Archivio Storico:- ex Dipartimento di Musica e Spettacolo - Universita' di Bologna NO TE

NO TE

1 Soprattutto dopo la chiara avvertenza che ci pone l'introduzione di Ferdinando Taviani e Mirella Schino al loro fondamentale volume IVI segreto della Commedia dell'Arte. La memoria delle compagnie italiane del XVI, XVII, XVIII secolo, Firenze, La Casa Usher, 1982: "( ... ) la Commedia dell'Arte continua a vivere nell'immaginazione di oggi senza appoggiarsi a testi, né a una tradizione vivente, ma solo a immagini e descrizioni. Il modo in cui essa sopravvive nella tradizione del teatro moderno si intreccia e si sovrappone alla sua storia. La Commedia dell'Arte è oscurata dalle leggende che si sono fissate e dai simboli che sono spuntati intorno ad essa, dalla presunzione di conoscere".

2 Si pensi alle commedie seicentesche scritte da alcuni colti attori dell'Arte, ad esempio: le commedie del fiorentino Giovan Battista Andreini, Comico Fedele detto Lelio, (La Turca commedia boschereccia et marittima; Lo schiavetto; La Venetiana ); la commedia Il Finto Marito dell'attore Flaminio Scala, che per altro aveva già pubblicato a Venezia nel 1611 Il Teatro delle favole rappresentative ovvero la più cospicua raccolta di scenari mai edita; la commedia L'Inavertito di Nicolò Barbieri detto 'Beltrame comico', stampata a Torino nel 1629 e ristanipata a Venezia da Salvadori; le commedie di Silvio Florillo, Li tre capitani vanagloriosi - capricciosa rappresentazione di strani amorosi avvenimenti stampata a Napoli nel 1621 e la famosa La Lucilla Costante - con le ridicolose disfide e prodezze di Policinella stampata a Milano nel 1632 da Gio.Battista Malatesta, ove per la prima volta viene citata a stampa la fi ura di Pulcinella; le commedie di Pier Maria Cecchini, Comico Acceso detto Fritellino, La minia schiava stampata a Milano nel 1610 e L'Amico tradito stampata a Venezia nel 1633 da Giuseppe Bona. Alcune commedie di comici figurano raccolte corredate di numerose note biografiche e bibliografiche nel volume curato da Laura Falavolti, AA.VV., Commedie dei Comici déll'Arte, Torino, U.T.E.T. 1982 e in Commedia dell'Arte, a cura di Siro Ferrone, Milano, Mursia, 1985. Gli scenari dello Scala sono stati interamente pubblicati in due volumi: F. Scala, Il teatro delle favole rappresentative, a cura di Ferruccio Marotti, Milano, Il Polifilo, 1976.

3 All'imponente opera in 6 volumi curata da Vito Pandolfi, AA.VV., La Commedia dell'Arte - Storia e testo, Firenze, Edizioni Sansoni Antiquariato, 1959 possiamo affiancare i materiali raccolti da Enzo Petraccone in AA.VV., La Commedia dell'Arte - Storia Tecnica Scenari, con ' refazione-avvertenza' di Benedetto Croce, Napoli, Riccardo Ricciardi Editore, 1927, pp. 29445.

4 Il rapporto tra il teatro di piazza e i luoghi chiusi e dello spettacolo è stato recentemente trattato da Siro Ferrone, Attori Mercanti Corsari- La Commedia dell'Arte in Europa tra Cinque e Seicento, Torino, Einaudi,1993: cfr. in particolare i due capitoli Le stanze del teatro e La mercatura teatrale e le corti, pp. 50-136.

5 Il recupero di questa particolare forma di teatro ha impegnato artisti europei sin dai primi decenni del nostro secolo (ricordiamo per tutti l'opera di Mejerchòl'd e l'esemplare messa in scena di Vachtàngov della Turandot di Carlo Cozzi nel 1922 a Mosca). In Italia una nuova esplosione d'interesse per la Commedia dell'Arte si ha sin dalla prima metà del Novecento; in particolare con la scuola strehleriana che, con l'Arlecchino servitore di due paroni - rappresentato per la prima volta al Piccolo teatro di Milano il 24 luglio 1947 - produsse un nuovo grande Arlecchino nell'attore Marcello Moretti, il quale lasciò in eredità il personaggio a Ferruccio Soleri, che a sua volta lo sta trasmettendo a diversi allievi, tra cui l'eccellentetrico Bonavera; dalla stessa scuola cm rgono altri artisti, come Renzo Fabris che, pur avendo interpretato magistralmente il ruo o di Brighella nello storico spettacolo strehleriano, si rivela tutt'oggi come conoscitore rofondito e personale ri-costruttore di molti altri personaggi della Commedia dell'Arte a fine deglì anni '60 una nuova scuola veneziana di recupero della Commedia dell'Ar veniva formando grazie all'opera di Giovanni Poli che nel 1969 fondò il Teatro a l'Avogaria di Venezia, basandosi dapprima sulla sua già più che decennale esperienza in allestimenti spettacolari di antichi documenti e canovacci, e poi anche raccogliendo certa eredità strehleriana grazie a ripetute colaborazioni con Fabris e Bonavera. Il resente testo intende anche documentare questa "piccola-nuova tradizione > in cui affondano certe radici artigianali del nostro viaggio nella ommedia dell'Arte.

6 "Così come alcuni dei libri più importanti sulla Commedia dell'Arte sono dedicati ad attori nostri contemporanei - quello di Constant Mic a Chaplin, quello di Pierre-Louis Duchartre a Dullin e Jouvet, quello di Allardyce Nicoll a Moretti -e sembrano voler affermare l'esistenza o l'illusione di una tradizione, anche noi non possiamo domandarci se questa tradizione esista e - se esiste - attorno a che cosa si trasmetta. La storia della Commedia dell'Arte, che è una storia d'attori, una storia chiusa e per noi quasi segreta, è separata dalla tradizione che si sviluppa prima tra gli spettatori e poi, d'anno in anno, fino a noi, ed eleva la Commedia dell'Arte ra e grandi i ce di teatro, fino a lasciarla come simbolo e miraggio". (F. Taviani e M. Schino, Il segreto della Commedia dell'Arte..., cit., pag. 14).

