LA REGOLA DEL GIOCO
MENOVENTI AI LIMITI DELLA RAPPRESENTAZIONE
a cura di Silvia Mei
È oggetto di critica, per certa nouvelle vague della scena italiana post 2000, la dimensione estetizzante delle sue creazioni: come la patinatura e sofisticazione della texture; l’ipertrofia visiva; il rifugio lirico, talora fine a se stesso, nella torre eburnea dell’Arte; l’assenza di una lucidità politica, di una compromissione con la realtà grezza che sia anche riflessione sul presente. Questo teatro dell’oggi è piuttosto un teatro filosofico, la cui dimensione estetica, per dirla con Marcuse, è prima di tutto politica: politica della rappresentazione (il che non esclude necessariamente la rappresentazione, a suo modo, della politica). Riflettere il teatro nel suo farsi spettacolarmente è una prerogativa imprescindibile dei nuovi linguaggi della scena che non si arrendono alla finzione: tradotta ora in ambigua illusione ottica; ora in irrisione della trama nella messinscena di tracce da crimine, di lacune di uno pseudo delitto; oppure nella spudorata menzogna, che rende il pubblico complice di un goliardico imbroglio. Si tratta sempre di lavorare al fianco contesti e relative convenzioni, di portare al limite situazioni tipo, di percorrere le opacità dei filtri che veicolano un genere, di dibattere le forme attraverso le forme stesse.
Perdere la faccia (2011), tra gli ultimissimi lavori dei Menoventi, misura la temperatura di una scena che non rinuncia ai suoi ingredienti standard - attore, drammaturgia, regia, parola - spostando però l’asse d’intervento nello sfilacciamento del plot, nella mise-en-abyme delle convenzioni, nel prolungamento della finzione fino al vero e proprio imbroglio degli attuanti, nell’iperbole della ripetizione che non sfuma mai nella serialità. Da qui l’interesse per un visionario come E.T.A. Hoffmann, un esploratore letterario di meraviglie umane - nota la sua passione per i dispositivi ottici - nella vita sonnambolica dei suoi deliranti personaggi, tragiche vittime di rappresentazioni fantastiche.
Con gli spettacoli in programma, l’incontro e il laboratorio sulle partiture attorali, i tre artisti mostreranno le tappe del loro percorso sulle cornici teatrali, sulle fascinazioni e i pericoli di una scena che può accogliere tutto ma che tuttavia non è sempre così accogliente.
Cresciuti in tre diverse zone d’Italia, Consuelo Battiston, Gianni Farina e Alessandro Miele seguono differenti percorsi nelle loro terre d’origine: Friuli, Romagna, Campania. Uniti da un comune sentire sul teatro, fondano nel 2005 la compagnia Menoventi con sede a Faenza. Il loro esordio teatrale si realizza con In Festa, lavoro ideato nel corso del 2004, dove un dispositivo ancora tradizionale si concilia con un’attività concettuale sismica per la messa in forma dei contenuti. Seguono perle sceniche come Semiramis (2007) e due lavori formalmente vicini come InvisibilMente (2010) e Perdere la faccia (2011), co-prodotto dal 41° Festival di Santarcangelo. È una co-produzione ERT col Festival delle Colline Torinesi e il progetto europeo Prospero l’ultima creazione, L’uomo della sabbia. Capriccio alla maniera di Hoffmann. Menoventi persegue secondo modalità e soluzioni differenti la messa in crisi del dispositivo teatrale e la permeabilità scena-sala, secondo un’alchimia che non trascura nessun elemento della composizione scenica: una perfetta mediazione tra scrittura, drammaturgia, presenza e lavoro dell’attore, regia. www.menoventi.com