martedì 6 marzo
2007, ore 21 Aula absidale (via de' Chiari 25a) ingresso gratuito - posti limitati Érik Satie (1866-1925) La diva de l’empire Je te veux Igor Stravinskij (1882-1971) Russian Maiden’s Song (da Mavra) The Owl and the Pussy-Cat Tango per pianoforte Pribautki Kornilo
Nataška Polkovnik Starec i zajac Trois petites chansons Sorocenka
Vorona Cicer - Jacer George Antheil (1900-1959) Five Songs November Night
Triad Suzanna and the Elders Fate Defied The Warning Can-Can per pianoforte Darius Milhaud (1892-1974) Vocalise-étude op. 88 Six chants populaires hébraïques op. 86 La séparation
Le chant du veilleur Chant de délivrance Berceuse Gloire à Dieu Chant hassidique Cristina Zavalloni.
Nata a Bologna nel 1973, intraprende a diciott’anni lo studio del
canto e della composizione al Conservatorio “G. B.
Martini”, e vi affianca la pratica della danza. Interprete di
musica jazz, pop, lirica e contemporanea, comincia presto
un’intensa attività concertistica, esibendosi in
importanti teatri e sale da concerto mondiali (Lincoln Center di New
York, Concertgebouw di Amsterdam, Teatro alla Scala di Milano, Palau de
la Música di Barcellona, Barbican Centre di Londra, Palace of
Arts di Budapest, etc.), nonché in numerosi festival di musica
jazz (Montreux Jazz Festival, North Sea Jazz Festival, Free Music Jazz
Festival di Anversa, Moers Music, Bimhuis di Amsterdam, Umbria Jazz,
Rumori mediterranei di Roccella Jonica, London Jazz Festival, Suoni
delle Dolomiti). Ha collaborato con vari ensembles e orchestre (London
Sinfonietta, BBC Symphony Orchestra, Schönberg Ensemble, Sentieri
selvaggi, Musik Fabrik, Orkest De Volharding, Orchestra RAI di Torino,
Los Angeles Philarmonic) e con i direttori d’orchestra Martyn
Brabbins, Stefan Asbury, Reenbert de Leeuw, Oliver Knussen, David
Robertson, Jurjen Hempel, Georges-Elie Octor. Hanno scritto per lei i
compositori Louis Andriessen, Michael Nyman, Cornelis de Bondt e Paolo
Castaldi. Di recente si è avvicinata al repertorio barocco, a
Monteverdi in particolare: nel 2005 ha debuttato all’Opera di
Strasburgo nell’Incoronazione di Poppea e per il Festival di
Ravello nel Combattimento di Tancredi e Clorinda. Si esibisce in duo
con i pianisti Andrea Rebaudengo e Stefano de Bonis e con la violinista
Monica Germino. Ha inciso per le case discografiche Winter&Winter,
Felmay, Ishtar, Cantaloupe; attualmente ha un contratto con
l’etichetta EGEA.
Andrea Rebaudengo. Nato a Pesaro nel 1972, ha studiato pianoforte con Paolo Bordoni, Lazar Berman, Alexander Lonquich, Andrzej Jasinski, e composizione con Danilo Lorenzini. Vincitore di numerosi concorsi, ha suonato per le più importanti istituzioni concertistiche, tra cui le Serate musicali di Milano, l’Unione musicale di Torino, gli Amici della Musica di Padova e Verona, l’Ente musicale di Pesaro. Ha tenuto diversi concerti anche all’estero: in Russia, Stati Uniti, Turchia, Germania, Spagna, Inghilterra, Polonia, Irlanda, Serbia, Uzbekistan e negli Emirati Arabi. Si è esibito come solista con l’Orchestra dei Pomeriggi musicali di Milano, l’Orchestra sinfonica di Zwickau, l’Orchestra sinfonica “Giuseppe Verdi” di Milano e l’Orchestra sinfonica di Pescara diretta da Donato Renzetti. È il pianista dell’ensemble Sentieri selvaggi, con cui ha spesso presentato in concerto prime esecuzioni di autori contemporanei. Collabora con i compositori Louis Andriessen, Michael Nyman, David Lang e James MacMillan. Si esibisce in duo con la cantante Cristina Zavalloni e col violoncellista Sandro Laffranchini, con cui ha vinto la Web Music Competition di New York. Ha appena realizzato un CD, edito dalla Bottega Discantica, con musiche di Bartók, Stravinskij, Falla e Milhaud. |
Bad Boys Cristina Zavalloni, soprano Andrea Rebaudengo, pianoforte
Nel 1945 George Antheil intitolò Bad Boy of Music
la propria autobiografia. L’ironico soprannome,
‘ragazzaccio’, scelto sulle prime da Antheil per sé
stesso, finì per estendersi a tutti i giovani compositori
americani degli anni ’40, assetati di “novità”
e stanchi della tradizione musicale europea: un atteggiamento
irriverente che affondava le radici nel clima dissacrante della Parigi
anni ’10-’20. Il programma di questa sera propone appunto
le musiche di quattro bad boys
che, suppergiù un secolo fa, nella capitale francese trovarono,
accanto alle avanguardie pittoriche e letterarie, il terreno ideale per
una poetica musicale modernista, anti-accademica, vòlta, in
forme e modi diversi, a épater le bourgeois.