7 Ad esempio nella Biblioteca della Casa Goldoni di Venezia è conservata una raccolta di riagli da giornali e riviste pubblicate tra il 1914 e il 1942 (Miscellanea con collocazione 51.13. 9 /2) nella quale spiccano titoli del seguente tipo: La decadenza di Truffaldino di Bruno Brunelli; Gloria e decadenza di Arlecchino di Gian Caleazzo Severi; Le ultime pazzie di Truffaldino di Bruno Brunelli; Arlecchino 'mettinscena' articolo non firmato in "Cronache Latine". Ma una critica ancora più veemente ed 'inviperita' possiamo rintracciarla ne La condanna di Arlecchino?, "Gazzetta di Venezia" del 15 luglio 1914, dove Giuseppe Ortolani non si scaglia solo contro l'inadeguatezza della ripresa contemporanea, ma giunge a rimpiangere un'impossibile difesa della Commedia dell'Arte per mancanza di attori ed autori contemporanei che la sappiano 'reggere': "La critica italiana, storica e filosofica, proclama tutto a un tratto che la commedia de 'arte, quale noi la immaginiamo, è puramente una leggenda; che essa non fu 'improvvisa', come si crede, ma "pensata e distesa" non meno di quella letteraria o scritta'; che, tirate le somme, essa rappresenta piuttosto una vergogna che non un vanto dell'ingegno italiano del Seicento. - Ahimé! Scaramuccia è morto da più di duecento anni e non può più fare un'Iazzo'; anche Carlo Cozzi è morto da un secolo e non può più rispondere con la sua insolenza".

8 Diploma di maturità artistica presso l'Istituto Statale d'Arte di Udine e laurea in Storia dell'Architettura presso l'Istituto Universitario d'Architettura di Venezia.

9 Anche per Ferruccio Soleri il primo impatto con la Commedia dell'Arte fu di carattere estetico: "II mio primo contatto con Arlecchino è avvenuto a Roma, all'Accademia Nazionale d'Arte Drammatica, sotto lo stimolo di una particolare esigenza teatrale dovuta all'intuito e alla sensibilità di Giacomo Colli. Fu allora, una ricerca appassionante e febbrile su testi, su stampe d'epoca, su riproduzioni di antiche maschere, severamente condotta con s *to critico ma con intendimenti soprattutto estetici". (Ferruccio Soleri, in Ilmio Arlecchino, " Rivista del Piccolo Teatro di Milano", numero dedicato a: Arlecchino servitore di due padroni - spettacolo di Carlo Coldoni con Regia di Giorgio Strehler, Anno Il, n. 3 (1979), pag. 27).

10 Per illustrare il teatro delle compagnie italiane spesso si sono utilizzati i Balli di Sfessania di Callot: immagini che accesero la fantasia di Hoffinann, di Mejerchòl'd, di Craig, ma che con la Commedia dell'Arte hanno poco o nulla a che vedere, anche se ormai sembrano esserne l'emblema e vengono spesso addirittura esaminate come se possedessero un valore documentario. La Commedia dell'Arte verrà immaginata da Mejerchòl'd e da Vachtàngov attraverso le immagini (letterarie) di Hoffmann, così come Hoffmann l'aveva immaginata attraverso le incisioni grottesche di Callot". (17, Taviani e M. Schino, Il segreto della Commedia dell'Arte..., e. cit., pp. 56 e 69-79).

11 Cfr. F. Taviani e M. Schino, op. cit., pp. 47 e 420.

12 Tra i volumi più ricchi di riproduzioni iconografiche non possiamo non indicare C. Molinari, La commedia dell'Arte, Milano, Mondadori, 1985.

13 Si veda in proposito la lucida constatazione di Gianfranco Folena: "Alla mancanza di una tradizione comune di lingua della conversazione, capace di legare - oltre i confini regionali un pubblico nuovo e più largo, non più aristocratica élite come quella che frequentava li spettacoli del nostro Rinascimento, P istituzione del linguaggio 'improvviso' della commedia dell'Arte risponde - oltre che con le sue invenzioni mimiche, extralinguistiche - con schemi linguistic, e non solo di contenuto, ca a . di accogliere una informe materia espressiva mista di elementi dialettali più o meno stilizzati e di detriti aulici. Il risultato è una lingua di teatro informe ma viva e mimetica, capace di adattarsi a situazioni linguistiche e pubblici diversi. (G.Folena, L'esperienza linguistica di Carlo Goldoni, in "Atti del Convegno Internazionale di studi Goldoniani: Venezia 28 setytembre - 1°ottobre 1957, Firenze (1960) pag.144).

14 Termine qui usato letteralmente: "maccherònico (meno com. maccarònico) agg. ( pl. m.-ci). Linguaggio giocoso, misto di elementi della tradizione latina e dell'ambiente attuave, adottato in molti componimenti a carattere satirico o burlesco, soprattutto nei secc. XV e XVI (calco su "latino'" da cucina ". (C. Devoto e C.C. Oli, Dizionario della lingua italiana, Firenze, Casa Ed. Le Monnier 1978, pag. 1316).

15 Alessandra Galante Garrone, allieva di Jaques Lecoq, da molti anni dirige la Scuola di Teatro a Bologna: le lezioni di mimo e'maschera neutra' sono tenute personalmente da lei ed hanno un'importanza fondamentale su tutto il percorso didattico, in particolare uellodel primo anno di frequenza. Tali lezioni sono anche alla base del lavoro di ricerca sul áown; cfr. A. Galante-Garrone, Alla ricerca del proprio clown, Firenze, La Casa Usher, 1980.

16 "Il viaggiatore che visitò a Venezia uno dei teatri dove gli Zanni recitavano la commedia si girava a guardare il pubblico alle sue spalle, i palchi. dei Signori e delle celebri Cortigiane, e vedeva maschere ovunque. Anche di fronte a lui, fra i ersonagt della farsa o della commedia, c'erano visi coperti". (F. Taviani e M. Schino, Il segreto della Commedia dell'Arte...., cit., pag. 11).

