- In
scena a Bologna, nel giro di
pochi giorni, Motus e Teatrino
Clandestino, giovani gruppi della
scena emiliano-romagnola
protagonisti nellottobre
99, insieme a
Fanny&Alexander e Masque
Teatro, dellevento
Prototipo a Verona. Oddio,
proprio giovani questi gruppi non
sono, visto gli ormai dieci anni
di attività delle due pressoché
coetanee formazioni, è che di
questi tempi pare che gli artisti
di teatro raggiungano la
maturità verso i
cinquantanni, dopo i quali
le Grandi Istituzioni Teatrali
Italiane iniziano a prenderli in
considerazione. Finché si è
giovani bisogna arrangiarsi come
si può e cercarsi gli spazi e
così le due compagnie, pur
godendo ormai di una discreta
notorietà (i Motus sono di
ritorno da una tournée
internazionale, il Teatrino
Clandestino da numerosi festival)
vanno in scena in due luoghi
alternativi della cultura
bolognese: Link e Teatro
Polivalente Occupato 2. Il Link
inaugura coi Motus una nuova
politica di spazi anche staccati
dalla sua sede abituale. Infatti Orpheus
Glance va in scena in un
capannone del vecchio mercato
ortofrutticolo, spazio certamente
ampio e adeguato, qualche dubbio
resta sul periodo scelto per
"inaugurarlo" poiché
privo di riscaldamento e gennaio
non è il più caldo dei mesi.
- Problemi
climatici anche per lOtello
del Te.Cl. in scena al TPO2,
probabilmente lunico spazio
alternativo che riesce a porsi
come interlocutore-altenativa (o
almeno ci prova seriamente) alle
istituzioni culturali pubbliche,
operando in una situazione
(loccupazione) da cui non
si possono certo pretendere tutte
le comodità della Scala di
Milano. Va detto che lo
spettacolo è di certo a suo agio
in uno spazio simile, vista la
carica poetica anticonvenzionale
del gruppo bolognese, che permea
il lavoro e si manifesta molto
evidentemente soprattutto nella
composizione dei quattro livelli
di costruzione. Il piano sonoro
(musica, telefonate e dialoghi
tra i personaggi, il tutto
registrato), quello più
"prettamente teatrale"
(gli attori sul palco) e il piano
cinematografico sono autonomi ma
non autosufficienti e vanno
inevitabilmente a confrontarsi
con un quarto piano, cioè quello
dellidea che lo spettatore
ha del testo, della storia e dei
personaggi di Shakespeare, con
cui lOtello del
Te.Cl. gioca per tutta lora
di durata dello spettacolo. Non
viene infatti mostrata
uninterpretazione personale
(o almeno solo in piccola parte)
di un testo, ma ci si diverte a
sbeffeggiarlo, penetrarlo
profondamente, riscriverlo con
ironia e rappresentarlo
modernamente.
- Dunque
gioco continuo su più livelli:
sopra a un telo di velatino
bianco avviene la continua
proiezione di un film muto che
ripropone lossatura della
vicenda shakespeariana,
ambientata però in un inverno
della Bologna doggi: lunghe
sequenze dei personaggi (Otello,
Iago, Desdemona) ripresi
singolarmente, intensi primi
piani degli attori mentre
guardano un non meglio precisato
film, Otello e Desdemona che
vanno a fare la spesa insieme,
lossessiva inquadratura di
una bocca, Desdemona e Iago che
incontrano e vanno al bar con
Cassio, Iago che fa scattare la
trappola del fazzoletto, poi
mostra a Otello un video per
dimostrare linfedeltà
della donna al quale il moro
crede (pur non dimostrando il
video nulla). La vicenda è
altresì giostrata, modernizzata
e motteggiata dal sonoro: un
lungo monologo interiore spiega e
non spiega perché Iago vuole
"metterlo nel culo" a
Otello, gli splendidi racconti
del moro della sua vita di guerra
(con i quali conquista la bella
Desdemona) sono trasformati in
vicende giovanili nelle quali
Iago caga dentro a un motorino in
un magazzino, i due innamorati
litigano per niente al telefono,
Iago telefona per insinuare il
dubbio-consolare Otello; inoltre
cè la musica, che spazia
dalla classica ai Doors,
impostata su temi ripetuti che
cambiano col cambiare delle scene
del "film" e che fa da
commento emotivo, a volte per
contrappunto, a volte per
convergenza tematica. Dietro lo
"schermo
cinematografico" si trova il
palcoscenico, visibile solo
quando illuminato, dove gli
attori si muovono in una
scenografia chi rappresenta
protorealisticamente un
appartamento-scantinato, con una
lunga scalinata che sale al piano
superiore. Azioni in linea di
massima tuttaltro che
realistiche, un Otello disagiato
che non riesce a muoversi come
vorrebbe, in preda a continui
scatti e tremiti, che alla fine
non è neanche in grado di
uccidere una Desdemona provocante
e lasciva, con la quale si
abbandona a lunghe e furiose
fornicazioni; cè uno Iago
inafferrabile e deciso, che
diventa prete per celebrare con
improbabili discorsi il
matrimonio tra i due amanti e che
infine fa scattare la tagliola
Otello.
