Archivio Storico:- ex Dipartimento di Musica e Spettacolo - Universita' di Bologna
NOTE a "Ombrecolore":
(1) T. Gunning, "Metafore colorate: l'attrazione del colore nel cinema dei primi tempi", in questo numero, pp.25-38.
(2) Si vedano ad esempio J. Allen, "The Film Viewer as Consumer", Quarterly Review of Film Studies, n, 4 (Fall 1980); S. Culver, "What Manikins Want: The Wonderful World of Oz and the Art of Decorating Dry Goods Windows", Representations, n. 21 (1988); J. Gaines, "The Queen Christina Tie-Ups: Convergence of Show Windows and Screen", Quarterly Review of Film and Video, n. 11 (Winter 1989); M. Hansen, "Adventures of Goldilocks: Spectatorship, Consumerism and Public Life", camera obscura, n. 22 (January 1990); K. Peiss, Cheap Amusements: Working Women in Turn-of-tbe-Century New York (Philadelphia: Temple University Press, 1986); J. Staiger, "An-nouncing Wares, Winning Patrons, Voicing Ideals: Thinking about the History and Theory of Film Advertising", Cinema Journal, n. 3 (Spring 1990); R. Williams, Dream Worlds: Mass Consumption in tbe Late Nineteenth Century France (Berkeley: University of California Press, 1982); J. Wolff, "The Invisbile Flaneuse: Women and the Literature of Modernity", Theory, Culture and Society, n. 2 (1985).
(3) R. Abel, "Le pubblicità celesti della Pathé", in questo numero, pp. 39-59.
(4) W. Benjamin, Parigi capitale del XIX secolo (Torino: Einaudi, 1986), p. 232; ed. or. Das Passagen-Werk (Frankfurt am Main: Suhrkamp Verlag, 1982).
(5) Cit. in W. Benjamin, Op. cit., p. 250.
(6) Kroloff cit. in W. Benjamin, Op. cit., pp. 237-238.
(7) W. Benjamin, Op. cit., pp. 231-232.
(8) Ibid., p. 686.
(9) Etimologia della parola comfort: "Il signifiait autrefois, en anglais, consolation (Comforter est l'épithète de l'Esprit-Saint, consolateur)". Cit. in W. Benjamin, Op. cit., p. 296.
(10) "Il XIX secolo è stato come nessun altro morbosamente legato alla casa. Ha concepito la casa come custodia dell'uomo e l'ha collocato lì dentro con tutto ciò che gli appartiene, cosi profondamente da far pensare all'interno di un astuccio per compassi in cui lo strumento è incastonato di solito in profonde scanalature di velluto viola con tutti i suoi accessori. È quasi impossibile trovare qualcosa per cui il XIX secolo non abbia inventato una custodia". Benjamin, Op. cit., pp. 290-291. Nella casa-guscio, la sensibilità ottocentesca si abbandona alla noia: "La noia è un caldo panno grigio, rivestito all'interno dei più smaglianti colori" (p. 156). Ma questi colori sono appunto qualcosa come una fodera confortevole, qualcosa come "peluche per l'occhio" ("La peluche è il materiale dell'era Luigi Filippo", p. 177). Questo carattere di peluche del colore è ciò a cui si riferisce Brusatin quando individua nel gusto cromatico ottocentesco una specie di "resistenza" nei confronti delle nuove tecniche di produzione industriale del colore: "Accanto all'appiattimento industriale della tinta, nasce, come rifiuto di ogni colore meccanico, l'effetto inverso di un 'colore estetico', ancorato alla memoria, una sensibilità colta che fa sorgere tutte quelle attenzioni verso i colori perduti, le tinte attenuate e consunte dall'uso e dagli sguardi, le patine del tempo". M. Brusatin, Storia dei colori (Torino: Einaudi, 1983), pp. 7-8. È proprio questa la "intonazione cromatica" prediletta dal pochoir, come ad esempio appare in questa descrizione del processo Handschiegl (vedi nota 23): "Questo processo non conferisce al film colori sfolgoranti e troppo evidenti, ma ammorbidisce ed attenua la colorazione delle scene fino a un effetto quasi pastello [... Questi colori] somigliano alle tinte e alle sfumature delle famose illustrazioni di Du Lac. Essi armonizzano e miscelano, ma non sono troppo ovvi". "Lasky Chiefs Working on Color Process", Moving Picture World (9 February 1918), p. 832.
(11) Sull'infantilismo del cinema delle origini ("infantilisme au sens clinique") cfr. N. Burch, La Lucarne de l'infinie (Paris: Nathan, 1991), pp. 64, 184-185; trad. it. Il lucernario dell'infinito (Parma: Pratiche, 1994).
