LA SOFFITTA 2006
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MUSICA
17 gennaio - 27 maggio |
17 gennaio - 27 maggio
CONCERTI
marted́ 28 febbraio Aula absidale (via de’ Chiari 25a) ore 21 ingresso gratuito CENT’ANNI DOPO,
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A partire dall’Ottocento, con il consolidarsi della società borghese, si afferma la cultura del salotto e un genere di musica ad esso consono. La Salonmusik riunisce composizioni varie per forma e contenuti, capaci di giungere dritte al cuore, destinate all’intrattenimento o a esibire l’abilità di professionisti virtuosi. Tra chi alimenta tale repertorio vi sono gli autori delle musiche in programma stasera: compositori e interpreti eccelsi, che non disdegnano la produzione salottiera. Felix Mendelssohn-Bartholdy, erede di due famiglie di banchieri, viene educato in un ambiente familiare brillantissimo e severo al tempo stesso. Il nonno Moses, filosofo illuminista, e Goethe, amico di famiglia, sono i numi tutelari del salotto dei Mendelssohn a Berlino, dove si riuniscono abitualmente i fratelli Schlegel, Hegel, il giovane Heine. Nel 1832 Mendelssohn compone per due amici, il clarinettista bavarese Heinrich Bärmann e il figlio Karl, che suonava il corno di bassetto (un clarinetto in Fa che di lì a poco sarebbe caduto in disuso), i due Pezzi da concerto op. 113 e 114 per pianoforte, clarinetto e corno di bassetto. Si tratta di composizioni marginali nella produzione cameristica di Mendelssohn, ma non prive d’eleganza e smalto virtuosistico. Nell’esecuzione di stasera, secondo una prassi consolidata, la parte del corno di bassetto è affidata al fagotto. Michail Ivanovič Glinka proviene da una nobile famiglia russa di proprietari terrieri devota alla cultura occidentale. Frequenta abitualmente sia i salotti di Pietroburgo sia quelli europei, durante i numerosi viaggi in Occidente. Dal 1830 al 1833 soggiorna in Italia – soprattutto a Milano, dove incontra Mendelssohn –, per approfondire la conoscenza del melodramma. Proprio a Milano, nel 1832 (lo stesso anno dell’op. 113 e 114 di Mendelssohn), compone per due solisti del Teatro alla Scala il Trio pathétique per clarinetto, fagotto e pianoforte: una delle sue composizioni cameristiche più ispirate, caratterizzata da spiccati profili melodici che echeggiano la vocalità dell’opera italiana, ispirato fors’anche dal Quartetto con clarinetto del compositore finlandese Bernhard Henrik Crusell (1775-1838), che Glinka aveva ascoltato in giovane età e per il quale nutriva un particolare attaccamento. Il Trio pathétique è articolato in quattro movimenti relativamente brevi (i primi tre concatenati l’uno all’altro): un Allegro in forma sonata ma senza la ripresa canonica; uno Scherzo Vivacissimo dalla melodia ardente e appassionata; un Largo che ricorda una cantilena italiana e il Finale Allegro con spirito, concluso da una coda maestosa e virtuosistica. Nel 1932, esattamente cent’anni dopo i due brani di Mendelssohn e Glinka, Francis Poulenc intraprende la composizione del Sestetto per pianoforte, flauto, oboe, clarinetto, fagotto e corno, che completa solo all’inizio del 1940: un’opera gaia e variegata che esalta al meglio le caratteristiche idiomatiche dei cinque strumenti a fiato. L’esperienza artistica di Poulenc si inscrive in un’altra stagione della Salonmusik, distante nel tempo e nella concezione dai salotti di Mendelssohn e Glinka, legata alle richieste di musica disimpegnata ed elegante da parte di una borghesia europea che, passata la grande guerra, è disperatamente in cerca d’evasione. Poulenc, esponente di una ricca famiglia di imprenditori, aveva raggiunto la notorietà nel clima euforico della Parigi dei favolosi anni Venti come esponente del Gruppo dei Sei; ma all’inizio degli anni Trenta, tuttavia, ciascuno dei sei amici si muoveva in una direzione autonoma. Le sue musiche di quegli anni possiedono la brillantezza, l’ironia e lo charme tipico della Parigi degli “anni folli”, ma anche un volto sfuggente e inafferrabile, non privo d’una vena di malinconia. Nadia Malavolti coordinamento e redazione di |