- Nessuno
di questi tre piani è
predominante, leffetto
dinsieme è fluido e ben
congegnato, porta la storia
nellinafferrabile, il
continuo slittamento da un piano
allaltro ha un effetto
quasi estraniante e affascinante,
a una dissoluzione psicologica
dei personaggi e la vicenda
stessa alla fine ha ben poca
importanza. Non cè nessun
rispetto reverenziale per il
testo di Shakespeare che è
utilizzato come un materiale
scenico e soprattutto come un
bagaglio culturale acquisito del
pubblico da abbracciare e
schiaffeggiare per rendere più
forte lidea di indipendenza
estetica del vocabolario scenico
usato dal Te.Cl. che chiude la
pièce in modo forse non
inaspettato, ma indubbiamente non
canonico: luci spente sul palco,
Otello novello Chaplin che si
allontana dando la schiena alla
camera prima che partano i titoli
di coda.
- Finale
cinematografico, e questo ci
riporta ai Motus, perché anche
per loro il cinema (soprattutto
quello di Cocteau e Abel Ferrara)
è unimportante fonte
dispirazione, ed è negli
intenti del gruppo dare al loro Orpheus
Gance proprio un taglio di
questo tipo. Anche loro peraltro
vanno a confrontarsi con un
grande classico, ancor più
antico della vicenda di Otello,
ovvero il mito di Orfeo, il
cantore figlio di un dio che con
la sua arte affronta gli inferi
per riavere accanto a sé
lamata Euridice. Numerosi e
illustri gli artisti che nella
storia si sono confrontati con
questo mito, tra questi Rilke ai
cui Sonetti ad Orfeo i
Motus sispirano. Cosa
rimane della vicenda nel lavoro
della compagnia riminese? Ben
poco: Orfeo è osservato da poco
dopo la morte di Euridice fino a
quando valica lo specchio per
iniziare il suo viaggio nel regno
delle ombre.
- Orfeo
rock star decadente, moderno
poeta maledetto, vaga per la sua
casa popolata da ombre e ricordi
cantando e suonando blueseggianti
rock, vomita, beve whisky e fuma
sigarette. Non cè
rappresentazione della storia,
solo una sorta di dissolvenza in
disperazione. Per ottenere questo
effetto Motus mettono in scena
una pluralità di linguaggi
artistici sfruttati e orchestrati
con grande abilità. Ampio spazio
a suggestioni visive e uditive,
grande rilievo alla partitura
musicale (che accompagna tutto lo
spettacolo con suoni campionati e
melodie) e alla bella e profonda
voce di Dany Greggio, il cantante
voluto dalla compagnia nel ruolo
di Orfeo, messa in primo piano
sin dalle battute iniziali con
una canzone introduttiva estratta
direttamente da un ipotetico
concerto della rock star a
Bologna. Poi il semidio resta da
solo, nella casa scenografia su
due piani con al centro del pian
terreno lo specchio-porta degli
inferi nel quale appare e
scompare Euridice, prima
splendida in un vestito bianco,
poi sensuale in abito e lunga
parrucca rossi; specchio dal
quale la donna esce anche,
girando per casa ma senza mai
incontrare Orfeo o senza che lui
la possa vedere. Altri fantasmi
popolano la casa, oltre a
Euridice: un acrobata quasi
sempre armato di pistola che
spunta dai luoghi più impensati
e che è anche il doppio di Orfeo
(davanti allo specchio e durante
i suoi sogni-ricordi con
lamata), e uno sfuggente
figuro vestito in elegante abito
nero e rosso che potrebbe
tranquillamente essere Caronte,
un angelo caduto, una funzione
scenica o la morte stessa. Da
citare anche la performance del
cane della casa, che entra in
scena, si accoccola, fa
dimenticare di sé e alla fine si
alza e se ne va.
