martedì 27 febbraio
2007, ore 21
Aula absidale (via
de' Chiari 25a)
ingresso gratuito - posti limitati
Francis
Poulenc (1899-1963)
Sonata
per clarinetto e pianoforte (1962)
Allegro tristamente
(Allegretto
– Très calme – Tempo allegretto)
Romanza (Très
calme)
Allegro con fuoco
(Très animé)
Elegia
per corno e pianoforte (1957)
Très calme
– Agitato molto – Très calme
Trio
per pianoforte, oboe e fagotto (1926)
Presto
(Lent – Presto
– Le double plus lent – Presto)
Andante (Andante con moto)
Rondo (Très vif)
Sonata per flauto e pianoforte (1957)
Allegro
malinconico
Cantilena (Assez lent)
Presto giocoso
Sestetto
per pianoforte, flauto, oboe,
clarinetto,
fagotto, corno (1932-39)
Allegro vivace
(Très vite et emporté – Subitement
presque le double plus lent)
Giorgio Babbini.
Ha seguito corsi di perfezionamento con Karl Leister e con Giuseppe
Garbarino all’Accademia Chigiana di Siena. Ha avuto
riconoscimenti in concorsi nazionali ed internazionali.
Giovanni Cacciaguerra. Si
è perfezionato alla Scuola di musica di Fiesole con Guido Corti
e alla Scuola di alto perfezionamento musicale di Saluzzo. Ha
effettuato concerti da solista con orchestre italiane ed ha eseguito il
terzo concerto di Mozart con l'Orchestra siberiana di Krasnojarsk.
Collabora con orchestre e gruppi d’importanza nazionale ed
europea.
Alessandro Emiliani.
Diplomato con lode all’Istituto musicale “Verdi” di
Ravenna, è risultato finalista in alcuni fra i più
importanti concorsi nazionali per flauto. Ha fatto parte
dell’Orchestra da camera “Città di Ravenna”.
Ha tenuto numerosi recital solistici e concerti in formazioni da camera
in Italia e all’estero. È stato primo flauto nelle
orchestre sinfoniche di Ferrara, Piacenza, San Marino e del Teatro
Massimo “Bellini” di Catania.
Luciano Franca. Si
è diplomato al Conservatorio “Rossini” di Pesaro col
massimo dei voti e ha vinto il Concorso “Zamboni” di
Cesena. È stato primo oboe nell’orchestra del Teatro alla
Scala di Milano e ha collaborato con altre importanti orchestre. Svolge
attività concertistica come solista e in varie formazioni
cameristiche ed incide per varie etichette discografiche.
Marco Lugaresi. Si
è perfezionato con Eberhard Marschall nella Musikhoch-schule di
Monaco di Baviera. Ha suonato con importanti orchestre e si è
esibito in numerosi festival musicali europei (Sanssouci Musikfestival
di Berlino-Potsdam, Ravennafestival ed altri). Col gruppo da camera
“L’Officina musicale” dell’Aquila ha realizzato
concerti nei maggiori teatri italiani e stranieri (Roma, Milano, Buenos
Aires, Toronto ecc.). Suona con l’orchestra d’archi
“I Solisti di Perugia”.
Stefano Orioli.
Perfezionatosi all’Accademia Chigiana di Siena con Guido Agosti,
ha vinto il primo premio al Concorso pianistico di Osimo. Dal 1983 ha
costituito un Duo pianistico con Mauro Landi, vincendo numerosi premi.
Ha effettuato registrazioni per emittenti europee e partecipato ad
importanti festival.
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I
cinque fiati della voce umana
Bruno
Maderna Ensemble
Alessandro Emiliani, flauto
Luciano Franca, oboe
Giorgio Babbini, clarinetto
Marco Lugaresi, fagotto
Giovanni Cacciaguerra, corno
Stefano Orioli, pianoforte
Nell’epoca
compresa tra la fine della guerra e il 1925 alcuni bar parigini
ospitarono le accese riunioni d’un gruppo di giovani
compositori: Francis Poulenc (1899-1963), Darius Milhaud (1892-1977),
Georges Auric (1899-1983), Arthur Honegger (1892-1955), Louis Durey
(1888-1979) e Germaine Tailleferre (1892-1983). I loro nomi comparivano
spesso affiancati nei programmi dei concerti che avevano luogo a
Montparnasse, nello studio del pittore Émile Lejeune.