17 Il Teatro a L'Avogaria - fondato da Giovanni Poli, regista e ricercatore del teatro barocco - ha una sua pluridecennale tradizione di lavoro intorno alla Commedia dell'Arte secondo un'ottica amatoriale. Alle sue produzioni spettacolari di carattere amatoriale nel senso migliore del termine, L'Avogaria affianca una Scuola di Teatro che ha saputo ospitare importanti docenti e professionisti esterni al suo organico, italiani e non. La sua attività è stata Ipesso documentata dalle pubblicazioni interne tra le quali citiamo ad esempio AA.VV., Il Teatro della Commedia dell'Arte a L'Avogaria, Venezia, Ed. del Teatro a l'Avo . n Dorsoduro, stampato, da La Tipografica s.r.l., 1984. Cfr. anche i numerosi libretti pugarIlicaàti a Venezia per la "Collana del Teatro a l'Avogaria" da La Tipografica s.r.l., relativi agli spettacoli tra il 1958 e il 1985.

18 La Scuola Sperimentale dell'Attore, fondata a Pordenone nel 1990 dalla compagnia teatrale Attori & Cantori diretta da Ferruccio Merisi, si occupa di formare attori professionisti e di divulgare elementi di cultura teatrale; nell'arco dei suoi primi quattro anni di attività, oltre alla didattica interna da parte dei docenti della compagnia, ha già visto alternarsi moltissimi ospiti. Per quanto riguarda la Commedia dell'Arte oltre alla nostra continua attività didattica e di ricerca - cui questo elaborato in buona parte farà riferimento ha ospitato a più riprese i corsi dell'attore Enrico Bonavera.

19 Renzo Fabris iniziò il suo apprendistato nel 1954 al Teatro Universitario di Cà Foscari a Venezia sotto la guida di Giovanni Poli. Nel 1961 passò al professionismo specializzandosi sempre più come attore per la Commedia dell'Arte. Nel 1969 iniziò il suo insegnamento presso la Civica Scuola d'Arte Drammatica del Piccolo Teatro di Milano. Nel corso della sua carriera ha avuto la possibilità di lavorare con molti registi fra cui Giovanni Poli (La Venetiana di G.B. Andreini, La Piovana di Ruzzante e La commedia degli Zanni), Dario Fo (La passeggiata della domenica di C. Michel), Giorgio Strehler (Arlecchino servitore di dite padroni di C. Goldoni e L'opera da tre soldi di Bertold Brecht), Patrice Chereau, (Splendore e morte di fachin Murieta di Pablo Neruda), P. Carillo (Arlecchino di Busoni, al Teatro Massimo di Palermo), Luigi Squarzina (I due gemelli veneziani di C. Coldoni). E sono solo alcuni titoli della sua lunga attività. Si è cimentato volentieri anche nella re ia - Ricordiamo Gli intrighi di Arlecchino per il Teatro a YA. a di cui ha curato anche 1'elaborazione drammaturgica da testi della Commedia dell'Arte, e La barca di Arlecchino la cui elaborazione e regia ha curato assieme a Paolo Tomaselli per il Teatro Litta.

20 Tra il 1977 e il 1981 Tommaso Todesca partecipò a numerosi spettacoli del Teatro a l'Avogaria con la regia di Giovanni Poli. Ricordiamo: La commedia de li Zanni, L'Augellin Belverde di C. Gozzi, Gli ultimi carnevali di Venezia. Molti anni più tardi, nell 990-1991 Todesca venne invitato a curare la regia della ripresa di La commedia degli Zanni per una tournée in Cina del Teatro a l'Avogaria.

21 La visione di Giovanni Poli risulta estremamente chiara dal prologo che egli scrisse per introdurre il suo spettacolo La commedia degli Zanni: una successione di scene tratte dalla già citata raccolta di Vito Pandolfi. Questo spettacolo debuttò nel 1958 e ancor oggi viene periodicamente ripreso dalla Compagnia delleatro a l'Avogaria; il prologo recita così: "Oh, meravigliosi i tempi in cui gli uomini vedevano riflesse le loro immagini in sintesi di colore, inteso nella sua purezza, e sapevano in esso cogliere profondamente il senso primo dei loro sentimenti e delle loro aspirazioni, il concetto vero delle cose! Fu questa l'epoca del trionfo del colore, sia come indagine del cuore umano, sia come significazione di una spiritualità aferta e libera, tutta volta al godimento dei doni della natura. Le maschere italiane nel loro s arzoso sfoggio di colore, nascono in quest'era di purezza del sentire umano ed esprimono, accanto alla poesia e alla pittura cinquecentesca, il tripudio della natura umana, finalmente libera dai resupposti intellettualistici medievali. A queste maschere, noi uomini caduti in un'epoca di pianificazione grigia, senza colore, guardiamo con il cuore delle cose perdute, Ma ci e dato ancora, come ultimo retaggio, la contemplazione estetica di questo mondo ormai trascorso". (La commedia degli Zanní - tratto da documenti rinascimentali sulla Commedia dell'Arte, a cura di G. Poli,"Collana del Teatro a l'Avogaria", n. 7,1983).

22 La formazione e l'attività professionale di Tommaso Todesca nel campo del mimo, della danza, del canto barocco e della declamazione è anche più vasta: non possiamo qui riassumere la varietà di esperienze del suo curriculum, ma ci limiteremo ad indicare che ha più volte lavorato anche con Yves Lebreton, Margaret Fisher, Glauco Mauri, Eugène Green, Giorgio Albertazzi.

23 Il suo apprendistato presso il Maestro non è inizialmente stato di tipo classicodidattico, ma è avvenuto direttamente sulle scene, tra il 1979 e il 1983, allorché Enrico Bonavera interpretò più volte ruoli di Zanni, Pantalone e altri personaggi, sotto la direzione di Ferruccio Soleri. In seguito al lungo periodo di apprendimento sulla scena o dietro le quinte si aggiunse l'impostazione più personale del personaggio di Arlecchino.

