Archivio Storico:- ex Dipartimento di Musica e Spettacolo - Universita' di Bologna LAVORO DI CODIFICAZIONE E ATTIVITA'DIDATTICA

 

LAVORO DI CODIFICAZIONE E ATTIVITA'DIDATTICA

 

L'attività didattica ha sempre accompagnato ed affiancato il nostro lavoro interno di ricerca sulla Commedia dell'Arte ed è stata una delle nostre fondamentali occasioni per verificare all'esterno quanto stavamo elaborando. 1 primi gruppi di allievi vennero a cercarci subito dopo il primo anno del nostro intenso lavoro sul personaggio di Arlecchino, addirittura prima che avesse debuttato Il Mondolologo di Arlecchino. Fu proprio per rispondere a queste richieste di confronto didattico che studiammo le strutture dei primi corsi di Commedia dell'Arte affiancati da una dimostrazione di lavoro d'attore (che oggi porta il titolo di Gli abitanti di Arlecchinia) sulla costruzione fisica extra-quotidiana dei personaggi e sulle tecniche di uso delle maschere (39).

Col tempo la continua frequentazione di situazioni didattiche presso gruppi o scuole in giro per l'Italia (40), ha permesso di sviluppare tecniche sempre più efficaci per trasmettere il bagaglio di esperienze sulla Commedia dell'Arte, che avevamo prima accumulato e poi pazientemente ri-ordinato in percorsi pedagogici particolarmente chiari. Ci accorgemmo direttamente 'sul campo' che questo tema di lavoro risultava davvero estremamente efficace anche per la formazione dell'attore in un senso più ampio e generale; per questo riuscimmo ad utilizzare all'interno dei corsi specifici di Commedia dell'Arte, altre tecniche di lavoro d'attore ormai estremamente collaudate attraverso molteplici esperienze didattiche. Dal mimo all'acrobatica, dalle tecniche d'improvvisazione alla scoperta delle possibilità della "voce in movimento", fino a quei particolari corsi sulla "drammaturgia dell'attore" che miravano a riutilizzare tutte le suddette tecniche artigianali dello spettacolo per sviluppare nell'allievo la capacità professionale e auto-cosciente di gestire ed organizzare teatralmente la propria presenza in scena; tutto questo venne riutilizzato come supporto intenso e dinamico dei corsi di Commedia dell'Arte, affinché il trasferimento a terzi del bagaglio 'classico' - di cui venivamo considerati testimoni - non subisse il deterioramento manieristico da cui avevamo tanto faticosamente cercato di liberarlo.

Lo scopo fondamentale di ogni nostra attività didattica è sempre stato quello di "formare attori"; anche quando abbiamo più volte affrontato l'organizzazione di seminari divulgativi ad un livello più ampio di pubblico teatrale - di amatori, di dilettanti o semplicemente di curiosi appassionati - non siamo mai riusciti a rispondere ad eventuali esigenze di animazione o intrattenimento; abbiamo piuttosto sempre insistito nella trasmissione di un concetto di serietà ed impegno della professione dell'attore che, particolarmente nella Commedia dell'Arte, richiede una preparazione extraquotidiana del corpo, della voce e della capacità d'azione.

Sulla base delle tecniche suddette il contenuto sostanziale dei corsi di Commedia dell'Arte prevedeva e prevede senz'altro l'apprendimento delle deformazioni psicosornatiche grottesche dei vari personaggi - che avremo modo di introdurre più oltre - e la loro messa in gioco da un punto di vista fisico e vocale per la messa in scena; ma nel corso delle varie esperienze è stato possibile individuare e formalizzare tutta una serie di altri argomenti relativi all'insegnamento della Commedia dell'Arte.

LA MASCHERA

Non si pensi che un personaggio con maschera sia un personaggio comico toutcourt, e che quindi l'attore sotto maschera debba innanzi tutto preoccuparsi di far ridere.

Ciò che in realtà diverte è la situazione, il modo in cui l'attore si trova a dover agire ritmicamente sotto maschera. Il personaggio "mette in tempo" le sue azioni e le sue re-azioni, egli reagisce in maniera ingenua e paradossale ad ogni situazione, mantenendo "in forma" tutti i gesti della sua reazione che risulta così amplificata; dunque il personaggio compie in realtà un lavoro drammatico reagendo in maniera completa, totale e senza risparmio, mettendo "in tempo" e "in forma" anche il dolore. La violenza di un Capitan Spaventa che entra in scena, rapisce Isabella e scappa, è una bomba di drammaticità, di terrore, di paura... come certi personaggi disneyani: la terribile strega cattiva, l'orco, la piovra gigante. Così come la dolcezza di Mammolo è vera dolcezza, non comica ebetitudine. Anche l'ingenuità di Arlecchino non può limitarsi ad essere semplice stupidità e comica stoltezza: è piuttosto una completa, totale nudità dei sentimenti che lo attraversano e che affiorano continuamente nel ritmo disinibito e animalesco dei suoi movimenti.

Conosciamo le ricostruzioni del comportamento di base delle cosiddette "maschere filologiche" che, in realtà, sono quelle arrivate sino alla nostra pratica teatrale per il maggior successo avuto in passato, per aver trovato degli interpreti straordinari che le fecero conoscere ed amare e che dunque - per questo - si sono meglio tramandate nella cultura figurativa come nel nostro immaginario collettivo.

Ma i tipi della Commedia dell'Arte furono molti di più di quelli che attualmente possiamo ri-mettere in movimento.

In realtà ogni attore dovrebbe farsi la propria maschera di cuoio, disegnarla e costruirsela concretamente, scegliere quale volto deve avere e quale stilizzazione espressiva. Anche questo sarebbe infatti estremamente educativo nel processo di riappropriazione di un personaggio, ma non è sempre facile trovare il tempo per passare ad ogni allievo la lunga e paziente tecnica di lavorazione del cuoio; le maschere di cartapesta, per altro, non sono che un surrogato - scomodo sul volto e di durata limitata - utile per veloci messe in scena, ma non adatte a divenire le compagne fedeli del lungo percorso di un attore verso il suo o i suoi personaggi. Le maschere di cartapesta sono rigide - e non elastiche e comode come quelle in cuoio - non traspirano e perciò costringono i rivoli di sudore ad entrare negli occhi appannando la visualità, inoltre reggono poco l'umidità stessa del sudore e dopo un breve periodo di lavoro continuato sono ridotte ad una poltiglia fradicia che rischia di sfaldarsi (41).

La costruzione d'una maschera in cuoio richiede una buona manualità: una certa pratica nella manipolazione della creta, nella scultura del legno e nella battitura del cuoio, ma non c'è nulla d'impossibile da imparare con una buona dose di pazienza (42).

Quello che è più difficile e personale è l'inseguire una raffinatezza tecnica ed artistica nella costruzione della maschera, come nella scelta dei materiali e dei trattamenti. La lunga esperienza della famiglia Sartori (43) in questo campo rende davvero inconfondibili ed inimitabili i loro capolavori; ma è consolante constatare una qualche ripresa recente della produzione di maschere in cuoio anche a livelli meno conosciuti, ma non per questo poco curati, di modo che al grosso sforzo economico (e di responsabilità?) di portare sul volto un'opera d'arte, un giovane attore può preferire l'esperienza di imparare a ricostruire con le proprie mani (o con l'aiuto di un artigiano) il volto del suo personaggio, così come ne può ricostruire col proprio corpo il comportamento.

Esistono alcuni modi di classificare le maschere di cuoio oggi utilizzabili per la Commedia dell'Arte, riassumibili nei tre tipi fondamentali che definiamo qui di seguito.

