LA SOFFITTA 2006
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MUSICA
17 gennaio - 27 maggio |
17 gennaio - 27 maggio
CONCERTI
sabato 27 maggio Aula absidale (via de’ Chiari 25a) ore 21 ingresso gratuito I Solisti dell’Orchestra MozartJacques Zoon flauto Lorenza Borrani, Étienne Abelin violini Lorenza Borrani violino con la partecipazione di
Ludwig van Beethoven (1770 - 1827)Serenata per flauto,violino e viola in Re maggiore, op. 25 Entrata: Allegro Felix Mendelssohn-Bartholdy (1809 - 1847)
Quintetto per archi n. 2 |
Il primo decennio di Ludwig van Beethoven a Vienna, la città dove il compositore si era trasferito da Bonn nel 1792, fu segnato da una lunga serie di successi professionali: dapprima stimato come pianista virtuoso, Beethoven si fece presto apprezzare anche come compositore, guadagnandosi l’accesso ai salotti delle fami-glie più in vista con opere come la Serenata op. 8, i Trii per archi op. 9 e il Settimino op. 20. Beethoven scrisse nume-rosi brani per strumenti a fiato in diverse combinazioni. La Serenata per flauto, violino e viola in Re maggiore op. 25 fu composta tra il 1795 e il 1796 e pubblicata nel 1802. L’organico insolito – manca un vero e proprio strumento basso – fa sì che la tessitura si protenda verso l’acuto. La libera struttura, articolata in sette movimenti, e il carattere leggero e spontaneo accostano l’op. 25 al divertimento settecentesco. L’Entrata, avviata dal flauto saltellante sulle note dell'accordo spezzato di Re maggiore, rievoca, nell’andamento baldanzoso, la marcia che accompagnava l’ingresso dei suonatori nei divertimenti antichi. Al Minuetto con due Trii – il primo dei quali per soli archi – seguono un ameno Allegro molto e un tranquillo Andante con variazioni, la cui melodia fu in un secondo momento pubblicata autono-mamente come brano vocale. Il movimento successivo si sviluppa su un ritmo puntato che, dopo la parentesi dell’Adagio, sfocia nel travolgente finale. Della Serenata esiste una seconda versione per flauto e pianoforte, interamente desunta dalla precedente, pubblicata nel 1803. Nel gennaio 1844, Ferdinand David, Konzertmeister nell’orchestra del Gewandhaus di Lipsia e fulgido violinista, istigava Mendelssohn a scrivere «un nuovo Quintetto» che seguisse all’Op. 18, composta da Mendelssohn diciott’anni prima. L’anno seguente vide la luce il Quintetto per archi n. 2 in Si bemolle maggiore op. 87. Ignaz Moscheles, che giudicava il Quintetto pervaso da un’energia altrimenti rara in Mendelssohn, ci testimonia che l’autore fu talmente insoddisfatto della nuova opera – soprattutto nel finale – da non essersi mai deciso a pubblicarla: la prima edizione uscì dunque postuma nel 1850. Nella comparazione tra la partitura edita e il manoscritto originale si intuisce che Mendelssohn aveva cercato di bat-tere vie nuove, ma che, pur con ampi ritocchi e rifacimenti, non riuscì a realizzare appieno il proprio intento. Il brano è ricco di citazioni da modelli passati ma anche da proprie composizioni: nel primo movimento emerge con evidenza l’eco dell’esuberante tema dell’Ottetto giovanile; nel secondo si ritrovano spunti della Sonata op. 45 per violoncello e pianoforte, mentre l’Adagio e lento guarda al Beethoven del Quartetto op. 59 n. 1 (anticipando in ogni caso il brano analogo del Quintetto in Sol maggiore di Brahms). Il Quintetto per pianoforte e archi in La maggiore D. 667 “La trota” è oggi molto più famoso di quanto non fosse all’epoca dell’autore. Com’è noto, il nome di Franz Schubert in vita fu associato essenzialmente ai Lieder, composizioni per canto e pianoforte in cui egli eccelse sin dalla prima giovinezza. A questa specialità schubertiana si riallaccia il Quintetto, che venne pubblicato solo nel 1829, un anno dopo la morte del compositore. Sulle origini dell’opera D. 667 ci dà notizie circostanziate una testimonianza del 1858 di Albert Stadler, amico di Schubert: nel 1819 – l’anno di probabile stesura del Quintetto – il compositore si sarebbe recato, con l’amico e cantante Johann Michael Vogl nella città di Steyr. Qui conobbe Sylvester Paumgartner, un violoncellista dilettante che soleva allestire in casa propria delle serate musicali. Entusiasta del Lied schubertiano Die Forelle (La trota, 1817), Paumgartner chiese al compositore di scriverne delle variazioni, che diventeranno il quarto movimento del Quintetto. Il complesso strumentale invero singolare fu anch’esso suggerito dal committente sull’esempio di un Quintetto di J. N. Hummel: al pianoforte non si affiancano gli strumenti del quartetto d’archi (due violini, viola e violoncello), ma violino, viola, violoncello e contrabbasso. Una curiosa peculiarità della “Trota” è il trattamento monofonico del pianoforte: la mano destra e la sinistra eseguono assai spesso all’ottava una sola melodia, priva quindi del tessuto accordale così tipico della scrittura pianistica. Nicola Badolato e Anna Scalfaro |