24 Enrico Bonavera vanta una notevole esperienza anche nelle tecniche dell'attore moderno: ha più volte frequentato come allievo il lavoro dell'Odin Teatret di Eugenio Barba in Danimarca (febbraio del 1976; marzo del 1977; novembre del 1979); ha incontrato il Teatro Laboratorio di Jerzy Grotowski; altri aspetti della sua poliedrica formazione derivano dalla frequentazione della Scuola del Circo di Parigi.

25 L'immagine che Ferruccio Soleri ha così fortemente trasmessa anche al suo allievo Enrico Bonavera è quella di un Arlecchino tenero, simpatico e un po' infantile, come Soleri stesso pubblicamente lo definisce: "Arlecchino è come un bambino che si fa influenzare e crede a tutto. Se lui ha fame vuole mangiare e non capisce perché non deve mangiare. Lui va zig-za per evitare le bastonate dei padroni. Nel momento del bisogno diventa subito furbo". (Cfr. gli interventi di F. Soleri nell'articolo di Antonella Federici, Arlecchino il sovvertitore, in "Il Gazzettino", 6 febbraio 1994).

26 Ferruccio Merisi lavorò come regista esterno scritturato dall'ormai scomparso Tag Teatro di Mestre-Venezia per l'allestimento de Il servitore di due padroni nell'anno 1987.

27 "La cosciente deformazione artistica dell'attore in scena si apparentava, agli occhi degli spettatori contemporanei, con la deformità e le miserie che caratterizzavano l'esibizione dei mendicanti. Un lento processo di ingentilimento separa l'attore dal mendicante. Pure, lo sguardo dei contemporanei insinua fino a noi moderni il dubbio che questo processo sia, in realtà, il raffinarsi di un identico fascino, che cresce in ondate successive fino a produrre un elemento ritenuto a lungo il più forte potere del teatro sul pubblico: il grottesco". (R Taviani e M. Schino, Il segreto della Commedia dell'Arte...., cit., pp. 51). Ma si veda anche l'impietosa visione che dell'accattonaggio per povertà o per mestiere ci offrono le testimonianze raccolte e commentate da Roberto Tessari nel capitolo Nell'antimondo dei ciarlatani e dei Buffoni; cfr. R. Tessari, Commedia dell'Arte: la maschera e l'Ombra, Milano, Mursia, 1981, pp.31 47.

28 Cfr. F. Taviani, La Commedia dell'Arte e la società barocca - La Fascinazione del Teatro, Roma, Mario Bulzoni Ed.,1969.

29 Il materiale disponibile ci è parso davvero molto vasto: brani di commedie, libretti, raccolte di detti e motti, pezzi anonimi, testimonianze, critiche e saggi; la bibliografia suggerita nelle successive note può dare solo una minima idea della varietà di materiale disponibile sia su Arlecchino che in generale su molti aspetti della Commedia dell'Arte.

30 Cfr. l'elaborazione in chiave spettacolare di Giovanni Poli in Le storie di Arlecchino - antologia scenico-critica sull'evoluzione (od involuzione) della maschera Arlecchino nell'opera di Carlo Goldoni, a cura di C. Poli, prima r ntazione 28/ 02/1957, collana del "Teatro Universitario di Ca' Foscari", Venezia, IpprTeispe. a cura di Edoardo Andreotti- Loria, 1960, edito anche nella "Collana del Teatro a l'Avogaria", n. 9, Venezia, La Tipografica s.r.l. 1987. Cfr. anche le annotazioni sull'Arlecchino goldoniano di Luigi Ferrante, Notarella sull'Arlecchino illuministico, in "Studi Goldoniarri", n. 2 (1970), pp.189- 190. Se è vero che storicamente la riforma goldoniana ha contribuito alla cosiddetta 'fine' della Commedia dell'Arte, è altrettanto innegabile che la 'ripresa' novecentesca di questo fenomeno risente fortemente anche della stretta relazione dell'opera goldoniana con l'eredità dei personaggi dell'Arte: un'eredità che Goldoni ha fortemente trasformato, ma che ha costituito una base solida della sua fortuna in Italia e soprattutto in Francia; fu proprio la figura di Arlecchino a presentare per la prima volta il Goldoni al pubblico francese: la ' ma rappresentazione goldoniana in Francia, 13 giugno 1758, fu allestita sul manoscritto Il figlio di Arlecchino perduto e ritrovato a cura di un attore comico - Francesco Zanussi padovano interprete per lo più di parti da Innamorato - che, in seguito alla rappresentazione, potè suggerire ai sovrintendenti la chiamata in Francia dell'autore; cfr. Aldo Ravà, Un Ariecchino naturísta, in "Bollettino del Museo di Bassano", Anno V, n. 4 (1909).

31 Si veda ad esempio il brano finale dell'Arlechiníana nella traduzione italiana rimaneggiata del 1727, con Arlecchino divenuto tutore del testamento del diavolo defunto; la solenne dichiarazione di quell'Arlecchino "Il Diavolo è morto!" ha fortemente influenzato tutta la stesura della trama del nostro Mondologo di Arlecchino. Cfr. Arlichiniana - ovvero le piacevoli conversazioni di Arlichino, tradotta dalla lingua francese nell'italiana dal Cavaliere A.B.D.M. e dedicata al Signor Beltempo-Carnevalante' con prefazione-introduzione e descrizione-della-vita-di-Arlecchino del traduttore, Venezia, E appresso Gio. Antonelli Libraio a S. Aponale con licenza dei superiori, 1727. Per molti suggestivispunti sul significati dernoniaci delle maschere, ed in particolare di quella di Arlecchino, cfr. Fausto Nicolini, Vita di Arlecchino, Napoli, Riccardo Ricciardi Editore, 1958.

