Archivio Storico:- ex Dipartimento di Musica e Spettacolo - Universita' di Bologna LA SOFFITTA - Centro di Promozione Teatrale

la soffitta
Centro di promozione teatrale

STAGIONE 2001 - le linee della scena
cinema

 

gennaio 2001

I TRAFFICI DI MONSIEUR TATI
Il cinema di Jacques Tati

 

proiezioni al Cinema Lumière:

i cortometraggi
  • Gai dimanche (J. Berr, 1935, 33')
  • Soigne ton gauche (R. Clement, 1936, 12')
  • L'Ecole des facteurs (J. Tati, 1947, 15')
  • Cours du soir (N. Rybowski, 1967, 24')
i lungometraggi
  • Giorno di festa (Jour de fête, 1949, 70')
  • Le vacanze di Monsieur Hulot (Les Vacances de M. Hulot, 1953, 96')
  • Mio zio (Mon oncle, 1958, 120')
  • Playtime (id., 1967, 152')
  • Monsieur Hulot nel traffico (Trafic, 1971, 96')
  • Il circo di Tati (Parade, 1973, 83')

26-27 gennaio 2001
il convegno
Università degli Studi di Udine
Sala Convegni (Via Antonini,8) - Udine

 

I TRAFFICI DI MONSIEUR TATI
Il cinema di Jacques Tati
a cura di Francesco Pitassio

Ho scelto il grande schermo, che è appunto la finestra.[…]
Volevo una finestra; non un piccolo lucernario, una vera, grande finestra.
Jacques Tati

Il cinema di Jacques Tati, del suo lunare e saturnino personaggio Monsieur Hulot, è disseminato e punteggiato di finestre, lucernari, vetrate: l’abbaino sul tetto da cui fa capolino il capo di Hulot in Les Vacances de M. Hulot (1953), la porta in cristallo che quattordici anni dopo lo stesso personaggio infrange (Playtime, 1967), le finestre così simili ad occhi della casa avveniristica di Mon oncle (1958) e quelle più banali della mansarda dove abita lo zio… La finestra in Tati è la forma della comicità, con cui si osserva dalla distanza una successione di azioni quotidiane, compiute da personaggi anonimi, troppo simili a noi per riderne fragorosamente. Apertura, distanza e quotidianità sono le fondamenta di un edificio, di un mondo particolare, molto analogo al nostro, appena un po’ differente: Tativille. Così si chiamava il mastodontico e avveniristico complesso di edifici che Jacques Tati fece costruire alla periferia di Parigi, per mettere in scena Playtime. Ma Tativille è anche uno strano pianeta concettuale, una forma di esistenza dei film di Tati, di volta in volta innervato da un materiale: sabbia e legno (Les Vacances di M. Hulot), plastica e mattoni (Mon Oncle), vetro e cemento (Playtime), metallo e asfalto (Trafic). Pochi registi hanno saputo dare una forma così totale, assoluta, unica alle proprie opere, fino a determinarne ogni singolo materiale, come ciascun spostamento della minima comparsa. Per questo la finestra di Tati è solo in parte apertura. È pure superficie riflettente, creazione speculare.

Al termine di Playtime un lavavetri lustra una finestra, su cui si riflette la comitiva di americane; gli spostamenti della finestra danno la sensazione che le gitanti siano su un ottovolante, e loro stesse commentano con gridolini estasiati. Una finestra non permette solo di guardare, ma anche di dipingere. Sono quei piani, chiassosamente pieni, o vuoti in maniera sconsolante. Un piano di Tati preesiste sempre ad un dramma, ed è sempre, in primo luogo, un perimetro tracciato. D’altro canto, il nonno materno di Tati era corniciaio e amico di Van Gogh.

