Archivio Storico:- ex Dipartimento di Musica e Spettacolo - Universita' di Bologna
3. Verso una nuova interpretazione delle sopravvivenze della canzone popolare giudeo-ispanica
Lo studio di Cohen, in verità, è carente nella trattazione dei modi e delle ragioni per cui il repertorio giudeo-ispanico o ladino trasmesso oralmente dalle donne sia sopravvissuto prima del ventesimo secolo all'interno di una comunità a dominazione maschile, patriarcale, religiosa e incentrata sulla scrittura, in un contesto musulmano assai distante da quello iberico delle sue origini. Una delle ragioni per cui non è stata affrontata direttamente questa questione è il fatto che la moderna etnografia dà per scontato il ruolo centrale delle donne nella trasmissione della tradizione sefardita ed esclude le fonti etno-storiche. Tali fonti ci mostrano che tra le donne e la direzione spirituale delle comunità sefardite esisteva un rapporto di: a) opposizione, si veda il veto rabbinico contro le donne che cantavano in generale e contro quelle che cantavano le canzoni tradizionali giudeo-ispaniche in particolare; b) di resistenza, si veda il fatto che le donne sefardite crearono un loro proprio tempo e spazio per eseguire le loro canzoni.
L'opposizione ha le sue radici nella segregazione della voce e del canto delle donne che è stabilita in modo più particolareggiato rispetto ad altre regole religiose ebraiche riguardanti la segregazione femminile, quali quelle relative alle mestruazioni. Le fanciulle e le donne che hanno superato la mezza età non hanno mestruazioni e sono perciò esonerate dalle limitazioni imposte alle donne dalle regole in questa materia, ma cantano. Le donne sefardite di tutte le età si sono impegnate nell'attività del cantare in modo assertivo e attivo come forma di resistenza, non come "contenitori" passivi nella trasmissione della canzone, quali risultano nella descrizione di Cohen (1995: 182). Le donne sefardite spesso non ebbero una particolare percezione del fatto di essere più degli uomini limitate nelle loro scelte dal sistema sociale sessista della tradizione giudaica. L'etnografia attesta il carattere indipendente delle attività musicali delle donne sefardite. Le canzoni popolari in ladino erano eseguite nell'area del Mediterraneo nei tempi e luoghi delle attività femminili, per un pubblico di donne e bambini, come un passatempo (ad esempio prendendosi cura della madre di un nuovo nato durante i giorni che precedevano la circoncisione) o accompagnando lavori domestici quali fare il bucato, cucinare, cullare i bambini per farli addormentare. Gli uomini sefarditi potevano certamente udire le canzoni delle loro donne in quei riti relativi al ciclo della vita per i quali la segregazione fisica era attenuata: i matrimoni e i funerali (vedi Cohen 1980: 86). Susanna Weich-Shahak (1984: 30; in c.d.s.), che ha raccolto la più ampia documentazione etnografica sulla canzone popolare sefardita in Israele e dintorni, riferisce l'esistenza di associazioni di donne cantanti, usualmente chiamate compañas,che i incontravano una volta a settimana per cantare insieme, ogni volta in casa di una donna diversa. Questi gruppi venivano invitati alle nozze per rallegrare l'uditorio ed erano ricompensati dal pubblico per la loro prestazione. I guadagni del gruppo erano di solito investiti in donazioni per il corredo delle spose povere. C'è probabilmente qualche rapporto tra questi gruppi ed altre, più formali, associazioni di cantanti nelle passate comunità sefardite, come la hevrah kadisha ("la compagnia di [cantanti] kaddish") che cantava ai cortei funebri e ai matrimoni. Quando cantavano ai matrimoni in Marocco queste compagnie includevano anche giovani ragazze. Alcune donne sefardite erano rinomate quali cantaderas, cantanti semiprofessionali che si accompagnavano con i tamburelli e con uno strumento a percussione chiamato pandero o panderico nel Mediterraneo orientale e sonajanel nord del Marocco. In Marocco si trova anche, tra le cantanti, l'uso di nacchere (chiamate castañuelas o palillos, suonate in maniera piuttosto "amatoriale", usandone solo un paio liberamente sospeso al dito medio ed attivato dalla mano libera), una chiara importazione dalla Spagna meridionale. Le suonatrici di strumenti percussivi nei Balcani e in Turchia erano chiamate tañaderas. E' interessante notare che la percussionista-cantante-ballerina nella cultura ebraica del Mediterraneo orientale quale "segno di un dominio molto più esteso ed importante delle attività femminili che dovrebbe essere ben altrimenti riconosciuto" risale ai tempi della Bibbia, come ha messo in evidenza Meyers (1994) sulle basi di recenti ricerche archeologiche. Le strumentiste sefardite non si limitavano solo all'uso delle percussioni. Il viaggiatore Victor Guerin, per esempio, testimoniava che nella Rodi della metà del diciannovesimo secolo ragazze e donne sefardite erano solite incontrarsi regolarmente presso la fontana della calle ancha ("strada larga") e notava che la maggior parte di loro sapeva suonare "una chitarra che somigliava ad un mandolino spagnolo ed accompagnava i canti e le danze alle celebrazioni" (1856, citato in Angel 1987: 100). Weich-Shahak (comunicazione personale) riferisce che l'uso di strumenti a corda, ud, mandolino, e perfino del qanun, era consueto tra le donne sefardite orientali all'inizio del ventesimo secolo. Considerando i dati disponibili si può ritenere, seguendo Robertson (1987: 242), che le donne sefardite "svilupparono i loro particolari stili di comunicazione e intimità" e "che questi stili creano legami resi spesso più forti dalla segregazione sessuale nelle società dominate dai maschi" (vedi anche Magrini 1995). Andiamo ora ad indagare sotto quali condizioni sociali questi sviluppi ebbero luogo. |