolto contenzioso tra studiosi.
Questo intervento cerca di metter ordine alle varie
ipotesi concorrenti, ai dati, vecchi e nuovi, che
emergono perlopiù dalla lettura delle opere sia pratiche
che teoriche legate a quel nome. Valuta poi soprattutto
gli scritti teorici (in particolare quelli conservati in
manoscritti oggi a Firenze Napoli Siviglia Washington), e
introduce nella discussione una possibile variante
documentaria di parte avignonese; propone quindi di
considerare questo personaggio un simbolo, un'immagine
assai poco definita nel suo rapporto con le "sue"
opere già al tempo della loro prima circolazione.
Ragionando in negativo, e rinunciando per un attimo a
confezionare una biografia più attendibile di questo
Filippotto, se costui davvero non fosse l'autore
di una buona parte di ciò che gli viene attribuito, si
dovrebbe pur tentare di scrivere il non meno interessante
capitolo del quando e perché, del chi o del che cosa
possa aver contribuito a costruire su quel nome
una delle auctoritates del periodo la cui
influenza su chi si occupa di quella musica dura tuttora.
Renata Pieragostini (Parma), Indizi
sulla musica in una cronaca figurata del Grande Scisma
Una delle più importanti
ripercussioni del Grande Scisma (1378-1417) sulla storia
della musica è l'impulso dato a quella vasta
circolazione di musicisti, e fonti musicali, che rende
possibile nel primo Quattrocento l'origine e lo sviluppo
di un repertorio 'internazionale'. La Curia romana,
inoltre, è di fatto un'istituzione itinerante, e gli
spostamenti delle cappelle papali e cardinalizie
coinvolgono cantori e compositori, repertori e
manoscritti: in questo quadro storico e culturale così
dinamico sono attivi compositori e teorici come Johannes
Ciconia, Antonio Zacara da Teramo, Ugolino da Orvieto,
nonché il più giovane Guillaume Dufay.
Com'è noto, furono soprattutto i grandi Concili (Pisa
1409 e Costanza 1414-1418), a costituire le principali
occasioni di contatto fra repertori e musicisti; ma anche
a favorire una più intensa contiguità della musica con
altre discipline e manifestazioni della vita culturale (ad
esempio i dibattiti sulle questioni dottrinali, le forme
della propaganda politica, la riflessione filosofica o la
produzione letteraria). Di questa vicinanza resta
talvolta traccia in testi non musicali, fonti di grande
importanza per una migliore comprensione del repertorio
specie se elaborati nel medesimi ambienti (così, ad
esempio, alcuni testi di mottetti celebrativi composti
nel periodo dello Scisma sono più facilmente decifrabili
non solo nel loro contesto politico-culturale, ma anche
tramite il raffronto con contigue testimonianze
letterarie, o artistiche).
Un documento di notevole valore in questo senso sta in un
codice redatto nel 1419: si tratta di una cronaca
figurata dei principali avvenimenti dello Scisma, con
preziosi riferimenti alla musica finora passati
inosservati. Dell'autore del testo, l'udinese Antonio
Baldana, è nota lappartenenza agli entourages
dellimperatore Sigismondo (all'epoca del Concilio
di Costanza) e dei papi Martino V e Eugenio IV.
Il codice non conserva tracce di notazione o di
trattatistica musicale, ma esprime un'interessante
visione sulla musica, alla quale è assegnato un ruolo di
primaria importanza al culmine della narrazione: musica e
canto sono infatti associati ad un particolare registro
stilistico considerato dall'autore il più perfetto stile
retorico, destinato alla celebrazione dell'incoronazione
papale di Oddo Colonna e all'espressione dell'esultanza
per la fine dello Scisma. Una singolare rappresentazione
figurata della pratica polifonica, che sembra non avere
riscontri altrove, è posta a conclusione della cronaca e
collegata con questo perfettissimo stile.
La considerazione del tutto particolare che l'autore
mostra verso la musica sarebbe un fatto già degno di
nota; ma il valore di questo codice risiede per noi
soprattutto nel contesto culturale entro il quale è
stato prodotto e nelle osservazioni che è possibile
trarne per lo studio del repertorio.
Daniele Filippi (Cremona), Ockeghem,
Josquin, Gaffurio. In margine ad un motetto "missalis"
Nonostante il vivo interesse che il
repertorio quattrocentesco milanese dei motetti "missales"
continua a suscitare, soprattutto dal punto di vista
storico, è notevole la carenza di indagini analitiche
che insistano su questo corpus. Nel caso poi di
Franchino Gaffurio, la straordinaria importanza del
teorico e trattatista ha messo in ombra il compositore e
la sua la produzione musicale.
La relazione presenta i risultati di un primo sondaggio
analitico condotto sul mottetti di Gaffurio: tra i dati
emersi merita particolare discussione la presenza di
un'estesa citazione della celebre chanson di
Ockeghem D'ung aultre amer in uno dei mottetti missales
degli anni '80. Non sorprende tale presenza nel
contesto musicale dell'epoca, ma è inedita per la
moderna conoscenza di questo specifico repertorio: lo
studio muove dalla recezione gaffuriana dell'opera di
Ockeghem in sede teorica, e chiama in causa altre ben più
note citazioni della medesima cbanson nella
produzione motettistica coeva.
Laura Leante (Roma), "Bhangra"
e identità culturale nella diaspora del Punjab
Il bhangra è in origine una
danza maschile legata alle festività di raccolta nei
villaggi agricoli del Punjab (India nord-occidentale).
Durante gli anni Sessanta e Settanta, due consistenti
migrazioni portarono le popolazioni del Punjab in
Inghilterra, soprattutto a Birmingharn e a Londra. Qui,
alla fine degli anni Settanta, la comunità indiana ha
dato origine ad una nuova forma di bhangra, caratterizzata
dalla fusione della danza tradizionale con la musica pop
anglo-americana. Il British bhangra divenne
così, per le nuove generazioni indiane nate in
Inghilterra, un mezzo per identificarsi come "indiani
in occidente" e di riaffermare i propri valori
sociali tradizionali.
Nella sua forma ricontestualizzata, in Gran Bretagna
e in seguito anche presso le altre comunità di
diaspora del Punjab -, il bhangra ha incorporato
altri tratti delle tradizioni musicali del Punjab e ha
trovato nuovi contesti di esecuzione; non viene suonato e
danzato solo in occasione di processioni religiose, feste
private e festival musicali, ma anche in una forma di
ballo individuale (sia maschile che femminile), e dagli
spazi aperti si è spostato nei locali londinesi. Allo
stesso tempo, a livello più strettamente musicale, il crossover
tra i caratteri tradizionali indiani e il pop anglo-americano
sè realizzato attraverso l'appropriazione di
strumenti, forme e sonorità dell'idioma pop occidentale
e la diffusione di vari sottogeneri che seguono le
tendenze del mercato.
