27 marzo, ore 21
Laboratori DMS - Auditorium via Azzo Gardino 65a |
INCONTRO CON YOSHITO OHNO e anteprima italiana del film su Kazuo Ohno Jésus, feur, mort, vie di Kôki Tange (2006) ingresso libero Incontro con un maestro Yoshito Ohno (1938) è un signore giapponese quasi settantenne che si muove con gesti lenti e misurati, ha il cranio completamente rasato e indossa un sobrio abito a giacca nero. È, anche, un danzatore, un coreografo e un maestro -un maestro vero, uno di quelli di cui tanto si sente la mancanza, non solo nell'ambito della danza. È il figlio, l’assistente e l’erede artistico dell'ormai centenario ma sempre ironico e lieve Kazuo Ohno (1906), riconosciuto come il fondatore della danza butoh assieme al più sulfureo Tatsumi Hijikata (1926-1986). Eugenia Casini Ropa, storica della danza, e Giovanni Azzaroni, studioso di teatri orientali, hanno condotto l'incontro tra Yoshito Ohno e un pubblico curioso e attento che lo scorso aprile ha riempito la sala teatrale del Dipartimento di Musica e Spettacolo dell'Università di Bologna. Si è trattato di una tappa dell’ampio progetto che nell’arco di tre settimane ha proposto proiezioni video, una mostra di manifesti, un seminario e uno spettacolo dal vivo, Eye, offrendo la possibilità di gettare uno sguardo su una delle forme assunte dalla danza butoh, da quella “danza delle tenebre” nata in Giappone alla fine degli anni Cinquanta con una radicale volontà di rottura rispetto agli allora dilaganti modelli culturali occidentali e alla incombente tradizione di autoctone forme teatrali come il Noh e il Kabuki. Yoshito Ohno racconta squarci di vita e di esperienze, delineando un anomalo percorso di danzatore. Due gli eventi fondamentali: l'inizio, giovanissimo, del proprio apprendistato come unico e imbarazzato allievo maschio del padre, allora insegnante in una scuola di danza tutta femminile, e l'incontro, nel 1958, con Tatsumi Hijikata, di cui interpreterà vari lavori oltre allo scandaloso Kinjiki (Colori proibiti), l’opera fondante della danza butoh. Poi il cambiamento di rotta: “A trent'anni ho lasciato il palcoscenico, ho aperto un negozio e sono rimasto lontano dalle scene per diciassette anni, anche perché -confessa sorridendo- due artisti nella stessa famiglia portano inevitabilmente alla rovina economica”. Quando il padre, ultrasettantenne, raggiunge la fama internazionale con lo spettacolo La Argentina (1977), decide di seguirlo in tournée occupandosi delle musiche. “Durante una tappa in Israele, un amico mi disse che quando mi aveva guardato lavorare alla consolle gli era sembrato di vedermi danzare. Qualche giorno dopo mio padre, arrivati in un teatro che aveva un palcoscenico piccolissimo, mi disse che io ero l’unico adatto a muovermi in uno spazio così ridotto e mi chiese di danzare. Allora ho ricominciato. Averlo seguito da vicino per oltre cinque anni aveva trasformato il mio corpo da quotidiano a danzante.” Si apre la seconda fase creativa di un artista che oggi si propone come rispettoso erede di una tradizione e allo stesso tempo originale creatore di una danza contenuta e “quasi millimetrica”, come lui stesso la definisce. Movimenti minimi, tremori, passi incollati al terreno e un corpo vestito abitualmente di lineari abiti maschili contrastano felicemente, sulla scena, con la leggerezza e la serenità del padre, attivo fino a pochi anni fa, con i suoi saltelli e le sue grandi mani sempre in movimento, i morbidi abiti femminili e le colorate acconciature di fiori finti. Kazuo e Yoshito Ohno rappresentano un esempio di come il butoh stia percorrendo molteplici vie. “Se ci sono cento danzatori di butoh, ci sono cento modi di danzare il butoh. Dagli anni Cinquanta ad oggi il Giappone è cambiato profondamente, è cambiato il corpo dei Giapponesi, è cambiato il butoh. Il freddo delle regioni del nord non rattrappisce più i corpi come un tempo, reso meno aspro dal riscaldamento; i giovani hanno perduto l’abitudine di stare seduti a terra, sul tatami, ma usano le sedie: così non sono più capaci di abbassarsi; i corpi non conoscono più la morbidezza della luce che entra nelle case filtrata dai pannelli di carta, sostituiti dalla cruda trasparenza delle finestre di vetro. Il butoh dà importanza a ciò che si sente, oggi si dà importanza a ciò che si vede, e infatti il butoh è in crisi.” Yoshito Ohno ha ben chiaro il proprio ruolo. “Voglio trasmettere alle nuove generazioni ciò che Kazuo Ohno e Tatsumi Hijikata sono stati. I loro corpi sono da tempo dentro di me e fanno parte di me. Mi sono sempre considerato come un solido contrappeso alla loro follia creativa e quotidiana, anche se Hijikata mi diceva che avere uno spirito “normale” può portare alla follia ... e forse aveva ragione! Un giorno mostrai a mio padre una bella tazza con un piattino e gli dissi: io sono il piattino, tu sei la tazza. Rispetto a lui, io sono come le fondamenta robuste di un agile palazzo”. L’incontro volge al termine e Yoshito Ohno chiude con un’ultima considerazione: “Il vero maestro del danzatore butoh è la vita stessa: bisogna fare tesoro dei sentimenti che si provano nella quotidianità, ma si deve anche imparare da un fiore o da una roccia. Esistono i fiori belli, ma non esiste la bellezza dei fiori: per esprimere un fiore con la danza è necessario seminarlo dentro di sé, coltivarlo e farlo crescere fino a diventare quel fiore. Ognuno deve seminare e far crescere il proprio fiore, il maestro può solo aiutare l'allievo a trovare il modo di coltivarlo.” E certo non è un aiuto da poco. Elena Cervellati
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