UN INTERVENTO SUL
DAMS BOLOGNESE DA PERSONA INFORMATA SUI FATTI
Anche se è ormai passato oltre un mese, sento il bisogno di intervenire nel dibattito sul Dams bolognese, sviluppatosi sulle pagine locali del Corriere della Sera, a partire da un articolo dell’ex Rettore Fabio Roversi Monaco, del 3 febbraio scorso. Sono infatti troppe le inesattezze e le affermazioni infondate che rischiano di restare senza risposta. A differenza di molti intervenuti, ho avuto il privilegio di partecipare dall’interno alla intera vicenda del Dams, dalla sua nascita a oggi.
Quando si parla del Dams delle origini (primi anni Settanta), non bisogna mai dimenticare che ci riferiamo a un corso di laurea nuovo che raccoglieva poche centinaia di studenti, e nel quale di conseguenza erano possibili rapporti didattici e sperimentazioni pratiche che solo i bassi numeri consentono. Grazie al costante favore studentesco, il Dams bolognese è arrivato ad accogliere fino a un massimo di 1600 matricole all’anno, verso la metà degli anni Novanta, e ad avere, da solo, più di metà degli iscritti dell’intera Facoltà di Lettere. Da allora, certo, le cifre sono un po’ diminuite, per effetto soprattutto della concorrenza degli altri Dams, spuntati come funghi un po’ ovunque in Italia, a riprova comunque della bontà e dell’appeal del modello messo a punto nella nostra città.
Ma si può accettare in maniera acritica una concezione “vippistica” dell’Università (adombrata in alcuni interventi, a cominciare dal primo) per cui i docenti bravi sarebbero (solo) quelli famosi, confondendo così notorietà e valore scientifico? Di questo passo dovremo dare la cattedra anche alle sorelle Lecciso, magari in comunicazioni di massa, o a Valentino Rossi, magari in tecniche del linguaggio radiotelevisivo o, meglio, in dialettologia! Inoltre, è ovviamente indiscutibile che i vari Eco, Maldonado, Celati, Squarzina, Donadoni abbiano dato un contributo prezioso all’affermazione del nuovo corso di studi negli anni Settanta e Ottanta; ma perché, in questi casi (mentre si citano a sproposito Luciano Anceschi ed Ezio Raimondi, grandi intellettuali e grandi professori dell’ateneo felsineo, che però al Dams non hanno insegnato nemmeno un giorno e anzi, per dirla tutta, sono stati fra i principali oppositori della sua trasformazione in facoltà autonoma), non vengono mai ricordati nomi di docenti che per il Dams hanno fatto almeno altrettanto e sono stati amati da varie generazioni di studenti: come Fabrizio Cruciani, grande storico del teatro prematuramente scomparso, come il critico letterario e poeta Alfredo Giuliani, come il drammaturgo e regista Giuliano Scabia, che proprio quest’anno ha lasciato i ruoli universitari, dopo trentatrè anni di insegnamento ininterrotto (e chi ha avuto la fortuna di assistere anche una sola volta a un suo saggio finale credo capisca cosa ha significato Scabia per il nostro corso di studi)?
E poi, quando si dice che una volta il Dams aveva intellettuali e artisti famosi non provenienti dall’accademia mentre oggi questo non accade più, si dice una cosa solo in (piccola) parte vera e si dimentica: 1) che molti di costoro noti lo sono diventati dopo e magari un po’ anche grazie al Dams: penso a Omar Calabrese, a Ugo Volli, ad Antonio Costa (per stare ai nomi citati da Paolo Fabbri); 2) che dopo trentasei (36) anni è del tutto naturale che le discipline artistiche e massmediologiche abbiano prodotto specialisti interni all’università, spesso di alto profilo internazionale, e siano quindi soprattutto loro a insegnarle (da noi insegnano, per fare solo alcuni esempi, uno dei maggiori storici del teatro italiani, Claudio Meldolesi; Eugenia Casini Ropa, benemerita pioniera dell’introduzione delle discipline della danza all’università; Lorenzo Bianconi, leader indicusso della musicologia nazionale, e alcuni agguerritissimi, giovani studiosi di cinema, formatisi con Costa e con Leonardo Quaresima; 3) è vero, tuttavia, che l’apporto di grandi professionisti e di artisti esterni dovrebbe essere maggiore, ma dove sono le risorse per chiamarli oggi? Chi lotta quotidianamente su questo fronte sa quanto sia difficile ottenere contratti che superino le cifre irrisorie di 2000-3000 euro, con le quali certamente non si catturano gli Eco, gli Squarzina e i Maldonado extra-accademici di oggi (supposto che esistano). E tuttavia, come ha già opportunamente ricordato l’attuale direttore del Dipartimento di Musica e Spettacolo, Franco La Polla, non abbiamo affatto rinunciato alle collaborazioni prestigiose: da Giuseppe Bertolucci per il cinema a Luca Ronconi e Marco Martinelli per il teatro, a Virgilio Sieni per la danza; e abbiamo ensembles musicali in residenza nei laboratori di via Azzo Gardino (Gruppo FontanaMix).