- Raramente
i personaggi interagiscono con
passaggi psicologici, perlopiù
non si vedono, si ignorano o si
comportano come fossero frammenti
usciti da un sogno. Attorno a
loro si svela un mondo di piccole
e grandi visioni e suggestioni:
lombra di un gufo in volo,
un trenino che attraversa una
città in miniatura, un accendino
a forma di Gesù Cristo
crocefisso, telefonate in
francese e inglese, una statua
della Madonna contenuta in una
custodia di chitarra che prelude
alla comparsa di Euridice vestita
da Maria Vergine alla finestra di
Orfeo, predominio di colori che
ricordano morte e amore (rosso e
nero) langelo caduto che
proietta le diapositive di una
vacanza al mare dei due
innamorati. Alla fine
labisso di dolore in Orfeo
lo spinge a vestirsi col trucco,
la parrucca e gli abiti della
donna morta per sentirne più
viva la presenza, balla con le
sue scarpe e poi scopre di non
essere solo: la morte (o il suo
Caronte) lo guarda e lo prepara a
varcare il confine ultimo, lo
specchio, il morire stesso.
- Lo
spettacolo vive di un ritmo non
legato al dipanarsi della vicenda
(che si può dire sia
assolutamente irrilevante) e
riesce in effetti a dare allo
spettatore unimpressione
cinematografica che causa uno
strano rapporto con lo
spettacolo: questo è
indubbiamente un lavoro superbo,
armonioso, non noioso e ricco di
interessanti e assai poco banali
soluzioni tecniche ma non riesce
a stabilire col pubblico un vero
contatto emotivo. La
comunicazione del pubblico
avviene tramite idee sfuggenti e
alogiche che si esprimono in una
perfezione formale e un
equilibrio estetico
brillantemente trovato, ma tanta
perfezione non lascia spazio
allemozione più semplice,
immediata, carnale. Certamente
ciò avviene non per demeriti del
gruppo o per pecche dello
spettacolo ma per una precisa
scelta poetica dei Motus,
impegnati da sempre in una
ricerca di convivenza teatrale
dei più diversi tipi
darte. Peraltro si ha un
rapporto simile anche con lOtello
del Te.Cl. e ciò è dovuto a
quella sorta di effetto
straniamento causato dalla
convivenza e sovrapposizione dei
tre livelli compositivi, anche se
mi sembra che sia principalmente
leffetto dissolutivo dello
schermo cinematografico a evitare
un coinvolgimento prettamente
emotivo con lo spettacolo. Credo
però che in ogni modo
questultimo lavoro dia
comunque una sensazione di sporco
fisico, umano, forse perché non
raggiunge i livelli di perfezione
formale della splendida macchina
scenica plurilinguistica messa in
opera dai Motus, ma sembra che
neanche il Te.Cl abbia trai suoi
primi obbiettivi un rapimento
catartico dello spettatore.
- Beninteso,
non credo che il teatro debba
cercare a tutti i costi
lemozione o che il
coinvolgimento del pubblico sia
una prerogativa del buon teatro,
resto però dubbioso sui
risultati estetici di
unestremizzazione di una
visione teatrale così tecnica.
