Archivio Storico:- ex Dipartimento di Musica e Spettacolo - Universita' di Bologna Dipartimento di Musica e Spettacolo - La Soffitta 2005

LA SOFFITTA - Centro di promozione teatrale

in collaborazione con   
Cineteca di Bologna e Cineteca Lucana   
si ringraziano: Andrea Meneghelli, Giulio Bursi e Monica Dall’Asta   

 

5-12 dicembre 2006

DOPO LA RIVOLUZIONE
TENDENZE DEL CINEMA MUTO SOVIETICO


a cura di Michele Canosa e Dunja Dogo


Aula multifunzionale
via Mascarella 44, Bologna

info: 051.2092413

ingresso libero



PRIMA PARTE


martedì 5 dicembre 2006, ore 15

Aelita (dal romanzo di Aleksej N. Tolstoj, 1924, URSS, 113’, v.o.)
regìa di Jakov Protazanov
musicato dal vivo dalla band VRI-IL

mercoledì 6 dicembre 2006, ore 13

La signorina e il teppista (Baryšnja i chuligan, 1918, RSFSR, v.o., 35’) regìa di Evgenij Slavinskij
La febbre degli scacchi (Šakmatnaja gorjacka, 1925, URSS, v.o., 19’) regìa di Vsevolod Pudovkin, Nikolaï Chpikovski
Il frutto dell’amore (Jagodka ljubvi, 1926, URSS, v.o., 20’) regìa di Aleksandr P. Dovženko

giovedì 7 dicembre 2006, ore 13

Il vecchio e il nuovo (Staroe i novoe, 1926-29, URSS, v.o., 89')
regìa di Sergej M. Ejzenštejn e Grigorij Aleksandrov

luned́ 11 dicembre 2006, ore 15

Merletti (Kruževa, 1928, URSS, v.o., 77')
regìa di Sergej Jutkevic

marted́ 12 dicembre 2006, ore 17

La casa nella piazza Trubnaja (Dom na Trubnoj, 1928, URSS, v.o., 65’)
regìa di Boris Barnet




