Archivio Storico:- ex Dipartimento di Musica e Spettacolo - Universita' di Bologna Fotogenia 3c - Louis Feuillade: un autore?

Louis Feuillade: un autore?

 

di François de la Bretèque

 

Si può parlare di Louis Feuillade come di un autore, nello stesso modo in cui si parla oggi di Antonioni o di Godard? O, detto altrimenti, il suo cinema è un cinema d'autore? La questione può apparire inconsistente, dato che gli storici sono impegnati da circa vent'anni a mostrare che i film di Feuillade possiedono un'unità, uno stile e dei temi propri, che hanno formato la base della difesa e della riabilitazione di questo cineasta. E d'altronde, è possibile credere che un film possa non avere autore, anche in anni così lontani da noi? Ma in ogni caso l'etichetta "cinema d'autore" nasconde un'intenzione storiografica che tende a contrapporre un cinema segnato da una personalità artistica a un cinema di consumo, puramente commerciale. La questione diventa allora: come si pone Feuillade rispetto a tale antinomia?

Per rispondere in maniera pertinente, occorre spostare il campo problematico. La questione dev'essere posta in termini di ricezione collettiva e di pratica sociale. Ovvero:

a) In che modo Feuillade definisce se stesso? Ci riferiremo qui alle (rare) interviste e dichiarazioni da lui rilasciate ai giornali.

b) Come viene percepito dagli esponenti di una critica in via di specializzazione? Potremo qui misurare lo scarto che si stabilisce tra il cineasta della Gaumont e la nuova generazione di intellettuali che emerge dopo la guerra del 1914. Questa generazione applicherà la nuova concezione, elaborata in quegli anni, dell'artista creatore di film, a un regista della generazione precedente, al quale tale nozione era certamente estranea.

c) Converrà infine tentare di situare il caso di Feuillade nell'ambito delle mutazioni subite dall'industria cinematografica tra il 1907 e il 1925.

La carriera di Feuillade comincia in un momento di profonda metamorfosi dell'industria cinematografica, in Francia e nel mondo. L'allungamento dei film, il passaggio dalla vendita delle copie al sistema del noleggio, la nascita dei primi esercizi stabili nei centri cittadini sono gli aspetti più conosciuti di questa trasformazione assai studiata dagli storici. (1)

Per una coincidenza significativa, tra il 1908 e il 1910 Léon Gaumont si reca più volte negli Stati Uniti. Di qui, egli intrattiene con Feuillade una corrispondenza in cui confida al suo collaboratore le osservazioni che gli vengono suggerite dall'organizzazione del cinema americano. (2) Ciò che si legge in questo scambio è il confronto fra due culture industriali. Léon Gaumont voleva copiare le formule degli americani, ma fece l'errore di aprire negli Stati Uniti una succursale per la vendita dei suoi film francesi, invece di costruire come il suo rivale Pathé un proprio teatro di posa. La Gaumont accumulò così un (relativo) ritardo, che la guerra del 1914 avrebbe accentuato. Si può avere l'impressione che le sue produzioni restassero a uno stadio "artigianale". (3)

Non è inutile, per entrare con più precisione nel dibattito, cominciare con l'indicare lo statuto e le funzioni esatte di Feuillade all'interno della Gaumont.

Feuillade viene assunto il 7 gennaio 1907 come "capo dei servizi artistici delle riprese e del teatro di posa".(4) E' un posto di responsabilità. Definisce un compito di produzione (come si direbbe oggi) e di organizzazione, valutato in termini finanziari precisi: 125 franchi a settimana e un compenso proporzionale alla lunghezza e al numero delle copie vendute: un compito, dunque, che presenta anche un aspetto commerciale. La nozione di "arte" non è assente dal campo delle sue qualificazioni; ma si capisce bene che essa è collocata su un piano collettivo. Il dettaglio è essenziale.

33.jpg (20440 byte) Si può dire che Feuillade, consciamente o inconsciamente, resti fedele a questo aspetto anche quando espone delle prese di posizioni personali.

