Archivio Storico:- ex Dipartimento di Musica e Spettacolo - Universita' di Bologna LA SOFFITTA - Centro di Promozione Teatrale

la soffitta
Centro di promozione teatrale

STAGIONE 2000
teatro

 

Grotowski posdomani

di Ferdinando Taviani

[…] Ricapitoliamo gli inciampi che renderanno difficile, oggi e domani, far la storia di Grotowski. Ha dato la scossa più energica al teatro del secondo Novecento, ma sarà forse ingannevole vederlo all’interno della storia del teatro, sia perché da essa deborda, sia perché con essa crea un doppio legame. Questo doppio legame ci obbliga a guardare contemporaneamente in due direzioni diverse, reagendo ad una doppia visuale: quanto più la sua figura esula dal contesto teatrale, tanto più questo ci serve per definirla; quanto più la riportiamo ad esso, tanto più vi risulta straniera.

[…] Grotowski, a causa della doppia visuale, sembra dopo la sua morte entrare nella Storia agitando lo spirito della sproporzione. Già da prima, anche la cronaca e l’aneddotica s’erano sdoppiate: era considerato da tempo un vegliardo, benché quand’è morto, il 14 gennaio 1999, non avesse ancora compiuto i 66 anni. In realtà è come se fosse "morto molte volte - spiega Georges Banu - perché più d’ogni altro artista egli è scomparso ogni volta di più, al termine di ciascun ciclo, per abbandonare progressivamente il teatro, il mondo". E’ giusto però parlare di cicli diversi? Oppure ha ragione chi sostiene che le fasi che sembrano scandire la vicenda di Grotowski sono puro illusionismo, dove l’effetto di un’evoluzione si crea per il semplice spostarsi dell’accento dall’uno all’altro livello di un’unitaria ricerca? […]

Grotowski rivendicava per sé il sapere dello sperimentatore. Quando nel 1997 venne chiamato al Collège de France, dove tenne lezioni di Anthropologie Théâtrale, ripeté quel che spesso affermava: la sua ricerca era cominciata lì dove si era arrestata quella di Stanislavskij, in un territorio ristretto e sottilissimo, ma con profondità impensate: la zona in cui "dentro il corpo", l'azione fisica è preceduta dall'"impulso". Lavorare in questa zona significa muoversi nell'interfaccia fra il cosiddetto "fisico" e il cosiddetto "spirituale".

[…] Sarà difficile fare la storia di Grotowski? Vuol dire allora che converrà lasciarlo circolare fuori dagli schemi storiografici, dalle caselle amiche, tanto utili per distinguere e "fare storia". Sarebbe davvero un modo di far violenza allo storia cercare di stanarlo dalla sua clandestinità, che nel suo caso non indica affatto una condizione occulta, ma nomade. […]

Ma di quale storia generale fa parte la storia particolare di Grotowski?

[da: Grotowski posdomani.

21 riflessioni sulla doppia visuale, in corso di stampa in "Teatro e Storia", n. 20].

 

Eredità di lavoro

L'ultimo scritto di Jerzy Grotowski

E' possibile che il termine della mia vita si avvicini. Tengo prima di tutto a rettificare un'informazione che falsa la comprensione del lavoro del Workcenter of Jerzy Grotowski and Thomas Richards. "Action: l'ultimo spettacolo di Jerzy Grotowski": questa informazione contiene tre deformazioni della verità.

Il mio ultimo spettacolo, come regista, s'intitola Apocalypsis cum figuris. Fu creato nel 1969 e le sue rappresentazioni sono terminate nel 1980. Da allora non ho più fatto alcuno spettacolo.

Action non è uno spettacolo. Non appartiene all'ambito dell'arte come presentazione. E' un'opera creata nel campo dell'arte come veicolo. E' concepita per strutturare, in un materiale legato alle performing arts, il lavoro su se stessi degli attuanti.

Dei testimoni, degli osservatori esterni possono essere presenti o no. Ciò dipende da varie condizioni che, in circostanze differenti, questo approccio esige.

Quando parlo dell'arte come veicolo, mi riferisco alla verticalità. Verticalità, il fenomeno è di ordine energetico: energie pesanti ma organiche (legate alle forze della vita, agli istinti, alla sensualità) e altre energie, più sottili. La questione della verticalità significa passare da un livello diciamo grossolano - in un certo senso si può dire tra virgolette "quotidiano" - a un livello energetico più sottile o addirittura verso la higher connection. Indico semplicemente il passaggio, la direzione. Là, c'è anche un altro passaggio: se ci si avvicina all'alta connessione - cioè in termini di energia, se ci si avvicina all'energia molto più sottile - si pone ancora la questione di scendere riportando questo sottile qualcosa nella realtà più ordinaria, legata alla densità del corpo. Thomas Richards ha analizzato la sua percezione, la sua esperienza individuale di questo tipo di processo, e l'ha caratterizzata come inner action.

Con la verticalità, non si tratta di rinunciare a una parte della nostra natura; tutto deve tenere il suo posto naturale: il copro, il cuore, la testa, qualcosa che è "sotto i nostri piedi" e qualcosa che è "sopra la testa". Il tutto come una linea verticale, e questa verticalità deve essere tesa tra l'organicità e the awareness. Awareness vuol dire la coscienza che non è legata al linguaggio (alla macchina per pensare), ma alla Presenza.

Ripeto dunque. Action non è "uno spettacolo". E' un'opera interamente creata e diretta da Thomas Richards, e sulla quale prosegue un lavoro continuo dal 1994.

Si può dire che Action è stata una collaborazione tra Thomas Richards e me? Non nel senso di una creazione a quattro mani; solamente nel senso della natura del mio lavoro con Thomas Richards dal 1985, che ha avuto il carattere della trasmissione, come la si comprende nella tradizione; trasmettergli ciò che ho raggiunto nella vita: l'aspetto interiore nel lavoro.

Quanto ad Action, Thomas Richards ne è l'autore esclusivo. Se ripeto queste affermazioni è per fare piazza pulita prima di avvicinarmi ai temi che mi abitano da molto tempo.

Che cosa si può trasmettere? Come e a chi trasmettere? Sono domande che ogni persona che ha ereditato dalla tradizione si pone, perché eredita nello stesso tempo una specie di dovere: trasmettere ciò che lui stesso ha ricevuto.

Che parte ha la ricerca in una tradizione? In che misura una tradizione di un lavoro su se stessi o, per parlare per analogia, di uno yoga o di una vita interiore deve essere nello stesso tempo un'investigazione, una ricerca che fa con ogni nuova generazione un passo in avanti?

In un ramo del buddismo tibetano si dice che una tradizione può vivere se la nuova generazione va avanti di un quinto rispetto alla generazione precedente, senza dimenticarne o distruggerne le scoperte.

Lo so, lo so… nel campo artistico stricto sensu si può dire che esista solamente un'evoluzione e non uno sviluppo. E che l'opera di Beckett, solo perché arriva dopo nel tempo, non sia più sviluppata dell'opera di Shakespeare.

Ma qui parlo di un ambito che è artistico e che non è esclusivamente artistico. Nel campo dell'arte come veicolo, se considero il lavoro di Thomas Richards su Action, sugli antichi canti vibratori e su tutto questo vasto terreno legato alla tradizione che occupa le ricerche qui, constato che la nuova generazione è già avanzata rispetto alla precedente.

[da "Il Sole 24 Ore", 21 marzo 1999, n.78;

traduzione dal francese di Mario Biagini).


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