(12) Sul carattere di giocattolo del cinema di Méliès, il riferimento fondamentale è naturalmente il saggio di Antonio Costa La morale del giocattolo (Bologna: Clueb, 1989). "Con il cinema entra nei boulevards un dispositivo che permette di mostrare 'giocattoli viventi', che si muovono e vivono sullo schermo. Giocattoli vivi, come il 'petit souillon' con cui giocava il bambino nella baudeleriana Morale de joujou (1853), per il quale i genitori 'par economie, avaient tiré le joujou de la vie meme'. Se i fratelli Lumière per primi avevano messo a punto l'apparecchio, Méliès è sicuramente tra i primi che intuiranno la natura di giocattolo vivente delle immagini" (p. 156).
(13) L'immagine dell'acquario come metafora della vetrina viene proposta nel commento a una visione "sottomarina" di Gerstacker, che Benjamin descrive come "una compiuta sublimazione dei passages con le loro cianfrusaglie che proliferano dalle vetrine" (p. 694), descrizione che potrebbe applicarsi altrettanto bene alla fantasmagoria subacquea di Méliès. La metafora dell'acquario serve a Benjamin per evidenziare la natura "fatata" del mercato moderno e deriva probabilmente da La Paysan de Paris [1926] di Louis Aragon (Paris: Gallimard, 1953), che costituisce una delle principali fonti di ispirazione per lo studio sui passages. In anticipo su Benjamin, Aragon definisce infatti i passages come "ces acquarium humains déjà morts à leur vie primitive, et qui méritent pourtant d'etre regardés camme les recéleurs de plusieurs mythes modernes" (p. 21). Rischiarati da un "lueur glauque, en qualque manière abyssale", gli oggetti nelle vetrine paiono emanare "la phosphorescence des poissons". In un negozio di bastoni da passeggio nel Passage de l'Opéra, Aragon crede perfino di scorgere "une forme nageuse [...] ce charmante spectre nu jusqu'à la ceinture" (pp. 30-31): una sirena!
(14) Cfr. M. Brusatin, Op. cit,
(15) J. Epstein, "Bonjour Cinéma" [1921), in Ecrits sur le cinéma (Paris: Seghers, 1974), p. 95.
(16) Henry, "Colored Motion Pictures", Mouing Picture World, voi. VIII, n. 13 (1 april 1911), p. 721.
(17) Ibid.
(18) W. Benjamin, Op. cit., p. 285.
(19) Ibid., p. 287.
(20) Ibid., p. 285.
(21) Ibid., p. 291.
(22) Henry, Op. cit., p. 721.
(23) "Un processo di colorazione piuttosto simile [al pochoir] venne sviluppato da Max Handschiegl, un tipografo di St. Louis, e da Alvin Wyckoff, del laboratorio Famous Players-Lasky, sotto la direzione di Cecil B. De Mille. Questo sistema [...] si basava sull'applicazione della tecnica della litografia a colori alla pellicola cinematografica". R. Nowotny, The Way of All Fksh Tones: A History of Color Motion Pictur Processes (New York R London, 1983), p. 13. Questo testo contiene fra l'altro l'elenco completo dei film colorati tramite il sistema Handschiegl, che rappresenta una sorta di ambiziosa, per quanto tarda risposta americana al successo dei film a pochoir della Pathé. Ambiziosa perché si verifica nonostante l'affermazione del lungometraggio, che aveva invece costretto la Pathé a rinunciare per sempre alle sue celebri colorazioni.
(24) De Mille allude qui al processo della "cinematografia in colori naturali" sviluppato da Albert G. Smith fin dal 1908 e commercializzato da Charles Urban sotto il nome di Kinemacolor.
(25) C. B. De Mille, cit. in "Lasky Chiefs Working on Color Process", cit., p. 832.
(26) Ch. Kattenbelt, "Il colore e il bianco e nero nelle prime teorizzazioni sul cinema", in questo numero, pp. 163-174.
(27) I. Degenhardt, "Assenza e presenza del colore", in questo numero, pp. 71-87.
(28) La pratica di dipingere i set per esigenze di natura fotografica era cBfusa fin dai primi anni del cinema (vi ricorreva, ad esempio, lo stesso Méliès). Ciò dipendeva dal fatto che la pellicola allora in uso era di tipo ortocromatico, sensibile all'azzurro e al violetto ma quasi completamente insensibile al giallo e al rosso. (La pellicola pancromatica della Eastman Kodak venne commercializzata solo a partire dal 1926.) Ma, ovviamente, il controllo raggiunto dal Caligari sulla resa fotografica della pellicola ortocromatica non può essere paragonato ai primi tentativi di Méliès. La straordinaria coscienza fotografica che caratterizza l'intero movimento espressionista resta comunque un segno inequivocabile della sua peculiare sensibilità per il bianco e nero. Anche nel Caligari, il controllo sulla resa fotografica del bianco e nero è condizione preliminare della riuscita degli effetti di colorazione. Questa ricerca nella pratica fotografica, che in questi anni è per forza di cose una ricerca sul bianco e nero, rende tuttora legittima, a prescindere dai numerosi ritrovamenti di copie colorate, l'ipotesi storiografica che vede nell'espressionismo un importante laboratorio per l'estetica del bianco e nero.