1) Le maschere molto prominenti: sono maschere con lineamenti molto sporgenti rispetto al piano del volto, soprattutto il naso tende a protendersi in fuori; richiedono all'attore una maggiore potenza per essere sostenute e mosse con efficacia; rientrano in questo gruppo i Capitani e gli Zanni. Vengono anche definite "maschere~di-tre-quarti" poiché la miglior percezione della loro rilievo plastico avviene quando esse sono in posizione leggermente diagonale rispetto al pubblico.

2) Le maschere molto piatte: esse hanno forme più schiacciate, con lineamenti larghi, nasi più tondeggianti e corti; in movimento sono maschere più veloci, più scattanti, più nervose: fanno parte di questo gruppo gli Arlecchini ed i Brighella. Potremmo dirle "maschere~frontali" poiché normalmente di profilo riducono la forza delle loro linee ampie, che sono ben visibili invece frontalmente.

3) Le maschere con rilievo intermedio: spesso caratterizzate da naso camuso e lineamenti cadenti, hanno forme che sporgono in avanti per poi ricadere verso il basso; sono maschere meno veloci di quelle piatte e meno potenti di quelle prominenti, sono le maschere dei vecchi, dei Pantaloni, o anche dei Pulcinella. Sono "maschere~laterali" poiché proprio di lato si legge maggiormente il profilo curvilineo e le gobbe dei nasi, delle fronti prominenti o sfuggenti, degli archi sopracciliari aggrottati in avanti.

Fondamentalmente la maschera è un volto finto che copre il volto naturale, e poiché normalmente un attore - specie nel teatro più tradizionale - è abituato a parlare anche col suo volto, a comunicare con l'espressività della mimica facciale, nell'indossare la maschera può sentirsi decurtato di una sua possibilità espressiva: metà del volto scompare e l'altra metà deve adattarsi ad un lavoro deformante che corrisponda alla grezzezza dei lineamenti di cuoio. Non è mica una cosa tanto naturale recitare con una maschera scura e grezza sul volto! Se non c'è alle spalle l'accettazione di un lavoro innaturale dei movimenti della testa e la ricerca di un altro tipo di espressività gestuale, la maschera sembrerà sempre all'attore una sorta di gabbia limitante ed imbarazzante (44).

In realtà dopo il lavoro preparatorio la maschera finisce per avere un effetto liberatorio sull'espressività del viso, spostando su altri punti del corpo la responsabilità comunicativa e lasciando libero proprio il volto di divenire trasparente ai feed-back di ciò che tutto il resto del corpo sta facendo. A questo proposito colpisce molto una testimonianza ricavabile dalle Memorie di Carlo Goldoni, quando lo scrittore racconta di come ebbe l'illuminazione della nuova ricchezza che avrebbe potuto utilizzare per la sua rivoluzione teatrale nel vedere un gruppo di attori dell'Arte provare senza maschera una commedia che faceva parte proprio del loro repertorio 'in maschera'; Carlo Goldoni rimase affascinato dalla spontaneità di quei volti liberi e decise che quella doveva essere la nuova strada per il teatro; gli attori non sapevano di fare col volto quello che il Coldoni vedeva, ed era una nuova espressività, molto interessante proprio perché non programmata. Un'espressività che affiorava pulita sul volto di attori abituati a rinunciare all'arma dell'espressività del viso.

Pertanto l'interesse dell'espressività che deriva dall'uso prolungato della maschera si basa sullo spostamento del polo di visibilità: poiché l'attore è fortemente intento a 'far vedere' tutto il resto della sua fisicità, sul volto traspare solo l'impegno a rendere chiara la visibilità di tutto il resto... e il risultato puro dell'esperienza personale di questa visibilità spostata: ne risulta una sorta di ricchezza inconsapevole, di sincerità.

Quello che il grande commediografo vide è possibile vederlo ancora oggi sul volto sincero e stanco - con gli occhi leggermente più sbarrati ed accesi di un attore che si è appena tolto la maschera dopo un duro lavoro d'allenamento o dopo una scena molto impegnativa (45).

Ma che cosa succede sotto la maschera? Cos'è quello che un attore può raccontare di quest'esperienza?

Il cuoio è un materiale che sembra estendere la "callosità" a tutta la superficie di un volto; dopo un po' che un attore indossa la maschera la distanza, tra la superficie della sua pelle naturale e quella a due superfici interna-esterna della maschera, viene ridotta al minimo: il volto dell'attore diventa un tutt'uno con quella presenza nera e piena di protuberanze: è come se i pori dovessero dilatarsi il più possibile, fino ad uscire al di fuori (e al di là) dello stesso cuoio, di nuovo a contatto con l'aria. Per questo è molto importante osservare bene e a lungo la maschera prima di indossarla, in modo da poter ricordare ed avere un'impressione forte di qual'è il demone cui la nostra pelle sottostante andrà all'inseguimento una volta indossata. La maschera non è un'espressione da indossare: è semplicemente un orientamento grottesco dell'espressività e questo orientamento grottesco può avere tutte le espressioni di questo mondo, ma esse non dipendono dall'attore che sta indossando la maschera.

Infatti la maschera scura e monocroma, rigida nelle sue forme forti, si comporta in realtà come uno schermo che acquista espressività riflettendo la luce di volta in volta in maniera diversa; pertanto le rotazioni del collo e della testa mirano a disporre continuamente la maschera con incidenze diverse rispetto alla luce che scolpisce i suoi lineamenti grotteschi; a seconda dell'inclinazione si ha l'impressione che i lineamenti della maschera si muovano, che la pelle scura vibri come quella d'un animale e che guizzi di piccoli scatti.

Per poter reggere questo nuovo gioco di espressività bisogna allenare testa e collo a un particolare lavoro di precisione sui piccoli e grandi scatti che chiamiamo "colpi di maschera".

Se un attore a viso nudo vuole guardare verso la sua destra si può limitare a volgere di scatto gli occhi in quella direzione e questa piccola azione può risultare anche molto intensa nell'espressività del volto. Ma se il volto è coperto da una maschera lo scatto dell'occhio a destra perde completamente la sua intensità e la maschera sembrerà continuare a guardare avanti con le sue grandi occhiaie vuote e bianche mentre la pupilla è scomparsa di lato. Perciò se una maschera vuole guardare a destra sarà costretta a volgere tutto il piano della faccia verso destra. Se però noi facessimo questo movimento in modo naturale, gireremmo il collo con la morbidezza a cui sono abituate le nostre vertebre e i nostri muscoli; ciò non basta a rendere efficace lo sguardo della maschera che sembrerebbe girarsi a destra quasi sovrapensiero e senza guardare.

Infatti la maschera va considerata come un unico grande occhio, un specie di volto da Polifemo, una sorta di faro luminoso che lancia luce nella direzione in cui è puntato; pertanto il movimento del collo per spostare la maschera a destra deve corrispondere alla precisione secca dello scatto dell'occhio umano.

Il controllo della gamma possibile di questi scatti espressivi in tutte le direzioni si basa su un allenamento analitico specifico delle giunture tra testa e collo e della muscolatura del collo e del trapezio delle spalle.

Per reggere l'espressività animalesca e istintiva degli scatti della maschera anche tutto il resto del corpo dell'attore è maggiormente coinvolto: se l'energia dell'attore sotto maschera rimane di tipo quotidiano, la maschera non prende vita e si vedrà semplicemente un attore impacciato con un pezzo di cuoio sul volto, ed è proprio questa sorta di fallimento che si intende sottolineare quando in gergo si dice "non calzare la maschera" o "portare la scarpa in faccia".

I "colpi di maschera" non vengono utilizzati solamente per guardare a destra e a sinistra, sopra o sotto, o per mantenere in continua vibrazione la maschera. Esiste anche uno specifico uso dei colpi di maschera che viene chiamato "riporto".