Henri Fescourt, che fu suo diretto collaboratore dal 1912 al 1914, ci ha lasciato una descrizione abbastanza precisa delle funzioni di Feuillade. (5) "Quali erano le funzioni del direttore artistico così come egli le concepiva? Acquistare le sceneggiature, assumere i registi, assegnare loro un operatore, trasmettere le consegne, assistere alle riunioni di consiglio dopo la proiezione del martedì e, beninteso, mantenere i contatti con Léon Gaumont". (6)

Qualche tempo dopo, il suo contratto (rinnovato il 1 gennaio 1914) preciserà che "oltre a esercitare le funzioni di Direttore artistico, Monsieur Feuillade dovrà produrre, nel corso dell'anno, non meno di cinquanta soggetti diversi [...] di cui curerà egli stesso la mise en scène". Gli storici hanno da tempo notato come Feuillade svolgesse di fatto entrambi i ruoli: situazione di cui non si trova alcun equivalente esatto nella storia del cinema successiva, anche se vi si può vedere una sorta di prototipo del producer passato alla regia.

In che cosa consisteva, dunque, in quegli anni, la responsabilità del metteur en scène? E' ancora Fescourt a offrirci una risposta. (7) Scelto dal Direttore artistico fra gli attori o gli sceneggiatori, il metteur en scène "era libero di scegliere il soggetto" e di trattarlo come voleva. Sceglieva gli interpreti e doveva assumersi la "responsabilità morale del prezzo di vendita" del film. Svolgeva la funzione di "cassiere della spedizione" quando decideva di girare in esterni. Infine, doveva sottoporsi al famigerato tribunale del martedì mattina, che decideva della sorte del suo film e spesso della sua.

Non si può certo dire che in ciò manchi una responsabilità creatrice, così come noi oggi l'intendiamo. Il regista, tuttavia, non viene mai definito con il termine di "autore". Termine che resta invece a lungo riservato all'autore del soggetto. Si ricorderà, d'altronde, che Feuillade aveva cominciato proprio in quel ruolo, continuando a redigere da sé i canovacci dei suoi film lungo tutta la sua carriera - come mostra l'esame dei depositi legali conservati alla biblioteca dell'Arsenal di Parigi, nei quali lo stile di Feuillade è abbastanza facilmente identificabile.

Alla Gaumont, la sceneggiatura viene sottoposta alla prova della famigerata "stanza della cassa". (8) Il Direttore di produzione ha dunque il compito di intervenire sui progetti depositati, in quella stanza, dagli aspiranti sceneggiatori. E' la seconda delle funzioni di Feuillade, quella di responsabile del comitato di lettura.

Si può pensare che la sensazione di essere un autore sia legata all'esperienza della scrittura. Come accade nel teatro - che in questo periodo rappresenta evidentemente il punto di riferimento fondamentale del cinema - colui che si considera come l'autore del film corrisponde all'autore del testo. Il metteur en scène non è che l'interprete o, come è stato detto, il servitore - qualunque libertà egli possa avere di rimaneggiare la sceneggiatura.

Ora, l'esperienza della scrittura è determinante nella formazione di Feuillade. Si può dire che egli si sia sempre pensato, o sognato, come uno scrittore. La produzione scritta dei suoi anni giovanili è abbondante. La scrittura fu la sua attività principale fino al 1905. Compose versi, (9) testi teatrali (10) e numerosi articoli giornalistici, principalmente pezzi di cronaca politica e resoconti di corride. (11) Iniziò anche a scrivere delle memorie fittizie sotto forma di un feuilleton mai completato. (12) Questa passione per la scrittura continuò anche dopo che era divenuto l'uomo importante della Gaumont; dedicava volentieri agli amici e ai conoscenti qualche brano in rima o dei poemetti di circostanza. Anche se non dava troppa importanza a questi scritti, non c'è dubbio che l'attività letteraria restasse per lui la più nobile di tutte.

Ma accettò di buon grado, così sembra, di rinunciare a questa vocazione non appena venne investito di più alte responsabilità.

Verso la fine della sua carriera, nel dicembre 1917, venne offerta a Feuillade la presidenza della Societé des Auteurs de Films, creata il mese prima da Camille de Morlhon. Egli la conservò fino al dicembre 1918. Questa carica onorifica segna il punto d'arrivo di un'evoluzione delle mentalità, e in primo luogo della sua, di cui si può vedere qualche traccia nelle prese di posizione di Feuillade su se stesso, che furono, del resto, piuttosto parsimoniose.

