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Romeo Castellucci/Socìetas Raffaello Sanzio

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Sul concetto di volto nel figlio di Dio
Milano | Teatro Franco Parenti
24>28 gennaio 2012


Torna in Italia, a Milano, dopo le polemiche francesi, l'opera di Romeo Castellucci, Sul concetto di volto nel figlio di Dio. Lo spettacolo, che sarà ospite dal 24 al 28 gennaio al Teatro Franco Parenti, ha già acceso le polemiche di alcuni gruppi che sotto l'egida della religione cattolica, sono in realtà spie sintomatiche di un subdolo quanto pericoloso senso di fanatismo religioso.
Culture Teatrali, che sostiene la libertà di pensiero e di creazione intellettuale, pubblica la lettera aperta alle Autorità religiose e civili della città di Milano pubblicata sul sito del Teatro Franco Parenti e la lucida lettura-analisi dello spettacolo di Castelucci scritta dal teologo francese P. Hubert Thierry, domenicano che. già all'epoca degli scontri francesi, è sceso coraggiosamente in campo per difendere l'opera.

Lettera aperta alle Autorità religiose e civili della città di Milano

Chiediamo alle Autorità religiose e civili della città di intervenire, in modo pacato, ma autorevole, per riportare serenità e pacatezza nell’acceso di battito che si è scatenato negli ultimi giorni attorno allo spettacolo “Sul concetto del volto del Figlio di Dio”, che dovrà approdare a Milano nelle prossime settimane. Il nostro teatro è da qualche settimana oggetto di lettere, comunicazioni, messaggi e-mail, che si schierano contro la messa in scena dello spettacolo, tacciandolo di blasfemia, sulla base di informazioni errate o male interpretate. Le dimensioni della protesta aumentano di giorno in giorno, anche in violenza espressiva e intimidazione, minacciando la sicurezza di questo luogo, di chi ci lavora, quasi ricercando l’offesa personale, e chi ne usufruisce come luogo della cultura. Questo atteggiamento ci disorienta.

Chiediamo un intervento deciso che riconduca il dibattito a toni e forme più consoni alla grande tradizione civile e culturale di Milano. Una città che ha sempre rappresentato il pensiero illuminato, la religiosità alta, il dialogo e l’apertura.

Il nostro Teatro non ha mai voluto essere offensivo. Non cerchiamo la polemica, semmai, sempre, il dialogo costruttivo, nel rispetto reciproco. Siamo territorio della cultura e dello scambio, non della violenza. Non ci spaventa il dibattito, il confronto anche animato, che è un elemento sano, naturale e prezioso di una civiltà che cresce. A condizione che non si sconfini nella minaccia, nell’ingiustificata aggressione. Chiediamo che chi guida questa città, nello spirito e nelle azioni, intervenga per allentare le inutili e pericolose tensioni e riportare la discussione nella dimensione più appropriata di quello che è uno spettacolo teatrale, che, semplicemente, può essere visto o non visto, piacere o non piacere, fare discutere o meno. In modo totalmente disarmato.

Andrée Ruth Shammah

 

Sul concetto di volto nel Figlio di Dio, a Milano.
di Romeo Castellucci


Questo spettacolo nasce dalla considerazione dell’odierna ed estrema solitudine del Volto di Gesù.

Questo spettacolo vuole essere una riflessione sulla difficoltà del 4° comandamento se preso alla lettera. Onora il padre e la madre. Un figlio, nonostante tutto, si prende cura del proprio padre, della sua incontinenza, del suo crollo fisico e morale. Crede, senza conoscerlo, in questo comandamento. Fino in fondo. Fino in fondo il figlio sopporta quella che sembra essere l’unica eredità del proprio padre. Le sue feci. E così come il padre anche il figlio sembra svuotarsi del proprio essere. La kenosis troppo umana di fronte a quella divina.

Questo spettacolo è una riflessione sul decadimento della bellezza, sul mistero della fine. Gli escrementi di cui si sporca il vecchio padre incontinente non sono altro che la metafora del martirio umano come condizione ultima e reale. Gli escrementi rappresentano la realtà ultima della creatura, ma anche il vocabolario quotidiano del linguaggio d’amore che il figlio porta al proprio padre.  