Finché la macchina funziona i
risultati possono essere
sicuramente eccellenti come per
gli spettacoli esaminati ma è
grande il rischio di cadere nella
masturbazione estetica, nella
sperimentazione tecnica fine a se
stessa, che porta,
inevitabilmente,
allinaridimento artistico.
-
- IL
MORO DI BOLOGNA
-
- di
Silvia Pischedda
-
- Il Teatrino
Clandestino ha presentato al Tpo
una riscrittura dell'Otello, in
cui i tre personaggi
shakespeariani, Iago, Otello e
Desdemona vengono visti, per
così dire, sdoppiati: in un
video amatoriale girato per le
strade di Bologna e sul
palcoscenico. Le immagini del
video si sovrappongono ai tre
attori in carne e ossa, sul palco
e raccontano in ambedue i casi
una storia, la stessa storia, ma
come osservata da due angolazioni
diverse. Nel video vediamo Iago,
per le strade della città,
sull'autobus, che pensa alla
vita, al lavoro, ai rapporti che
intercorrono tra le persone e
traspare in lui, durante questa
lunga riflessione, il cinismo,
l'odio, l'invidia che prova nei
confronti di tutti.
- La
psicologia, messa a nudo nei suoi
pensieri, è fedele al
personaggio shakespeariano, ma
forse più vicino a noi in quanto
dà l'impressione di scaturire da
sentimenti di insicurezza,
insoddisfazione e di rivalsa nei
confronti di una realtà
complessa e soffocante. È un
quadro fedele della vita, della
società odierna e è forse il
motivo che ci fa sembrare questo
Iago non solo più simile a noi,
ma anche più fragile, più umano
rispetto al personaggio
originario. Il video continua poi
con le immagini di Otello e
Desdemona, il loro rapporto già
vacillante, le loro
incomprensioni, fino alla crisi
definitiva. Contemporaneamente
dietro lo schermo, sul palco a
tratti illuminato, a tratti
oscuro, i tre personaggi si
muovono, non parlano. Otello è
rappresentato come un fantoccio,
dai movimenti meccanici,
impacciati, lo vediamo
"gettato dall'alto"
come un manichino e di umano ha
veramente poco.In realtà non
vediamo in lui neanche la
sofferenza, la rabbia(che invece
ha nel video), è deriso,
umiliato, ma non riesce a
commuoverci. Vorrebbe essere
grottesco, con le sue corna e
Desdemona che ride di lui, ma non
ci riesce, ci fa appena
sorridere.
- E
Desdemona? Che cosa è successo
alla giovane donna che, nel
dramma di Shakespeare, lotta per
il suo amore e che sembra
innocente di fronte alle accuse
di tradimento? La ragazza che
anche nel video non ha colpe? Sul
palcoscenico questa figura è
stravolta, ostenta una volgarità
che vorrebbe forse provocare, ma
che in realtà ci arreca solo un
senso di fastidio. Sembra che
tutto ciò che accade sul palco
sia la degenerazione di ciò che
viene proiettato nel video: il
rapporto di Otello e Desdemona
ridotto a un selvaggio
accoppiamento. In lei non c'è
amore, non c'è tenerezza, non
c'è ombra di sentimento umano.
Lui tenta alla fine di stringerle
le mani attorno al collo, ma
viene deriso e spinto a terra. E
sarà nuovamente "gettato
dall'alto" come un vecchio
sacco. Lo spettacolo finisce
lasciando una sensazione di
freddezza, l'uso del video per
tutta la durata della
rappresentazione crea fastidio,
laddove vorrebbero provocare,
attraverso la lettura di poesie
oscene e la continua simulazione
di furiosi amplessi che rasentano
la pornografia, in realtà
annoiano, dove vorrebbero creare
un effetto comico, lasciano
indifferente il pubblico. Si ha
l'impressione di un lavoro non
ultimato: squarci di belle
intuizioni e soluzioni forti che
però vengono come bloccate prima
che agli spettatori ne arrivi
l'effetto.
-
- CRONACHE DI
TEATRO 2000-2001
-
- TEATRO?