Feuillade era avaro di dichiarazioni. "Ce ne vuole davvero per far parlare questo diavolo d'uomo: è di una modestia tremenda e non ama la pubblicità", scrive Robert Florey, venuto a intervistarlo nel 1921. (13) Di fatto, l'elenco dei testi scritti di suo pugno a proposito della sua attività cinematografica, aggiunto a quello delle interviste, riempie appena una paginetta. (14) E ancor meno lo si sente parlare di se stesso. Ecco una differenza notevole con la generazione successiva, appassionata di manifesti e professioni di fede! Questa discrezione estrema non impedisce tuttavia la progressiva affermazione di uno statuto, di una missione e anche di un progetto estetico. Col passare degli anni, Feuillade si "scoprirà" poco a poco (come si dice nel gergo della scherma), ma bisogna attendere gli attacchi venuti dai critici dopo il 1916 perché si esprima infine in modo esplicito, in prima persona. La scarsità di questi testi costringe a una lettura attenta; un'analisi semantica precisa non si rivelerà inutile.

Uno dei primi testi teorici (forse il primo) di Feuillade è il manifesto della "Série esthétique", nel 1910. (15) Il testo è scritto in prima persona plurale, come quasi tutte le dichiarazioni successive di Feuillade, senza che sia possibile stabilire se si tratti di un plurale di maestà o di un plurale collettivo pronunciato a nome della compagnia Gaumont. E' probabile che l'autore intendesse giocare sull'ambivalenza della formulazione. L'individuale si trova in tal modo confitto nell'istituzionale, con cui si confonde senza alcun disagio.

In questa breve dichiarazione, il problema è già quello degli "autori di film". A loro, costretti fin qui nell'ambito dell'imitazione del teatro, Feuillade propone come paradigma "l'arte del pittore" e come modelli da seguire Millet e Puvis de Chavannes. Lasciamo da parte le connotazioni estetiche di questi esempi (che non rientrano nei miei scopi) e rileviamo come la coscienza artistica nascente del cinema cerchi il suo punto di riferimento nella più individuale delle forme d'espressione, quella pittorica, che si trovava, dagli impressionisti in poi, al centro dell'attenzione degli intellettuali.

Il 22 aprile 1911, Gaumont fa uscire sul Ciné-Journal (16) (( il manifesto della serie "La Vie telle qu'elle est". (17) "Per la prima volta nella storia della fotografia animata", scrive Fescourt, "veniva espressa con forza una posizione estetica e, al di fuori di ogni empirismo, veniva scientemente definito un genere". (18) Feuillade parla ancora a nome dell'istituzione che rappresenta. La questione è stavolta quella degli "editori" di cinema. Non si tratta di un programma d'autore, ma di una politica produttiva. Si presenta il "progetto, da noi concepito, di un'innovazione che aspira a sottrarre il cinematografo dall'influenza di Rocambole per dirigerlo verso più alti destini". Il pubblico viene installato, come accadrà anche in seguito, nella posizione di arbitro del gusto: "Noi offriamo [queste scene] al pubblico, nostro giudice, con piena fiducia". Feuillade ritrova così spontaneamente il tono e l'argomento di grandi modelli quali Molière o La Fontaine. (19) Le regole del successo vengono enunciate in pochi termini: osservazione, "atmosfera", semplicità. Il lavoro degli operatori ha il suo peso.

Presentando La Tare sulla stessa rivista, Feuillade ripropone la stessa teorica, ma il suo contributo personale traspare più nettamente: in questo film, dice, "l'autore" ha potuto "sviluppare il suo pensiero in tutta l'ampiezza che esso comporta" (primo riferimento a un pensiero d'autore). L'"autore" riassume la sua tesi parlando in terza persona, o in prima plurale. "Siamo consapevoli di contribuire alla demolizione di tutti i pregiudizi fin qui nutriti sul valore delle opere cinematografiche". L'inizio conferma che questo "noi" è istituzionale: "la produzione dei nostri stabilimenti".

