martedì 21 febbraio, h 21 | Aula absidale
PRESAGI, TRAMONTI, AURORE BOREALI
In collaborazione col Teatro Comunale di Bologna e Exitime 08
L’iniziativa è parte del progetto The Schoenberg Experience
FontanaMIX solisti
Marie-Luce Erard, mezzosoprano
Stefano Malferrari, pianoforte
In una celebre lettera del 1909 a Ferruccio Busoni, Arnold Schoenberg ebbe a dichiarare: «Il mio obiettivo: liberazione totale da tutte le forme. Da tutti i simboli, del contesto e della logica. Così: lontano dal ‘lavoro motivico’. Via dall'armonia… Via dal pathos… La mia musica deve essere breve... in due note: non costruita, ma ‘espressa’!». Precedenti di circa un decennio rispetto alla definizione della tecnica dodecafonica, i Sechs Kleine Klavierstucke op.19 incarnano in modo esemplare questo manifesto poetico. I primi cinque brani del ciclo furono composti di getto l’11 febbraio 1911; il sesto fu aggiunto alcuni mesi dopo, probabilmente quale Tombeau per la morte di Gustav Mahler (18 maggio 1911). Schoenberg vi attua una sorprendente contrazione del discorso musicale sino a forme aforistiche, pur conservando, nell’estrema concisione del gesto, lirismo e immediatezza della percezione sonora.
Allievo per qualche tempo di Schoenberg, lo statunitense John Cage è stato uno degli sperimentatori più significativi nell’ambito del linguaggio musicale del ’900; il suo nome è associato, fra l’altro, alla cosiddetta musica aleatoria, all’ascolto del silenzio, al pianoforte preparato, all’idea che lo strumento sia ‘suonabile’ in ogni sua parte. A quest’ultimo aspetto rimandano i quattro Études Boréales del 1978. La destinazione strumentale dell’opera è, per certi versi, aperta: l’organico originale prevede violoncello e pianoforte, ma le due parti possono essere eseguite autonomamente. Il titolo della composizione deriva dalla scelta di strutturare la parte pianistica ricalcando la mappa astronomica del cielo boreale; il profilo delle costellazioni è trasformato in una dettagliatissima partitura, in base alla quale l’esecutore è chiamato ad agire su diverse zone dello strumento, in modo da generare, combinando materiali diversi e diversi tipi di percussione, una varia, se pur sfumata, tavolozza timbrica. A fronte di esiti sonori talvolta impercettibili, la maniacale precisione del testo appare, in un certo senso, provocatoria: questo elemento, così come il riferimento extramusicale implicato dal titolo, evidenzia negli Études Boréales una forte impronta concettuale.
La serie di ascolti dedicati al pianoforte nel ’900 prosegue con gli Études Boréales (1990) di Ivan Fedele. Pianista e compositore, Fedele unisce, attraverso un continuo processo di sintesi, aspetti della musica del classicismo, della musica seriale di Schoenberg e delle sperimentazioni elettroniche. Lontano da qualsivoglia artificio concettuale, l’aggettivo ‘boreale’ che campeggia nel titolo degli Études di Fedele rimanda alla vivida impressione prodotta dalla «luce fredda» del cielo finlandese sull’autore, che egli intende rappresentare attraverso la ricerca timbrica: «riprodurre una luce fredda ma pulsante». Nel perseguire tale intento descrittivo, Fedele si pone in continuità con la tradizione del ’900 europeo tanto nella scrittura, in cui si coglie la lezione di Donatoni, quanto nella concezione del pianoforte nelle sue risorse tecniche e sonore.
In apertura e chiusura di concerto saranno eseguiti due fra i più importanti lavori vocali dello Schoenberg pre-dodecafonico. Con l’eccezione dell’ultimo, composto su versi di Johannes Schlaf, i Vier Lieder (1899-1900) op. 2 attingono i loro testi da Weib und Welt di Richard Dehmel; Schoenberg riveste la tormentata sensualità della poesia con un’intonazione musicale in equilibrio tra inquietudini espressioniste e leggerezze da cabaret song, sorretta da una scrittura vocale e strumentale ancora strettamente legata al romanticismo.
I Gurrelieder, cantata per soli, cori e grande orchestra, rappresentano l’estrema declinazione del sinfonismo tardo-romantico e del gigantismo mahleriano. La vicenda che lega fra loro i diversi Lieder in cui si articola l'opera è ambientata nel castello danese di Gurre e narra la tragica vicenda di re Waldemar: appassionato amante della bella Tove, in seguito all’assassinio della fanciulla ad opera della regina Helwig, in preda alla disperazione rivolge il suo sacrilego furore verso Dio, che lo condanna a cavalcare ogni notte, spettro alla guida d’un esercito di spettri, in una demoniaca «caccia selvaggia». L'annuncio della morte di Tove è affidato alla voce mezzosopranile della colomba del bosco (Waldtaube), che chiude con il suo ampio Lied la prima parte della cantata. La triplice reiterazione del verso «Weit flog ich, Klage sucht' ich, fand gar viel!» scandisce le sezioni narrative del brano, in un crescendo di tensione drammatica, magistralmente assecondato dalla musica, che culmina in un lacerante acuto sulla parola «Tod».
Willy Bettoni
Laurea magistrale in Discipline della Musica
coordinamento e redazione
Michele Vannelli