Quali sono le modalità mediante cui questa popular
music viene creata? Su quali basi avviene il crossover?
Perchè proprio il bhangra è divenuto il
genere che rappresenta l'identità culturale della
diaspora del Punjab? Quali sono i meccanismi che hanno
portato al sorgere di questo specifico genere musicale
nella trasmissione e nella rappresentazione dei valori
culturali nel contesto diasporico? Questo intervento
risponde a queste domande con riferimento alla produzione
di gruppi britannici e al materiale video raccolto in una
ricerca sul campo.
Simone Tarsitani (Roma), Elementi
di analisi melodico-ritmica dei canti liturgici nei
rituali di "zikri" ("dhikr") a Harar
(Etiopia)
Lo zikri è una forma di
canto devozionale islamico in lode di Allah, del profeta
e dei santi, in cui l'esecuzione responsoriale dei testi
sacri è accompagnata da tamburi e crotali di legno.
Questa diffusa pratica dell'Islam popolare svolge una
funzione rilevante nella vita sociale e religiosa della
città di Harar (Etiopia orientale), punto di riferimento
per molte confraternite sufi del Corno d'Africa.
I repertori cantati dello zikri hararino sono
esempi significativi delluso della musica nei
rituali religiosi dell'ascetismo musulmano; costituiscono
inoltre, per alcune loro specificità, una manifestazione
del tutto particolare del culto dei santi. Per
comprenderne il significato occorre collocare tali
repertori e tali pratiche nell'ambito della complessa
storia di Harar e della realtà devozionale,
specificamente hararina, dei santuari e degli altri
luoghi di culto.
Dalle registrazioni da me effettuate è emersa la
ricchezza del repertorio legato ai contesti religiosi di
Harar e in particolare dello zikri, la forma più
viva e significativa della musica tradizionale maschile.
Questo corpus documentario l'unico ad oggi
esistente sulla musica hararina permette di
comprendere gli elementi formali, ritmici, melodici e
testuali che caratterizzano questo repertorio, insieme ai
sui contesti socio-culturali.
Questo intervento affronta, in particolare, l'analisi
degli aspetti melodico-ritmici dei canti zikri di
Harar.
Nicola Scaldaferri (Milano), Santi,
alberi, animali e suoni. Una ricerca sui riti arborei
lucani
Gli studi del demologo Giovanni
Battista Bronzini avevano portato alla ribalta,
quarant'anni fa, la festa del maggio di Accettura (MT).
Il martedì di Pentecoste, su un cerro di oltre
trenta metri il maggio viene issato un
agrifoglio la cima. Innalzati sulla piazza, maggio
e cima vengono salutate dal passaggio della processione
religiosa di S. Giuliano; diventano poi bersaglio dei
fucili dei cacciatori che mirano ai premi nascosti nella
cima ed infine vengono scalati a mani nude dai giovani
del posto. Questi sono i momenti culminanti di un rituale
che dura parecchi giorni e comprende la scelta accurata
dei due alberi in due boschi distanti, il taglio, il
trasporto (quello del maggio è effettuato da decine di
coppie di buoi) la messa all'asta e l'abbattimento. Il
rito di Accettura è uno dei tanti che si svolgono nella
stagione primaverile in vari paesi della Basilicata e
della Calabria settentrionale, in particolare a
Castelsaraceno (PZ), Alessandria del Carretto (CS) e
Rotonda (PZ). Di probabile origine pagana (si tratterebbe
in effetti dell'unione propiziatoria di due alberi)
questi riti si presentano ora inglobati nei calendari
delle feste cristiane primaverili, soprattutto in quella
di S. Antonio da Padova. Il coinvolgimento totale della
popolazione e l'enorme impegno organizzativo fa sì che i
riti arborei siano le feste principali per i centri in
cui sono praticati e che la loro preparazione venga
seguita per tutto l'anno. Nei riti arborei la presenza
della musica è di fondamentale importanza; zampogne,
surduline, tamburelli, fisarmoniche, organetti ma
anche gruppi bandistici accompagnano costantemente
tutte le fasi del rito e si mescolano ai suoni dei
campanacci e ai muggiti dei buoi coinvolti durante il
trasporto degli alberi. La presenza sonora diventa
particolarmente intensa soprattutto nei momenti dove è
richiesto notevole sforzo fisico, come il trasporto dei
tronchi e le scalate. I riti arborei, come altre feste
dell'area caratterizzate dalla mescolanza di sacro e
profano (in primo luogo quella della Madonna del Pollino)
costituiscono un autentico concentrato di situazioni
musicali e dunque occasioni privilegiate per lo studio
della musica tradizionale lucana; riservano tuttavia
anche delle sorprese, come la presenza di complessi di
pifferi e tamburi piuttosto insoliti nel panorama
musicale meridionale. Lintervento offre un primo
bilancio duna ricerca ancora in atto, condotta con
la consulenza di Ferdinando Mirizzi, per la parte
antropologica. Con l'ausilio di documenti audiovisivi, si
traccia un quadro dei riti arborei nell'area lucana e
delle principali manifestazioni musicali ad essi
collegate, e si indicano le prospettive di studio che ne
derivano.
Anna Ficarella (Bari), Mahler
interprete: il Kapellmeister e il gusto musicale della
Vienna "fin de siècle"
Nella poliedrica personalità di
Gustav Mahler, l'attività di musicista interprete,
svolta nella triplice veste di direttore d'orchestra,
regista e sovrintendente teatrale riveste
un'importanza pari alla sua attività di compositore. Nel
giudizio dei suoi contemporanei, MahIer era innanzitutto
il Kapellmeister e il direttore artistico che aveva
portato l'Opera di corte di Vienna e l'orchestra dei
Wiener Philharmoniker a livelli di eccellenza mai
raggiunti fino ad allora. Al di là di false mitizzazioni
riguardo all'ostilità dell'opinione pubblica tedesca e
austro-ungarica nei confronti del musicista di origine
ebraica emigrato dalla Boemia, in realtà l'interprete
Mahler ebbe a Vienna, e in tutti gli altri luoghi in cui
operò, più ammiratori che detrattori, pur tra le aspre
polemiche che inevitabilmente suscitava una figura di
artista come la sua non incline a compromessi in una
società molto orgogliosa delle proprie tradizioni
musicali comera quella mitteleuropea e viennese in
particolare. Proprio il confronto critico, talvolta
conflittuale, con quella tradizione, è il minimo comune
denominatore fra la pratica compositiva e quella
interpretativa di Mahler, il cui atteggiamento da "usurpatore"
per citare Eggebrecht riguarda anche il
rapporto con le musiche che dirigeva e le opere che
metteva in scena, il suo identificarsi a tal punto negli
autori interpretati da rendere legittimo il sostituirvisi.