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L’Ottobre rosso del 1917 segna una svolta epocale per la Russia. E’ l’avvio del trapasso da un regime zarista ad un altro totalitario. Il cinema degli anni Venti si colloca proprio ai limiti del secondo, in una zona cieca. Negli esiti, la sua storia resta fatalmente un mito. E come ogni mito, si mantiene necessaria e impossibile. Di oltre duemila film accreditati, soltanto alcune decine sono oggi conservate. Ancora meno sono le copie visibili. Ciò si deve a tanti autodafé. Basti citare l’incendio delle copie evacuate dagli archivi moscoviti durante l’assedio tedesco del 1941-43. Soltanto recentemente si registra il ripristino del colore (rosso) del Potëmkin (Ejzenštejn, 1925) che andò perso in quel frangente. I cataloghi sono di continuo rivisti e corretti, almeno dal 1991. Perciò è stato più facile tramandare i classici già esportati all’estero, a scapito di altri lavori ‘sommersi’. Qui ne proponiamo diversi. L’origine è molteplice: le accademie del GIK e della KEM (Ermler), gli indipendenti del collettivo Kulešov (Barnet e Pudovkin) e la scuola dell’attore eccentrico (Jutkevic alla FEKS). Al di là di questa diversità di scuole, il programma trova unità sotto un’unica bandiera: l’avanguardia sovietica. Un’avanguardia di punta rispetto alle varie cinematografie nazionali. Tant’è che gli epigoni – Ejzenštejn e Pudovkin– sono studiati da nazisti e fascisti durante le rispettive dittature. L’innovazione è qui massima. Ciò nonostante, in Italia questa stagione resta nell’ombra. E’ una grave lacuna. Perciò oggi volgiamo lo sguardo indietro. Verso quei tempi di miseria e passione, quando si proietta su schermi itineranti fino in Siberia, là dove mancano il sovet e l’elettricità.
    Ecco, dunque, la ragione di questa rassegna: riproporre alcuni dei film dell’epoca e, per quanto si può, riabilitare certi titoli. Forse, paradossalmente, per la stessa ragione che ha spinto Stalin a bocciarli: la forma. Una forma inedita. Come in La casa sulla piazza Trubnaja (Barnet, 1928) dove la cinepresa balza felina in avanti per risalire altrettanto fluidamente, di piano in piano, un condominio coabitato. Così che la scala della Trubnaja muta in una scala simbolica con i tipi e i mestieri più consueti di Mosca. Per l’ex-pugile Barnet non si tratta quindi di virtuosismi. Lo stesso dicasi per Jutkevic, che usa il montaggio armonico e fa coincidere il movimento dell’operaio con quello perfetto della macchina. Questi sono inediti esercizi di stile. E vanno frequentati. Senza dimenticare che, spesso non sappiamo quale versione del film abbiamo di fronte. Non è grave: si tratta di un male comune nella storia del cinema sovietico. Rispetto a questa rassegna,fa eccezione la famosa vicenda, ormai chiarita, delle varianti de Il vecchio e il nuovo (1929, tit. v.o.: La linea generale) e quella meno famosa dell’inquisizione nei confronti de L’uomo con la macchina da presa (Vertov, 1929). In tal senso i due film costituiscono sì l’epitome di un periodo intenso, ma anche la sua fine. Ciò vale in particolare per Dizga Vertov, che entro il ’30 abbandona la causa dei kinoki. Sfuma così l’idea di un cinema d’assalto, di cronaca e di puro montaggio. Agli antipodi si situa, invece, il veterano Jakov Protazanov (1881-1945), che traspone in studio il racconto fantascientifico dei moti su Marte: Aelita (1925). Essenzialmente autodidatta, Protazanov fa gavetta nell’ultimo periodo Romanov, All’indomani del Febbraio, resta dalla parte dei ‘russi bianchi’ seguendone la rotta fino a Parigi (1918). Nel 1923 su invito di una neonata impresa semiprivata (Mežrabpomfil’m), è il secondo regista zarista a rimpatriare a Mosca. Ma s’adatta con difficoltà, al pari degli altri avanguardisti sempre meno autonomi. Sul finire del decennio, incombe il ‘realismo socialista’. Ciò minaccia non solo i singoli, ma anche i laboratori. Da principio si distingue tra arcaisti e novatori. Poi chiudono gli studi. Aprono i monopoli. Nel 1930 avviene una sorta di ritorno all’ordine. L’esperimento dura meno di tredici anni. Iniziamo dal 1918. Sulle ‘morte macerie’ del cinema zarista da subito s’innestano autonome produzioni, all’insegna di una prassi finalmente esente dalla morsa censoria dei dicasteri. E’ il caso de La signorina e il teppista (Slavinskij, 1919) dramma di un teppista anarchico, che s’innamora e muore ‘di botte’ e di ‘vodka’. Con un Majakovskij maledettamente ribelle. Dal 1919, anche dopo l’esproprio di Lenin, senza sancire dogmi si tollerano influssi stranieri. Si parla persino di ‘americanite’, quando si sfrutta il modello americano. Soprattutto quello della slapstick comedy sullo sfondo della breve parentesi di libero mercato (1921-1926). Un buon esempio è dato dai cortometraggi La febbre degli scacchi (Pudovkin, 1925) e Il frutto dell’amore (Dovženko, 1926). Due prove anomale nel repertorio epico dei due registi. Prima della propaganda (Il discendente di Gengis Chan, 1928), Pudovkin si cimenta con un film sul gioco degli scacchi, a mezza via tra cronaca e finzione. Parimenti il vignettista Dovženko è ai suoi esordi con un apologo sul ‘libero amore’. In un clima autarchico di sfrenato lavorio per un cinema veramente ‘socialista’, i film si fanno e si disfano. Gli stilemi anche. Ciò che accomuna la gran parte di questi lavori è, piuttosto, un tema. Nulla di nuovo. Il nodo sta in un classico della teoria marxista: il conflitto di classe. Com’è vero che lo Stato non s’è estinto con la rivoluzione, così l’antica questione delle classi persiste. Il cinema ne prende atto.


 


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