La tecnica del riporto è apparentemente una regola semplice del comportamento del personaggio in scena: ogni volta che la maschera (il personaggio) cambia pensiero deve guardare verso il pubblico, ovvero al di fuori del campo delle sue azioni.

Il riporto non è una caratteristica solo della Commedia dell'Arte: è un meccanismo comico utilizzato tradizionalmente nel teatro, nel cinema e nei fumetti; si pensi ad esempio agli sguardi fuori vignetta dei personaggi di certe strisce satiriche: un Charlie Brown che commenta silenziosamente verso il lettore una battuta ironica di Lucy, o uno sguardo perplesso di Mafalda; oppure si pensi all'uso magistrale che ne faceva l'attore Olliver. Ogni volta che Stanlio combinava qualcosa di poco simpatico egli guardava dentro la cinepresa dando l'impressione di rivolgere la sua occhiata di commento proprio allo spettatore solitario al di qua dello schermo.

Ma nella Commedia dell'Arte l'uso del riporto acquista dinamiche meno preparate, volute e costruite che nei casi sopra descritti dove hanno piuttosto valenze di sospensione ritmica nei tempi della comicità: per la maschera il riporto è quasi un'istinto, rappresenta i tempi comici del modo stesso di pensare del personaggio. 1 riporti sono dunque frequentissimi e numerosissimi durante tutta la presenza della maschera in scena, come una sorta di tic nervoso comportamentale che però non distoglie il personaggio dalla concentrazione sull'azione che sta compiendo. Per questo l'allenamento ai riporti deve rientrare nel training fisico globale dell'attore che studia la Commedia dell'Arte.

Dal punto di vista dell'effetto sul pubblico si può dire che la tecnica dei riporti ha due scopi distinti:

1) quello di riportare periodicamente di fronte al pubblico la maschera, in modo da ricordarne continuamente le forme anche durante azioni in cui il movimento o anche solo l'atteggiamento del corpo prende il sopravvento;

2) quello di catturare lo sguardo e l'attenzione dello spettatore e di trasportarlo sull'azione che il personaggio sta compiendo; l'azione in questo caso viene amplificata, come se il pubblico fosse invitato a guardarla attraverso gli occhi stessi della maschera in una sorta di cannocchiale che avvicina l'azione ad ognuno degli spettatori.

Dunque per l'attore la maschera è un sacrificio volontario della propria espressività facciale a tutto guadagno della contestualizzazione: tutto quello che l'attore può fare è mettere in relazione la maschera nella scena e nello spazio, l'espressione la vedranno gli altri, diversa di volta in volta e prevedibile ma non controllabile dall'attore, il quale non può sapere quale sfumatura o micromessaggio il pubblico coglierà ogni istante al di sotto della sua recitazione. Questo è un aspetto più che magico ~ diremmo sacro -della maschera, perché in un certo senso è divinatorio: il lavoro sotto maschera assume i connotati di un viaggio verso nuovi significati o nuove pregnanze di significato, fondato sulla rinuncia alla espressività più ovvia, e sulla contestualizzazione ritmica a tutti i costi. Non siamo certo alla ricerca di esperienze profetiche, ma l'osservazione di quello che accade all'attore sotto maschera - anche nelle moltissime occasioni pedagogiche coi nostri allievi, oltre che nel lavoro di training, d'improvvisazione con pubblico e di spettacolo - ci costringe a riconoscere anche nelle maschere grottesche della Commedia dell'Arte quegli aspetti di "mistericità" che caratterizza in tutto il mondo il rapporto con le maschere rituali.

L'assoggettamento ai ritmi e alle leggi della maschera in molte culture tende a portare l'attore-danzatore in situazione divinatoria, come la forza del ritmo musicale.

La nostra società è in crisi - e lo è ancora di più il nostro teatro - forse proprio perché non riusciamo più a condividere tutti assieme delle esperienze divinatorie di questo tipo a nessun livello.

IL LAVORO SUI "RESPIRI"

L'"entrata sui respiri" è una tecnica importantissima di relazione nella Commedia dell'Arte, ma per spiegare velocemente di cosa si tratta si deve far ricorso al semplice, ma efficace esempio del telefono.

Durante una telefonata se da un capo del filo qualcuno tiene un discorso prolungato, dall'altro capo chi ascolta interviene di tanto in tanto, ma a intervalli non troppo distanti tra loro e, si potrebbe dire, con una certa regolarità; gli interventi sono brevi, si limitano a dei "Sì... Ma davvero?... Ha haaaa! ... ", spesso sono soltanto dei mugugnii di commento. Tutti questi piccoli interventi avvengono nelle brevi pause di respiro di chi sta parlando e non lo distolgono assolutamente dal filo logico del discorso. Ma se colui che sta ascoltando provasse per esperimento ad interrompere il suo contributo di interventi anche solo per quattro o cinque respiri importanti del narratore, subito sentirebbe la voce nella cornetta rallentare con incertezza e poi chiedere allarmata: "Hei! Sei ancora lì? Mi senti?".

In un certo senso gli interventi sui respiri del narratore contribuiscono a mantenere il ritmo stesso della narrazione. Questo avviene, ma in modo meno evidente, anche senza l'apparecchio telefonico, in un racconto fatto di persona dove gli interventi dell'interlocutore sono spesso sostituiti o coadiuvati dall'annuire della testa o da espressioni del volto.

L'utilizzo strutturato, lo sviluppo e l'esasperazione grottesca di questa che è una modalità quotidiana d'interlocuzione porta all'efficacissimo sistema di relazioni ritmiche tra i personaggi della Commedia dell'Arte, sia dal punto di vista delle improvvisazioni parlate che da quello delle improvvisazioni fisiche.

Le regole di intervento sono ferree: bisogna inserirsi esattamente nelle pause del narratore, quando egli prende fiato, cioè quasi in contro-tempo sul ritmo di attacco delle sue parole; non bisogna lasciare vuota di commento nessuna pausa, nessun respiro del partner, bisogna essere incalzanti; ma non bisogna neppure anticipare la pausa, cioè non si deve interrompere il compagno sulla parola, se non in concomitanza di eccessive titubanze nella voce; le intersezioni di presenza devono essere forti, precise, dello stesso tono e forza dell'energia del narratore; possibilmente (per esigenza di abitudine alla chiarezza teatrale) devono essere usate parole o frasi compiute pur se brevi, non mugugnii a bocca chiusa.

Un passo successivo avviene quando si riesce, nelle pause, a fare anche alcune domande semplicissime di chiarimento, a stimolare ed appoggiare il racconto dell'altro. Ultimo passo di controllo del "lavoro sui respiri" è quello di riuscire ad accellerare o rallentare il ritmo del narratore, a galvanizzarne il racconto coi propri interventi.

Come s'è detto questa tecnica di studio ritmico delle relazioni tra personaggi è utilizzabile anche per le improvvisazioni esclusivamente fisiche a coppie; in quel caso uno dei personaggi prende il sopravvento nella sua composizione,narrativa' dei movimenti, mentre l'altro dalla sua posizione deformata di base lo osserva attentamente per poter entrare con un gesto preciso e compiuto ad ogni micropausa e ad ogni stop del partner. Attraverso queste composizioni a due (o più personaggi) perfettamente incastrate ed incalzanti, si può gradualmente costruire quella particolare sensibilità ritmica necessaria all'attore, non solo per improvvisare in modo pulito ed efficace in relazione con altri attori o col

pubblico, ma anche ~ in uno spettacolo completamente fissato - per entrare correttamente a tempo nelle movimentate scene e tra le frizzanti battute della Commedia dell'Arte.