32 Anzi, si veda la straordinaria parodia dell'Arlecchino fanatico per farsi bastonare, (con Facanapa cuoco) commedia in due atti del Teatro delle Marionette, Padova, 0. Orlandini Editore, 1887. Si tratta di un rifacimento per il teatro delle marionette dalla precedente farsa teatrale Sten terello fanatico perfarsi bastonare, in "Nuova raccolta delle più accreditate farse di autori italiani e stranieri sì antiche che moderni", a cura del tipografo editore Eduardo Ducci, Firenze, Tip. Popolare di E. Ducci, 1868.

33 Si veda ad esempio il corteggiamento alla bella Violetta nell'Arlecchino selvatico ove, do o una lunga e toccante disquisizione con l'amata, il povero Arlecchino cerca di concluderpe con I' esasperata l'esclamazione: "frattanto facciamo all'amore come si fa ne' boschi: amiamoci alla selvatica!". (Arlecchino Salvatico, commedia anonima tradotta dal francese, Firenze, Ed. Andrea Bonducci,1754, pp. 16-19).

34 Cfr. ad esem io le magie e le ciarlatanerie che compie Arlecchino in Arlecchino e Menichino assistiti dalla protezione di Mercurio, commedia anonima in tre atti ad uso Menichino assistiti dalla protezione di Mercurio, commedia anonima in tre atti ad uso d'Almanacco, Milano, nella Stamperia di Pietro Agnelli in Santa Margarita, 1822.

35 Cfr. ad esempio lo stregonesco monologo d'apertura dell'Arlecchino medico omeopatico, (con Facanapa caporale dei carabinieri), commedia tutta da ridere del Teatro delle Marionette, Padova, O. Orlandini Editore, 1886.

36 La tendenza al travestimento, al camuffamento, è una caratteristica che accompagna spesso la figura del servitore, come anche quella del saltimbanco, ma in particolare per Arlecchino diventa un fattore importantissimo soprattutto nel Settecento e in "area goldoniana"; non si tratta soltanto di ricordare alcuni camuffamenti degli arlecchini goldoniani (come quello dell'Armeno ne La famiglia dell'antiquario, con cui Arlecchino tenta di vendere finte anticaglie al adrone di Briggella), ma di sottolineare anche certa influenza dei travestimenti di ArPecchino sull'iconografia e sulla pittura settecentesca: per esempio tra le opere del pittore fiorentino settecentesco Gian Domenico Ferretti (1692-1768) - cugino del famoso Antonio Francesco Gori grande amico di Goldoni - troviamo una seri, di quadri rappresentanti avventure di Arlecchino di volta in volta travestito da pittore, da falso chierico, da falso storpio o da soldato di ritorno dalla guerra, da finto brigante, da dottore, da maestro di danza o da finto scolaro, lo troviamo persino nelle vesti femminili d'una ricamatrice. Cfr. The Disguises of Harlequin - by Giovanni Domenico Ferretti of Florence, a cura di Edward A. Maser, catalogo per una mostra di opere pittoriche di G.B. Ferretti, Kansas, pubblicazioni 'The University of Kansas Museurri of Art Lawrence', 1956.

37 Cfr. ad esempio: l'apparizione comico-pomposa di Arlecchino travestito da Giasone sul carro di trionfo, accompagnato dagli'Argonauti'Scaramuccia e Pasquariello, in Arlequin lason, comédie en trois actes mise au theátre par Monsieur D*** & representée pour la première fois par les Comédiens Italien du Roy dans leur Hostel de Bourgogne le onzième jour d'Octobre 1683, Parigi , 1683; oppure la stralunata regalità della maschera in Arlequin empereur dans la lune, comedie eri trois actes mise au théátre par Monsieur D*** & representée ur la première fois par les Comédiens Italien du Roy dans leur Hostel de Bourgo,%ne le. 5 i Uars 1684, Parigi, 1684; e anche il ruolo di 'falso Marchese' interpretato da Arlecc ino in Colombine avocat pour et contre, comédie eri trois actes mise au théátre par Monsieur D*** & representée pour la première fois ar les Comédiens Italien du Roy dans leur Hostel de Bou o le le huitième jour d'OcUre 1685, Parigi, 1685; la confusa gestione delle 'beghe' Z= in Arlecchino governatore di Bologna, (ovvero: Uno le paga tutte) commedia anonima pubb in tre atti, Milano, Tipografo Gio.Gussoni Editore, s.a.

38 E' un tipo di Arlecchino ingenuo e furbo -all'occorrenza cui non è facile rinunciare, presentato con un misto di stanchezza ed affetto dallo stesso FerruccioSoleri: "Semplicemente è un personaggio naif e sa ancora divertire, nonostante le sue vicende siano convenzionali, proprio perché vive in un suo mondo d'ingenuità, è un servo sciocco che nel momento del bisogno estrae una furbizia straordinaria una sua fantasia, anche atletica. Ecco, al pubblico vedere uno così in scena fa tenerezza: in fondo è come se ciascuno osservasse una parte del proprio cuore, quel sé autentico che i compromessi del mondo finiscono per soffocare ( ... ) Ormai 'Arlecchino' avrà fatto duemila, duemilacinquecento reVIichè ( ... ) in fondo che importanza fa l'aver recitato tre, cinque, venti parti o una sola ne la propria vita d'attore? L'importante è lavorare bene, così da offrire il proprio dono al pubblico (j finché riesco a dare gioia, emozione, piacere assolverò questo mio compito". (Cfr. l'intervista Soleri: cerco eredi per il mio Arlecchino, in "II Giornale", 21 gennaio 1993).

