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Cineteca di Bologna (fondo Italia-URSS)
Cineteca di Bologna (fondo Italia-URSS)
23 febbraio - 9 marzo Aula multifunzionale via Mascarella 44, Bologna ingresso gratuito venerdì 23 febbraio, ore 15 Padre Sergio (Otéc Sergéj, 1917-18, RSFSR, prod. Ermol’ev, 80’, DVD, v.o.) regia di Jakov Protazanov musicato da Giovanna Karen Vagata al piano mercoledì 28 febbraio, ore 17 Frammenti di un impero (Oblomòk imperij, 1929, URSS, URSS, prod. Sovkino, 78’, VHS, v.o.) regia di Fridrich Ermler giovedì 1 marzo, ore 17 Sciopero (Stacka, 1925, URSS, prod. Proletkul't e Goskino, 75', DVD, v.o.) regia di Sergej M. Ejzenštejn venerdì 2 marzo, ore 15 Il bacio di Mary Pickford (Poceluj Mary Pickford, 1926, URSS, prod. Mežrabpom Rus', 65', 35 mm, v.o. in ucraino) regia di Sergej Komarov giovedì 8 marzo, ore 17 L’uomo con la macchina da presa (Celovek s kinoapparatom, 1929, URSS, VUFKU, 60’, 35mm, v.o.) regia di Dziga Vertov musicato da Stefano Pilia alla chitarra ed effetti venerdì 9 marzo, ore 15 La galera (Katorgà, 1928, URSS, prod. Gosvojenkinò, 72’, 35mm, v.o.) regia di Julij Rajzman |
Dopo la rivoluzione tendenze del cinema muto sovietico (seconda parte) a cura di Michele Canosa e Dunja Dogo con i contributi musicali di Giovanna Karen Vagata e Stefano Pilia L’Ottobre
rosso del 1917 segna una svolta epocale per la Russia. E’
l’avvio del trapasso da un regime zarista centenario ad un altro
socialista, che è pura utopia. Il cinema sovietico degli anni
Venti si colloca proprio ai limini del secondo, in una zona cieca.
Negli esiti, la sua storia resta fatalmente un mito. E come ogni mito,
si mantiene necessaria e impossibile. Di oltre duemila film
accreditati, soltanto alcune decine sono oggi conservate. Ancora meno
sono le copie visibili. Ciò si deve a tanti autodafé.
Basti citare l’incendio delle copie evacuate dagli archivi
moscoviti durante l’assedio tedesco del 1941-43. Soltanto
recentemente si registra il ripristino del colore (rosso) del
Potëmkin (Ejzenštejn, 1925) che andò perso in quel
frangente. Così i cataloghi sono assiduamente rivisti e
corretti, almeno dal 1991. Perciò è stato più
facile tramandare i classici già esportati all’estero, a
scapito di altri lavori ‘sommersi’. Qui ne proponiamo
diversi. L’origine è molteplice: le accademie del GIK
(Istituto Statale di Cinematografia, Ejzenštejn, Barnet) a
Mosca, e della KEM (Laboratorio di Cinema Sperimentale, Ermler) a
Pietrogrado, gli indipendenti del collettivo Kulešov (Barnet e
Pudovkin) e la scuola dell’attore eccentrico (Jutkevic alla
FEKS). Al di là di questa diversità di scuole, il
programma trova unità sotto un’unica bandiera:
l’avanguardia sovietica. Un’avanguardia di punta rispetto
alle varie cinematografie nazionali. Tant’è che
Ejzenštejn e Pudovkin sono studiati da nazisti e fascisti
durante le rispettive dittature. Per i sovietici, l’innovazione
è massima anche con forniture millesimate. Ciò
nonostante, oggi in Italia questa stagione resta nell’ombra.
E’ una grave lacuna. Ecco, dunque, la ragione di questa rassegna:
riproporre una selezione di film sovietici per riabilitare alcuni
titoli. Forse, paradossalmente, per la stessa ragione che ha spinto
Stalin a bocciarli: la forma. Una forma inedita. Come avviene in
Frammenti di un impero (Ermler, 1929), che costituisce una summa dei
coevi dispositivi narrativi, usati in modo inedito. Tramite il
cosiddetto ‘montaggio delle attrazioni’ si esplicano
processi mentali ineffabili. Un amnesico che fu soldato zarista,
guarisce trafitto da una rapida immagine del passato. La raffica di
mitraglia tiene il tempo come l’ago della macchina da cucire.