Amare
del mare
le amare
maree

Alberto Savinio

L’opera di Jacques Tati funziona per onde, mareggiate, sommovimenti liquidi e fluidi. La superficie dello schermo, magari esaltata dall’impiego del formato in 70 mm., viene improvvisamente percorsa da un’ondata di persone o da un flutto sonoro che la riempie, per poi lasciarla nuovamente vuota e apparentemente disoccupata. Nei film di Tati i tamponamenti a catena tra automobili si susseguono: non sono incidenti gravi, solo la dimostrazione di un unico movimento, una marea che rende solidali parti in apparenza separate. In Mon oncle gli operai di una fabbrica passano cinque minuti di film a trasportare un tubo rosso ondeggiante… Les Vacances si apre con un piano di una marina, una spiaggia normanna su cui i flutti si infrangono. Un piano vuoto all’inizio del racconto, uno spazio poi riempito dalla comitiva dei turisti, che vi albergheranno per abbandonarlo al termine del film, allorché resterà nuovamente vacuo. Un piano (un film) in Tati è sempre un luogo in cui entrano e escono delle mareggiate di cose, persone, suoni, movimenti…

./.
"È moderno, tutto comunica!"
Mon oncle

Il cinema di Tati vuole anche essere una parabola sulla modernità. È forse il lato meno interessante della sua opera, quello allegorico. Eppure le scelte adottate per realizzarlo sono spesso acute. In Playtime le enormi vetrate suggeriscono una prossimità tra interno ed esterno degli edifici, sempre contraddetta dal sonoro: non si sente nulla dell’esterno. In Trafic le grandi reti viarie tra Francia e Olanda costringono continuamente i personaggi a delle deviazioni complicate, mentre la macchina del futuro, ennesimo ircocervo creato per Tativille, non percorrerà neppure un’inquadratura. François in Jour de fête (1948) e M. Hulot non parlano mai: borbogliano motti incomprensibili. Gli altri personaggi tra loro blaterano e cicalecciano senza sentirsi l’un l’altro, fino alla Babele linguistica di Trafic, profezia su un’Europa poliglotta e primitiva, in cui le onomatopee hanno più valore dei significati. Gli spazi e le persone sono contigui, prossimi, ma le cose non passano nella maniera che ci aspetteremmo, a Tativille. La comunicazione funziona, ma un po’ diversamente…

Tati […] inventa il cinema mentre gira; egli rifiuta la struttura di tutti gli altri.
François Truffaut

I film di Jacques Tati, semplicemente, hanno un’altra marcia. Simile in questo a Charlie Chaplin, da cui si distacca per tutto il resto, la sua opera viaggia ad una velocità di crociera completamente differente da quella del cinema a lui contemporaneo. Non è questione di tessere l’elogio della modernità delle sue scelte. Questa è evidentissima nell’impiego del sonoro, nella strutturazione delle scene per piani anziché per sequenze, nel rifiuto di un discorso organizzato per campo/controcampo e attraverso l’abuso del primo piano. Ma la questione è un’altra: il cinema di questo corniciaio mancato procede per altre strade, ad altri ritmi. È capace di pazientare a lungo una gag, poco preoccupato di comunicare a tutti i costi. Il racconto di Tati procede per accostamenti di scene, nient’affatto inquieto di assorbire in sé lo spettatore, né di esibire il corpo del suo principale artefice. La serena disaffezione è tale da popolare un intero film (Playtime) di sosia di Hulot. Si ama la creazione, non il creatore… I film di Tati, il suo stesso corpo, le costruzioni di Tativille sono creazioni modulari, in cui i pezzi sono poggiati gli uni sopra e accanto agli altri. Per questo i distributori si sono potuti accanire, e ridurre in varie occasioni la durata dei suoi film, senza inficiarne la fruibilità. Per lo stesso motivo, bisogna tornare a Tati: per scoprire l’urbanistica misteriosa di Tativille, occultata dai casi del mercato (della comunicazione). Hulot è sempre in ritardo, e alla fine in anticipo.

Francesco Pitassio
(da: "Cineteca", XVI, 8, dic. 2000-gen. 2001, p. 8)

La rassegna I traffici di Monsieur Tati. Il cinema di Jacques tati nasce in collaborazione con Cineteca del Comune di Bologna, Cinema Lumière, Cineteca del Friuli, Cinémathèque Française, Università degli Studi di Udine, Centro Espressioni Cinematografiche (Udine), Cinemazero (Pordenone).

L’iniziativa è composta da quattro cortometraggi, sei lungometraggi e un convegno.

Le proiezioni si terranno presso il Cinema Lumière di Bologna (via Pietralata 55a). Il convegno si svolgerà presso l’Università degli Studi di Udine (Sala Convegni, via Antonini 8), nei giorni 26 e 27 gennaio 2001.


ritorno alla pagina precedente

Archivio Storico:- ex Dipartimento di Musica e Spettacolo - Universita' di Bologna