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INTIMISMO E VIRTUOSISMO

Anton Dressler, clarinetto
Boris Petrušanskij, pianoforte

Musiche di Robert Schumann, Carl Maria von Weber, Witold Lutosławsky, Claude Debussy, Francis Poulenc

in collaborazione con
l'Associazione culturale «Il Saggiatore musicale»


dove: Aula absidale
quando: martedì 2 febbraio, ore 21

ingresso gratuito
posti limitati


Intimismo e virtuosismo caratterizzano questo programma, incentrato da un lato sulla dimensione cordiale e privata della Hausmusik dei brani schumanniani e sui raffinati e tenui impasti timbrici della rapsodia di Debussy e dall’altro sull’elegante e brillante scrittura del Gran Duo di Weber, sulla sapiente rielaborazione di materiali musicali popolari delle miniature di Lutosławsky, e sulla commistione di diversi stili frammisti a suggestioni e accenti jazzistici che caratterizza la Sonata di Poulenc.

Programma:

Robert Schumann (1810–1856)
Drei Fantasiestücke op. 73 (1849)
Zart und mit Ausdruck
Lebhaft
, leicht – Rasch und mit Feuer

Carl Maria von Weber (1786–1826)
Gran Duo concertant op. 48 (1815)

Allegro con fuoco
Andante con moto – Rondo. Allegro

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Witold Lutosławsky (1913–1994)
Preludia taneczne (Preludi di danza, 1954)
Allegro molto – Andantino
Allegro giocoso – Andante – Allegro molto

Claude Debussy (1862–1918)
Première Rapsodie (1910)

Francis Poulenc (1899–1963)
Sonata op. 184 (1962)
Allegro tristamente
Romanza (Très calme) –
Allegro con fuoco (Très animé)


Anton Dressler, nato a Mosca, si è formato musicalmente nella sua città, con Lev Mikhailov e Vladimir Sokolov, poi in Italia, con Italo Capicchioni, è si è laureato nel 1996 con menzione d’onore al Conservatorio Superiore “P.I. Čaikovskij” con V. Sokolov. Ha vinto numerosi premi in vari concorsi internazionali (“Giovani talenti dell’Unione Sovietica”; “Città di Stresa”; “Amilcare Ponchielli”; “Rovere d’oro”). Ammirato per la morbidezza e la varietà di fraseggio, nonché per la sua versatilità in vari generi musicali, Dressler ha suonato con artisti e gruppi musicali di fama internazionale, tra i quali ricordiamo: Boris Petrušanskij, Mischa Maisky, Jean-Yves Thibaudet, Julian Rachlin, Itamar Golan, Bruno Canino, Pavel Vernikov, Daniel Müller-Schott, Olga Kern, il Quartetto dei Virtuosi di Mosca, il Giovane Quartetto Italiano, il Quartetto di San Pietroburgo, l’orchestra da camera Piccola Sinfonica di Milano, l’Orchestra da Camera di Mosca.

Boris Petrušanskij, nato a Mosca, è stato l’ultimo allievo del grande Heinrich Neuhaus e, in seguito, di Lev Naumov, già allievo e assistente dello stesso Neuhaus. Vincitore di importanti concorsi internazionali (Leeds, 1969; Monaco, 1970; Mosca, 1971; Casagrande, 1975), ha suonato con prestigiose orchestre fra le quali l’Orchestra Sinfonica di Stato dell’URSS, l’Orchestra Filarmonica di S. Pietroburgo, l’Orchestra Filarmonica di Mosca, la Staatskapelle di Berlino, l’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, l’Orchestra da Camera della Comunità Europea. Ha collaborato con direttori d’orchestra come Moshe Atzmon, Paavo Berglund, Lu Jia, Esa-Pekka Salonen, Vladimir Fedoseyev, Jan Latham-Koenig, Roberto Abbado, Vladimir Jurowsky. Nel repertorio cameristico ha suonato con Leonid Kogan, Igor Oistrach, Valerij P. Afanasiev, Mischa Maisky, il Quartetto Borodin, il Philharmonia Quartett di Berlino. Docente al Conservatorio di Mosca dal 1975 al 1979, dal 1990 insegna nell’Accademia Pianistica Internazionale di Imola. Ha al suo attivo numerose incisioni discografiche.