UN TEATRO DI GESTI "ALL'ITALIANA"

"Sai qual'è la differenza tra un teatro all'italiana e un teatro all'eschimese? Bè, andando dal Nord verso il Sud la gesticolazione gradualmente aumenta, nel teatro come nella vita delle popolazioni" disse una volta l'amico Enrico Bonavera.

Ed è vero che nella Commedia dell'Arte sembra essere entrato tutto il movimentato supporto di gestualità "all'italiana" che tutti i giorni colora i nostri discorsi più liberi e sciolti; ma come per ogni aspetto che la riguarda, anche quel supporto di gesti nella Commedia dell'Arte viene portato all'eccesso, al suo aspetto più esageratamente grottesco.

Descrivere, indicare, rappresentare con le mani, le braccia, il corpo, come se si volesse raccontare una favola ad un bambino e gliela si volesse anche far vedere costruendola fisicamente davanti ai suoi occhi: quello che fanno le maschere della Commedia dell'Arte è proprio appoggiare col gesto ogni parola, proprio ogni parola, non un gesto qua e là; tutto ciò che la bocca dice viene anche gesticolato dalle mani.

Viene gesticolato: dire mimato sarebbe improprio, perché non si tratta di una ricostruzione formale dei significati, bensì di un vero e proprio appoggio che viene dato alla parola; si tratta di un fenomeno simile a quello che potrebbe accadere a certe persone consapevoli che il loro dialetto non è molto ben conosciuto ed allora cercano di farsi capire con un'abbondante gesticolazione illustrativa: una gesticolazione che prima ancora che a descrivere la forma dell'oggetto narrato mira a descrivere l'intensità della narrazione.

Esistono però anche degli stilemi gestuali che, lungi dall'essere dei cliché, sono pregnanti di per sé da un punto di vista comunicativo: sono quei gesti di un codice popolare che risultano perfettamente chiari anche se fatti in silenzio e che, normalmente, contengono una certa rozzezza o volgarità comunicativa.

Tanto i gesti d'appoggio quanto gli stilemi del codice popolare possono essere recuperati alla Commedia dell'Arte attraverso una pulizia ed una energia d'esecuzione non naturalistiche, seguendo cioè quelle regole di extraquotidianità che abbiamo sin qui indicato come regole irrinunciabili.

LA LIMITAZIONE DELLE POSSIBILITA' COME PUNTO DI FORZA

Abbiamo il dovere, una specie di dovere storico, di sconfiggere l'atteggiamento romantico che prevedeva idealisticamente l'onniscienza dell'individuo e che programmaticamente eroicizzava la capacità dell'individuo di dare risposte articolatissime e specializzatissime al mondo e alla società. Spesso, quando incontriamo degli allievi attori in situazioni di seminari esterni e temporanei, riscontriamo ancora quello strano ed anacronistico atteggiamento impuntato sul doversi 'esprimere' a tutti i costi, e diventa davvero difficile smuoverli dalla convinzione che la loro arte inarrivabile sarà fatta di risposte estremamente larzigogolate' e complessissime.

Ma quella - per l'attore - è semplicemente la strada dell'impotenza d'azione.

Avevamo nel nostro gruppo un attore, Vito Angelo Ciampa, che produceva delle splendide canzoni per i nostri spettacoli, conoscendo solamente tre accordi sulla chitarra (ha musicato le canzoni del Circo di Aristofane 1989 per lo spettacolo Se tutte le ragazze, nel 1990 quelle di Gnam City Blues in collaborazione con Carlo De Poi, nel 1991 quelle del Mondologo di Arlecchino). Noi lo prendevamo fraternamente in giro, era divenuto quasi la barzelletta delle nostre prove musicali, ma quei tre accordi lui li sapeva bene, li aveva usati, introiettati, sperimentati, ci giocava e con essi riusciva ad inventare delle canzoni bellissime che ci esprimevano tutti oltre che esprimere lui.

Se uno invece ha 32 accordi a disposizione e non è ben esercitato, già è nei problemi; se uno ne colleziona addirittura 106 e non li ha ben tutti digeriti, già si sente vietata la creatività.

Il coraggio dell'approssimazione umile - non distratta - e il coraggio di soffrire l'approssimazione dello strumento di fronte alla non approssimazione dello scopo permettono all'attore una professionalità maggiore del disordine "amatoriale" provocato da una casuale addizione di molteplici competenze non ben assimilate: questa richiesta di coraggio è non solo artistica, ma anche pedagogica in senso lato ed espressiva in senso lato.

LA "MAPPA" CARATTERIALE DEL NOSTRO CORPO

Nella Commedia dell'Arte, come anche nel lavoro sul elown e sul Mirno (46) il corpo dell'attore viene diviso in fascie o "segmenti psicosomatici- fondamentali". Ognuna di queste fascie corporee è collegata ad una caratteristica emotiva o caratteriale dell'essere umano.

Le fascie fondamentali definibili per i personaggi della Commedia dell'Arte sono cinque:

1) La zona della testa, sede del cervello, viene psicologicamente collegata all'intelligenza, al pensiero, alla curiosità, agli atteggiamenti intellettuali. Si possono brevemente fare alcuni esempi che però risulterebbero più chiari con una semplice dimostrazione pratica. Innestando fortemente in avanti il segmento della testa si ottiene già la caratterizzazione di un personaggio curioso, invadente, che pone la sua attività di sondaggio e di giudizio più avanti di ogni altro impatto fisico possibile; se invece si cammina con la testa bassa si dà l'impressione di una persona più distratta, piena di problemi e di pensieri, con la "testa pesante"; se si cammina con la testa e lo sguardo verso l'alto si da l'impressione di uno svagato: di un poeta perso nel suo Olimpo o dello scemo del villaggio perso nelle nuvole; portando avanti il mento si esprime superiorità, avanzando la fronte aggressività, con la testa di lato ambiguità o diffidenza: tutti atteggiamenti di carattere intellettuale posizionabili nella fascia della testa.

2) La zona delle spalle, sede di tensioni e sforzi, segmento collegato all'emotività. Se ci si spaventa di qualcosa le spalle scattano verso l'alto, se si decide di affrontare il pericolo si spingono le spalle verso il basso, se ci si vuol pavoneggiare della propria forza e coraggio si portano le spalle in avanti, mentre se si vuol davvero sfidare qualcuno si portano le spalle indietro per mostrare il petto; ci sono poi gli ambigui che, oltre a tenere la testa di lato, tengono una spalla su e una giù.

3) La zona del petto, sede del cuore, segmento collegato all'affettività e al rapporto con l'esterno e con gli altri. I personaggi con il petto innestato in avanti sono generalmente ottimisti, romantici, pronti a donarsi, fiduciosi, spesso innamorati. Quelli col petto incassato, arretrato, sono personaggi timidi, insicuri, paurosi.

4) La zona del bacino, sede dello stomaco, degli intestini. È il segmento più importante della mappa corporea per la definizione dei personaggi della Commedia dell'Arte, perché è il segmento degli istinti e degli appetiti, tutti i tipi di appetiti: quelli di ordine alimentare e quelli di ordine sensuale. Se si innesta bene in avanti il bacino si ottiene un personaggio estremamente invadente, pericolosamente famelico anche nei rapporti con gli altri, che nel camminare sembra voler azzannare direttamente l'aria col ventre. Se invece del bacino si spinge in avanti la parte più alta del ventre corrispondente allo stomaco, anzichè la fame si ottiene un effetto di sazietà e di "pace dei sensi". Se poi si spinge il bacino all'indietro si ottiene un personaggio più sensualmente timido, può essere leggermente effemminato, schivo, o schizzinoso.