Il ruolo determinante di innovatore culturale svolto da
Mahler è testimoniato innanzitutto dalla coerenza e
dalla lungimiranza nell'organizzare le stagioni
concertistiche e teatrali. Più complicato risulta
ricostruire la sua estetica interpretativa e la sua
prassi direttoriale per la mancanza di documenti
audiovisivi attendibili. Nel 1992 sono stati riversati su
cd i rulli pianistici Welte Mignon registrati da Mahler
nel novembre 1905, comprendenti due Lieder e le
riduzioni pianistiche di due movimenti sinfonici (il
quarto movimento della Quarta sinfonia, senza la
parte vocale, e il primo della Quinta): pur senza
voler sminuire il valore storico di questo documento
sonoro, esso tuttavia, per gli evidenti limiti tecnici
del mezzo di riproduzione, può essere preso in
considerazione solo con molta cautela. In quest'ambito le
uniche fonti valide sono costituite dalle testimonianze
dell'epoca e soprattutto dalle partiture usate da Mahler
per dirigere, ricche di annotazioni e ritocchi alle
musiche da lui dirette sia che si trattasse delle
proprie composizioni sia di musiche altrui. Sono
documenti preziosi non solo per ricostruire l'approccio
dell'interprete Mahler al repertorio musicale, che segna
un punto di svolta nell'evoluzione del gusto musicale e
nella storia dell'interpretazione del XX secolo, ma anche
per indagare l'interazione fra il compositore-creatore e
l'interprete ri-creatore. Dal loro esame emerge la sua
ossessione per i dettagli della
strumentazione e per la massima chiarezza di
articolazione e fraseggio, in particolare
nell'interpretazione dei classici e dei romantici: sono
tentativi di adeguare la scrittura a quelle che lui
riteneva le effettive intenzioni del compositore,
impossibili da realizzare senza tener conto del profondo
mutamento delle condizioni esecutive, come era stato
sostenuto già da Wagner particolarmente in rapporto
all'interpretazione di Beethoven. Dai ritocchi alle
partiture e dalle testimonianze critiche spesso
contrastanti sul suo stile interpretativo
considerato da alcuni eccessivamente dettagliato e
analitico, da altri troppo emotivamente espressivo
si può forse evincere che la preoccupazione principale
del Mahler interprete fosse di conciliare l'Ausdrucksmusizieren
con l'esigenza di chiarezza e precisione: sono, queste,
le stesse caratteristiche dei ritocchi all'orchestrazione
e delle indicazioni esecutive che affollano
le sue sinfonie, non a caso frutto anch'essi di
innumerevoli revisioni durante le prove d'orchestra.
Anche nelle partiture delle sue musiche si sovrappone
l'esperienza artistica dell'interprete e quella del
compositore, accomunate da un rapporto ambivalente con la
scrittura musicale che non assume mai forma definitiva,
nel tentativo di fissare nel modo più preciso possibile
la propria immagine musicale.
Luca Conti (Roma), Il "sistema
natural-aproximado" di Augusto Novaro
La figura di Augusto Novaro (1893-1960)
è a tuttoggi poco nota. Eppure le realizzazioni di
questo originale teorico e costruttore di strumenti
messicano meritano maggior attenzione se si intende
ricostruire i filoni più originali della musica del
continente americano. Nella prima metà del Novecento
Novaro si dedicò in particolare alla ricerca acustica e
matematica, progettò alcuni nuovi strumenti musicali e
compì adattamenti su alcuni di quelli esistenti.
Non ebbe formazione accademica, per molti anni si guadagnò
da vivere come linotipista per alcuni quotidiani di Città
del Messico e studiò pianoforte e composizione con Luis
Alfonso Marrón. Nel 1909 iniziò le sperimentazioni
musicali; pubblicò il primo saggio nel 1924, nel
medesimo anno in cui Julián Carrillo avviò la
rivoluzione dei Sonido 13. Nonostante un apparente
disinteresse reciproco, le teorie di Carrillo e Novaro
hanno punti di contatto che pongono una serie di problemi
critici. Nel 1931, Novaro pubblicò la Teoría de la música,
base del sistema musical, successivamente rielaborato
e riedito nel 1951. Al centro dell'interesse di Novaro è
il sistema "naturale-approssimato". Non ha
intenzioni dissimili da quelle di Carrillo: Novaro è
animato dalla "preoccupazione che si ascolti la vera
musica", mediante un avvicinamento maggiore a quello
che egli chiama il "sistema naturale", di cui
il temperamento equabile costituisce una prima e
grossolana approssimazione. Il sistema naturale è invece
formato da intervalli disuguali, pertanto anche nel
sistema "naturaleapprossimato" devono
essere riprodotte queste asimmetrie interne. Novaro si
preoccupa di dimostrare la sua teoria su un triplice
fronte: fisico, matematico e fisiologico.
Questo intervento focalizza gli aspetti più rilevanti
della teoria di Novaro a partire dallo studio Sistema
nutural, base del natural-aproxímado, edito nel 1927
a Città del Messico. L'interesse per questo autore non
si esaurisce però sulla teoria: Novaro progettò
pianoforti, violini, chitarre e liuti speciali con
accordature temperate a 12, 19, 22, 31 etc. suoni
nell'ambito dell'ottava, oltre a strumenti originali (Minovar,
Lanovar, Renovar, Sinovar, Donovar e Solnovar) con
diverse accordature.
Sono straordinarie le casse acustiche spiraliformi che lo
studioso costruì, a partire dalle sue speculazioni a metà
strada tra l'acustica e la geometria. Novaro ricevette
una borsa di studio della Guggenheim Foundation nel 1931,
lo stesso anno di Henry Cowell, per continuare le sue
ricerche. Poté così lavorare anche in importanti centri
di ricerca statunitensi, come Bell Telephone Laboratories
e la University of Iowa, contribuendo in questo modo
assieme a Carríllo, Revueltas, Nancarrow, Copland
e Chávez ad accrescere la circolazione di nuove
idee musicali tra il Messico e gli Stati Uniti.
