Archivio Storico:- ex Dipartimento di Musica e Spettacolo - Universita' di Bologna
RARI.M.D41.4 Riccardo
Prati Torino
: La riforma musicale, 1914 |
I pochi volumetti
pubblicati tra il 1914 e il 1915 nella collana I grandi
musicisti riflettono in modo latente l'orientamento
della rivista, offrendo una selezione piuttosto eterogenea
di monografie comprendente protagonisti storici del
riformismo musicale come Gluck (a cura di E. Ferrettini),
baluardi di una tradizione strumentale italiana caduta
nell'oblio come Corelli (L. Orsini) e compositori stranieri
già consegnati alla storia ma non ancora digeriti
appieno dal pubblico italiano come Bizet (G. M. Gatti) e
soprattutto Hugo Wolf, cui è dedicato il volume
d'esordio, affidato allo stesso Prati. Particolarmente
indicativa degli orientamenti editoriali appare la scelta di
Giuseppe Martucci (Capua 1856 - Napoli 1909), massimo
compositore strumentale e protagonista della rinascita
concertistica nel nostro paese, come rappresentante italiano
di un Ottocento musicale in realtà, proprio nel
Belpaese, monopolizzato dalla produzione operistica.
Martucci appare ai nostri occhi come il compositore meno
quotato della collana, ma questa evidentemente non fu il
l'opinione dei redattori della
«Riforma». L'approccio, a tutto
tondo, di Prati al suo soggetto è sostanzialmente
apologetico («fu grande maestro come fu grande
musicista, grande interprete e pianista insuperabile»)
ma non privo di meditati e dettagliati spunti critici ed
analitici. Nel ritratto che ne delinea, Martucci è
l'«antesignano di un risveglio artistico», un
«genio ... antesignano di nuove forme» chiamato a
scuotere un' «arte italiana» che «verso il
principio del secolo XIX ... aveva perduto tutta l'antica
vastità di pensiero», le proprie «energie
... assorbite esclusivamente ... dal teatro».
Fatalmente, di fronte ad un pubblico e a una critica
nazionale che predilige «l'arte teatrale anche
più facile e volgare» Martucci appare dunque
destinato al ruolo dell'artista incompreso, cui solo il
tempo potrà rendere onore. Prati non adombra
l'eccezionale merito e fama di Martucci come pianista,
ponendolo senza remore «a lato dei Rubinstein, dei
Liszt, dei Bülow e dei Tausig», ma è sul
Martucci compositore che sposta il baricentro della sua
importanza storica. Fil rouge della trattazione
è il rammarico per l'inversa proporzionalità
tra l'effettivo (a suo giudizio) valore delle opere e la
popolarità che riscossero, con riferimento in
particolare alla fortuna non del tutto meritata della
produzione pianistica a fronte del sostanziale disinteresse
e oblio riservato al resto di una produzione che, in ambito
cameristico, vocale e soprattutto sinfonico, egli reputa
qualitativamente «immensa». Prati non esita a
giudicare le romanze di Martucci inferiori solo ai Lieder di
Wolff, e la sua produzione sinfonica smaccatamente superiore
a quella di Mahler, attribuendole un connotato di equilibrio
e classicità unito ad «una individualità
originalissima e quasi solitaria». Assai meno perplessi ci
lascia quella «dote di una grande larghezza di concetti
e di idealità» che Prati attribuisce al Martucci
interprete, ricordando accanto alla rinomata attività
del direttore d'orchestra che sdogana audacemente i generi e
i repertori d'oltralpe divenendo eroe del culto wagneriano a
Bologna, anche la meno nota attività di trascrittore
di opere antiche, segnatamente quelle di padre Martini (sino
a quel momento noto solo come teorico), Boccherini, Corelli,
Rameau e Piccinni, le cui fonti erano disponibili nella
ricca biblioteca del Liceo Musicale bolognese costituita
attorno alla preziosa raccolta dello stesso Martini. Una
larghezza di orizzonti nello spazio e nel tempo che
lasciò un contributo all'evoluzione artistica e
culturale italiana forse più fecondo di quello che la
produzione musicale di Martucci fu in grado di produrre, un
contributo al quale «La riforma musicale» volle
rendere omaggio. Come si apprende dal
testo, Riccardo Prati studiò al Liceo musicale di
Bologna negli anni in cui Martucci ne tenne la direzione
unitamente all'insegnamento di Alta
composizione,2
ma ne fu discepolo solo in modo indiretto, attraverso il
magistero di Bruno Mugellini a sua volta tra gli
«allievi prediletti del Martucci». La
testimonianza di Prati presenta dunque un punto di vista
spiccatamente bolognese, riferendo di prima mano
sull'attività didattica di Martucci (tra i cui
allievi si annovera Respighi), sulle sue acclamate
performances pianistiche, sulla benemerita
attività direttoriale, dei pochi e negletti concerti
delle sue musiche cameristiche e sinfoniche, sulla
collaborazione artistica con Corrado Ricci, sulle recensioni
del «Resto del Carlino» e sulle analisi di Luigi
Torchi che costituirono all'epoca i soli contributi di
spessore musicologico dedicati alla produzione di
Martucci.3 Gianmario
Merizzi
2.
Insegnanti e allievi del Liceo musicale, a cura del
Museo internazionale e Biblioteca della Musica di Bologna,
2006 <http://badigit.comune.bologna.it/cmbm/scripts/vellani/index.asp>;
in particolare qui. 3.
L. Torchi, La sinfonia in re minore di Giuseppe
Martucci, «Rivista musicale italiana», III
(1896), pp. 128-166; Id., La seconda sinfonia (in
fa maggiore) di Giuseppe Martucci, «Rivista
musicale italiana», XII (1905), pp.
151-209. |