PENSIERI DAL MIO
CRITICO
-
- di
Raffaella Cenni
-
- Andare
a teatro. Vedere altre persone
che agiscono. Relazionarsi con
loro. Agire noi come pubblico.
Dormire in platea...
- Cosa
andiamo veramente a vedere a
teatro? Una domanda con migliaia
di risposte diverse, tutte
plausibili, tutte reali: è solo
una questione di punti di vista.
Ce lo insegna innanzitutto la
storia del teatro, ce lo
ribadiscono gli studiosi di
teatro, ce lo impongono i
teatranti di mestiere; partendo
da Aristotele passando da Diderot
arrivando ai giorni nostri con i
registi/autori...fino ai critici.
- Latmosfera
è la prima cosa che ci investe
entrando in un foyer,
nellanticamera, restando in
fila in mezzo alla strada per
acquistare il biglietto,
accalcati intorno alle transenne
in piazza; a seconda di quale
spazio sia stato scelto per la
rappresentazione. Subito dopo la
scenografia, le luci dentro e
fuori scena, i costumi, insomma
tutto ciò che riguarda il
visivo, a partire dal luogo, fino
ad arrivare al trucco dei
performer.
- So di
cosa si tratta? Sì, cerco di
documentarmi il più possibile
prima di andare a vedere, ma
quando lo spettacolo ha inizio,
per un ricercato effetto
sorpresa, o per conquistare
lincredulità di un bambino
pronto a meravigliarsi delle cose
più semplici, rimuovo (almeno
tento) tutte le mie informazioni
e vorrei lasciarmi
incantare
... Senza
inoltrarmi in discorsi
pseudo-filosofici che rasentano
una visione mistica circa
limportanza e la funzione
del teatro al giorno doggi,
ciò che veramente conta per me
è lessenza
dellattore. Questa è la
mia visione. Il rapporto che
scaturisce durante lazione
tra chi agisce e chi guarda. Può
essere anche inesistente, così
come ognuno può recepire
sensazioni completamente diverse,
così come può anche essere un
attore un danzatore un gruppo di
performer ad instaurare un
contatto, ripeto di qualunque
tipo, con gli spettatori. Questi
spettatori distratti, attenti,
coinvolti nelle interazioni o
fisicamente forzati ad esserci.
Questo è il senso del teatro;
dunque ciò che io vado a vedere
è la ricerca di relazione,
sintetizzata a mio parere nella
fisicità dellattore: se
qualcuno si mette lì
avrà pur qualcosa da
comunicarmi!
-
-
- NOI
CRITICI
-
- di
Delia Giubeli
-
- Giunti
ormai alla decima e ultima
lezione di questo corso, mi viene
spontaneo ripensare alla prima,
svoltasi lo scorso novembre, in
cui Massimo Marino chiese a
ciascuno di noi di presentarsi ed
esporre le proprie aspettative
sul corso e la nostra personale
idea di "critica".
Molti di noi hanno risposto di
voler mettere alla prova le
proprie capacità di scrittore,
di osservatore, di ascoltatore
anche, nel contesto di uno
spettacolo di teatro, ma
soprattutto con
lintenzione, a mio parere
quasi per tutti, di provare a
indossare almeno una volta nella
vita i panni del vero critico, in
particolare del giornalista di
una testata quotidiana. La prima
e forse anche lultima, come
ha voluto onestamente farci
notare il professore, poiché
"come ben sapete, pochissimo
spazio è dedicato al teatro tra
le pagine dei grandi e piccoli
quotidiani nazionali e quel poco
che cè è concesso ai
grandi critici o scrittori che a
turno vengono chiamati a
presentare o recensire spettacoli
più o meno importanti".
Perciò, preso atto di non poter
aspirare a chissà quali impieghi
da giornalisti, anche solo
apprendisti e dilettanti, se non
per vie molto lunghe e tortuose,
ci mettiamo al lavoro con la
disponibilità e la voglia di
provare comunque a sentirci già
parte di una redazione e di una
equipe di professionisti! Ed ecco
qua il risultato del nostro
lavoro di circa tre mesi, un
mini-giornale che raccoglie
recensioni, critiche e anche
interviste a registi e attori.