Daniela Tortora (Napoli), "I
sette colori del vento": il suono elettronico
dell'organo
Les Sept couleurs du vent è
il titolo di un romanzo di Bernard Tirtiaux poco noto in
Italia e dedicato all'organo e alle sue speciali
geometrie aeree. Unitamente al suo più eloquente
sottotitolo "omaggio all'organo, all'aria, ai
mantici d'ogni sorta", ha presentato una manciata di
concerti svoltisi a Roma nella passata stagione
concertistica invernale. Da questa rassegna, da questo
evento, ma più in particolare dal concerto inaugurale,
concepito in forma di omaggio [nell'omaggio] ad Arnold
Schönberg (nel 2001 cadevano, per l'appunto, i
cinquant'anni dalla sua scomparsa), e letteralmente
calamitato da un'opera monumentum quale le Variations
on a Recitative op. 40 (1941), ho inteso prendere
spunto per la definizione dell'oggetto della relazione in
esame.
La proposta riposa, per la verità, sul seguente radicato
convincimento: il contributo dei grandi interpreti
dell'epoca attuale, attraverso la particolare lettura
delle opere del passato, attraverso gli accostamenti e
gli itinerari più o meno consueti, può essere
determinante per la conoscenza e la comprensione della
musica del nostro tempo (penso all'esegesi dell'opera
tastieristica di J. S. Bach elaborata da Glenn Gould,
penso alle pagine pianistiche di Mozart, di Chopin, di
Debussy e all'orma indelebile che vi ha impresso la
fascinosa interpretazione di Arturo Benedetti
Michelangeli, penso alle ultime sonate beethoveniane e ai
tanti lavori del Novecento affidati alle cure analitiche
di Maurizio Pollini). A questi musicisti e ad
innumerevoli altri, naturalmente dobbiamo una
ricezione del passato capace di svelarci le ragioni del
presente e di parteciparci un'intelligenza delle cose
musicali contemporanee, così come dei percorsi lungo i
quali si è snodata l'esperienza musicale moderna,
essenziale non soltanto per la formazione del gusto, ma
anche per la riflessione in sede storico-critica da parte
dell'intera comunità musicologica.
L'ascolto in concerto delle tarde variazioni schönberghiane,
inserite in un contesto significativo ed esaltante, ha
confermato il carattere assolutamente sperimentale di
questo lavoro. Alla luce di alcuni documenti, già
discussi altrove ma con finalità completamente diverse,
si indaga il significato effettivo di quella tensione
sperimentale, inquadrandola nel contesto delle coeve
ricerche americane sul suono e sulla produzione sonora
artificiale.
Luisa Bassetto (Venezia), Gli
scritti di André Schaeffner
André Schaeffner è tra le
personalità determinanti nella vita musicale del XX
secolo. Musicista ed etnologo, formatosi sotto la guida
di Marcel Mauss, Romain Rolland e Vincent d'Indy,
manifestò presto la sua originalità interessandosi
dapprima alla musica contemporanea, allargando in seguito
la sua ricerca al jazz e alle musiche extra-europee, in
particolare alla musica africana.
L'esame degli scritti di Schaeffner sulla musica africana
pone in rilievo da un lato i modi e le circostanze di
ricezione e di consumo attraverso cui quella musica
acquista una dimensione sociale, quando influisce sui
comportamenti e le consuetudini collettive, dall'altro i
modi in cui le strutture e i comportamenti sociali
influiscono sui caratteri e le forme specifiche del
linguaggio e della produzione musicale.
André Schaeffner fu attento studioso della musica del
Novecento. La sua amicizia con Stravinskij, Milhaud,
Poulenc fece di lui un osservatore privilegiato della
creazione musicale in Francia tra le due guerre. Negli
anni successivi prese atto e documentò le tendenze e gli
sviluppi della produzione musicale più aggiornata, in
particolare quella di Boulez con il quale intrattenne una
lunga corrispondenza (1954-1970).
Attraverso documenti inediti, recentemente accessibili,
saranno indagate le interferenze tra musicologia e
creazione musicale e, più in particolare, i legami tra
musica contemporanea ed etnomusicologia. La recente
pubblicazione della corrispondenza tra Boulez e
Schaeffner, a cura di Rosangela Pereira de Tugny, rivela
il vivo interesse del compositore per l'acquisizione di
conoscenze tecnico-formali sulla musica extra-europea
nonché per la scoperta dei suoi valori estetici.
Alessandro Mastropietro (Roma),
Aldo Clementi e Franco Evangelisti: la definizione di
un nuovo teatro musicale a Roma nei primi anni 60
Collage, azione musicale in un
tempo su materiale visivo di Achille Perilli di Aldo
Clementi costituisce la prima espressione romana (Teatro
Eliseo, 14-16 maggio 1961) di un nuovo teatro musicale:
"nuovo" non solo per linguaggio musicale e
sperimentazione, ma anche per i presupposti totalmente
rinnovati rispetto alla precedente generazione
compositiva. Essi continueranno ad essere operativi, in
forme diverse, lungo tutta la produzione delle neo-avanguardie
operanti a Roma nel decennio successivo (Macchi,
Guaccero, Bussotti, Bertoncini, fino al Pennisi di Sylvia
Simplex), ma in particolare nellimpianto di Die
Schachtel di Franco Evangelisti; questa Pantomima
su soggetto e idee di Franco Nonnis, concepita tra il
1962 e il 1963, fu commissionata dal Teatro di Bochum, ma
è impensabile fuori del contesto romano, dove la
definizione di un nuovo teatro musicale si sviluppa su
tre direttive:
1) nei
primissimi anni del decennio, una drammaturgia
imperniata non su un testo da musicare, ma su un
progetto sperimentale nel quale la componente visiva,
segnatamente pittorica o grafica, ha un ruolo spesso
fondante; in seguito, la presenza di un testo verrà
recuperata attraverso il confronto con fenomeni
teatrali collegati sia implicitamente
alle avanguardie internazionali della prima metà del
secolo, sia direttamente alle
sperimentazioni dellarea romana (le "cantine",
i gruppi di ricerca attivi intorno a Carlo Quartucci,
Carmelo Bene, Giancarlo Celli, Antonio Calenda
);
2) lintegrazione, nel progetto scenico, di
materiali e forme espressive di varia natura (oltre
alle componenti musicale, visivo-pittorica e mimico-gestuale,
anche film, diapositive, oggetti e sculture in
movimento, pensati e realizzati con il concorso di
importanti artisti operanti a Roma);
3) un confronto implicito con la posizione estetica
di Cage.