5) La zona delle ginocchia. Anche questa è una zona molto importante, poiché le gambe rappresentano per il corpo umano quello che il tronco è per l'albero: vi scorre la linfa, sono cioè la sede della nostra forza vitale. La diversa piegatura o tensione delle ginocchia mostra quanta di quella linfa scorre nella vitalità del personaggio. 1 personaggi con le ginocchia molto piegate sono gli anziani, i deboli, quelli talmente affamati che non hanno neanche più la forza di aver fame. Quelli con le ginocchia ritte e stese sono i personaggi nel fiore dell'energia, i ballerini, i cavallieri, i nobili.

Una volta conosciuta questa sorta di mappa corporea ci si ritrova con un primo semplice e chiarissimo codice di costruzione dei personaggi. Ogni caratteristica psicologica e persino la storia del personaggio può essere indossata fisicamente componendo e specificando le fascie corporee. Indossare fisicamente il carattere del personaggio significa costruire una maschera fisica che si può mettere e togliere proprio come la maschera di cuoio sul viso.

Ognuno di questi spostamenti delle fascie corporee può venir usato anche in altri tipi di teatro, per la definizione di personaggi più naturalistici, poiché c'è un collegamento evidente ed immediato col comportamento e la reattività naturale dell'essere umano; ma il lavoro che definisce propriamente la Commedia dell'Arte è quello della "deformazione grottesca": se in una teatralità mimetica un personaggio tendenzialmente curioso o interessato spinge naturalmente un po' in avanti il volto pronto a cogliere ogni sfumatura di ciò che sta osservando, nella Commedia dell'Arte l'essenza stessa della curiosità viene fissata nel massimo spostamento in avanti del collo dell'attore e questa posizione esagerata viene assunta come deformazione congenita e costante del personaggio. Diremo di più: nel training preparatorio alla Commedia dell'Arte sono stati sviluppati tutta una serie di esercizi che mirano ad ampliare la capacità di deformazione dei segmenti del corpo: un collo deve poter essere piegato in tutte le direzioni ben oltre le capacità quotidiane, una gobba deve poter fuoriuscire anche da una

schiena diritta, un petto orgoglioso deve potersi gonfiare come un pallone, le gambe devono potersi piegare, drizzare, aprire, contorcere, le mani devono conquistare una capacità espressiva che va dalla deformità nodosa dei gesti di uno Zanni alla grazia sfarfallante delle dita d'una servetta.

ARCHETIPI E DEFORMAZIONE GROTTESCA NEI PERSONAGGI DELLA COMMEDIA DELL'ARTE

E proprio attraverso il collegamento tra la deformazione di zone specifiche del corpo e i rimandi alle corrispondenti deformazioni caratteriali, che vengono definiti ed insegnati i personaggi della Commedia dell'Arte, cosi come possiamo immaginarli e ricostruirli oggi.

In questo modo l'apprendimento da parte dell'attore non è solamente di tipo formale-estetico, come può essere quello che si può ricavare dall'imitazione di antico materiale iconografico, ma si radica anche nella comprensione profonda dei motivi funzionali ed emotivi per cui un-corpo si deforma in una determinata maniera.

Lo Zanni per esempio - derivante dal tipo fisico del bergamasco (47), che ama vantarsi del suo essere "traccagnotto" ovvero basso e tarchiato (48) - viene tecnicamente costruito con un abbassamento del baricentro e con un'incurvatura muscolosa della cassa toracica; ma ognuna di queste posizioni non sarebbe sufficientemente chiara se non venisse abbinata ad una motivazione che faccia parte della storia psicologica dello Zanni: è necessaria perciò una tensione verso il basso che tenga conto di un certo orgoglio un po' rude da contadino bergamasco, una curvatura delle scapole e delle spalle che tenga conto della storia di fatiche e di pesi che grava sul personaggio del facchino. La deformazione delle mani - aperte come grandi fiori coriacei, dai gesti duri ma pittoreschi ~ viene collegata ad una storia di gonfiori e di formazione di grossi calli dovuti al duro lavoro. La fame atavica ed insaziabile viene evideziatan con un'esasperata propensione del b acino in avanti, sino a deformare persino la camminata, come se ad ogni passo il pube volesse letteralmente azzannare l'aria stessa (49). Ma se la parte inferiore del corpo dello Zanni è così apparentemente pericolosa, più sopra la testa sporge esasperatamente in avanti nell'evidenziare la cronica ed ingenua curiosità di una maschera che infilerebbe il suo lungo naso in ognidove, con una bocca sempre spalancata verso il basso in un perenne infantile stupore, col collo spezzato rispetto la curva della schiena come quello di chi è abituato a convivere col continuo pericolo di buscare un mucchio di legnate sul groppone. Fame e curiosità, agilità e grettezza, aggressività e sottomissione... questi sono i binomi che si cerca di fisicizzare nella deformazione di base dello Zanni, fino a rendere grotteschi i contrasti tragici di questa personalità popolare. Ne risulta così uno Zanni molto primitivo e non ancora "civilizzato-alla-veneziana", ma questa base fortemente collegata alle sue origini bergamasche è fondamentale per garantire l'archetipo di questa maschera così generica rispetto alle specificazioni dei servitori un po' più tardi come Arlecchino, Brighella, Mezzettino: una maschera che spesso si ritrova sdoppiata nella classica coppia dello Zanni furbo e dello Zanni grullo di molti canovacci, o che si ritrova addirittura moltiplicata nella sarabanda di diverse identità zannesche dai molti nomi che i documenti ci tramandano. Una volta creata la base bergamasca si può proseguire il lavoro fisico per civilizzare il nostro Zanni-tipo che, dalle sue poverissime vallate, scende verso la Dominatrice, verso la Serenissima Repubblica di Venezia, a cercare lavoro e fortuna (50). Quello che allora deve succedere al corpo dell'attore viene spiegato, o meglio narrato, attraverso la storia dell'inurbamento dello Zanni: una volta giunto a Venezia Zanni si trova di fronte allo splendore di palazzi, di marmi e colori che non ha mai visto e il suo già naturale stupore verso tutte le cose ora aumenta a dismisura; per l'attore la nuova attenzione posta sulla posizione della bocca e sulla tensione della testa alleggerisce la pressione muscolare sulla schiena e la maschera diventa un pochino più leggera, appare come inebetita, sospesa, fuori posto. Una volta entrato al servizio di una ricca casa di Signori, Zanni non può più utilizzare la sua pericolosa camminata pesante e rumorosa: sugli elaborati pavimenti "alla veneziana" o sopra i preziosi tappeti provenienti dai commerci con l'Oriente, lo Zanni intimidito deve cercare di fare il minor rumore possibile; così l'attore stacca i talloni da terra, si mette sulle mezze punte dei piedi e, senza cambiare la deformazione di base, ottiene quella strana camminata da animale in agguato che fa assomigliare lo Zanni anche ad una sorta di ladro silenzioso sempre pronto a svaligiare la dispensa. Dal collegamento con certi aspetti del mestiere di servo nasce tutta una serie di movimenti, di inchini, di ritmi che danno allo spirito dello Zanni qualche cosa di danzante e burlesco; il suo mantenersi in continuo movimento vien fatto derivare dalla necessità di conservare il suo posto di lavoro, di sembrare un buon

servitore, di dimostrare efficienza a tutti i costi; così Zanni fa la sua parte di grosso cane che continua a saltellare intorno al suo padrone dimenando le grandi braccia anziché la coda, ma - ben più furbo di un cane - fa tanta confusione senza corribinare granché di concreto. La sua classica corsa a "sforbiciata" è una delle tecniche più riuscite per mettere insieme queste esigenze di comportamento con le suggestioni provenienti dagli Zanni danzanti e sgambettanti di Jaques Callot.