Rispondendo nel Natale 1919 all'inchiesta della rivista Le Film, (20) Feuillade utilizza il pronome "io" per la prima volta, ma se lo fa è per raccontare l'inizio della sua carriera. Il passo compiuto è importante.

Il cinema ha ormai abbastanza anni alle spalle perché si comincino a scrivere le biografie dei suoi pionieri, prima tappa verso la costituzione della storia di un'Arte (si rammenti che Vasari cominciò di qui per fondare la storia della pittura...), e perché si affermi l'individualità dei singoli autori.

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E' proprio Feuillade a pronunciare il termine. "Ho sempre pensato che il cinema avesse bisogno di autori specializzati in quest'arte", dichiara, ripetendo un'idea condivisa da un gran numero di suoi contemporanei. (21) "Autore" assume qui un significato ben preciso: si tratta ancora una volta dell'autore del soggetto, dello sceneggiatore. Feuillade rivendica di essere un autore precisamente in questo senso: "salvo rare eccezioni, ho sempre scritto personalmente i miei soggetti". Questa rivendicazione, che rinvia alla superiore dignità dell'atto di scrittura, viene qui rivolta conto la pratica dell'adattamento. Sappiamo tuttavia che alla Gaumont non si concepiva la possibilità di due specie distinte d'autore, lo scrittore e l'adattatore (semplicemente perché si sarebbe dovuto pagare due persone diverse...). Comincia così ad affacciarsi una nozione di autore cinematografico in quanto autore "completo", concezione che sulla lunga durata finirà per prevalere nel cinema francese.

Ma non anticipiamo. Se una coscienza autoriale va affiorando in questi anni, è quella che designa la padronanza del processo creativo, e non certo la rivendicazione dell'espressione di un universo personale, secondo la concezione di oggi.

A partire dal 1919, sotto l'influsso di nuove idee e oggetto degli attacchi che ricostruiremo più oltre, Feuillade espone più apertamente le sue opinioni. Egli tende però ad assumere una posizione difensiva, che si potrebbe definire - anacronisticamente - "anti-autoriale", nella misura in cui egli rifiuta l'idea che il film serva da veicolo di una visione del mondo o all'espressione di un messaggio. "L'autore non pretende né di riformare i costumi, né di rivelare da un Sinai fumoso qualche verità vecchia come il mondo [...]. Si è sforzato di creare dei tipi [...], di far nascere un intrigo che possa catturare l'attenzione del pubblico per dodici settimane" (22) dichiara in uno dei suoi testi più noti. Questa modestia ostentata resterà la sua linea di difesa costante. Feuillade si considera un artigiano, un buon creatore di storie, niente di più.

Nel 1922, prende ancora il pubblico a testimone, in un'apostrofe in stile latino: "Guarda queste immagini, o pubblico!" (23) Il tono, stavolta, è più polemico e Feuillade si arrischia a esprimersi in prima persona: ma è in quanto oratore che dà del tu al suo pubblico. Attacca "i cineasti e gli écranistes" - neologismi che rifiuta - "gente di talento e denigratori", rivendicando per sé una sola etichetta, quella di "autore pubblico". Perché "autore"? Perché scrive i suoi soggetti. E "pubblico"? Si compiace di questo epiteto, che considera il più nobile, poiché si proclama il servitore, lo "schiavo" del pubblico.

L'uso di una fraseologia classica (lo diceva anche Molière) non deve ingannare. Il regista della Gaumont è oscuramente consapevole che il suo ruolo è cambiato. Non è più signore esclusivo della realizzazione di produzioni destinate alle folle. E' divenuto il portavoce di un'istituzione che si è ramificata e massificata. La sua autonomia non è più così grande come continua a sembrargli.

Tuttavia, la prima persona si afferma senza esitazione nel 1923, nella presentazione di Vindicta. (24) Feuillade si definisce "regista" (è la prima volta che utilizza questa formula). Egli espone un'estetica popolare ispirata ancora una volta alla dottrina classica: commuovere e divertire. "Cerco umilmente di ricreare (25) la folla dei miei contemporanei". Ma è tempo di bilanci e la modestia come sempre ostentata dell'autore dissimula male, stavolta, un fremito di fierezza: "Non farei che nascondere il vero, se non dicessi che sono spesso riuscito in questo intento".