- In
particolare abbiamo affrontato
spettacoli promossi dalla
Soffitta, come lOrfeo dei
Motus, il Teatrino Clandestino,
due movimenti del Teatro delle
Albe inseriti nel progetto
"Cantiere Orlando" e
infine due spettacoli del Tam
Teatromusica nati da un lavoro di
ricerca con ragazzi appartenenti
a realtà come il carcere e
comunità di recupero: gruppi
teatrali appartenenti a
generazioni diverse e con
poetiche e ambiti di lavoro
completamente differenti. Nelle
ultime lezioni invece abbiamo
affrontato un lavoro su
videoproiezioni dei due
spettacoli di Eimuntas Nekrosius,
Hamletas e Makbethas,
e due di Luca Ronconi, Il
sogno e La vita è sogno,
andati in scena lo scorso anno al
Piccolo di Milano
nellambito del Festival
dEurope. Dopo aver visto i
video che riportavano solo
spezzoni degli spettacoli,
commentati dal professore,
abbiamo letto varie presentazioni
e recensioni apparse lo scorso
anno sulle testate milanesi più
importanti, firmate da grandi
critici come Savioli e Franco
Quadri e scrittori come
dAmico e Franco Cordelli.
Dal commento dei loro pezzi
comprendiamo quanto
linformazione e
limmagine che ci viene data
di uno spettacolo e del suo
regista dipenda moltissimo da chi
scrive: un giornalista ha un
approccio più tecnico, forse
più vicino allo stile e agli
interessi, a volte anche
politici, del giornale; un
critico va più a fondo e propone
una visione più estesa sul
regista o sulla compagnia e I
loro percorsi di ricerca degli
ultimi anni; uno scrittore
affronta più da un punto vista
letterario il testo e il
linguaggio scenografico. E forse
è solo leggendo tanto e tanti
diversi articoli come questi che
ci siamo fatti unidea di
quanti volti può avere uno
spettacolo, di cui noi magari
abbiamo visto solo il risultato
finale, di scena, ma forse ora
non più perché ci verrà più
spontaneo portare con noi a
teatro quell occhio
critico che ci mancava
prima per cogliere tutto ciò che
sta dietro, nel tempo e nello
spazio, al palcoscenico.
-
-
- osservare
a teatro
-
- -
dove mi trovo io rispetto al
palcoscenico (platea, palchetti,
galleria, piccionaia)
- -
voluma di voce di ogni attore (se
comprendo almeno tutte le parole
e il loro significato)
- -
abiti e oggetti di scena
- -
luci, colori suoni e musiche:
impressione artistica
nellinsieme (quadro)
- -
relazione degli attori tra di
loro e tra gli attori e gli
oggetti di scena, lo spazio
- -
reazioni del pubblico attorno a
me (sbadigli, risate, commenti,
pettegolezzi, rumori)
- - se
I miei battiti cardiaci aumentano
o diminuiscono
- - se
I miei occhi non si staccano mai
dalla scena, con una visione
fissa a 180 gradi
- - se
I miei occhi fissano ipnotizzati
quelli dellattore mentre
parla
- - se
rimango col fiato sospeso o se mi
sento molto rilassata e
trasportata
- - se
alla fine non smetto più di
applaudire fino a che non mi
fanno male le mani oppure aspetto
lo scemare dellapplauso
generale
- -
commenti caldi a fine spettacolo,
presentazioni o recensioni
scritte o parlate
-
- io,
critico
-
- Come
critico ma soprattutto come
spettatore, quando vado a teatro
so di andare a ricevere un
messaggio. Il regista, gli
attori, I collaboratori della
compagnia se sono lì è perché
hanno qualcosa da dire, hanno
bisogno di comunicare qualcosa
con urgenza attraverso il mezzo
del teatro: perciò
lobiettivo del mittente e
del destinatario è lo stesso:
che il messaggio giunga forte e
chiaro. Ci sono infiniti modi e
infiniti tempi per questo, tutti
apprezzabili e discutibili, ma a
me, critico e spettatore il
messaggio deve giungere limpido
nella sua totalità, per poterlo
poi ritrasmette a mia volta ai
miei lettori o uditori.