Saldata da forti legami di complicità intellettuale, la
musicale combriccola fu battezzata Les Six, “i
Sei”, in una recensione di Henri Collet a un concerto di loro
musiche. La musica da salotto, da café chantant, balera, da
circo, come pure il jazz – per così dire,
l’eco musicale della vita di tutti i giorni –, sono
le spezie sonore che ravvivano le loro composizioni.
Nato e cresciuto a Parigi, Poulenc rappresentò in musica
l’eleganza, l’energia e lo spirito cosmopolitico
della capitale francese, che continuava ad essere
un’incubatrice delle avanguardie artistiche europee.
«Non ho principii e me ne vanto»,
dichiarò, «non ho alcun sistema di scrittura; i
sistemi per me sono un trucco». Assieme ad Érik
Satie, Igor Stravinskij fu la sua principale figura di riferimento:
«Se Stravinskij non fosse esistito, avrei mai scritto
musica?». Nella produzione di Poulenc prepondera la musica
vocale, e ad essa, in ispecie alle opere corali, egli attribuiva un
valore particolare. Accanto alla passione per la voce, che nel
monodramma La Voix humaine su testo di Jean Cocteau (1959) addirittura
si erge al rango d’un astratto eroe eponimo, il compositore
francese riconobbe il fascino che su di lui esercitavano gli strumenti
a fiato. Tale predilezione è testimoniata anche dal fatto
che, delle tredici opere da camera, ben dieci sono destinate ai fiati,
spesso affiancati dal pianoforte. Tra tutti gli strumenti, gli aerofoni
sono i più prossimi alla voce umana: come la voce,
trasformano l’aria interna dell’uomo in suono
assoggettandosi al ritmo della respirazione corporea. Il compositore si
deve quindi confrontare con l’analoga necessità di
modellare frasi musicali adatte alle necessità fisiche della
respirazione.
Nella poetica compositiva di Poulenc sono stati identificati tre stili
(‘sperimentale’, ‘neoclassico’
e ‘leggero’), che peraltro non si lasciano
ricondurre a periodi compositivi distinti della sua carriera: talvolta,
come nel caso della Sonata per clarinetto e pianoforte, dedicata
all’amico Arthur Honegger, essi si avvicendano dentro una
medesima opera. Allo stile ‘sperimentale’
appartiene l’Elegia per corno e pianoforte scritta in memoria
del grande cornista Dennis Brain: unico brano in un solo movimento tra
quelli proposti, esso presenta l’ulteriore
particolarità di aprire con una serie dodecafonica, ripetuta
altre due volte nel corso dell’opera. La Sonata per flauto e
pianoforte, scritta nello stesso anno dell’Elegia,
è caratterizzata dalla presenza di temi ampi e lirici nei
primi due tempi, mentre nel movimento finale il piglio giocoso prende
il sopravvento. Allo stile ‘neoclassico’ appartiene
il Trio per oboe, fagotto e pianoforte: Poulenc dichiara che il primo
tempo ha la struttura di un Allegro alla maniera di Haydn, mentre il
rondò finale deriva dallo Scherzo del secondo Concerto per
pianoforte di Saint-Saëns. Infine, nel Sestetto per
pianoforte, flauto, oboe, clarinetto, fagotto e corno si ritrovano
tracce delle ballate popolari degli anni ’30, della musica
circense e del ragtime, ossia le componenti proprie dello stile
“leggero” dei Six. Questo brano, che conclude il
concerto, fu inteso da Poulenc stesso come un omaggio alla multiforme
famiglia degli strumenti a fiato.
Luca Guariento, Elisa Vignando
studenti Laurea specialistica
in Discipline della musica
coordinamento e redazione
Maria Semi
ingresso gratuito - posti limitati
info:
tel. 051 2092413; soffitta.muspe@unibo.it
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