Primo di una lunga stirpe (che si potrebbe spingere fino ad Alain Poiré o Claude Berri), Feuillade si colloca ormai su una linea ideologica che viene precisandosi soltanto negli ultimi anni della sua carriera: rifiutando le ambizioni oltranziste dell'opera d'autore, difende un tipo di cinema che si dà come un divertimento di qualità e di cui si vede come un onesto artigiano. (Pur essendo, piuttosto, un dirigente d'impresa...) Eccolo così assumere una posizione rigida, che all'inizio non era affatto scontata e che sembra piuttosto il risultato della "guerra di trincea" che lo oppone negli ultimi anni a certi tenori della critica.

Era prevedibile che Feuillade, divenuto dopo la guerra un'autentica istituzione, il rappresentante (di già) del "cinema di papà", divenisse il bersaglio delle critiche della giovane generazione. La storia è abbastanza nota, (26) e qui non la richiamerò che per la parte utile al mio scopo: quella che riguarda il dibattito indiretto intorno alla nozione di "autore". Feuillade, che non si considerava tale, se non nel senso restrittivo sopra indicato, si trova di fronte a una critica che gli rimprovera di non essersi affermato in questo senso e che tuttavia lo vuole responsabile dello stile dei suoi film.

Certuni esprimono il loro disprezzo con il silenzio, come faranno in seguito, in modo pressoché unanime, le generazioni successive. (27) Nel 1925 (l'anno della morte di Feuillade), Léon Moussinac, in un primo bilancio della storia del cinema, non lo cita nemmeno. (28) Nello stesso anno Coissac gli concede una pagina, definendolo "sceneggiatore, direttore artistico e regista". (29) Ricciotto Canudo non insinua che tre allusioni nell'insieme dei suoi scritti. (30) "Louis Feuillade è un cinégraphiste popolare, nel senso in cui altri sono romanzieri popolari", dichiara, leggermente sprezzante, ma utilizzando di passaggio, per designarlo, il neologismo cinégraphiste, che implica, in ogni caso, che lo percepisca come qualcuno che "scrive per immagini".

Louis Delluc è più loquace. Il suo giudizio su Feuillade resterà sempre marcato da una certa ambivalenza. Il caso Feuillade sembrava procurare qualche imbarazzo all'autore di Fièvre, in quanto non rientrava facilmente nelle categorie estetiche che Delluc stava tentando di definire. Di fronte a Judex, cui riserva il suo sarcasmo, egli appare diviso: "degli amici mi hanno portato a vedere La Nouvelle mission de Judex. Abbiamo riso un sacco"; (31) "Ahimé! Judex, Judex, Judex, Judex, Judex, Judex, ecc. Perché? Louis Feuillade è intelligente. Dice e scrive delle verità armoniose. Sullo schermo dimostra anche un tatto, una visione nitida dei paesaggi, un desiderio d'azione che lo renderebbero interessante al massimo grado. Che dirà se gli dico che non merita questo abominio feuillettonesco? [...] Il primo Judex era, quanto meno tecnicamente, molto superiore a tutta la produzione francese del periodo. Se ce ne fosse un terzo...". (32) Il rimprovero che trapela è soprattutto quello di cedere alla facilità della serie. Delluc percepisce con intelligenza alcuni dei caratteri tipici del cinema di Feuillade (l'azione, il paesaggio), e tuttavia non vuole considerarlo come un cineasta: cerca di rinchiuderlo nell'ambito della mera competenza. A questo veterano, si permette di dare un consiglio: "Vede, M. Feuillade, lei non è capace di fare questi film. La sua situazione, il suo successo le permettono di volerli fare. Ma davvero lei non vuole che dei Judex e, negli intervalli, delle sciocche commediole che fanno quasi rimpiangere Judex?".