Se molti sono i tratti comuni (lideazione
condotta a stretto contatto con un importante artista
delle avanguardie visive allora attive a Roma, Perilli
per Clementi e Nonnis per Evangelisti; lassenza del
canto; la chiave di lettura relativa alla condizione
sociale delluomo
), Collage e Die
Schachtel assumono però un ruolo diverso nella
produzione dei rispettivi autori. Die Schachtel è
una sintesi dellesperienza di Evangelisti: precede
di poco la cessazione dellattività compositiva in
favore di quella performativa nel Gruppo dImprovvisazione
di Nuova Consonanza, ma presenta uninnovativa
frizione-integrazione, in chiave teatrale, di strutture
strumentali e montaggi di nastri "concreti". Collage
rappresenta invece uno snodo centrale nella produzione di
Clementi: il titolo non allude solo al collage degli
elementi musica, fondali dipinti, lanterna magica
e mobiles dello spettacolo, ma anche alla
stratificazione e montaggio, nella partitura, di
superfici sonore riprese da precedenti lavori (soprattutto
gli Ideogrammi 1 e 2) con altre composte ex
novo, secondo un processo di "velatura" che
Clementi userà costantemente fino alla sua produzione
"diatonica". Il musicista catanese deriva
questo procedimento dallincipiente pittura
informale, negli anni successivi guida tecnico-concettuale,
salvo essere qui applicato con unattitudine
più geometrica che materica ancora debitrice dellesperienza
di Darmstadt. Sono state discusse inoltre le relazioni
che ambedue le partiture instaurano con lapparato
scenico e visivo (insieme organiche, per un comune
approccio nel formare la materia dellespressione, e
cageane), e le strutture drammaturgiche dei lavori, in
apparenza "non-narrative": eppure Collage
si regge proprio su un plot narrativo, ma
astratto, che Perilli costruì attorno alla storia dellhomunculus
alchemico; lalchimia era dunque per Perilli una
forma di astrazione, di codificazione del pensiero che,
conservando una struttura narrativa, poteva essere messa
a frutto in un contesto teatrale quale armatura per linterazione
delle diverse forme despressione. Nonostante tenda
ad una disposizione spaziale-visiva libera quanto
ad orientamento degli oggetti sonori, Collage presenta
dunque una drammaturgia vincolata sintagmaticamente;
Evangelisti sembra invece partire da una concezione
paradigmatica: le strutture scenico-musicali possono, in
via di principio, essere permutate di posizione, a scelta
del regista e del direttore, nel rispetto delle relazioni
paradigmatiche al loro interno (presenza e funzione delle
varie componenti: musica, proiezioni, luci, nastro, voce
amplificata, mimi, scenografia). Tuttavia, un telos è
ineliminabile anche in Die Schachtel, ed è
direzionato verso il crollo finale della scatola
in quanto simbolo / luogo concreto dellagire
sociale delluomo oggi.
Daniela Tripputi (Bologna), Violoncelle-slalom:
la musica secondo Robert Doisneau
Negli ultimi decenni ha avuto corso
un processo di graduale ampliamento del campo d'indagine
dell'iconografia musicale quale specifica disciplina
musicologica; il che ha portato a comprendere nelle sue
fonti di studio qualsiasi documento che visualizzi la
musica o concretamente o in modo astratto e testimoni la
riflessione di un artista sulla musica. Il materiale di
studio dell'iconografia musicale può dunque spaziare
dall'illustrazione di un testo all'arte figurativa e
astratta in relazione alla diversità di fonti
iconografiche fornite da ciascuna cultura ed epoca
storica. In quest'ottica si pone l'analisi di alcune
immagini tratte dalla "sinfonia fotomusicale",
dal titolo Violoncelle-slalom, realizzata da
Robert Doisneau. Quest'opera fotografica, cominciata nel
1952 e rimasta incompiuta alla morte di Doisneau, è
stata pubblicata a Parigi nel 1981 con il volume Ballade
pour violoncelle et chambre noire. Il ciclo raccoglie
oltre 60 fotografie in cui sono protagonisti assoluti
Maurice Baquet e il suo violoncello, ritratti nelle
situazioni più diverse; è profondamente contrario alla
spontaneità comunemente attribuita a Doisneau: sono
fotografie messe in scena, completamente prefabbricate,
frutto più della fantasia che della vera creazione di
un'immagine composta dal vivo. Tuttavia, e qui sta la
loro forza, esse hanno un effetto di senso che sovverte
la realtà, rivelano la mediazione dello strumento
fotografico, demistificano la sua pretesa neutralità
denunciano la natura costruttiva di ogni rappresentazione.
Questo ciclo fotografico è analizzato come riflessione
estetica sul rapporto tra il musicista e il suo strumento
musicale, dove umorismo e poesia sono le principali
chiavi di lettura: in tale luce, si vedranno le tematiche
su cui Doisneau si è più soffermato come il rapporto
simbiotico e feticistico che s'instaura tra l'esecutore e
il suo strumento, o la componente animistica e
antropomorfica della maggior parte degli strumenti
musicali.
Giorgio Biancorosso (NewYork), Musica
da film e ambiguità espressiva
In una scena del Dittatore dello
stato libero di Bananas di Woody Allen il
protagonista, Alvin, inizia a sognare ad occhi aperti
nella propria stanza. Come si sdraia sul letto si sente
una cascata di note suonate all'arpa. Parrebbe un
classico caso di commento sonoro, in quanto tale,
indirizzata solo agli spettatori, in realtà viene
percepita anche da Alvin, il quale si alza dal letto e,
con sua grande sorpresa, scova un arpista dentro
l'armadio.
Questa gag memorabile illustra in maniera
esemplare l'ambiguità tra musica prodotta all'interno
dei mondo dei film musica "diegetica"
e commento sonoro esterno musica "extra-"
o "non diegetica". Nella mia relazione sondo
gli usi poetici e il significato filosofico di questa
ambiguità e analizzo frammenti della Regola del gioco
di Jean Renoir (1939), di Otto e mezzo di
Federico Fellini (1963), del Sacrificio di
Tarkovsky (1986), e del recente Eyes Wide Shut di
Stanley Kubrick (1999).
