Archivio Storico:- ex Dipartimento di Musica e Spettacolo - Universita' di Bologna
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STAGIONE 2001 - le
linee della scena teatro |
In questo volume non si parla, genericamente e complessivamente, del teatro nel Novecento (anche se, comè ovvio, non vi mancano frequenti notazioni panoramiche e di contesto) ma, ben più ristrettivamente e specificamente, di Novecento teatrale, intendendo con questa espressione le esperienze, le proposte, gli artisti e gli eventi che hanno sconvolto il teatro contemporaneo, che lo hanno cambiato in maniera irreversibile e comunque in profondo, nelle sue funzioni e nella sua stessa identità. Lintento è quello di porsi di fronte al Novecento teatrale come davanti a una storia per più versi già conclusa (anche se fittamente intrecciata con le vicende attuali della scena), meglio ancora, come davanti alla nostra tradizione, per coglierne soltanto i momenti e gli aspetti che consentano di individuare meglio la discontinuità netta, la rottura radicale che essa ha operato nelle pratiche e nelle visioni sceniche, cioè sia nei modi di fare che di pensare il teatro oggi non solo e non tanto a livello estetico quanto piuttosto sul piano sociale, culturale, addirittura antropologico.
Marco De Marinis [dalla quarta di copertina del volume]
1959-1999. Il passaggio del secolo (e del millennio) e altri più squillanti anniversari hanno lasciato in ombra levento che dà il titolo al n. 2/3 di "Culture Teatrali". Forse non è il caso di rammaricarsene troppo, e del resto non siamo, e non saremo mai, dei patiti delle ricorrenze. E tuttavia, quella dei quarant'anni del Nuovo Teatro Italiano cè sembrata un'occasione da cogliere, anche perché consentiva di precisare subito meglio la fisionomia e le finalità della nostra neonata rivista, il suo offrirsi innanzitutto si veda lEditoriale del primo numero come uno spazio pluralistico (anche se non agnostico) per incontrare le voci, i pensieri, le visioni degli artisti teatrali. Agli eventuali dubbiosi o smemorati, ricordo che il 1959 è stato davvero lanno desordio del nuovo teatro in Italia (oltre ad aver costituito un momento estremamente significativo anche a livello internazionale: nascono il Teatr-Laboratorium di Grotowski, in Polonia, e la San Francisco Mime Troupe di Ronnie Davis in California; sempre negli USA debutta lHappening con Allan Kaprow ed esplode il Living Theatre con il suo primo grande successo di scandalo, The Connection): Carmelo Bene esordisce in un Caligola ancora non suo e Carlo Quartucci propone Aspettando Godot di Beckett. Più interessante, perché molto più controversa, è la questione riguardante la fase attuale e i suoi rapporti con la stagione storica del nuovo teatro italiano: in altri termini, si tratta di decidere se la fase inauguratasi nel 59 si sia conclusa oppure duri ancora, seppur con diversi caratteri. Da tempo chi scrive si è schierato a favore della prima ipotesi, ritenendo che il ciclo del nuovo teatro possa considerarsi sostanzialmente completato negli anni Ottanta, e non soltanto in Italia ( non a caso, anche di recente, ci è accaduto di indicare in episodi come la chiusura definitiva del Teatr Laboratorium di Grotowski in Polonia, nel 1984, o la scomparsa di Julian Beck l'anno seguente, i possibili limiti materiali e simbolici del Novecento teatrale). Quindi, dopo le due grandi fasi novecentesche delle avanguardie storiche e delle neoavanguardie (o seconde avanguardie storiche, come propone Claudio Meldolesi), attualmente saremmo, e non da poco, dentro una terza fase, quella che Guccini chiama qui "nuovo teatro post-novecentesco" e che nel primo numero di CT è stata definita del "dopo i Maestri", senza alcun intento sminuente o