Alcune settimane prima, (33) constatando che Feuillade aveva i suoi sostenitori e i suoi avversari, Delluc confessava di non essere fra i suoi "nemici", ma nemmeno nel novero dei suoi ammiratori. Ai suoi occhi Feuillade è "un gran lavoratore", non un creatore; per il giovane critico, infatti, un creatore è "qualcuno che avanza sempre nella sua ricerca". Pur ripetendo che si tratta del "miglior metteur en scène di Francia", Delluc sembra mettere una certa ironia in questa definizione (nei suoi scritti, d'altronde, metteur en scène acquista una colorazione leggermente peggiorativa). (34) Agli occhi di Delluc, Feuillade ha il torto di non aver affermato la sua "concezione" del cinema. L'ironia su un Feuillade artigiano del cinema, privo di idee, prosegue nei testi successivi. All'uscita di Barrabas, nel 1920, Delluc utilizza una formula assassina: "Louis Feuillade, a cui dobbiamo Judex, La Nouvelle mission de Judex, Tih-Minh, Vendémiaire ecc... Dobbiamo? Che assurdità", (35) e in un nota incidentale del 1923 lo presenta come "l'inventore della macchina per fare quattro film in una volta". (36)

Feuillade avrà soltanto un'occasione per replicare indirettamente a Delluc, intermediario André Lang. (37) Intervistato da quest'ultimo, Louis Delluc aveva attribuito a Feuillade queste parole: "voi fate bene a sperimentare, io sono troppo vecchio, io continuo". Rispondendo a sua volta alle domande del giornalista, Feuillade rifiuta la paternità di questa frase. "Credo di essere io il più vicino alla verità", risponde sicuro, formulando la sua famosa tirata in elogio degli "impiegati del metrò", primo pubblico del cinema ed emblema di quel pubblico popolare per cui egli afferma di aver sempre voluto lavorare. "Bisogna rispettare la sua sentimentalità e saperne trovare la via". Non si accorgeva, Feuillade, di rinchiudersi nella dialettica dei suoi avversari? Eccolo inchiodato, una volta per tutte, al ruolo di fabbricante di film in serie, assoggettato alle richieste del pubblico... Questa tattica difensiva gli impedisce del tutto, ormai, di manifestare una qualunque ambizione personale e di porsi quale autore dell'universo dei suoi film. "Non è grazie agli sperimentatori che il cinema riuscirà un giorno a conquistare il suo spazio, ma grazie agli operai del melodramma, di cui mi vanto di essere uno dei più convinti". "Operai" contro "sperimentatori": le posizioni si sono irrigidite e la frattura che d'ora in poi dominerà il cinema francese si è ormai fissata.

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La diatriba più viva è quella che oppone Feuillade a André Antoine. L'uomo del Théâtre Libre non fa certo parte della nuova generazione (ha 16 anni più di Feuillade), ma nel cinema è un esordiente: ha girato il suo primo film, Les Frères corses, nel 1915, a sessant'anni. (38) La critica comincerà presto a considerarlo un originale, o anche un marginale. I suoi cambiamenti d'umore diverranno celebri e alimenteranno le cronache. (39)

Antoine mantenne sempre un'attività regolare di giornalista e di critico. Non esitava a esprimere la sua opinione sul cinema e sulla gente di cinema: "I loro metodi surranées, le loro abitudini, la loro ricerca del guadagno [...]. Le formule facili e pronte per l'uso". (40) Nel 1919, in un testo intitolato "L'Avenir du cinéma", (41) protesta contro i "metteurs en scène" che "proseguivano di persona [prendendo cioè il posto dei veri sceneggiatori] le appendici popolari, i romanzi polizieschi, prima letteratura dello schermo".

Queste parole si riferivano anche a Feuillade? Certamente sì, visto che il suo nome viene citato dall'esigente regista di La Terre - insieme a quelli di Perret e di Gance - appena qualche riga più sotto.

A suo parere, tutti e tre questi registi avevano creato "dei film che sul piano tecnico risultavano assai belli, ma che per il resto non erano che imbarazzanti e desueti melodrammi". L'attacco, come si vede, adotta la stessa tattica e gli stessi obiettivi di quello sferrato da Delluc - con il quale Antoine ha peraltro ben poco in comune. Nel mirino, è ancora una volta Judex: "Ricordate Judex e gli altri prodotti raffazzonati dei vari Ponson du Terrail, dei Bois-Gobey, dei Gaboriau e dei Xavier de Montépin?", esclama Antoine. (42) Egli condanna tanto questo tipo di letteratura come coloro che si accontentano, pigramente, di adattarla; la sua concezione del vero "autore cinematografico" si basa su una duplice esigenza: che sia egli stesso l'autore del soggetto e che sia, soprattutto, un "inventore di immagini".