39 Inizialmente la dimostrazione di lavoro era nata come testimonianza del possibile accumulo di segni sul corpo di un attore: segni raccolti e "collezionatC negli incontri coi ia deIrArte, tradotti di teatro, ma anche. Ne risultava cioè i pezzetti provenien attore-raccoglitore", ondi di provenienza sposti separatamente i vari gesti imparat a uno o a a tro aes ro, ancro stesso personaggio, perché pareva fondamentale testimoniare come la Cdrte non fosse una, sola ed unica... ma di come fosse possibile identificare le mutevoli forme di Commedia dell'Arte nei diversi attori che tutt'oggi la praticano e nelle diverse "scuole" che la professano. Si trattava dunque di una dimostrazione di lavoro molto analitica, preparata e strutturata per un auditorio specifico, per un pubblico preparato e paziente; veniva eseguita infatti in concomitanza con conferenze e lezioni specifiche sulla Commedia dell'Arte, spesso in ambito universitario - come accadde al Centro Teatro Ateneo dell'Università di Roma "La Sap' a" nel 1991 ospiti di una conferenza coordinata da Luciano Mariti, o presso il S.D.A.T di Bologna nel 1992 ospiti del corso sulla Commedia dell'Arte di Eugenia Casini Ropa -oppure presso gruppi di ricerca e scuole di teatro. Inseguito questa 9ezione pratica" 2& Commedia dell'Arte cominciava ad essere richiesta anche in altre occasioni che non atevano propriamente definirsi di "studio": veniva spesso abbinata allo spettacolo II Indologo di Arlecchino all'interno della stessa rassegna teatrale. Inoltre cominciava a venir richiesta anche in situazioni didattiche non così specifiche - come sono le scuole o le università dello spettacolo - e veniva proposta come momento di introduzione e divulgazione della Commedia dell'Arte in licei e scuole superiori. In questi contesti il taglio della dimostrazione cambiava notevolmente: divenne più spettacolare con l'inserimento di tratti di training con musica o con testo parlato, e brani di improvvisazione basati sull'ormai ricco alfabeto gestuale dell'Arlecchino, mentre anche tutti gli altri personaggi andavano via via arricchendosi. L'esperienza maturata attraverso la costruzione del personaggio Arlecchino yer lo spettacolo influenzava anche il modo di lavorare sulle altre maschere e prendeva orma una codificazione di gesti assai più precisa e di giorno in giorno più elaborata di quella ricevuta in eredità.

40 Tra le attività didattiche che hanno visto una più duratura e ripetuta collaborazione negli ultimi anni possiamo ricordare: quelle eseguite presso le Università di Bologna e di Roma; nella Scuola di Teatro a l'Avogaria di Venezia; nel Progetto Pilota dei Laboratori Teatrali e Territoriali organizzato dal Circuito Teatrale Arteven-Regione Veneto (nelle città di Este, Castelfranco, Vittorio Veneto, Mira, Rovigo); nella Scuola Popolare di Teatro a Caerano San Marco; per l'Atelier Teatrale per insegnanti del Provveditorato agli Studi di Pordenone; all'interno delle iniziative teatrali per la scuola a Rovigo, Vittorio Veneto, tra il Centro Teatro dell'Officina Teatro Ile valli del Cellina e ll'Oberon Teatro di iative didattiche e di in collegamento con cio Teatro-Scuola del ea roonjze i. na urameri ,Scuola sperimentale aea a aaauratva che circonda la Commed * 1 b t ' d ltre forme dib a na a a 'r'1 rlcc cultur fig dell'Attore di Pordenone.

41 Si vedano le testimonianze di Streliler sul lavoro con maschere di questo tipo: "Gli attori della prima edizione dell'Arlecchino, recitarono con povere maschere di cartone e arza, a strati sovrapposti. Le costruimmo si può dire, con le nostre mani, giornorno Erano maschere 'infernali', scomode, dolorose. Le parti in rilievo penetravanoesto' nella carne, la visibilità era relativa e distorta. ( ... ) prive di flessibilità, le manon permettevano alle palpebre di muoversi. Le ciglia dell'attore urtavano contro i bordi e facevano lacrimare gli occhi, in un pianto perenne e segreto. Gli attori, ognuno per conto suo, incominciarono ad imbottirle con strani guanciali di ovatta, fissati all'interno con del cerotto. Così la parte interna delle maschere assunse un aspetto affatto poetico. Durante l'uso, poi, il sudore degli attori penetrava nel cartone a poco a poco e scioglieva la compattezza della maschera. Alla fine dello spettacolo tenevamo tra le mani alcuni stracetti neri e gocciolanti, che solo all'indomani riprendevano una certa forma e consistenza. ( ... ) Grazie ( ... ) ad AmIeto Sartori, questa cara creatura teatrale che riprese dal nulla, appena sollecitato da noi, una tecnica erduta nel tempo: quella dei mascherai del Cinque, Sei, Settecento. Egli scolpì e costruì fle sue prime maschere di cuoio, dopo innumerevoli tentativi". (Giorgio Streliler, L'attore e la maschera, in "Rivista del Piccoloteatro di Milano", Anno Il, n. 3 (1979), pp. 25-26).

42 1 passaggi fondamentali del lavoro sono brevemente elencati nell'intervista Donato Sartori e la sua tecnica di costruzione della maschera in cuoio, in "ClupPiù Magazine", Anno 11, n. 7 (1990), pp. 52-56.

43 Si veda Alberto Marcia, La Commedia dell'Arte nelle maschere dei Sartori, a cura del Centro maschere e strutture gestuali, con introduzione di Giorgio Strehler, Firenze, La Casa Usher, 1980.

44 Giorgio Streliler ha saputo descrivere con toccante concretezza i problemi affrontati dagli attori nell'incontro con la maschera durante la primissima edizione dell'Arlecchino Servitore di due padroni: "Per un fenomeno psichico l'attore con il viso coperto sentiva meno se stesso ed i compagni. Inoltre gli sembrava di essere "inespressivo"; gli era stata tolta un'arma potente: il gioco facciale. L'attore doveva ancora conquistare la "mobilità" della maschera. Doveva "riinventare" anche in questo una tradizione sepolta e che nessuno poteva più insegnarci. Marcello, in questa prima edizione dell'Arlecchino, fini per recitare la sua arte senza maschera". (G. Strehler, L'attore e la maschera, in "Rivista del Piccolo Teatro di Milano", Anno 11, n. 3 (1979) pp. 25-26).