Passato e presente s’intersecano. Per il proletario, questo
è il solo modo di superare l’abisso che divide la Russia
dall’URSS. Per il regista Fridrich Ermler, ugualmente proletario,
il mezzo è invece la macchina da presa. Allievo putativo di
Ejzenštejn e fondatore della KEM, Ermler è uno dei pochi,
tra i novatori, a venire dal milieu operaio. Costretto al lavoro
precoce, con un padre ucciso da uno cosacco spezzatore di scioperi,
senza istruzione, impara da sé l’alfabeto: le prime prove
di scrittura sono già dei brevi soggetti per film. Per
comprendere l’avanguardia sovietica vanno frequentati anche
questi registi minori (Ermler, Rajzman, Komarov). Senza dimenticare
che, spesso non sappiamo quale versione del film abbiamo di fronte. Non
è grave: si tratta di un male comune nella storia del cinema
sovietico. Rispetto a questa rassegna, fa eccezione la poco nota
vicenda del sequestro di L’uomo con la macchina da presa (Vertov,
1929). In tal senso il film costituisce sì l’epitome di un
periodo intenso, ma anche la sua fine. Ciò vale in particolare
per Dizga Vertov, che entro il ’30 abbandona la causa dei kinoki.
Sfuma così l’idea di un cinema d’assalto, di cronaca
e di puro montaggio. Agli antipodi si situa, invece, il veterano Jakov
Protazanov (1881-1945), che, da autodidatta, fa gavetta
nell’ultimo periodo Romanov. All’indomani del Febbraio,
resta dalla parte dei ‘russi bianchi’ seguendone la rotta
fino a Parigi. Nel 1923 su invito di una neonata impresa semiprivata
(Mežrabpomfil’m), è il secondo regista zarista a
rimpatriare a Mosca. Ma s’adatta con difficoltà, al pari
degli altri avanguardisti sempre meno autonomi. Sul finire del
decennio, incombe il ‘realismo socialista’. Ciò
minaccia non solo i singoli, ma anche i laboratori. Da principio si
distingue tra “arcaisti” e “novatori”. Poi
chiudono gli studi. Si formano i monopoli. Il 1930 conosce una sorta di
ritorno all’ordine. L’esperimento dura meno di tredici
anni. Iniziamo dal 1918. Sulle ‘morte macerie’ del cinema
zarista da subito s’innestano autonome produzioni,
all’insegna di una prassi finalmente esente dalla morsa censoria
dei dicasteri. È il caso (famigerato) di Padre Sergio
(Protazanov, 1918). Adattamento di un classico della Letteratura
(1890-98) – che a suo tempo agitò il Santo Sinodo –,
il film svolge il peccaminoso iter del principe Stepan verso Dio, senza
esclusione di colpi. Infatti Protazanov ricostruisce meticolosamente la
scena blasfema dell’eremita che s’amputa un dito per
reprimere con il dolore fisico la libidine. Dal 1919, anche dopo
l’esproprio di Lenin, senza sancire dogmi si tollerano influssi
stranieri. Si parla persino di ‘americanite’, quando si
sfrutta il modello americano. Soprattutto quello della slapstick comedy
sullo sfondo della breve parentesi di libero mercato (1921-26). Un buon
esempio è dato dal Bacio di Mary Pickford (Komarov, 1926). In
stile burlesco, il film ironizza sul fenomeno del divismo, inserendo
nella finzione alcune comparsate documentali di Fairbanks e Pickford in
tour a Mosca. Un buon esempio di ‘effetto Kulešov’.
In un clima autarchico di sfrenato lavorio per un cinema veramente
‘socialista’, i film si fanno e si disfano. Gli stilemi
anche. Ciò che accomuna la gran parte di questi lavori è,
piuttosto, un tema. Nulla di nuovo. Il nodo sta in un classico della
teoria marxista: il conflitto di classe. Com’è vero che lo
Stato non s’è estinto con la rivoluzione, così
l’antica questione delle classi persiste. Il cinema ne prende
atto.
ingresso gratuito info: tel. 051 2092413; soffitta.muspe@unibo.it |