L'antagonista naturale dello Zanni è il suo padrone. La maschera veneziana di Pantalone è spesso considerata tra le più facili e tra le meno faticose dal punto di vista fisico, tra le più naturalistiche, ma invece nell'ottica degli archetipi che stiamo tentando di ri-costruire anche questo personaggio si avvale d'una deformazione grottesca molto complessa. Ci piace immaginare il Pantalone non solamente come un vecchio veneziano, ma come l'essenza stessa della vecchiezza: una figura che comprenda in sé non solo il famoso Pantalone, ma anche i ruoli di tutti i "vecchi" meno ben identificati della Commedia dell'Arte. Ci sono molti modi di invecchiare, ma le rughe e i segni che si fossilizzano su di un corpo spesso raccontano la storia di una vita. Per noi una schiena di mercante sempre curva sui libri dei conti non può che ingobbírsi esasperatamente con il passare degli anni: si tratta di una curva molto alta che interessa tutto il tratto di vertebre che corre tra le scapole, ma non basta innestare una posizione ingobbita, è necessaria una spinta continua verso l'alto come se in quel punto stesse sempre per germogliare un albero. Pantalone non ci appare come un vecchio flaccido e pesante, ma piuttosto come una forte personalità nervosa che la vecchiaia ha lentamente consumato ed asciugato; ci piace immaginarlo come un anziano magro magro, dalle spalle un po' rachitiche e - per l'attore - molto molto ravvicinate in avanti, quasi a chiudere il petto ed il cuore all'interno di uno scrigno di invalicabile avarizia. Il peso della vecchiaia e questa forma di rachitismo psicologico del personaggio possono essere fisicizzate dall'attore con l'aiuto di un'immagine molto chiara: l'attrazione e l'allungamento delle membra verso il basso. Quasi ogni singola parte del corpo del nostro Pantalone tende ad essere attratta verso il centro della terra, la forza di gravità per lui è molto più pressante che per qualunque altro essere umano; ma ci sono due punti del suo corpo che contrastano con straordinaria energia questa attrazione gravitazionale: la già citata tensione della gobba che cresce verso l'alto tra le scapole... e le sopracciglia. Le sopracciglia argute e attente, protese verso l'alto - visibilissime ed accentuatíssime in molte maschere di cuoio di Pantalone - sono anche utilissime come punto di riferimento dell'attore sotto maschera per innestare una particolare e caratteristica tensione della testa verso l'alto che si libera così dal rachitismo del corpo sottostante per garantire alla maschera dei movimenti altrettanto forti di quelli di un Arlecchino. Questa dialettica tra l'attrazione verso il basso e la resistenza verso l'alto genera l'allungamento di alcune parti intermedie: persino la mascella si allunga pesantemente verso il basso come quella di un vecchio brontolone che ne ha perso la tonicità muscolare insieme a tutti i denti; ma soprattutto si allungano le braccia e le dita delle mani abituate a contare soldi come vibranti antenne d'insetto e che ~ quando non stanno comodamente a riposo dietro la schiena appoggiate all'altezza delle lombari ~ compiono un tale sforzo per vincere la forza di gravità da non poter evitare il senile tremolio della gestualità del Pantalone. 1 piedi rimangono molto vicini, i talloni si toccano, ma le piante si allargano "a papera", in modo da formare una base più ampia a questo allampanato signore che un colpo di vento potrebbe abbattere. Esiste poi un altro punto fondamentale del corpo di Pantalone che pesa inesorabilmente verso il basso; egli, essendo un vecchietto piuttosto arzillo e resistente, vorrebbe che quella parte stesse ancora ben sù... ma ormai non c'è più verso di cambiare la natura delle cose; l'impotenza senile di Pantalone unita al suo spirito arzillo e voglioso, viene assunta come motivazione psicologica per il disegno delle gambe del personaggio: il peso genitale costringe ad abbassare verso terra il bacino pur mantenendo uniti i talloni, in questo modo le ginocchia si piegano verso l'esterno (e sappiamo dalla nostra mappa corporea che le ginocchia fortemente piegate identificano la debolezza degli anziani), ma nel tentativo di contrastare questa disfatta l'arzillo Pantalone tende a stringere - senza riuscirci - le ginocchia verso l'interno. La doppia tensione di abbassamento e contrasto delle ginocchia irrigidisce le gambe ad un punto tale che anche un giovane attore nel camminare a questo modo appare concretamente invecchiato: la rigidezza della vecchiaia viene sostituita con degli sforzi indotti. Una volta costruita questa deformazione molto limitante, l'attore non deve più preoccuparsi di fingersi vecchio, ma anzi può cercare di essere più attivo possibile dialogando con questo impedimento per restituire la vivacità della vecchiaia di Pantalone.

Il Dottor Balanzone rappresenta per noi l'opposto-speculare di Pantalone;

all'avarizia stringata e alla parsimonia del veneziano si contrappone il senso godereccio dell'abbondanza e dello spreco della maschera bolognese. Se normalmente il Balanzone è un personaggio più fisicamente grasso e panciuto del Pantalone, per noi egli diventa l'essenza stessa dell'abbondanza e della dilatazione fisica. L'enorme pancia che ci piace immaginare è ' innanzi tutto un atteggiamento caratteriale: non è soltanto perché al dottore bolognese piace mangiare tanti tortellini che egli si ritrova così tanto espanso, ma anche e soprattutto perché egli è talmente tronfio di se stesso da ingrassarsi della sua stessa propria ammirazione. Egli è convinto di essere un tuttologo, di conoscere ogni materia artistica, letteraria, scientifica, di intendere e favellare ogni lingua... mentre in realtà è un grosso~grasso presuntuoso che non conosce altro che il suo dialetto bolognese ritmato da latinismi comici ed errati. Ma come ogni buon esperto ciarlatano Balanzone sa vendere assai bene la sua ignoranza e si rivela un personaggio dominante e logorroico, abbondante di parole quanto di mole, una fontana sempre pronta ad annaffiare il pubblico della sua pretesa sapienza. Il problema della deformazione fisica grottesca rispetto a questo carattere è, per l'attore, nuovo e complesso poiché la capacità della muscolatura e delle articolazioni di contorcersi e contrarsi è assai maggiore di quella di espandersi: un attore cicciottello può imparare a deformarsi rachiticamente, ma un attore magro non potrà ingrassarsi per deformazione. È vero che a tutto c'è rimedio con imbottiture e posticci del costume, ma a noi interessa particolarmente una grassezza caratteriale che deve essere indossata dal corpo dell'attore. Si ricorre così al seguente trucco: immaginando di afferrare e definire con le braccia, il petto ed il ventre un'enorme sfera d'aria, tutto il corpo si predispone a trattenere una forma espansa, ma se di colpo s'immagina la stessa sfera diventare di piombo, si è costretti a caricarci addosso questa forma, con il conseguente esagerato piegamento all'indietro della schiena. L'immagine di quell'enorme peso non va mai dimenticata poiché per il carattere del personaggio non è importante la quantità di pancia davvero visibile, ma lo sforzo della schiena per sorreggere quell'enorme ventre immaginario che contiene tutta la prosopopea di Balanzone.