45 Esiste una splendida incisione della fine del XVIII secolo, conservata al Museo Teatralealla Scala di Milano, che ritrae un Arlecchino al termine di una rappresentazione: accennare un piccolo inchino del busto l'attore si è appena tolto la maschera e - nell'atto di . Solo inc al suo pubblico - la tiene bene in alto, al di so ra della testa, come se la maschera stessa dovesse sempre rimanere sospesa nel suo monslo extra-quotidiano anche mentre l'attore si rilassa nel ricevere gli applausi; il volto dell'attore ha un'espressione bellissima, appare sincero, serio, intenso, con uno sguardo dolce e dilatato e libero da qualunque intenzione recitativa. Si può trovare una buona riproduzione di quest'incisione in C. Molinari, La Commedia dell Arte..., cit., pag. 220.

46 Cfr. R. Tessari, Il corpo silente del pantomimo: archetipi e autopsie, in "Quaderni di Teatro",Anno V, n. 17, (1982).

47 Esiste diversa letteratura locale intorno al tipo fisico e sociologico del bergamasco. Cfr. ad esempi o Adriano Freri, Il bergamasco in commedia, Bergamo, stampato a cura del Centro Stampa Comunale, 1993.

48 Questa dicitura del bergamasco "traccagnotto" viene ripresa persino da Carlo Coldoni per i suoi servitori bergamaschi un po' più 'evolutidello Zanni; si veda ad esempio nella 2' scena del Il atto de La donna di teAta debole il simpatico battibecco tra Brighelfa e Tracca nino (Arlecchino): "T.:Paesan, te saludo. B.: Va là va là, va a far el mezzan. T.: Oh, corpo Tel diavolo! A mi mezzan? Fin che me lo diga un napolitan, pazienza; ma che me lo diga un bergamasco no la posso inghiottir. Varda se son mezzan.(confrontandosí da vicino con la statura i Brigliella) B.: 5ta indrio. T.: Varda se son mezzan; varda dove te arrivo. Ti ti è un omo mezzan. E fra i Traccagnini de tutte le vallade de Bergamo, son traccagnottolo e non son mezzan!"

49 Per tutto ciò che riguarda gli aspetti più terribili e violenti che dalla ritualità carnevalesca-popolare sono trapassati nelfaspetto di "dernone tellurico ( ... ) diavolo dalla fame insaziabile" dello Zanni si veda lo studio di Alessandra Mignatti, Zanni - la fame e il diavolo, in "Quaderni di teatro% Anno V, n. 17, (1982).

50 Anche su questo punto ci sono molti contributi locali. Cfr. ad esempio C. Benzoni, Venezia e Bergamo: due città a confronto, I. Paccagnella, Il "13e7ramasco" a Venezia e N. e Mangini, Itinerari di un'antica maschera in AA.VV., Venezia e la Terra crina, a cura dell'Assessorato alla cultura del Comune di Bergamo, Bergamo, Tipografia Grafital s.n.c. di Torre Boldone, 1990.

51 Sulla straordinaria fortuna di questa maschera partenopea si rimanda a A. Giulio Bragaglia, Pulcinella, Roma, Casini, 1953. PerFabbondanza elaqualità della documentazione iconografica cfr. AA.VV., Pulcinella - Maschera del mondo, a cura di Franco Carmelo Greco, Napoli, Electa, 1990.

52 Intorno alla figura di Arlecchino esiste una ricca bibliografia. Oltre a F. Nicolini, Vita di Arlecchino, cit., ricordiamo almeno l'importante volume di Allardyce Nicoll, The World of Arlequin, Cambridge, 1963, trad. il. Milano, Bompiani, 1969.

53 sui Vagabondaggi di Arlecchino da Bergamo a Venezia a Parigi esistono numerosi interventi sia da parte bergamasca che da quella veneta. Ricordiamo l'esposizione in chiave di leggenda che ne dà Alberto Zajotti, Arlecchino, "Le tre Venezie", Anno Il, n. 2, (1926), pp. 2 1 -2 1 appassionata difesa di un'Arlecchino grezzo, originario e bergamasco, fatta in Renato Simoni, Arlecchino - con illustrazionia colori, "La Lettura", Anno XXXII, n. 4,(1932), pp. 21-23; le trasformazioni francesi del carattere di Arlecchino rivisitate in Giuseppe Ortolani, Arlecchino innamorato, estratto da "Rivista Italiana del Dramma", Anno 1, n. 6, (1937); la compiaciuta conferma dell'anima vagabonda ma bergamasca di un'Arlecchino che afferma ",, mondo? E'tutta una Bergamo", Luigi Angelini, La figura di Arlecchino, Bergamo, Stamperia Conti, 1955-1956. Compiacimento ribadito nella successiva e più ampia trattazione L. Angelini, Arlecchino maschera bergamasca, Bergamo, Stamperie Conti, 1957,e in ID., Vita e luoghi di Arlecchino - presentazione dell'omonimo film di Nino Zucchelli proiettato fuori concorso all'inaugu razione del VI Gran Premio Bergamo, in "La Rivista di Berga~>, agosto-set. (1963); ancora più'campanilistica'è la posizione espressa in Sandro Angelini Bergamo ad Arlecchino Bergamasco - proposta per un monumento che non è un monumento, esíratto da "Lo Zanni", rgdern. de T. B n 6 (1963). Sui vagabondaggi più lontani della figura di Arlecchino AA. VV , Arlecchino a Londra - la pantomima inglese 1506-1728, a cura di V. Papetti e F. Ferrara, con introduzione e note in italiano e testi teatrali in inglese, Napoli, Aion Ed. Intercontinentalia, 1977.

54 Il termine 'brighellesco' sembra talvolta indicare un'ampia gamma di furbizie teatrali e motti di spirito. Esiste per altro una raccolta ottocentesca di sentenze del personaggio Brighella che, per la quantità di argomenti e per la veemenza con cui sono esposti, carattere burbero e brontolone, ma intriso d'una certa schietta e simpatica saggezza: cfr. Generici Brighelleschi - consistenti in sortite di scena, discorsi di bravura, motti dialoghi, alfabeti estratti da varj comici autori, particolarmente dal per uso della Commedia Italiana, Milano, Pietro Agnelli Stampatore in S. Margherita, s.a.