Dato che lo spettatore si trova ad interpretare in
successione lo stesso stimolo sonoro in due modi
diametralmente opposti, inizio coll'inquadrare brevemente
gli esempi nel contesto dei dibattito sullambiguità
percettiva e passo poi a discuterne il ruolo nei film. Si
amplia così l'orizzonte epistemologico dell'analisi:
calata in un contesto narrativo, e quindi in una fitta
rete di relazioni spazio-temporali e simboliche,
l'ambiguità generata dall'uso della musica sarricchisce
di significato. Più che un semplice Gestalt-switch,
la scoperta della reale provenienza della musica agisce
come un irreversibile spartiacque semiotico e si fa
portatrice di indicazioni sullo stato mentale dei
protagonisti, di allusioni metacinematiche oppure di una
riflessione sulla fallibilità delle strategie percettive
dello spettatore. La possibilità di essere colti di
sorpresa, sempre presente, acquista così uno statuto
allegorico: siamo alla mercé delle irregolarità
dell'ambiente che ci circonda più di quanto siamo soliti
ammettere.
Remo Baldi, Luca Boero, Carla
Cuomo (Coord.), Antonino Di Sebastiano, Maria Facin,
Roberto Fiorilli, Mariella Gigli, Angela Iengo,
Elisabetta Piras, Andrea Schipani, Daniele Soriano,
Valeria Viola (Bologna), Aspetti dell'inquinamento
musicale
Il progetto analizza il problema
dell'inquinamento musicale, fenomeno eminente della
società contemporanea, sotto il profilo giuridico,
medico, sociologico e educativo. Esso sintetizza alcuni
aspetti della ricerca promossa dal "Saggiatore
musicale" e dal Dipartimento di Musica e Spettacolo
dell'Università di Bologna nel 1998 con una giornata di
studio sull'ecologia sonora ("Il Saggiatore musicale",
IV, 1997, pp. 491-499), proseguita nel seminario
quadriennale sugli stessi temi, iniziato nel 2001 e
rivolto agli studenti, organizzato nell'àmbito della
cattedra di Storia della musica del corso di laurea DAMS
tenuto da Giuseppina La Face Bianconi, e sviluppata in un
momento di pubblica discussione nel convegno
interdisciplinare Musica urbana (Bologna, 17-19
maggio 2002).
Le tre parti del progetto, curate da tre gruppi di
studenti nel summenzionato seminario, sono accostate tra
loro quasi in forma di istantanee fotografiche, laddove
invero proprio l'accostamento può rendere conto
dell'ampiezza delle problematiche derivanti da tale
particolare forma d'inquinamento.
L'uomo e l'inquinamento acustico e musicale:
conseguenze sulla salute. La prima parte evidenzia
affinità e differenze tra inquinamento acustico tout
court e inquinamento musicale, sotto il profilo
giuridico, medico e culturale. Dopo un esame del concetto
di inquinamento acustico nella legislazione
italiana (legge quadro n. 447/1995), a partire da quello
di rumore (d.p.c.m. 1 marzo 1991), la
relazione espone le conseguenze sulla salute della musica-rumore:
i danni uditivi (ipoacusia) ed extrauditivi. Fra
le conseguenze specifiche dell'inquinamento musicale
viene messa in particolare evidenza la banalizzazione
dell'ascolto musicale, facilitata da certi usi funzionali
della musica. Questi usi sono frequenti per l'immediata
gratificazione conseguente ad un ascolto passivo della
musica, dovuta da un punto di vista psicofisico
all'indipendenza tra sistema somato-motorio e sistema
cognitivo-concettuale. Inoltre l'incidenza di alcune
tendenze musicali giovanili sull'incremento della socioacusia,
ovvero sulla sordità dovuta non più alla senescenza ma
al condizionamento ambientale, rende preoccupante il
quadro delle conseguenze sulla salute, sia in senso
medico sia nei termini di un impoverimento culturale
della nostra società.
I giovani, la discoteca e l'inquinamento musicale.
La seconda parte esamina il problema dal punto di vista
sociologico e focalizza l'attenzione sui tre termini del
titolo a partire dalla discoteca come luogo sia
d'intrattenimento sia di lavoro. Punto di partenza è la
domanda sul perché molti giovani, alla ricerca di
un'occupazione, s'avvicinino alla discoteca con maggiore
facilità e immediatezza rispetto ad altri ambienti di
lavoro, oltre che per cercarvi divertimento. La relazione
mette in evidenza come le abitudini d'ascolto ad alto
volume maturate in discoteca vengano rafforzate,
all'esterno, dalla presenza della musica da discoteca nei
luoghi pubblici, per sponsorizzare prodotti o invogliare
alla frequentazione di un locale. La discoteca non è
dunque un luogo confinato, ma un ambiente che determina
fenomeni di aggregazione sociale e di rappresentazione di
sé tali da trascendere i suoi stessi confini e
ripercuotersi sulle abitudini dell'uomo all'esterno. Fra
queste, vi è la tendenza a prediligere un ascolto
musicale ad altissimo volume. L'inquinamento musicale
rappresenta dunque una sfida nei confronti di
un'educazione civica che miri a compensare le carenze in
ordine sia ai danni alla salute provocati
dall'esposizione a musica troppo forte sia alla giusta
attenzione ad un'educazione all'ascolto.
Inquinamento musicale e educazione all'ascolto .
In ultima istanza, il problema dell'inquinamento musicale
viene sviluppato sotto il profilo educativo. Prodotta
industrialmente, la musica è oggi sempre più spesso un
oggetto di consumo, il cui fine primario è di essere
venduto e diffuso in modo massiccio. La musica negli
spazi pubblici, vero e proprio fenomeno ambientale, si
inserisce in particolare in tutti quegli spazi di
passaggio della nostra vita quotidiana (aeroporti,
stazioni, supermercati et similia) come mera
presenza sonora, da "udire" più che da "ascoltare".
Al "non luogo" corrisponde così un "non
ascolto". Perdere la capacità di ascoltare vuol
dire creare il circolo vizioso di una sempre maggiore
tolleranza verso la diffusione indiscriminata di musica:
il problema dell'ascolto risulta dunque cruciale.
L'intervento focalizza l'attenzione sull'educazione
musicale quale terreno privilegiato per ripristinare la
capacità di un ascolto consapevole, non solo della
musica, e dunque quale fondamento della formazione del
cittadino, oltreché importante strumento di prevenzione
e tutela della salute individuale e collettiva.
Marina Toffetti (Milano), Dalla
carta al CD-ROM alla rete: alcune riflessioni sul (possibile)
futuro delle edizioni musicali.