Arlecchino è una delle maschere italiane - assieme a Pulcinella (51)- più conosciute al mondo (52). Il suo archetipo è forte e complesso e non ha a che fare solo con aspetti umani caratteriali: Arlecchino è anche animale, burattino e demone. Maschera che la tradizione vuole di origine bergamasca, ma che si definisce più precisamente con la sua "messa in viaggio": veneto adottivo e vagabondo. Arlecchino è di casa ovunque e insieme sempre straniero, anche nella sua terra d'origine (53). La complessità di questa maschera e le diverse possibilità di definizione delle sue deformazioni fisiche e dei suoi movimenti hanno meritato la precedente trattazione più ampia e separata. Rimangono comunque caratteristiche piuttosto costanti di Arlecchino: il "doppio-passo", una corporatura tendenzialmente bassa e robusta Ctraccagnotta' appunto), un comportamento veloce, scattante e legnoso come quello di un burattino, un petto generoso e ottimista ben innestato in avanti, un sedere timidamente spostato all'indietro pronto a'scodinzolare', una bocca spalancata pronta a ridere, ghignare o ringhiare.

Brighella, altra maschera lombarda, è un tipo di servitore meno giovane degli Zanni o dell'Arlecchino. Un tempo veniva descritto come personaggio molto furbo e intrallazzatore (54) con connotazioni anche negative, ma l'immagine che ne abbiamo oggi risente anche dell'influenza di certe figure come quella goldoniana presente nel Servitore di due padroni; il personaggio che preferiamo ricostruire è piuttosto quello di un servitore forse un po' più saggio dei suoi giovani colleghi, gran lavoratore sempre indaffarato, collegato al "far da mangiare" e al "servir in tavola": identifichiamo insomma Brighella nella figura del cameriere. In quanto più anziano egli è meno atletico e più rigido degli altri servitori, ma in particolare ha il "malanno del cameriere": cioè i piedi doloranti. I piedi un po' piatti, pieni di calli, duroni, vesciche e occhi di pernice, influenzano tutta la camminata e il comportamento di questo Brighella: nel tentativo di togliere peso dalle piante doloranti dei piedi egli solleva le gambe irrigidite tirando visibilmente verso l'alto le anche in una sorta di ballonzolìo sospeso; la sospensione viene accentuata anche dalle spalle tirate in alto fin sotto le orecchie, come se fosse appeso ad un attaccapanni; i gomiti alti e aperti, le manine vicine al petto al di sopra del seno si muovono ritmicamente col passo come se si appoggiassero all'aria per aiutare a tener sollevato il peso da terra. Tipiche certe scrollatine nervose di una o dell'altra gamba sollevata, specie nei cambi di direzione che Brighella risolve ruotando su se stesso su una gamba sola. Il ritmo di questa sorta di zoppicamento dolorante è piuttosto affrettato, in modo che il Brighella in movimento ci appare sempre di corsa e sempre indaffarato anche quando non ha niente da fare; il contrasto appare evidente quando Brighella si ferma e rivela la sua indole un po' più lenta e riflessiva. Pur essendo così servizievole Brighella è un carattere burbero e brontolone, sempre pronto a commentare e borbottare tra sé: la sua testa continua ad annuire, a scrollarsi, a muoversi con un ritmo addirittura doppio rispetto a quello della camminata. La carica nervosa di questa frettolosità e di questo continuo borbottio del Brighella lavoratore non di rado può indurre ad inserire nella sua parlata elementi di balbuzie provenienti dalla maschera di Tartaglia.

La Commedia dell'Arte non è però fatta solo di personaggi che portano la maschera sul viso, anzi, in realtà la maschera sembra identificare propriamente i caratteri di estrazione popolare, anche quelli arricchiti - come il Pantalone - o elevatisi di grado sociale e culturale - come il Balanzone - ma pur sempre di origine volgare, in quanto il volgo e i più bassi ceti sembrano essere la culla più fertile del senso del grottesco.

La separazione netta che il passato ci consegna tra la nobiltà e il resto del volgo, nella Commedia dell'Arte viene sancita dalla presenza o meno della maschera: i nobili di casta (i Signori) e i nobili di cuore (gli Innamorati o Amorosi) non portano maschera sul volto, in modo che il chiarore della pelle naturale contrasti col mondo buio e demoniaco del cuoio... quasi a testimoniare che l'epidermide della gente semplice è sempre un pochino più 'animale'. Ebbene i nobili non portano maschera e sembrano per questo apparentemente immuni dal grottesco, ma nell'ottica del nostro studio sulle deformazioni grottesche dei caratteri alla ricerca di archetipi, si è voluto riscoprire e ricostruire una visione grottesca della nobiltà, che forse si ricollega non solo alla Commedia dell'Arte, ma anche a certi aspetti esasperati del nostro Melodramma.

Una caratteristica dell'animo nobile è quella di avere un grosso senso del Galateo, anche nel modo di porsi e nella postura fisica con cui ci si presenta in pubblico: la posizione dei piedi - disposti perfettamente a squadra l'uno rispetto all'altro - è ordinata e precisa come quella di un ballerino classico, le gambe sono tese e unite, le coscie bene aperte ed i glutei ben serrati come un danzatore sulla scena. Altra caratteristica che distingue l'animo nobile è il rifiuto di tutti quegli istinti bassi e animaleschi che, secondo la nostra mappa corporea, sono collegati con la zona del bacino; così il busto del Nobile subisce una deformazione particolare che tende a porre la massima distanza tra l'ombelico e il plesso solare, senza sollevare le spalle, ma piegando la colonna vertebrale in un'aulica tensione verso l'alto, come se il cuore volesse volare verso il sole. Anche il naso tende a volteggiare verso l'alto, verso aspirazioni irraggiungibili. Ma la distanza posta tra il bacino e il cuore non è ancora sufficiente a vincere l'umana attrazione verso i bassi istinti, soprattutto se è l'amore a guidare la schizofrenica esistenza degli Innamorati; è perciò necessario sottolineare la doppia valenza delle pulsioni del corpo umano con una torsione precisa a livello lombare: il bacino - sede dei desideri più bassi e volgari - sarà tutto rivolto da un lato, mentre al di sopra il petto - sede dell'affettività più pura e romantica - si rivolgerà dalla parte opposta, con una torsione della spina dorsale che fa assomigliare l'Innamorato ad un elastico sempre teso. Da questa posizione contorta nascono due tipi di camminate del nobile: una che procede nella direzione in cui è rivolto il bacino ed è una camminata molto sofferta con una specie di scivolata di uno dei piedi e un cedimento della schiena all'indietro; la seconda camminata procede invece nella direzione in cui guarda la testa ed è molto più elegante ed aristocratica poiché l'opposizione del bacino costringe a complicare molto i movimenti delle gambe.