peggiorativo, senza cioè volerla svalutare a stagione puramente epigonale ma per metterne in rilievo invece uno dei tratti fondamentali e fondanti, e cioè il fatto che essa ha nel Novecento teatrale, e quindi nelle due grandi stagioni di riforma (o d'avanguardia) testé menzionate che lo sostanziano, la sua specifica tradizione: tradizione del nuovo. [ ] Decifrare questa terza fase in cui siamo immersi, tutti, compresi gli artisti che anagraficamente appartengono a quelle precedenti, a meno di non volerli considerare semplicemente dei sopravvissuti, è compito fondamentale di una critica che non si accontenti di catalogazioni pigre, che sappia e voglia andare oltre le apparenze della cronaca e le lusinghe ingannevoli dello spirito del tempo. E quello che tentano di fare in questo volume sia pure con interventi di taglio e consistenza molto diversi tra loro Gerardo Guccini e Carlo Infante (ma anche gli scritti dintervento di Leo de Berardinis, o le riflessioni di Antonio Neiwiller riproposte da Marta Porzio, sono estremamente stimolanti in proposito). Non è certo per caso se, a parte le presenze doverose e graditissime di alcuni dei padri fondatori della prima generazione (riconosciuti, come de Berardinis e Scabia, o nascosti, per loro stessa scelta, come Rino Sudano), la parte monografica di questo numero doppio di CT è monopolizzata proprio da artisti e gruppi emersi nel corso del decennio cruciale e spartiacque degli Ottanta: da Ravenna Teatro (prima Albe di Verhaeren), con Marco Martinelli ed Ermanna Montanari, alla Socìetas Raffaello Sanzio di Romeo Castellucci, Claudia Castellucci e Chiara Guidi; dal Teatro della Valdoca, di Cesare Ronconi e Mariangela Gualtieri, ai Marcido Marcidorjs e Famosa Mimosa, di Marco Isidori, Maria Luisa Abate e Daniela Dal Cin, allo stesso Antonio Neiwiller, tuttavia nato artisticamente molto prima. Ma adesso è venuto il momento di dire a chiare lettere che, nel comporre questo volume, non siamo mai stati animati da alcuna pretesa di completezza e che quindi alle assenze vistose e numerose (da Carmelo Bene e Carlo Cecchi ai Magazzini di Federico Tiezzi e Sandro Lombardi, da Giorgio Barberio Corsetti a Mario Martone e ai Teatri Uniti, da Remondi&Caporossi a Claudio Morganti e Alfonso Santagata, da Laboratorio Teatro Settimo, di Gabriele Vacis e Laura Curino, a Marco Baliani, da Enzo Moscato a Pippo Delbono e non vorrei dimenticare una presenza regionale interessante come Teatro Due Mondi di Faenza, guidato dal regista Alberto Grilli) non bisogna conferire alcun significato particolare. Semplicemente, si è preferito dare molto spazio a pochi artisti e gruppi piuttosto che fare linverso. Panoramiche e schedature più o meno esaustive dellesistente non mancano (per tutti citerò il recente lavoro di Stefania Chinzari e Paolo Ruffini, oltre ovviamente allannuale Patalogo di Franco Quadri, che con il XXII volume ha reso il doveroso omaggio al Novecento, ma a suo modo, arrestandosi al 1977). Coerentemente con la natura di strumento di documentazione, studio e approfondimento, che desideriamo sia propria di CT, abbiamo preferito ospitare contributi ampi, a volte molto ampi, fossero di giovani ricercatori o di registi affermati. La generazione dei Novanta (da Lenz Rifrazioni a Masque Teatro, da Motus a Teatrino Clandestino, da Accademia degli Artefatti a Fanny & Alexander, da Teatro Reon a Le Belle Bandiere) finisce così per mancare del tutto, se si eccettuano le fuggevoli menzioni di Guccini e Infante: ma ad essa la rivista ha intenzione di dedicare unattenzione specifica e costante in futuro (come del resto ha cominciato a fare, fin dal primo numero, con il contributo sui Teatri Invisibili). Marco De Marinis [dalla Presentazione del n. 2/3 di "Culture Teatrali"] |