La rapida espansione dei nuovi
media e delle reti informatiche ha provocato un acceso
dibattito teorico sulle possibili ricadute delle
tecnologie telematiche nel settore dei saperi umanistici
e delle arti. A questa discussione hanno preso parte
intellettuali di varia estrazione, inizialmente schierati
su due fronti contrapposti: da una parte coloro che
dipingono cupe previsioni apocalittiche, dall'altra
coloro che si esprimono con entusiasmo incondizionato.
Tra i due atteggiamenti estremi si collocano le
riflessioni di coloro che hanno cercato di valutare in
maniera più pacata gli impulsi che la rete e le nuove
tecnologie possono offrire allo sviluppo dei propri
circoscritti àmbiti d'indagine e, fra queste, quelle
dedicate alle prospettive nel campo delledizioni e
della critica testuale.
Questo intervento propone un'analoga riflessione sulle
potenzialità aperte dall'informatizzazione, dalla
multimedialità e dall'uso della rete nel settore
specifico delle edizioni musicali. Sono considerate in
primo luogo le specificità del linguaggio musicale (ma
anche sulle sue analogie rispetto ad altri linguaggi), le
caratteristiche delle principali tipologie di edizione
musicale oggi in uso (dall'edizione pratica alla
riproduzione facsimilare, dalle trascrizioni diplomatiche
e semi-diplomatiche all'edizione critica) e la natura
implicitamente ipertestuale di alcune di esse; vengono
poi presi in esame i vantaggi offerti dalle nuove
tecnologie nella preparazione di edizioni cartacee di
tipo tradizionale e nella gestione dei dati che
abitualmente non vi confluiscono. Nell'esposizione
di simili considerazioni, verranno distinti i problemi
legati alla critica testuale e alla ricostruzione del
testo musicale da quelli relativi alla scelta delle
modalità di presentazione dello stesso, in parte
determinate dalle esigenze, dalle aspettative e dalle
competenze dei destinatari dell'edizione.
In un secondo momento verranno illustrate le principali
potenzialità offerte alle diverse categorie di fruitore
(dal semplice studente di musica, al musicista
specializzato nell'esecuzione di un determinato
repertorio, allo studioso e al musicologo) dall'edizione
musicale in formato elettronico e dalla realizzazione di
ipertesti e CD-ROM in grado di stabilire links fra
diverse categorie di informazioni.
Al di là dogni mitizzazione, ma anche di possibili
demonizzazioni, si esporranno infine alcune
considerazioni sui vantaggi e gli svantaggi di
un'edizione musicale on-line, nonché sulle
inedite modalità di fruizione-interazione, che un simile
prodotto culturale potrebbe incentivare.
Tilman Seebass (Innsbruck), EU
Project Cultura 2000: Images of Music A Cultural
Heritage
12 ltalian scholarly institutions
participate in a project of the European Union that joins
5 countries in a network of catalogues of music-iconographical
materials. I shall present in my report information about
the website and the search machine that gives access to
the music-iconographical catalogues in archives in
Austria, France, Greece, ltaly, and Portugal, about the
virtual exhibitions, as well as some problems of digital
data management. The presentation has also the purpose to
provide information to colleagues who seek support or
advice in setting up archives in their own places and are
interested in joining the network at a later date.
Antonio Cascelli (Southampton),
Heinrich Schenker e lo Scherzo op. 31 di Chopin
La diffusione dell'analsi
schenkeriana è dovuta principalmente ad un processo di
traduzione e di assimilazione da parte della cultura
americana. Sotto la pressione di unideologia che
riteneva primaria l'applicazione di approcci scientifici
ad ogni impresa intellettuale, le idee musicali
schenkeriane vengono ridotte al livello di una tecnica
analitica. Il linguaggio retorico e ricco di metafore
usato da Schenker, però, ci dice che suo intento era
comunicare unesperienza musicale.
Schenker presenta le sue idee da un lato con la
spiegazione meramente tecnica, dall'altro con la
descrizione di un'esperienza grazie ad un linguaggio
apertamente metaforico. Dei due aspetti, soltanto il
primo venne poi considerato.
Un esempio è la descrizione di una particolare tecnica
di prolungamento: il movimento da una voce interna e/o la
successione lineare da una voce interna alla voce
superiore (Ubergreifen e Untergreifzug).
Mentre Schenker fa ampio riferimento a concetti-metafore
fondamentali in tutto il suo pensiero, quali "direzione
verso una meta" (der Weg zum Ziel), "rallentamenti"
(Aufhaltungen), "ostacoli" (Hindernisse),
in alcuni manuali di analisi schenkeriana la stessa
tecnica viene descritta semplicemente come un mezzo per
riagganciare una voce strutturale acuta tramite una
progressione lineare ascendente (è il caso di Allen
Cadwallader e David Cagné nel loro Analysis of Tonal
Music), oppure non viene affatto citata, come nel
libro Introduction to Schenkerian Analysis di
Allen Forte e Steven E. Gilbert.
Con riferimento a grafici inediti di Scheaker
appartenenti alla Oster Collection e conservati presso la
New York Public Library, questa presentazione spiega come
tale dissociazione nella recezione dell'analisi
schenkeriana porti ad unintenzione falsata
dell'esperienza musicale offerta da un brano da un lato,
e del pensiero schenkeriano dall'altro. Lanalisi
dello Scherzo op. 31 di Chopin, per esempio,
mostra come la tecnica di prolungamento (Untergreifzung)
costituisca la chiave di volta del dialogo fra la tonalità
iniziale Si bemolle minore e quella finale Re bemolle
maggiore. Se si recupera il linguaggio metaforico di
Schenker riaffiora la ricchezza e la dinamicità di un
grafico schenkeriano, che se è spesso criticato per la
sua eccessiva riduttività e staticità, vuole in
verità rappresentare il drammatico corso degli eventi di
un brano.
Chiara Macrì (Bologna), Il tocco
pianistico nei suoi fondamenti biomeccanici
Il progetto di ricerca che intendo
sviluppare nei prossimi anni riguarda la prassi esecutiva
pianistica nei suoi fondamenti storici e biomeccanici. Già
da diverso tempo ho avviato un'indagine storica sulla
didattica pianistica attraverso l'analisi dei trattati e
una ricerca scientifica sui fondamenti fisiologici e
anatomici che sottendono il gesto pianistico. Queste
ricerche hanno dato riscontro a intuizioni empiriche,
legate per lo più alla prassi esecutiva e alla lettura
dei trattati. Ne è nata un'ipotesi metodologica fondata
sul rapporto tra gesto pianistico e suono prodotto:
accertato che la prassi esecutiva si realizza attraverso
una serie di contatti fra le terminazioni dell'apparato
"spalla braccio avambraccio mano dita" da una
parte, e le terminazioni dell'apparato "tavola
armonica corde martelli meccanica tasti" dall'altra,
ho concluso che il diverso modo con cui queste
terminazioni interagiscono determina la varietà dei
tocchi pianistici.