Ribelle a qualsiasi forma di tradizione (e insofferente dei contemporanei Debussy e Stravinskij), Érik Satie, compositore dalla vena sottile e mordace, fu un modello per le avanguardie artistiche parigine. Pianista nei café-concerts e nei cabarets, s’ispirò alle forme della musica d’intrattenimento in varie sue opere, fra cui le due chansons scritte per la cantante Paulette Darty, «la regina del valzer lento»: Je te veux (1901) e La diva de l’empire (1904), con i loro ritmi di danza – il primo è una valse chantée, il secondo si basa sul cake-walk, che furoreggiava oltreoceano – ben aderiscono alla tipica malizia fra il divertito e il malinconico dei versi degli chansonniers Pacory, Bonnaud e Blès. Nella Parigi d’inizio secolo visse e operò anche Igor Stravinskij, divenuto presto famoso per i suoi balletti: la prima rappresentazione del Sacre du printemps (1913), in particolare, rimase memorabile per lo scandalo che suscitò. I brani proposti questa sera mettono in luce le differenti “maniere” del compositore, dal ricalco del folklore russo ai recuperi neoclassici all’impiego di tecniche seriali. I cicli Pribautki (Facezie, 1914) e Trois petites chansons (Tre canzoncine, 1913) – su testi del folklorista Aleksandr Afanas’ev il primo e su canzoni apprese in famiglia il secondo – rievocano la tradizione popolare russa, con toni da filastrocca ed effetti onomatopeici. In Russian Maiden’s Song – tratta dall’opera Mavra (1922), libretto di Boris Kochno da Puškin – rivive invece il belcanto della tradizione settecentesca italiana, speziato però con elementi zingareschi. A mondi affatto diversi rimandano i brani composti negli Stati Uniti, dove Stravinskij si trasferì in seguito allo scoppio della seconda guerra: l’ammiccante Tango per pianoforte del 1940 e lo spiritoso song The Owl and the Pussy-Cat, su un nonsense di Edward Lear, del 1966 – curioso tentativo, quest’ultimo, di coniugare la musica seriale con l’atmosfera del cabaret. Improntata ad un indomito eclettismo è anche la produzione di Darius Milhaud: vi convivono accesi sperimentalismi, recuperi neoclassici e riferimenti al jazz e a ritmi sudamericani. L’intenso rapporto di Milhaud con la tradizione giudaica si riflette nei Six chants populaires hébraïques del 1925, ispirati a melodie popolari raccolte in Polonia: l’accompagnamento essenziale del pianoforte – lunghi accordi tenuti si alternano a figure più agili costantemente ripetute – mette in risalto il tono commosso e partecipe della voce sui versi in lode al Signore. Il magico potere evocativo del canto è infine esaltato nella Vocalise-étude del 1928. George Antheil, originario del New Jersey, sbarcò a Parigi negli anni ’20 e divenne uno dei principali esponenti del modernismo (per un po’ offuscò persino la fama di Stravinskij) grazie al Ballet mécanique (1927), per incudini, eliche d’aeroplano, campanelli elettrici, trombe di automobili e 16 pianole. Nei Five Songs, composti prima d’imbarcarsi per l’Europa (1919-20), l’essenzialità lirica dei versi di Adelaide Crapsey (1878-1914) è ben espressa da una linea melodica tesa al canto, sostenuta dalle ricche e pungenti armonie del pianoforte. Ritornato negli Stati Uniti, Antheil si dedicò alla realizzazione di balletti per il coreografo George Balanchine: da uno di questi, Dreams (1935), è tratta la trascrizione per pianoforte del frenetico e vorticoso Can-Can. Rocco de Cia, Daniela Galesi, Chiara Nozza ingresso gratuito - posti limitati info: tel. 051 2092413; soffitta.muspe@unibo.it |