Archivio Storico:- ex Dipartimento di Musica e Spettacolo - Universita' di Bologna
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STAGIONE 2001 - le
linee della scena cinema |
Jean Epstein teorico e filosofo del cinema Figura centrale del dibattito sul cinema degli anni Venti, a Jean Epstein (1897-1953) si deve lelaborazione più articolata del concetto di "fotogenia", attorno a cui negli anni Venti, soprattutto in ambito francese, ruota il dibattito sulla specificità nuovo mezzo. La natura relazionale e la continua mutevolezza di questa nozione ben riflettono la visione del mondo dellautore, un mondo in perpetua evoluzione, anche nei suoi aspetti più reconditi. Epstein elabora una teoria che interroga in primo luogo gli aspetti tecnico-linguistici del cinema e che lo rendono uno strumento di conoscenza. Primi fra tutti vengono considerati il primo piano e il ralenti, che permettono di cogliere aspetti del mondo che sfuggono alla percezione ordinaria, sia perché invisibili sia perché cancellati dalla nostra tendenza alla normalizzazione fisiologica e psicologica, ossia dai nostri pregiudizi nel senso ampio del termine. Grazie a questi procedimenti il cinema rivela il suo animismo: ogni oggetto, ogni dettaglio, ogni frammento, ogni paesaggio, vive di vita propria, quindi "significa" di per sé. La prossimità tra obbiettivo e oggetto provoca lintimità dello spettatore con limmagine filmica. Oggettivo e soggettivo si fondono in una dimensione che lautore definisce "mistica" e "ipnotica" e che tocca le sfere dellemozionale e dellinconscio. In altre parole, agli oggetti viene attribuita una "personalità": "un primo piano di rivoltella, non è più una rivoltella, è il personaggio-rivoltella, ossia il desiderio o il rimorso del crimine, del fallimento, del suicidio" (Le cinématographe vu de lEtna, 1926). Di qui lo statuto linguistico del cinema. Per Epstein si tratta infatti di una lingua primitiva, animista, molto più precisa di quella verbale, troppo astratta e mediata dalla logica razionale. I sentimenti, che preesistono alle parole, vengono liberati nella relazione tra spettatore e film, cosicché limmagine crea un sentimento che vive esclusivamente in relazione alloggetto per cui è stato generato: "Il film mostra un uomo che tradisce, tuttavia, non cè uomo e non cè traditore. Ma il fantasma di una cosa crea un sentimento che da quel momento non può vivere senza che esista la cosa da cui è prodotto. Nasce allora un sentimento-cosa" (Le cinématographe vu de lEtna). Tutto questo avviene soprattutto grazie alla dimensione temporale del cinema, visualizzata per mezzo della tecnica e atta a sviluppare pienamente, secondo Epstein, quelle capacità che già egli attribuiva, almeno in parte, alla poesia contemporanea, cioè lannullamento della narrazione a favore dellevocazione e della rivelazione, della metafora e dellanalogia. Dagli anni Venti in poi, Epstein approfondisce questi concetti fino ad attingere ad una dimensione filosofica vera e propria, in cui la "fotogenia" si trasforma in "pensiero del tempo" (Intelligence dune machine, 1946). Nellambito della pratica filmica, lattività di Epstein si sviluppa in diverse direzioni, benché con risultati estetici non sempre o non completamente soddisfacenti. Ciò che più importa è la ricerca, sono i tentativi scevri da pregiudizio che gli permettono di attraversare diversi generi e stili mescolandoli o reinterpretandoli. Così, ad opere vicine allavanguardia e che hanno segnato la storia del cinema come La glace à trois faces, Cur fidèle, La chute de la Maison Usher, Finis terrae, si affiancano produzioni "commerciali" come Les aventures de Robert Macaire, Le double amour, Lhomme à lhispano, esperimenti sul sonoro come Mor Vran o Lor des mers, documentari su commissione come La Bretagne o Les Feux de la mer, ecc. Tuttavia non appare facile suddividere lopera di Epstein in categorie, in quanto - coerentemente con il pensiero del cineasta - nulla ha i contorni netti, dietro ad ogni apparenza si cela un mondo (sembra esemplare a questo proposito il documentario Les Feux de la mer), tutto è perennemente in evoluzione. Risiede proprio qui lintelligenza, e insieme il delirio, della macchina cinematografica, macchina "lirosofica", che "pone la conoscenza nel dominio degli affetti, che è anche dominio [ ] dellinvenzione e della scoperta" (La lyrosophie, 1922), in cui la conoscenza "damore" e quella "di ragione" non vivono più come termini antitetici, ma compongono una forma del conoscere superiore e completa a cui una civiltà evoluta deve tendere. Laura Vichi |