In condizioni difficili, come sono indubbiamente quelle attuali dell’intera università italiana, non solo del Dams o dell’ateneo bolognese, noi proponiamo ogni anno (con La Soffitta) un ricco e qualificatissimo “cartellone” di teatro-danza-musica-cinema, oggettivamente fra i più interessanti e innovativi in città, grazie anche alla collaborazione con l’Arena del Sole; con il Cimes, l’altro centro dipartimentale, organizziamo i “laboratori per la città”, come li ha voluti chiamare il suo attuale responsabile, Gerardo Guccini; due dottorati, di Teatro-cinema e di Musicologia (e tralascio le iniziative di Arte, non meno importanti). Per non parlare del Premio Dams (che proprio Fabbri ideò e di cui oggi sembra dimenticarsi). Non vedere tutto questo e parlare di un Dams ingrigito, normalizzato etc., mi sembra non solo ingeneroso ma proprio contrario al vero (e tanta disinformazione mette in sospetto, come ha giustamente osservato il Preside della Facoltà di Lettere, Giuseppe Sassatelli).
Vorrei chiudere tornando sulla questione cruciale delle attività pratiche. Come si fa a sostenere che “il Dams è diventato una facoltà come un’altra senza laboratori e senza attività pratiche” (Corriere della Sera dell’ 8 febbraio)! E’ esattamente il contrario: il Dams non mai proposto tanti laboratori e tante attività pratiche come oggi. Forse Paolo Fabbri non lo sa, essendosi trasferito a Venezia da diversi anni, forse gli ex studenti firmatari della letterina erano dei fuori sede e non frequentavano molto, fatto sta che non occorre essere degli Sherlock Holmes per scoprire che le cose stanno così, e da diversi anni: basta, ad esempio, andare nel sito dell’università e cercare sotto Insegnamenti e Laboratori!
Dal 2001, infatti, abbiamo colto l’occasione offertaci dalla riforma universitaria cosiddetta del “3+2” (sulla quale, per altro, continuo ad avere molte riserve), per rendere obbligatorie anche le attività pratiche (parlo del teatro, ma anche cinema e musica hanno introdotto qualcosa di analogo). Inoltre, l’acquisizione, dal 2002, dei locali di via Azzo Gardino nell’ex Macello (ora Manifattura delle Arti) ci ha fatto tornare in possesso di un vero spazio scenico polifunzionale (oltre che di un laboratorio cinematografico e di un auditorium musicale) che avevamo perso da quando dovemmo abbandonare il teatro di via D’Azeglio, alla metà degli anni Novanta.
Quindi tutto bene, tutto perfetto? Ovviamente no. Lo sappiamo –per ripetermi- che l’università vive oggi un momento non certo brillante dal punto di vista finanziario ma trovo ingiustificato e scorretto farne un (comodo) bersaglio ogni volta che si interviene sullo stato della cultura a Bologna, come se fosse l’università a frenare, a chiudersi, a sottrarsi alle collaborazioni. A me non risulta, almeno per quanto ci riguarda. Tutte le attività extradidattiche del Dipartimento di Musica e Spettacolo sono pensate anche in funzione della città e progettate spesso assieme ad altri Enti del territorio. Piuttosto, a volte, siamo noi a trovare difficoltà nel dialogo con gli altri soggetti istituzionali, proprio a causa del persistere di molti pregiudizi, in massima parte infondati, nei confronti del mondo universitario, sospettato a priori di elitarismo e autoreferenzialità. Ma la ricerca scientifica (e anche gli umanisti fanno ricerca o dovrebbero farla –sia chiaro- e la fanno anche, e spesso di altissimo livello, anche i neo-umanisti del Dams) può essere ridotta tutta e sempre a una specie di eterno, ininterrotto programma televisivo, costruito con gli stessi meccanismi commerciali e bassamente divulgativi dei prodotti pensati per il consumo di massa?
Veniamo
fuori da una lunga, snervante trattativa con l’Ateneo (conclusasi
bene, fortunatamente) per la conferma dei fondi indispensabili alla
gestione dei laboratori alla Manifattura delle Arti. Ebbene, in questi
mesi, da parte della città non mi è sembrato di cogliere la solidarietà
che sarebbe stato lecito attendersi: eppure il Dams è una risorsa,
anche come patrimonio studentesco, dell’intera Bologna, non della
sola Università. Ma il giorno che avessimo dovuto, malauguratamente,
lasciare gli spazi di Azzo Gardino non sarebbero mancate di sicuro
delle reazioni polemiche: il Dams smobilita, chiude i laboratori, non
è più quello di una volta! Ah, il bel Dams delle origini!
Marco De Marinis
Ordinario di Discipline Teatrali, coordinatore del Dottorato in Studi Teatrali e Cinematografici e responsabile scientifico del Centro La Soffitta (Dipartimento di Musica e Spettacolo)