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Le composizioni per pianoforte e clarinetto, nate nell’età romantica con l’affermarsi delle soirée musicali incentrate sugli organici da camera, hanno portato con sé, fino a Novecento inoltrato, il dualismo intrinseco agli strumenti solisti di volta in volta coinvolti: la capacità sia di lanciarsi in strabilianti pirotecnie esecutive, sia di esprimere grande lirismo. Così avviene per i Fantasiestücke che Robert Schumann scrisse nel 1849, probabilmente a stretto contatto con lo strumentista che ne fu il primo interprete, Johann Gottlieb Kotte, pur prevedendo anche la possibilità di eseguirli al violino o al violoncello. I tre brani, a loro volta tripartiti, debbono essere eseguiti senza interruzioni; le indicazioni di tempo, ognuna più veloce della precedente, determinano un incremento graduale della temperatura espressiva: al clima elegiaco del primo movimento subentra il tono giocoso del secondo, che cede il posto all’irruenta passionalità del terzo.

La prima parte del concerto si conclude con un brano situato agli antipodi rispetto al precedente: il brillante Gran Duo concertant, che Carl Maria von Weber compose nel 1815. La composizione è un frutto dell’affermato sodalizio con l’illustre clarinettista Heinrich Baermann, con cui Weber suonava abitualmente sin dal 1811. Questi inizialmente pensò a una sonata per clarinetto, ma la parte del pianoforte gli riuscì tanto complessa che il titolo definitivo finì col rispecchiare la parità del magistero richiesto ad entrambi i solisti. I due temi del primo movimento, in forma sonata, si caratterizzano per il tono brioso e l’articolazione, data dal susseguirsi di scale e arpeggi. L’Andante, dolcemente malinconico, ha toni più pacati e gravi, mentre il finale è un vertiginoso Allegro in forma ciclica.

Il concerto riprende con l'ultima opera d’ispirazione popolare del polacco Witold Lutosławski, i Preludia taneczne (1954), da lui stesso definiti il proprio “addio al folklore”. Per buona parte della sua carriera il compositore dovette infatti produrre, in ossequio alla politica culturale del regime comunista vigente in Polonia, soprattutto musica di consumo, e solo a metà degli anni Cinquanta potè dedicarsi a composizioni basate sulla tecnica seriale. Tuttavia i suoi primi tentativi di praticare il metodo per comporre con le 12 note si rintracciano già nei Preludi di danza: i cinque movimenti hanno caratteri nettamente diversificati e sono accomunati da continue alternanze tra tempi ternari e binari.

Tutt’altro il clima espressivo della Première Rapsodie di Claude Debussy, che deve la sua genesi a una circostanza particolare. Nel 1909 il compositore era appena stato nominato presidente del consiglio direttivo del Conservatorio di Parigi; tra gli oneri che la carica comportava vi era la composizione di brani da sottoporre ancora inediti agli esami finali dei candidati. La Rapsodie, iniziata nel 1909, venne ultimata l’anno seguente e dedicata al docente di clarinetto del Conservatorio, Prosper Mimart. È un brano di grande effetto, con un carattere ben diverso dai brani simbolisti che avevano dato la notorietà a Debussy. Il lirismo accentuato della parte del clarinetto nasconde impervie difficoltà tecniche; dopo un incipit in pianissimo il brano si snoda fluido tra momenti di struggimento, in cui ampie frasi scorrono morbide dal registro sovracuto al grave, e momenti al contrario densi di passaggi in staccato e accordi ribattuti.

Francis Poulenc compose la sua Sonata tra il 1957 e il 1962 come parte di un ciclo, incompleto, per strumenti a fiato, dedicandola all’amico Arthur Honegger, prematuramente scomparso. Entrambi facevano parte dell’eclettico gruppo Les Six, che promuoveva un tipo di musica in cui riecheggiava quel sarcasmo disilluso tipico della corrente Dada. Coeva dell’avanguardia più radicale, l’opera adotta peraltro un linguaggio accattivante e tradizionale, rivelando le grandi capacità di cesello del suo autore. Il primo movimento è percorso da un brivido di inquietudine che si insinua, grazie al ricorrere insistente di intervalli minori, negli interstizi di un brano apparentemente spensierato. Nel secondo movimento il lirico tema esposto dal clarinetto è più volte ripreso, cambiando incessantemente carattere grazie alle trasformazioni del supporto armonico. L’Allegro con fuoco rievoca infine materiale del primo movimento, articolandosi in continui cambi di tempo che creano un effetto giocoso.

Serena Castelli  e Manuela Lorusso
Laurea magistrale in Discipline della Musica e del Teatro

coordinamento e redazione
Valentina Anzani