Questo spettacolo mostra sullo sfondo il grande volto del Salvator Mundi dipinto da Antonello da Messina. Tutto lo svolgimento della scena non è che un piano-sequenza molto semplice che descrive tutti i tentativi del figlio di pulire e ridare dignità al vecchio genitore. Invano.  Gesù, il Salvator Mundi, è il testimone muto del fallimento del figlio.

Questo spettacolo ha scelto proprio il dipinto di Antonello a causa dello sguardo che il pittore ha saputo imprimere all’espressione ineffabile del volto di Gesù.  Questo sguardo è in grado di guardare direttamente negli occhi ciascuno spettatore. Lo spettatore guarda lo svolgersi della scena ma è a sua volta continuamente guardato dal volto. Questa economia dello sguardo obbliga,  perché interroga, la coscienza di ciascuno spettatore come spettatore. Il Figlio dell’uomo, messo a nudo dagli uomini, mette a nudo noi, ora. Questo ritratto di Antonello cessa di essere un dipinto per farsi specchio.

Questo spettacolo, quando le condizioni tecniche lo rendono possibile,  vede l’ingresso di un gruppo di bambini. Entrano in scena con le loro cartelle di scuola che svuotano presto del loro contenuto: si tratta di granate giocattolo. Uno a uno cominciano a lanciare queste bombe sul ritratto.
E’ un crescendo. Ad ogni colpo corrisponde un frastuono. Nel climax delle deflagrazioni, imitanti degli autentici colpi di cannone, nasce dapprima una voce che sussurra il nome di Gesù, poi si moltiplicano fino a diventare tante e tutte ripetono quel nome. Poi, sul finire dell’azione e come fosse il prodotto di quei colpi, nasce un canto: il “ Gloria Patri – Omnis Una “ di Sisak. I colpi delle bombe diventano la musica del suo nome. In questa scena non ci sono adulti.
Ci sono innocenti contro un innocente. La violenza rimane nel gesto adulto mentre l’intenzione è quella del bambino che vuole l’attenzione del genitore distratto. Il bambino ha fame, come si dice nel salmo 88: Dio non nascondermi il tuo Volto.

Questo spettacolo, quando le condizioni tecniche di ciascuna sala teatrale lo rendono possibile, prevede in un momento l’uso dell’odore di ammoniaca. L’ammoniaca, come si sa, è l’ultima trasformazione possibile,  l’ultima fattuale transustanziazione dell’uomo, l’ultima esalazione del corpo umano nella morte: le spoglie dell’uomo si trasformano in gas, in aureola. Il “profumo” dell’uomo. Il suo saluto alla terra.

Questo spettacolo - come tutto il Teatro Occidentale che trova fondamento nella problematica bellezza della Tragedia greca - obbedisce alle sue stesse regole retoriche: è antifrastico, utilizza cioè l’elemento estraneo e violento per veicolare il significato contrario.  La violenza qui significa, omeopaticamente, la ricerca e il bisogno di contatto umano; così come allo stesso modo un bacio può significare tradimento. La lezione della Tragedia attica consiste in questo: fare un passo indietro: rendersi disumani per potere meglio comprendere l’umana fragilità.

Questo spettacolo nasce come un getto diretto delle e dalle Sacre Scritture. Il libro dell’Ecclesiaste, la Teodicea del Libro di Giobbe, il salmo 22, il salmo 23, i Vangeli. Il libro della Tragedia appoggiato su quello della Bibbia.

Questo spettacolo mostra, nel suo finale, dell’inchiostro nero che emana - achiropita, non per mano d’uomo – dal ritratto del Cristo. Tutto l’inchiostro delle sacre scritture qui pare sciogliersi di colpo, rivelando un’ icona ulteriore: quella che scavalca ogni immagine e che ci consegna un luogo vuoto.