55 Tra il 1584 e il 1593 abbiamo per esempio notizie di una Franceschina interpretata da un certo Battista degli Amorevoli trevisano presso la Compagnia degli Uniti e presso la stessa compagia troviamo nel 1613 un'altra Franceschina interpretata dal romano Ottaviano Barnar ini". (Cfr. F. Taviani e M. Schino, op, cit., pp. 102-103).

56 Una chiarissima e documentata esposizione degli argomenti sin qui enunciati intorno al ruolo della "donna in scena" viene data in R. Tessari, Commedia dell'Arte. La maschera e l'ombra, cit., pp. 102-103.

57 Un vezzo, questo del piedino, importantissimo per il pubblico sottostante che se lo trova proprio all'altezza dello sguardo (i palchetti della Commedia dell'Arte di piazza spesso erano molto alti e gli spettatori assistevano in piedi alle rappresentazioni), e che diviene fondamentale punto di partenza per una dichiarazione d'amore d'uno spasimante inginocchiato di fronte alla Servetta; ricordiamo volentieri l'audacia di un Mezzettino che in una simile situazione dice "a ve baso la punta de quel pié, che sostien quella gamba alla quale farau gambetta volantier t h betta". (Gabriele Antonio Lusino, Comici schiavi,commedia rappresentata in S. Pier d'Arena e dedicata all'illustrissimo Signore Gio.Antonio Raggi, Cuneo, per il Strabella a spese di Giuseppe Bottari Libraro in Genova, 1666, pag. 16).

58 Altro interessantissimo personaggio della Commedia dell'Arte che - similmente al Capitano- si presenta come "maschera doppia", la Cortigiana è a metà strada tra il carattere della Servetta e il comportamento sociale della Nobile Amorosa. Sul ruolo della meretrice tra società e spettacolo ricordiamo con affetto Giovanni Poli, Mamole e bulí - La condizione della donna pubblica in Venezia nel'500, sei episodi in due tempi di C. Poli, prima rappresentazione 27/03/1976, "Collana del Teatro a l'Avogaria", n. 5, Venezia, La Tipografica s.r.l., 1976.

59 Ma non solo diCallot: abbiamo più volte fornito nelleprecedenti note (cfr. note 12,51) indicazioni bibliografiche sulla ben più vasta iconografia sulla Commedia dell'Arte. Troviamo per esempio spunti interessanti - ai fini del nostro lavoro - tanto nella grafica stilizzata e grezza delle incisioni dell'Arlecchino Tristano Martinelli quanto nelle veristiche figure di Claude Gillot; cfr. Emile Dacier, Les scene et lesfigures théatrales de Clan feGillot,in"LaReviie de l'Art", t.XLV e XLIX, (1924).

60 Si tratta di una pittura della tomba del Triclinio a Tarquinia. Tale immagine figura riprodotta e confrontata con immagini di altre culture in AA. VV. Anatomia di teatro - Un dizionario di antropologia teatrale, a cura di Eugenio Barba e Nicola Savarese, Firenze, La Casa Usher, 1983, pp. 47-48; nello stesso volume non mancano numerose riproduzioni ed osservazioni intorno all'iconografia della Commedia dell'Arte.

61 Ho seguito corsi (di Bharatha Natyam con la Maestra Usha Ragliavan (Bombay), di Orissi con la Maestra Aloka Panikar (New Delhi) e di Kathakali col Maestro Kalamandalam K.M. John (Kerala) presso il Teatro Tascabile di Bergamo o attraverso le ospitalità della Scuola Sperimentale dell'Attore di Pordenone. Non sarebbe stato possibile nessun approccio serio a queste danze senza il supporto della pluriennale esperienza del TTB che tutt'ora mi segue e consiglia per i vi . . n India e per gli allenamenti di Kathakali, grazie anche alla personale disponfbilità,C17kIpIpe Chierichetti.

62 Devo la ricchezza delle mie esperienze a Bali alle splendide lezioni di danza Baris del Maestro I Made Djimat, all'assiduità con cui lui e la danzatrice Cristina Formaggia si son pressi cura di guidarmi attraverso il ricco e complesso mondo dello spettacolo balinese, sin entro le più irraggiungibili e inaccessibili cerimonie religiose; devo ancora a loro le visite alle più interessanti collezioni di maschere e l'incontro col maestro artigiano che mi ha accolto come allieva nella sua bottega: Ida Bagus Alit.

63 Nello spettacolo Talabot dell'Odin Teatret Iben Nagel Rasmussen interpretava Trickster: una sorta di stranissimo Arlecchino col costume nero rattoppato di stoffe esotiche, un po' un o ' donna, un po' animale, un principe del disordine saltellante in mezzo alle im=zie Nello spettacolo, mezzo demone con una rande accetta in spalla e mezzo angelo nella danza con le splendide ali biar , - - _Cra bramiva e cantava in mezzo ad altre maschere della Commedia dell'Arte reinterpretate nel legno da uno scultore balinese.

64 L'attore senegalese Mor Awa Niang - dell'ex Teatro delle Albe oggi Ravenna Teatro - ha interpretato il ruolo di Arlecchino già in due spettacoli: Lunga vita all'albero e I ventidue infortuni di Mor Arlecchino liberamente tratto da un testo di Goldoni, entrambi con la regia di Marco Martinelli. L'Arlecchino di Mor, come egli stesso simpaticamente non perde occasione di far notare, non porta maschera perché il suo viso è già nero ed indossa un coloratissimo costume senegalese cli quadratini di stoffa tutti diversi e pazientemente cuciti assieme; il suo italiano, dall'accento maldestro e comicissimo, innova con straordinaria forza l'impatto dialettale del personaggio; proveniente da una famiglia di "griot" saltimbanchi-cantastorie, al posto del doppio-passo e degli sgambettii di Arlecchino lui utilizza con indiavolata allegria una splendida gamma di passi e saltelli delle danze africane.

Archivio Storico:- ex Dipartimento di Musica e Spettacolo - Universita' di Bologna