mercoledì 29 febbraio, h 21 | Aula absidale
BEETHOVEN E LE FORME DELLA SONATA
Christian Leotta, pianoforte
Le 32 Sonate per pianoforte di Ludwig van Beethoven, composte tra il 1796 e il 1819, sono uno dei monumenti più venerati del cosiddetto canone musicale occidentale. Fu sulla loro scorta che prima della metà dell’Ottocento vennero codificati i principii della forma-sonata, relativa al primo movimento, con la sua tripartizione in esposizione (basata su due temi contrastanti), sviluppo e ripresa; mentre non c’è quasi bisogno di ricordare l’aura di leggenda che ben presto avvolse molte di esse, o le ardite sperimentazioni formali che nelle ultime cinque anticipano la musica del secolo successivo.
Le due Sonate op. 14 vennero composte tra il 1798 e il 1799, subito dopo la Sonata Patetica. Secondo Anton Schindler, Beethoven avrebbe pensato a dialoghi tra una coppia di amanti; nella seconda, in Sol maggiore, l’Allegro iniziale si distingue per l’ambiguità ritmica delle prime battute – tempi forti e tempi deboli si confondono tra loro – e per il moderato contrasto tra i due temi: la continuità melodica suggerisce un dialogo pacato tra i due “personaggi”, che attraversa ogni sezione. L’Andante propone tre variazioni su un semplice tema fatto di accordi staccati: le prime due sono dominate dal moto sincopato, la terza ha un andamento spigliato e cantabile. Il finale, benché rechi l’indicazione Scherzo, è tale nel carattere ma non nella struttura, che è semmai quella del rondò; anche in questo caso vi è ambiguità ritmica tra tempo binario e tempo ternario, ambiguità che viene sciolta dalla franchezza dell’ultimo ritornello.
Con la Sonata in Fa minore op. 57, composta tra il 1804 e il 1805, entriamo nella piena maturità beethoveniana. Il titolo Appassionata con cui la Sonata è universalmente nota fu esco-gitato nel 1838 dall’editore amburghese Cranz: un’etichetta che peraltro non rende giustizia né al tono di fondo dell’opera né al carattere violento, a tratti furibondo, dei due movimenti estremi. Nel primo, Allegro assai, la struttura della forma-sonata è arricchita con episodi liberamente ideati, senza che tuttavia si perda la potente unità strutturale del brano, paragonato da qualche esegeta ora a un’eruzione vulcanica (Wilhelm von Lenz) ora a una tempesta che spazza la pianura (Walter Riezler). Nell’Andante con moto ritroviamo la forma, cara a Beethoven, delle variazioni su un tema, stavolta pacato e perentorio a un tempo, che deve parte della sua espressività al contrasto con la tempestosa chiusa dell’Allegro precedente. Le tre variazioni determinano un progressivo intensificarsi della tensione; si riaffaccia infine il tema, cui si collega senza soluzione di continuità il finale: un irrefrenabile turbinio di elementi tematici, che richia-mano il tono del primo movimento, ma esasperandone la furia motoria.
Pubblicate nel 1805 col titolo Leichte Sonaten (“sonate facili”), le due composizioni assai brevi, in due soli movimenti, che formano l’op. 49 risalgono al decennio precedente. La prima, in Sol minore, si apre con un Andante in cui si fondono le forme tipiche dei movimenti iniziali della sonata tripartita: la forma-sonata (con uno sviluppo minimo), coniugata col tono espres-sivo e cantabile di un secondo movimento. Segue un Rondò (Allegro), ricco di vivacità ritmica.
Non si potrebbe immaginare contrasto maggiore con la Sonata in Si bemolle op. 106, compo-sta tra il 1817 e il 1818, nota col nomignolo Hammerklavier (che è il termine tedesco per “pianoforte”: fu Beethoven a volere che nell’edizione della sonata comparisse il vocabolo tedesco in luogo di quello italiano). Per proporzioni, difficoltà tecniche e complessità della concezione, la Hammerklavier è una delle maggiori composizioni pianistiche della storia, e rappresenta ancor oggi un’ardua sfida anche per gli esecutori più agguerriti. La grandiosità e i violenti contrasti dell’Allegro iniziale si annunciano subito nella poderosa fanfara di accordi che lo apre, seguita da una più quieta frase esposta in piano. I due gruppi tematici sono formati ciascuno da tre idee fra loro distinte per carattere e profilo melodico; una memorabile linea cantabile in Sol maggiore – quasi un presagio di Brahms – costituisce un’intensa parentesi lirica nell’incalzare di un brano fitto di momenti percussivi e aspri. Dopo il brevissimo Scherzo, anch’esso dominato da un motorismo implacabile, si apre lo sterminato Adagio sostenuto, un appassionato monologo interiore in cui rifulge l’arte beethoveniana della variazione continua. Come nel coevo Quartetto op. 130, Beethoven scelse di concludere la Sonata con una monu-mentale fuga, che esplora i più complessi artifici della trasformazione del soggetto e del moto delle parti.
Federico Sconosciuto
Laurea magistrale in Discipline della Musica
coordinamento e redazione
Francesco Lora