Questo spettacolo mostra la tela del dipinto che viene lacerata come una membrana, come un sideramento dell’immagine. Un campo vuoto e nero in cui campeggia luminosa una scritta di luce, scavata nelle tavole del supporto del ritratto: Tu sei il mio pastore. E’ la celebre frase del salmo 23 di Davide. La scrittura della Bibbia ha perso il suo inchiostro per essere espressa in forma luminosa. Ma ecco che quando si accendono le luci in sala si può intravedere un’altra piccola parola che si insinua tra le altre, dipinta in grigio e quasi inintelligibile: un non, in modo tale che l’intera frase si possa leggere nel seguente modo: Tu non sei il mio pastore.
La frase di Davide si trasforma così per un attimo nel dubbio. Tu sei o non sei il mio Pastore?
Il dubbio di Gesù sulla croce Dio perché mi hai abbandonato? espresso dalle parole stesse del salmo 22 del Re Davide. Questa sospensione, questo salto della frase, racchiude il nucleo della fede come dubbio, come luce. E allo stesso tempo è sempre lei, la stessa domanda: essere o non essere?
O piuttosto: essere E non essere.

Questo spettacolo è una bestemmia, come la croce è bestemmia romana, come la corona di spine è bestemmia romana, come Gesù condannato, perché ha bestemmiato. Nel libro dell’Esodo la sola  pronuncia del nome di JHWH è bestemmia. Dante scrive una bestemmia nel canto XXV dell’Inferno. Venerare il volto di Cristo nelle icone era bestemmia e idolatria per i cristiani bizantini prima del Concilio di Nicea. Galileo bestemmia quando dice che la terra gira intorno al sole.
Vedere il proprio padre perdere le feci per casa, in cucina, in salotto è bestemmia.

Questo spettacolo non è esatto, questo spettacolo è merda d’artista.

Alcuni elementi per una lettura teologica di “Sul concetto di volto nel figlio di Dio” di Romeo Castellucci di P. Hubert Thierry

Si è proprio sicuri di avere visto l’opera di Romeo Castellucci, o di avere letto la Bibbia, se si prende la prima come un oggetto di blasfemia contro la seconda e più precisamente contro la figura stessa del Figlio di Dio? Non è certo, tanto la proposta del regista italiano può al contrario venire letta dagli occhi di un credente come una meditazione profonda sulla rivelazione cristiana. Si può quindi compiangere amaramente ciò che si vede, si sente e si legge oggi contro questo spettacolo. Romeo Castellucci si è nutrito delle gesta della tradizione cristiana, come ha già spiegato durante lo scorso Festival d’Avignon. Che questi elementi della Tradizione sfuggano a certi credenti che si definiscono pudicamente conservatori non ha niente di sorprendente. Ma che gli stessi credenti non considerino almeno la Bibbia per entrare nell’intelligenza dello spettacolo, ecco: questo è piuttosto disturbante! Rivisitiamo dunque questo dramma in 3 atti dal punto di vista religioso.
Un figlio sulla trentina si prende cura con compassione, tenerezza e dedizione del padre malato, vittima di un attacco di dissenteria. La scena si ripete continuamente, mettendo lo spettatore in imbarazzo. Sul retro del palco, per tutto lo spettacolo, un fondale rappresenta il magnifico volto di Cristo di Antonello da Messina che il figlio bacerà alla fine di questa prima parte. Qui si trova la chiave della lettura religiosa. In questo bacio, il figlio si identifica con Cristo, unigenito Figlio di Dio. Nel vecchio malato, si riconosce allora l’umanità ferita dal peccato, che, immerdandosi, non è più in grado di camminare o stare in piedi. Attraverso i suoi tentativi di lavare e purificare il padre malato, nella figura del figlio si riconosce l’intera storia dei profeti della Bibbia, da Isaia a Osea, da Geremia a Ezechiele, che tentano di riportare sulla retta via il popolo peccatore di Israele. Anche San Paolo riprenderà questa immagine fragile della nostra umanità dispersa in tutte le direzioni, esortando la comunità di Efeso a “spogliarsi del vecchio uomo” per “vestire l’uomo nuovo” (Ef 4, 22-24). Questo uomo nuovo è prefigurato dal figlio nella pièce di Castellucci. San Paolo lo ha anche chiamato il “nuovo Adamo” (1 Cor 15,45) e sarà per lui “il Cristo, che viene per ricapitolare tutte le cose” (Ef 1:10).