Non voglio qui soffermarmi sulla concezione dell'autore di Antoine, su ciò che essa presentava di radicalmente nuovo. Di fatto, tale concezione lo divideva tanto dai registi patentati come Feuillade che dai campioni dell'avanguardia. Malgrado tutto leggermente paranoico, Antoine si sarebbe mostrato recidivo nel giugno 1923, intervistato da André Lang. (43) In questa occasione, se la prende un po' con tutti, e specialmente con Jocelyn di Poirier, provocando una quantità di reazioni. (44) Feuillade, che era già stato oggetto delle sue frecciate, sceglierà stavolta di rispondergli indirettamente, nell'intervista già citata rilasciata allo stesso Lang. Antoine si era rammaricato che un progetto di Alexandre Arnoux, che aveva la cattedrale di Reims quale personaggio principale, non avesse incontrato l'attenzione dei produttori (ovvero, nella fattispecie, di Charles Pathé). "[Il film] aveva una sceneggiatura straordinaria: La Cathédrale... la nascita e la vita di Reims attraverso i secoli; e poi la fine, sotto le bombe... Una cosa inaudita. Non ne hanno voluto sentir parlare...". Feuillade risponde che non crede nei film senza storie. A suo avviso, "il cinema ha bisogno di grandi ingegni immaginativi". Rispondendo indirettamente all'attacco contro i romanzieri popolari, dichiara: "Ci rimproverate per le sceneggiature. Ma la qualità delle sceneggiature non ha nessuna importanza: Anatole France o Ponson du Terrail, sullo schermo, non sono altro che immagini, e i testi migliori non necessariamente producono le immagini più belle". Quanto al soggetto di Arnoux sulla cattedrale di Reims, Feuillade si dimostra incredulo, muove obiezioni di natura finanziaria (e qui ricompare lo spirito del produttore), che tuttavia nascondono un motivo più profondo: Feuillade crede esclusivamente in un cinema narrativo.

Replica di Antoine: "Louis Feuillade [...] è certamente l'uomo che più di ogni altro ha contribuito a disgustare del cinema tutti coloro a cui rimane un barlume di buon senso e di raziocinio. Judex è un documento sbalorditivo, che risulterebbe di squisita comicità se non si pensasse che simili elucubrazioni riescono a confondere tanti cervelli semplici e indifesi". Non entreremo nel dettaglio di questo dibattito, che trascolora nella lite maligna, se non per osservare che queste posizioni impedirono ai due protagonisti di riconoscere i loro punti di contatto, più numerosi di quanto non possa in apparenza sembrare: ad esempio, la pratica delle riprese in esterni, o il punto di vista sull'espressione per immagini e sulla sua autonomia rispetto al testo della sceneggiatura. In altri termini, essi condividevano in una qualche misura la coscienza del lavoro creativo svolto in proprio dal regista.

La cesura fra cinema "commerciale" e avanguardia che stava nettamente delineandosi negli anni Venti conferiva al dibattito sull'autore un significato nuovo. Nel 1926, Germaine Dulac commisera i registi vittime della "morsa economica", che definisce "schiavi": (45) il termine, in cui ci siamo già imbattuti sopra, acquista sotto la sua penna un valore fortemente negativo. L'autore autentico, quello dell'Avanguardia, si definisce per la sua indipendenza - o, almeno, è così che egli vede se stesso. Non dipende che dalla generosità dei suoi mecenati o dall'astuzia che lo assiste nel trovare i finanziamenti. (46) Non si vede come soggetto ai gusti del pubblico, ma libero di esprimere il proprio universo personale. Il regista che come Feuillade lavora in una grossa compagnia, se è privo di questo genere di preoccupazioni, diventa però una sorta di funzionario, il semplice portavoce di un patriottismo di impresa.