-
-
- I
PERCHÉ DI UNAPPRENDISTA
-
- di
Tiziana Longo
-
- Pirandello
nel suo palcoscenico spiattellò
la vita servendola allo
spettatore passivo, costretto a
guardarsi, e fece cadere persino
la quarta parete che divideva
pubblico da attori pur di
scuotere le coscienze; ma oggi
per evitare che ciò accada quasi
si smette di andare a teatro. Da
cosa è scaturita la passività
dello spettatore? Delluomo
che per strada cammina
insofferente verso il mondo? Che
guarda senza vedere che sente
senza avere mai ascoltato? Che
vive la sua vita senza essere
veramente lui a viverla? Non
cè comunicazione perché
cè incomunicabilità e
perché la si vuole; perché fa
comodo non parlare e non
sentire
per non capire. Ma
la gente deve capire.
- E
così mi è venuto in mente di
partecipare al laboratorio di
critica e cronaca teatrale, un
vero e proprio covo di giovani
menti creative allo sbaraglio.
Una scelta dettata da un bisogno
"quasi" fisiologico:
quello di imparare a comunicare
agli altri le più impercettibili
sfumature del teatro
contemporaneo, di imparare a
svelare nel modo giusto il
segreto di un evento teatrale che
vuole spingersi oltre confine e
creare quella scossa sensoriale
tra pubblico e interprete e
ancora prima tra uomo e uomo,
quel senso di abbandono e
mistero, la sorpresa, quella
sottile complicità, solidarietà
e tolleranza.
-
-
- QUALCHE
IDEA DI VISIONE TEATRALE
-
- di
Andrea Ferrari
-
- Troppo
spesso, a teatro, capita di
vedere cose agghiaccianti. A
volte trascorriamo lintero
spettacolo pensando a come
manifestare il nostro disgusto,
limitandoci per lo più a
scappare pochi minuti prima della
fine, sperando che gli attori
siano in quel momento rivolti
verso di noi. Altre volte è solo
un passaggio, un tentativo di
colpo a effetto che
ci rovina lintera messa in
scena. Ora, per colpo ad
effetto intendo qualcosa
che colgo come inorganico,
disgregato dal resto, spesso
nemmeno bello in se stesso,
aggiunto allo scopo di compiacere
o scioccare il pubblico,
solitamente quello impellicciato
delle prime file. È un ricorrere
a espedienti facilotti che può
svelare una mancanza di idee,
unimmaturità estetica o,
nel peggiore dei casi,
unevidente tendenza alla
svendita artistica. Io credo che
ogni cosa che avviene in scena,
ogni elemento che vi compare,
debba avere un senso rispetto al
tutto, altrimenti disturba,
copre, crea attriti. Beninteso,
non intendo un senso
spiegabile ovunque e per forza a
parole: benché unesegesi
sia sempre possibile (basta un
po di fantasia), le cose
che a teatro più colpiscono sono
spesso quelle il cui significato
logico in sé non riusciamo a
cogliere.
- Personalmente,
alla poesia preferisco la
narrativa. Anche a teatro
preferisco quando viene
raccontata una storia. Non che ci
debba sempre essere qualcuno che
narra qualcosa, ma penso che il
dipanarsi di una vicenda sulla
scena aggiunga significato e
profondità a quello che avviene
durante lo spettacolo.
- Il
teatro mette in campo molti
fattori, molti linguaggi
artistici che in altri ambiti
hanno vita autonoma. È
necessario, indispensabile
conoscere i meccanismi tecnici di
funzionamento di questi
linguaggi, stando però attenti a
non incappare in ciò che ritengo
un grosso nemico di tutte le
forme darte: la
masturbazione tecnica. Il
tecnicismo fine a se stesso, il
chiudersi nel proprio Ah,
quanto siamo bravi!, è
troppo lontano dalla
comunicazione artistica che cerco
in quanto fruitore, di teatro
come daltro.
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