Attraverso il bacio con il Cristo di Antonello da Messina, è “’alito”, il pneuma, “lo Spirito” di Cristo che viene dato al figlio di questo padre malato. In modo tale che questo figlio riproduca letteralmente l’immagine del Figlio di Dio – e di nuovo la tematica Paolina trova il suo svolgimento.
Nella lettera ai Romani, Paolo sviluppa il progetto di Dio che, mandando il suo Figlio, desidera riprodurre in coloro che ha predestinati “l’immagine di suo Figlio, affinché egli sia il primogenito di
molti fratelli” (Romani 8:29). La compassione di questo figlio per le sofferenze di suo padre diviene
così un figlio nel Figlio. E di tali figli la Chiesa ne fa nascere quasi ogni giorno, ad ogni modo,  ogni volta che battezza!
Nel secondo quadro- che Romeo Castellucci non ha presentato a Parigi – alcuni bambini seduti di spalle al pubblico, estraevano dal loro zaino qualcosa di simile a delle bombe a mano.
Queste, lanciate contro il volto di Cristo, sembravano esplodere – almeno dal punto di vista uditivo. Non vederci che del blasfemo è un po’ come gettarvisi a testa bassa. Questi bambini erano per me la figura paradossale dell’umanità rigenerata dalle acque del battesimo.

1 Cf il libretto-programma di sala “Sul concetto di Volto nel Figlio di Dio” Festival d’Avignon 2011, p. 4.
2 Da un punto di vista strettamente umano, sarebbero possibili anche degli sviluppi interessanti. Per esempio, il corpo di un uomo che sta cadendo a pezzi che cade in rovina, non è granché commerciale, anche in teatro! Osa Castellucci osa confrontarci con questa realtà ben familiare in ambiti di cure paliative, ma che noi fingiamo di ignorare.
3 L’autore della Lettera agli Ebrei, alla fine del secolo primo, inizia la sua epistole con le parole i versi: “Spesso in
passato, Dio ha parlato ai nostri padri per mezzo dei profeti in maniere frammentarie e vaghe/molteplici.
Ma, negli ultimi tempi, ai giorni nostri, ci ha parlato per mezzo di suo Figlio bbiamo parlato per mezzo di suo Figlio
che ha stabilito come  erede di tutte le cose e per mezzo del quale ha creato i mondi.

Più semplicemente si potrebbero dire dei neo-battezzati! Cirillo di Gerusalemme li chiamerà i “neofiti”, vale a dire, letteralmente “le piante giovani.” Ma questo nuovo popolo, formato da nuovi germogli, si scontra con la questione del male. In cosa il passaggio di Gesù, Figlio di Dio, ha modificato sostanzialmente il problema del male? Si direbbe in nessun modo.
E come un grido lanciato contro Dio, come il grido violento di Giobbe sottoposto al non-senso del male di cui Dio dirà infine che è stato l’unico ad aver ben parlato (Giobbe 42), come il grido del Salmista
di fronte alla sofferenza, la preghiera cristiana può arrivare a tanto. Affinché Dio trasformi questo
luogo di morte in Vita eterna.
Per finire, l’ultima scena rende molto presente, secondo me, la figura del Servo Sofferente
del Libro di Isaia che le prime comunità cristiane associeranno al Crocifisso.
Non aveva più sembianze umane, e il suo aspetto non era più quello di un uomo (Isaia 52,14). Vengono in mente anche i versetti del Salmo 21. Gesù sulla Croce ne pronuncierà le prime parole “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”. “Infamato dalle genti, respinto dal popolo “, il Servo sofferente resta vivo. Il dipinto del Cristo di Antonello da Messina riappare proprio quando avremmo potuto credere alla sua esclusione. Il suo silenzio  amorevole può giungere tanto lontano. Le
parole del Salmo 22 “Il Signore è il mio pastore” appaiono in inglese con la negazione “non” lampeggiante, lasciando lo spettatore nell’decisione. Tuttavia, tocca a lui ormai rispondere: questo Cristo “di condizione divina, che non ha mantenuto gelosamente il suo rango di pari a Dio ma si è annientato”(Fil 2,6), questo Cristo, risorto dalla morte, immagine del servo, sarà ancora oggi il suo pastore?

 

Informazioni:
Teatro Franco Parenti Soc. Coop.

via Pier Lombardo 14
20135 Milano
Biglietteria>>aperta dal lunedì alla domenica h 10 | 19
tel.02/59995206
mail biglietteria@teatrofrancoparenti.it
http://www.teatrofrancoparenti.it

 
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