Il dibattito che qui troviamo in forma latente è un dibattito classico: dove passa il confine tra "arte di massa" e "arte per le masse"? Che cos'è un artista popolare? Tale dibattito eccede largamente il campo del cinema e non può essere sviluppato nello spazio limitato di questo articolo. (47) Ciò che viene messo implicitamente in questione è la dimensione d'impresa e l'autonomia che il creatore può avere al suo interno. Ora, Feuillade è legato a una struttura in via di industrializzazione, pur con i limiti che ho indicato all'inizio. Egli accompagna questo processo conferendogli una sorta di garanzia artistica.

Georges Michel Coissac, cercando a sua volta di stabilire "chi è l'autore di un film", fa ricorso a due metafore significative. Nel 1926, paragona l'elaborazione di un'opera cinematografica alla costruzione di una casa. "Gli artisti sarebbero così gli operai, i carpentieri, i muratori, gli elettricisti, ecc., e il regista assumerebbe il ruolo del capomastro. Ora, per costruire una casa come si deve, il capomastro ha bisogno che l'architetto non si limiti alle fondamenta". Ciò significa che il regista è appunto l'architetto che resta in cantiere dall'inizio alla fine. (48) Nel 1929, Coissac cita "E. L. Fouquet, che, in Tout Cinéma, paragona le diverse componenti dell'arte cinematografica a quelle della letteratura: produttore-regista = autore del romanzo. Distributore-noleggiatore = editore del romanzo. Esercente = librario". (49) Questi paragoni, fortemente marcati in senso ideologico, ci fanno comprendere ciò che era in gioco in questo inizio degli anni Venti: l'integrazione della funzione creativa all'interno di un sistema razionalizzato del lavoro.

Feuillade ha finito per trovarsi alla testa di un'impresa dell'epoca industriale, totalmente organica a una produzione "per le masse", ma ha mantenuto la convizione, appartenente a un'epoca precedente, di essere un "operaio", di lavorare con le proprie mani. (50)

Dovremmo cercare di non peccare di anacronismo nell'affrontare queste diatribe intorno al ruolo e alla responsabilità del creatore. A noi esse evocano la celebre politique des auteurs della fine degli anni Cinquanta. Ma nel periodo iniziale della critica cinematografica francese la colorazione semantica di questa nozione era tutt'altra rispetto a quella che avrebbe assunto in seguito. All'epoca di Trauffaut, il termine comportava un'accezione valorizzante ed era divenuto lo strumento di una pratica polemica: il cinema degli "autori" si contrapponeva al cinema dei non-autori; la distinzione fra gli uni e gli altri era oggetto di continui aggiustamenti e conflitti fra le diverse scuole di pensiero. (51) Oggi la nozione si è molto stemperata, al punto che quasi tutti i registi possono aver diritto alla qualifica di autore. La storia del cinema viene rivisitata e l'etichetta viene applicata retrospettivamente. Così, anche Feuillade ha potuto beneficiare di questo tipo di rivalutazione.

Ma negli anni Venti i termini che si dividevano il campo semantico non erano gli stessi. "Cineasta", "regista", "autore" fanno la loro prima apparizione alla fine di questo periodo, ma non hanno ancora né i contorni netti, né il valore che assumeranno trent'anni più tardi. Si può fare del cinema, e rivendicare la responsabilità dei film che si realizzano, senza doversi per forza definire autori. E' ciò che fa Feuillade quando si concede, all'occasione, questa piccola rivendicazione: "ci accontentiamo di concepire una sceneggiatura, e di portarla sullo schermo". (52) I suoi avversari ammettono che possiede uno stile, gli applicano la definizione di "regista", ma gli rimproverano, in fin dei conti, di non avere idee (o "concezioni" secondo la terminologia dell'epoca). Nelle rappresentazioni collettive di questo inizio secolo, segnato dalla lotta incessante fra gli accademismi e le avanguardie, lo spartiacque principale è verosimilmente questo. Esso ha ben poco a che vedere con il contesto (semantico, ma anche, non dimentichiamolo, economico e strutturale) in cui è venuta sviluppandosi la rivendicazione moderna del "cinema d'autore".

(Traduzione di Monica Dall'Asta)


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