(29) G. Fihman, "Dalla Musica cromatica e dai Rythmes colorés al movimento dei colori", in questo numero, pp. 153-161.
(30) L. Gandini, "Il nero a colori", in questo numero, pp. 125-134.
(31) M. Brusatin, Op. cit., pp. 115-116.
(32) Ibid., p. 115.
(33) Ibid., p. 5.
(34) L'"estetica del lucido" che trionfa nel Novecento si presenta come l'esatto rovesciamento del "colore auratico" ottocentesco. Mentre questo tende a comunicare un'idea di antichità (l'idea di un colore su cui il tempo ha lasciato le sue tracce, cfr. la nota 10), gli smalti, le cromature, le tinte metallizzate del Novecento esibiscono il loro carattere di "colore eterno". Ciò "appare ovunque nel segno della brillantezza e vetrosità delle vernici e degli smalti che danno al colore l'effetto ruggente dell'oggetto 'nuovo' appena uscito di fabbrica. Con l'uso e l'apparenza del metallo lucente [...] si assiste in realtà ad una falsificazione del concetto di durata [...]. E non si parla di metalli veri e propri, ma della diffusione della superficie del metallo lucido come 'colore' che assume l'aspetto levigato affine al vetro . Brusatin, Op. cit., p. 115.
(35) H. Salmi, "Colore, spettacolo e storia nel cinema epico", in questo numero, pp. 115-124.
(36) L. A. Jones, "Tinted Films for Sound Positives", Transactions of tbc Society of Motion Pictures Engineers (New York, 1929), pp. 1-24. L'autore è un tecnico dei laboratori Kodak. Questo articolo descrive fra l'altro una soluzione tecnica al problema che la colonna sonora costituisce per l'imbibizione, A tale problema viene spesso imputato l'abbandono delle pratiche di colorazione in coincidenza con l'avvento del sonoro. L'articolo di Jones dimostra come questa tesi sia improntata a un, sempre pericoloso, riduzionismo tecnico. Infatti: la colonna sonora rappresentava sì un problema, ma un problema per cui c'era una soluzione. Il passaggio al bianco e nero marca insomma un passaggio di natura estetica piuttosto che tecnica, l'emergere di una nuova "sensibilità in grigio". Della stessa opinione è anche Stephen Neale, che riferisce l'affermazione del bianco e nero puro allo sviluppo di una nuova concezione del realismo associata al sonoro.
(37) Ibid., p. 22.
(38) Ibid. p. 21.
(39) Ibid., p. 20.
(40) Ibid., pp. 21, 20 e 22.
(41) L'idea di timismo è uno dei fondamenti teorici della semiotica greimasiana. Il termine deriva dal francese thymie, "umore, disposizione affettiva di base" (Petit Robert). La "categoria timica" (opposizione euforia / disforia) "serve ad articolare il semantismo direttamente vincolato alla percezione che gli umani hanno del loro proprio corpo [...] e gioca un ruolo fondamentale nella trasformazione dei microuniversi semantici in assiologie: connotando come euforica una deissi del quadrato semiotica, e come disforica la deissi opposta, provoca la valorizzazione positiva e/o negativa dei diversi termini che compongono la struttura elementare della significazione". A. J. Greimas, J. Courtés, Sémiotique. Dictionnaire raisonné de la théorie du langage (Paris: Hachette, 1979), voce "Thymique".
(42) W. Uricchio, "Il colore e l'articolazione drammatica in The Lonedale Operator", pp. 61-70.
(43) Jones, Op. cit., p. 23.
(44) Stranamente, è lo stesso Jones (Op. cit., p. 5) a sostenere che "certamente l'uso di sostanze che conferiscano diversi e piacevoli colori all'immagine può [...] rompere la monotonia dell'osservare per lunghi periodi un film in bianco e nero e attenuare quei contrasti acuti che potrebbero altrimenti produrre impressioni spiacevoli".
(45) G. Fihman, cit,
(46) G. Roque, "Il colore: simultaneo e successivo", in questo numero, pp. 135-152.
(47) L. Moussinac, Naissance du cinéma (Paris: Povolozky et Cie, 1925), pp. 65-66.
(48) J. Aumont, "Colori d'uomo: la carne, il cosmetico, l'immagine", in questo numero, pp. 89-103.
(49) G. Simmel, Rembrandt (Milano: SE, 1991), p. 74.
(50) L. Fievet, "Vertigini cromatiche", in questo numero, pp. 105-114.
(51) B. Mayer, "Ejzenstejn; il suono dell'immagine, il colore del bianco e nero", in questo numero, pp. 175-187.