La presentazione grottesca della nobiltà ci consente di introdurre certi aspetti di un altro personaggio che però porta la maschera sul volto e che, nella Commedia dell'Arte, presenta valenze fortemente popolaresche. Il Capitano della Commedia dell'Arte è per noi l'archetipo del vanaglorioso, un figuro convinto di essere il più eroico e coraggioso combattente, di possedere tutte le migliori qualità estetiche, di galanteria e di forza, colui che si ritiene terribile ed invincibile. In realtà il nostro Capitano, tutto preso a vantarsi e auto-compiacersi, dimentica la sua vera indole codarda, debole e meschina che invece rappresenta il suo lato più buffo e simpatico proprio per il contrasto con le esagerazioni che racconta. Siamo tentati di riconoscere la vera natura del Capitano nelle incisioni tutte contorte di Callot, ove troviamo numerosi capitani straccioni con le gambe fortemente piegate dal tremore, con le braccia nodose e gli atteggiamenti poco eleganti. Ma al di sopra di queste miserie il Capitano è in grado di costruite una complessa maschera posturale che utilizza molti aspetti degli atteggiamenti nobili, egli infatti si ritiene prima di tutto nobile d'animo e non disdegnerebbe neppure di farsi passare come nobile di natali, foss'anche come nobile decaduto. Il personaggio pertanto recupera la posizione dei piedi e delle gambe dei Nobili trasformandola in un modo elegante di stare sull'attenti, mantiene la distanza tra ombelico e plesso solare reinterpretandola in una sorta di orgoglio che gli gonfia il torace verso l'alto, mantiene anche la torsione del busto rispetto al bacino e possibilmente verso il fianco dove tiene la spada in modo da averla sempre minacciosamente a portata di mano. A questo punto sono le spalle ad assumere un' enorme importanza: esse son fortemente spinte in avanti e alzate fin sotto le orecchie, quasi a voler mostrare la forza prorompente dei muscoli; ma l'effetto risulta essere quello di certi bulletti che si imbottiscono le spalle per sembrare più robusti di quanto sono, mentre l'arretramento del petto rispetto alle spalle denuncia, secondo la nostra mappa corporea, la codardia che il Capitano vorrebbe invece nascondere. La camminata del Capitano è di tipo marziale, coi piedi a martello e le gambe tese che sembrano fare ampi percorsi per poi riappoggiare il passo poco distante da dove era partito, spesso con grandi botte appioppate al terreno per rendere più rumorosa la propria affermazione. Esiste anche una seconda camminata del Capitano, chiamata "camminata-di-battaglia", col baricentro fortemente abbassato verso il suolo come se il personaggio stesse avanzando in agguato. L'aspetto fortemente comico del Capitano nasce soprattutto dalla dialettica tra questo comportamento fortemente costruito e le immagini corporee tremanti e deformate che abbiamo riconosciuto nei capitani callottiani. Ogni volta che il Capitano si rilassa, o si trova in una situazione di emergenza o pericolo, egli abbandona di colpo tutta la finzione scultorea con cui ama presentarsi e piomba nel suo vero atteggiamento rachitico con le ginocchia che si piegano verso l'interno e la schiena che si raggomitola nel tentativo di sottrarsi al pericolo, come un istrice. Più frequenti e repentine sono queste trasformazioni, più drammaticamente comica ed interessante diventa la figura del Capitano: maschera doppia che presenta due deformazioni sovrapposte, una caratteriale ed una comportamentale.

Tra i molti altri personaggi della Commedia dell'Arte che si potrebbero prendere in considerazione ~ più o meno conosciuti, più o meno facili da ricostruire e reinventare - concludiamo questa esposizione esemplificativa introducendo un ultimo archetipo che risulta per noi fondamentale a completare la tavolozza di colori e sapori del Mondo della Commedia dell'Arte. Si tratta finalmente di un personaggio femminile, che - anzi - rappresenta l'essenza stessa della femminilità popolare: la Servetta. Sì, personaggio popolare, ma - come eccezione che conferma la regola - questo personaggio popolare non porta maschera sul volto. 1 motivi di quest'eccezione ci piace trovarli nel difficile ruolo della donna nel teatro del passato, quando il mestiere dell'attore era un settore prevalentemente maschile; certo non mancavano le attrici ' ma negli elenchi delle compagnie esse risultavano in numero sempre minore degli attori, tanto che proprio nel campo della Commedia dell'Arte troviamo addirittura parti femminili interpretate da uomini (55). Al contrario al giorno d'oggi ci ritroviamo con una preponderante presenza femminile in tutte le situazioni che avviano al mestiere d'attore, tanto che alcune attrici non disdegnano poi di interpretare ruoli maschili sulla scena, per colmare la scarsità numerica di giovani attori. Ma un tempo la figura dell'attrice non sempre era considerata troppo rispettabile e l'attrice stessa poteva facilmente venir paragonata ad una prostituta, non perché fosse sempre necessariamente vero questo paragone, ma perché la vita girovagante e promiscua delle compagnie non rispettava certa rigidezza dei costumi sociali nei confronti della donna. Sebbene poi ci siano state delle personalità, come Isabella Andreini, che hanno saputo elevare ad un rango davvero rispettabile e colto la loro figura d'attrice, non dovevano però essere moltissime coloro che avevano lo spirito di porsi contro i costumi sociali per tentare una sì ardua impresa; una compagnia che riusciva ad avere alcune di queste donne coraggiose nel suo organico poteva ben dirsi fortunata perché avrebbe garantito pubblico alle proprie commedie grazie all'avvenente presenza femminile (56) . Non è perciò conveniente coprire il volto del fascino femminile con una maschera di cuoio scura e grottesca, ma - anzi ~ il volto di questo personaggio oltre che rimanere libero, non di rado viene anche adornato e circondato di riccioli e pizzi di cuffietta; un lampo di grazia in mezzo a tanto grottesco. Se non grottesco il comportamento della servetta è però fortemente comico, brioso, scherzoso... e - in questo - esasperato come il comportamento di tutti gli altri personaggi. Sempre alla ricerca di archetipi fortemente stilizzati e nella consapevolezza che il grottesco nasce da forti contraddizioni, ci chiedevamo infatti quale potesse essere l'aspetto grottesco della seduzione, riscontrandolo poi nel carattere di "bimba popolana" affiancato al "ruolo di donna in scena".

La servetta è specializzata nel mettere in mostra di sé tutto quello che può e più che può, per attrarre ed incantare tanto il pubblico quanto gli altri personaggi che l'accompagnano sulla scena. La servetta è fondamentalmente una sorta di Arlecchino in gonnella, ma, essendo spesso di origine veneta, è più alta del bergamasco Arlecchino e più sottile; anche lei tiene volentieri un piedino in avanti col tallone a terra e la punta per aria, ma non si tratta più del "freno" di Arlecchino, bensì di una sorta di richiamo sempre vibrante per lo spettatore che viene ipnotizzato dalla vezzosa caviglia visibile tra la gonna e la scarpetta (57); anche lei appoggia spesso le mani ai fianchi, ma in modo più morbido di Arlecchino, con le braccia che formano quasi i due manici di un'anfora, a sottolineare le curve e le ricchezze delle forme del corpo.

Anche la Servetta usa il doppio-passo, ma non è legnoso come quello di Arlecchino, bensì soffice e rimbalzante come se avesse due molle al posto dei femori; anche lei sa essere velocissima e prontissima a fuggire a qualunque tentativo d'afferrarla: tutto ciò che lei mette in mostra va infatti guardato e non toccato. Proprio sul ritmo del doppio-passo la Servetta ha sviluppato le sue doti di 'espositrice' delle proprie bellezze presentando in avanti di volta in volta le singole parti da sottolineare con una precisione analitica che rende doppiamente importante ogni parte del suo corpo: per esempio se mostra la zona del bacino - in passato principale zona sensuale del corpo femminile perché collegata alla fecondità - non la espone tutta frontalmente come invece può capitare al personaggio della Cortigiana (58), ma mostra una sola anca per volta utilizzando lo slancio e poi anche il rimbalzo del doppio-passo; se espone la zona del petto l'attenzione viene posta su un solo seno per volta - prima uno, poi l'altro - con un'impulso forte e scherzoso che sembra voler lanciare una pallina in mezzo al pubblico; anche quando espone il sedere diviene comicamente protagonista un gluteo alla volta; insomma ogni singola parte del corpo della Servetta sembra potersi muovere indipendentemente dalle altre e guizzar via in tutte le direzioni, con una flessibilità ambigua che in fondo... in fondo alla nostra immaginazione, risveglia qualche eco e sapore di zingaresche piroette intorno al fuoco, di esotiche danze del ventre provenienti dall'Oriente, dall'annodarsi di contorsioniste o donne-serpente di antichi circhi e carrozzoni girovaghi... di un mondo di femminei fenomeni da baraccone che incute fascino ma anche terrore: un mondo grottesco, dunque, anche per la seduzione.

Archivio Storico:- ex Dipartimento di Musica e Spettacolo - Universita' di Bologna