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UNA NUOVA TERRA FERTILE

Quartetto Noûs

Quartetto Noûs
Tiziano Baviera
, Alberto Franchin, violini; Sara Dambruoso, viola; Tommaso Tesini, violoncello

Musiche di Béla Bartók, Anton Webern, György Ligeti

 

dove: Laboratori delle Arti/Auditorium
quando: martedì 22 marzo, ore 21

 

Il programma presenta tre esiti indiscussi della scrittura quartettistica del Novecento: le brevissime Sei bagatelle di Webern (1913), la cui condensazione formale e costruttiva riesce ad esprimere, come ebbe a scrivere Arnold Schönberg, “un romanzo in un solo gesto, una gioia in un solo respiro”; il Quinto quartetto di Bartók (1934), ove le tensioni armoniche e la ricerca ritmico-metrica si coniugano ad una personalissima riproposizione della lezione formale beethoveniana. Infine il Primo quartetto di Ligeti (1954), nel quale l’eredità bartokiana viene integrata in una scrittura attenta alla radicalità linguistica delle avanguardie compositive dei primi anni ’50.

PROGRAMMA:

Béla Bartók (1881-1945)
Quartetto n. 5 in Si bemolle maggiore (1934)
1. Allegro
2. Adagio molto
3. Scherzo: alla bulgarese
4. Andante
5. Finale: Allegro vivace


Anton Webern (1883-1945)
Sei Bagatelle op. 9 (1913)
1. Mäßig
2. Leicht Bewegt
3. Ziemlich Fließend
4. Sehr Langsam
5. Äußerst Langsam
6. Fließend


György Ligeti (1923-2006)
Quartetto n. 1 Metamorphoses nocturnes (1953-54)

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Il Quartetto Noûs, formato da quattro giovani musicisti italiani, nasce nel 2011 all’interno del Conservatorio della Svizzera Italiana di Lugano. L’ensemble studia con il Quartetto di Cremona e con Reiner Schmidt dell’Hagen Quartett, e si perfeziona con Aldo Campagnari del Quartetto Prometeo, Hatto Bayerle e Günter Pichler dell’Alban Berg Quartett, e Heime Müller dell’Artemis Quartett. Vincitore del primo premio al Concorso Internazionale “Luigi Nono” di Venaria Reale e al XXI “Concorso Internazionale Anemos” di Roma, nel 2015 riceve dal Teatro La Fenice di Venezia il Premio “Arthur Rubinstein – Una vita nella musica”, assegnato alla migliore formazione cameristica emergente nell’anno in corso. Sempre nel 2015 vince anche il premio “Piero Farulli” nell’àmbito del XXXIV Premio “Franco Abbiati”, prestigioso riconoscimento della critica musicale italiana. Ha all’attivo un’intensa attività concertistica in Italia e all’estero, e si esibisce regolarmente per alcune delle più importanti istituzioni musicali italiane ed internazionali.

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A proposito dei concetti di rivoluzione e di evoluzione nell’arte, Béla Bartók scrisse: «I compositori che hanno realizzato le maggiori conquiste non erano rivoluzionari demolitori, […] lo sviluppo della loro arte si è fondato, al contrario, su una stabile e continua evoluzione». Se infatti nella produzione cameristica il compositore ungherese aveva già reso omaggio all’ascendenza beethoveniana con il Quartetto n. 1 (1908), è vero nondimeno che in esso si preparava la «stabile e continua evoluzione» verso i Quartetti nn. 4 e 5. In queste due opere Bartók radicalizza la trasfigurazione del linguaggio tonale e celebra il patrimonio musicale folklorico dell’Europa centro-orientale, senza tuttavia voltare le spalle alle esigenze di compiutezza formale ereditate dalla tradizione classica. Questo pensiero musicale rivoluzionario ma consapevole del proprio decorso evolutivo dà forma al Quartetto n. 5, composto nell’estate del 1934 e disposto, come il precedente, in cinque movimenti organizzati secondo la cosiddetta “forma ad arco”. Questa in realtà è già presente nel primo movimento, dove la ripresa inverte il materiale dell’esposizione dando luogo a un processo interno di specchiamento. Ed è proprio in risposta a un ideale sempre rinnovato di integrità e compiutezza che la struttura ad arco viene estesa all’insieme dei cinque movimenti: l’irrequietezza spasmodica, frammentaria del primo trova la sua controparte nel quinto, la tesa riflessività del secondo è corrisposta dalla nervosa titubanza del quarto, mentre il terzo, cui rimane il ruolo di “perno” fra le due coppie, apre il sipario su una danza popolare: uno scherzo alla bulgarese dall’inusitato ritmo di 4+2+3 ottavi.
Le Sei Bagatelle di Anton Webern furono definite dallo stesso autore «forse i brani musicali più brevi che siano stati scritti fino ad oggi». Composte tra il 1911 e il 1913, furono concepite inizialmente come cicli indipendenti: il primo costituito dalle bagatelle nn. 2, 3, 4 e 5; il secondo dalle bagatelle nn. 1 e 6, le quali incorniciavano un movimento vocale poi omesso nella stesura finale. Con queste opere Webern si spinge sino a un’estrema concentrazione di linguaggio: il materiale melodico è ridotto a motivi di due o tre note, perlopiù aggregati di seconde minori, e la loro rielaborazione continua è la regola. Un importante valore strutturale viene attribuito alle tecniche di produzione del suono, che conferiscono a ogni altezza un colore timbrico caratteristico. Quando nel 1924 apparve l’edizione a stampa delle Bagatelle, Arnold Schönberg scrisse: «Questi pezzi potranno essere compresi solo da chi crede che i suoni riescano a dire cose che si possono esprimere solo con i suoni».
Il Quartetto n. 1 Métamorphoses nocturnes di György Ligeti fu scritto tra il 1953 e il 1954, prima della fuga dell’autore in Austria. L’influenza di Béla Bartók, e in particolare del suo Quartetto per archi n. 4 (1928), è manifesta sia nel linguaggio armonico sia nella concezione formale. A fungere da motivo principale è una cellula ascendente di quattro note che viene ripetuta e trasformata nel corso di un unico movimento continuo. Effetti sonori come clusters, glissandi, pizzicati, sforzati, trilli, tremoli e grandi sbalzi dinamici contribuiscono a delineare l’articolazione interna del pezzo. Métamorphoses nocturnes può essere definito come un importante momento di passaggio nello stile compositivo di Ligeti, specie per quanto riguarda lo sviluppo di tecniche di scrittura come la micropolifonia, di cui l’autore può essere considerato il padre.

Alice Verti e Valentina De Marchi
Laurea magistrale in Discipline della Musica

coordinamento e redazione
Francisco Rocca