Ho quindi cercato di stabilire alcuni parametri del
funzionamento di diversi gesti pianistici in rapporto al
suono prodotto dallo strumento. Con il laboratorio di
Analisi dei Movimento del Dipartimento di Anatomia
dell'Università di Milano cercheremo di visualizzare le
traiettorie dei movimenti pianistici tramite
l'applicazione di markers sulle varie terminazioni
dell'apparato "braccio avambraccio mano dita",
rilevati da un sistema di telecamere digitali a raggi
infrarossi ed un software delaborazione dati
progettato dal prof. Ferrario. Ci si interrogherà dunque
per la prima volta in maniera razionale, scientifica e
progettuale su cosa succeda effettivamente durante
l'esecuzione pianistica.
Gianfranco Miscia (Ortona), Il
censimento delle fonti musicali in Abruzzo: problemi,
risultati, prospettive di ricerca
Il censimento delle fonti musicali
in Abruzzo rientra in un più vasto progetto di ricerca e
valorizzazione del Mezzogiorno che l'Ismez ha varato da
tempo, valendosi della collaborazione dell'Istituto
Nazionale Tostiano di Ortona, ente di riferimento per la
ricerca musicologica regionale grazie alla sua ventennale
esperienza. Dal 1998 sono stati avviati alcuni corsi di
formazione sulle fonti musicali; successivamente ha preso
corpo il progetto vero e proprio con l'intento,
rispettato, di concludersi entro un triennio. Questo
intervento non fornisce solo dati finora sconosciuti ma
ripercorre anche le tappe fondamentali della ricerca per
evidenziarne i problemi di ordine teorico e pratico.
Come si ipotizzava, il censimento delle fonti musicali in
Abruzzo ha dato risultati interessanti sia in termini
qualitativi sia quantitativi. A fronte di pochi istituti
citati in passato nei repertori internazionali (la serie
C del Rism ne segnalava solo tre), l'indagine ha messo in
evidenza ben 114 persone giuridiche o fisiche possessori
o detentori dei beni musicali. Si delinea quindi un
quadro nuovo di cui la ricerca può giovarsi per
progettare interventi mirati ad avviare lavori di
catalogazione (se si tratta di biblioteche), di
ordinamento e inventariazione dei materiali (se si tratta
di archivi) o ancora di catalogazione delle raccolte (se
si tratta di musei). Sono operazioni preliminari, ma
sostanziali per la ricerca storica che avrà poi il
compito di riportare allattenzione della comunità
scientifica i musicisti e le opere finora rimaste in
ombra.
La fase preparatoria al censimento vero e proprio ha
affrontato problemi organizzativi e metodologici, dalla
messa a punto di una scheda di rilevamento allelaborazione
di una possibile mappa delle fonti musicali esistenti.
Per la prima questione si son prese le mosse dalla scheda
utilizzata dalla Regione Marche e progettata
dall'Associazione Marchigiana per la Ricerca e
Valorizzazione delle Fonti; la si è confrontata con la
quella per il censimento degli archivi comunali
utilizzata dal Ministero per i Beni Culturali
Soprintendenza Archivistica per lAbruzzo, e con
quella utilizzata dall'ICCU per l'Anagrafe biblioteche.
Strumenti tra loro diversi, comunque utili per "ripensare"
una scheda adatta ad un censimento musicale che potesse
contenere informazioni complete ma non ridondanti o
superflue.
Più complesso è stato tracciare una mappa iniziale dei
fondi da censire. In questo caso sono stati d'aiuto i
repertori e gli strumenti bibliografici di carattere
generale, anche se in Abruzzo mancano opere organiche
relative alla storia musicale. Utilissima è stata la
consultazione della banca dati della Soprintendenza
Archivistica per l'Abruzzo relativa agli archivi comunali
dove si trovano preziose, anche se spesso generiche,
indicazioni. Non sono stati ovviamente trascurati i
rapporti diretti con le biblioteche, gli archivi, i
musei, pubblici e privati. Infine, molte informazioni sui
fondi musicali sono emerse dal contatto con gli studiosi
e i musicologi abruzzesi che svolgono un prezioso lavoro
capillare sul territorio.
Altra questione è stata la definizione accurata
dell'oggetto della ricerca: in altre parole cosa
includere nel concetto di fondo musicale storico. Da un
punto di vista generale si sono tenute in conto le
definizioni prevalenti in ambito archivistico (fondo come
complesso di documenti prodotto da un ufficio o ente nel
corso della propria vita amministrativa) e
biblioteconomico (fondo come raccolta di materiali
provenienti da collezioni private o enti) che esprimono
concetti diversi ma accomunati dall'idea che un fondo
abbia comunque unidentità data dagli interessi di
chi raccoglie i libri o dalle attività svolte dagli enti.
Per quello che riguarda l'aspetto quantitativo si è
considerato fondo un complesso di documenti
musicali non inferiore alle trenta unità (tra
manoscritti, copie e volumi rari o di pregio); dal punto
di vista storico cronologico si è deciso di tenere in
considerazione i materiali editi fino all'Ottocento, ma
senza limiti nel caso di documenti di interesse locale o
manoscritti.
Da un punto di vista generale abbiamo conferma che oltre
ai capoluoghi di provincia i fondi musicali siano
collocati nelle città storicamente più importanti e
sedi di istituzioni significative come teatri, bande
musicali, cappelle musicali. Spiccano nella provincia di
Chieti Lanciano, Ortona e Vasto; nella provincia di
Pescara Penne, per larea teramana, Atri e per
quella peligna Sulmona. In provincia di Aquila, a parte
Tagliacozzo, non vi sono centri di particolare importanza
ma enti disseminanti per tutto il territorio. Per quel
che riguarda in generale il patrimonio regionale, dalla
ricerca emerge che la gran parte dei fondi conservano
documentazione perlopiù settecentesca, ottocentesca e
novecentesca. Pochi sono i fondi antichi. Il documento in
assoluto più remoto, sembra essere il rotolo
pergamenaceo dellExultet del 1057,
conservato dall'Archivio della Diocesi dei Marsi di
Avezzano.
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