Percussivo
ingresso gratuito
PROGRAMMA
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Percussivo
Per Igor Stravinskij, l’inizio degli anni Trenta da un lato segna il definitivo distacco dai Ballets Russes, dall’altro l’avvicinamento ai grandi maestri del passato. Riguardo al Concerto per due pianoforti (1931-35), composto appositamente da Stravinskij per esibirsi in duo con il figlio Soulima, l’autore stesso afferma di essersi "immerso nelle variazioni di Beethoven e Brahms ... e nelle fughe di Beethoven". La ricerca dell’equilibrio e dell’ordine neoclassici che caratterizza quest’opera – come molte altre composte da Stravinskij in questo periodo – trova espressione nell’impiego di una scrittura contrappuntistica rigorosa che, tuttavia, coesiste con altri elementi ad essa estranei, come alcuni stilemi propri del jazz.
Nel 1928 George Gershwin viene accolto trionfalmente a Parigi, quale autore di numerosi hit songs di successo (tra cui i celebri I Got Rhythm e ’S Wonderful). È proprio l’incontro con il Vecchio Mondo a fornire lo spunto per An American in Paris, vero e proprio poema sinfonico. Da molti considerato come la gioiosa espressione dell’allegria di un giovane yankee in vacanza a Parigi, An American in Paris, a ben vedere, è piuttosto una manifestazione della latente conflittualità tra due mondi culturalmente lontani come quello parigino e quello newyorkese; è l’espressione del travaglio interiore di un compositore continuamente alla ricerca di una possibile fusione tra l’universo musicale di Broadway e la tradizione ‘colta’. Gershwin, tuttavia, lo risolve adattando le tecniche compositive accademiche ad un linguaggio e ad uno spirito tipicamente jazzistici. Uno spirito che pervade l’intera opera ma che emerge con forza nel blues centrale, parentesi dolce e nostalgica inserita tra una prima parte gaia e nervosa che descrive le atmosfere scintillanti delle vie parigine, e un finale trascinante.
L’incontro di diverse tradizioni musicali caratterizza anche le opere del compositore ungherese Béla Bartók. Nella Sonata per due pianoforti e percussioni (1937) i valori del canto popolare, denominatore comune dell’intera produzione bartókiana, vengono assunti come elementi fondanti di un percorso compositivo che, con l’impiego di audaci soluzioni timbriche, si spinge fino all’esplorazione della soglia tra suono e rumore. In questa sua ‘sperimentazione’ acustica Bartók riconosce un ruolo fondamentale anche ad un elemento come lo spazio. Per ricreare l’effetto di una ‘tridimensionalità uditiva’ indica espressamente in partitura la disposizione degli strumenti: i due pianoforti, posti ai lati delle percussioni, spesso propongono lo stesso materiale sonoro creando un vero e proprio effetto stereofonico che viene enfatizzato dalle percussioni, la cui funzione è di dare spessore e, quindi, profondità quasi ‘prospettica’ alle parti pianistiche.
Ancora per due pianoforti sono i Sette Pezzi da "Mikrokosmos" (1940). Dovendosi spesso esibire in duo con la moglie, Bartók decise di trascrivere sette brani da Mikrokosmos, raccolta didattica di 153 pezzi disposti in ordine progressivo di difficoltà che aveva iniziato a comporre nel 1936. La raccolta definitiva, pubblicata nel 1939, in verità, è qualcosa di più che un semplice sussidio didattico pensato per il figlio: è un’opera di grande ricchezza e complessità dove i rimandi ai grandi autori del passato e del presente (da Couperin a Bach, da Schumann a Gershwin), alla musica pura e alla musica a programma si fondono con i richiami al repertorio musicale popolare.