Archivio Storico:- ex Dipartimento di Musica e Spettacolo - Universita' di Bologna
LA SOFFITTA - Centro di Promozione Teatrale
la
soffitta
Centro di
promozione teatrale
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STAGIONE
1999
programmi
di teatro |
Limmagine
necessaria: Teatri Uniti, tra scena e schermo
A sud, si muoveva il protagonista
di Falso movimento (1975) di Wim Wenders, novello Wilhelm
Meister alla ricerca di ispirazione da travasare nella scrittura.
Chiamare Falso Movimanto un gruppo teatrale, nel 1977,
come Mario Martone, Angelo Curti, Licia Maglietta ed altri hanno
fatto, era già una maniera di tracciare linee ben precise tra la
scena e limmagine, di intrecciare linguaggi, di abitare fuori
e dentro il teatro. Ma configurava anche una modalità ben
precisa di muoversi verso sud, di viaggiare con una proposta ben
precisa nel dedalo complicato di una città ricca di tradizione
teatrale, di raffigurarla come unenorme struttura
primordiale, animata da una passionalità intensa.
Per Falso Movimento il
video non risponde solo ad unesigenza di documentazione del
fatto spettacolare, ma caratterizza il fatto spettacolare stesso
attraverso il nesso fondamentale dellimmagine. Così si
spiega la coagulazione di Rotirno ad Alphaville, del 1986,
tratto esplicitamente da Jean-Luc Godard, di cui Martone firma il
prologo, interpretato da Tomas Arana e Vittorio Mezzogiorno. E il
cinema, la televisione, limmagine elettronica, con le loro
caratteristiche di sinteticità, di frammentazione estrema, erano
stati al centro di un fitto tessuto di citazioni per altri testi,
da Tango glaciale, del 1982, a Il desiderio preso per
la coda (1985).
Quando Falso Movimento si
trasforma nei Teatri Uniti, arricchendosi di personalità
eclettiche come quelle di Toni Servillo ed Antonio Neiwiller, le
contaminazioni si fanno sempre più serrate: cinema e teatro
diventano luoghi da cui si esce e si entra spesso senza
distinzione. Se il palcoscenico vede allestiti mostri sacri del
teatro antico, monoliti come Filottete di Sofocle o I
persiani di Eschilo, lo scivolamento verso il cinema produce
lesordio di Morte di un matematico napoletano.
Attorno a Martone si forma una belle équipe che riassume
competenze diverse, di attori e tecnici, e Napoli, fuori e dentro
ai Teatri Uniti diventa fulcro di una nuova scena
cinematografica, resa viva da punti di vista anche assai lontani
come quelli di Pappi Corsicato, Stefano Incerti e Antonio
Capuano.
Palcoscenico e schermo sono luoghi
che esplodono, si intersecano, fanno da punto di unione per
ascoltare voci anche difficili. Così le canzoni di Enzo Moscato
diventano prima Rasoi a teatro, e poi un film che di
quello spettacolo è cronaca fedele e ravvicinata. Le grida, le
invettive, le visioni apocalittiche, lo sciogliersi di Napoli in
un magma lavico sono una precisa provocazione al limite stesso
che si è sempre posto tra il fatto teatrale e la possibilità di
istituirne una documentazione, di ridurlo ad hic et nunc.
Fino allesperienza di Teatro
di guerra, che in un certo senso riassume anche quella dei
Teatri Uniti, riunendo molti degli attori che negli anni hanno
lavorato con Martone. Ma anche tentativo estremo di restituire
lineffabile momento in cui lo spettacolo "si fa",
la polverosa atmosfera delle prove, la frustrazione per una
performance che non vedrà mai la luce. E su tutto incombe il
senso ben preciso di un altrove (paradosso di un film
claustrofobico, fatto di vicoli e spazi stretti), inteso come
Napoli, o Sarajevo, campi di battaglia dove ogni movimento può
portare alla sconfitta, definitiva. Lo spettacolo diventa così
storia, anche non finalizzata o realizzata, per il tramite ultimo
della macchina da presa.
Il teatro vive,
limmagine garantisce.
- Teatro di guerra
- Regia: Mario Martone;
fotografia: Pasquale Mari; montaggio: Jacopo Quadri;
scenografia: Giancarlo Muselli; interpreti: Andrea Renzi
(Leo), Anna Bonaiuto (Sara), Iaia Forte (Luisella),
Roberto De Francesco (Diego), Marco Baliani (Vittorio),
Toni Servillo (Franco), Peppe Lanzetta (Silvano);
produzione: Teatri Uniti/Lucky Red; distribuzione Lucky
Red.
E che problema cè? Qua di mare ce ne sta quanto
vuoi
Summa teologica di un progetto, di un modo di pensare
lesigenza stessa dello spettacolo, Teatro di
guerra si pone come oggetto deciso e problematico,
ineffabile sonda che cerca di catturare quanto di più
difficile, ed esperenziale, vi sia, nella pratica
attoriale, o performativa in senso lato. Il momento in
cui lo spettacolo si prepara, si fa in senso
demiurgico, le speranze, le aspettative tradite, i
respiri, le frustrazioni. Teatro di guerra non è
spettacolo, o prova, filmati, non è un making, o
un occhio attento sul backstage. E una somma
di campi di battaglia, ridotti al breve sempiterno spazio
di un palcoscenico. E un dito puntato su città
martoriate, sconvolte dal profondo, rese metafora, ma
anche carnalizzate.
- In pratica, non cè
altro luogo che la scena, in Teatro di guerra.
Sulla scena passano i dolori di Sarajevo, obiettivo
lontano di un allestimento futuro dei Sette contro
Tebe, ed il magma incandescente di Napoli,
lincrociarsi antico dei vicoli, lambiente dei
Quartieri Spagnoli con le sue contraddizioni. La guerra
è la stessa, combattuta con armi simili, ed insidia le
possibilità stesse della rappresentazione. Di fatto,
uccidendo lattore bosniaco amico di Leo, la
renderà impossibile, non-realizzata. Ma Napoli,
laltro polo di questo conflitto, continuerà a
vivere immersa nelle acque del mare, e la
rappresentazione con lei.
- E poi cè il viaggio
nella tragedia classica, con la quale Martone si è
confrontato più volte in passato (I persiani,
dello stesso Eschilo, e Filottete, di
Sofocle), con il suo carico di storia e tradizione, il
suo folgorante punto di vista sul presente. Anche la
tragedia fa riferimento ad altri luoghi, a fatti lontani
che qualcuno si presta a raccontare, ad affabulare, sulla
scena, che torna ad essere il nucleo, il centro attorno
al quale tutto si sviluppa.
- In ultimo, il livello
meta-spettacolare. Teatro di guerra è la cronaca
(falsa) di un allestimento
- (vero). Una impressionante mise
en abîme di un evento che ne contiene altri, ed
altri ancora, fino a diventare, come Martone stesso ha
notato di ogno oggetto filmico, un fantasma. Se Rasoi
è cronaca diretta, viva e palpitante, tesa a rendere
eterno listante che il teatro offre, Teatro di
guerra ruota con pazienza, più volte, in una
dimensione differita, attorno a questo istante. Lo
seziona, ne analizza le componenti segrete, lo
restituisce in tutte le sue sfaccettature. Lega poco a
poco levento con limmagine, il teatro con il
cinema. Si gonfia impercettibilmente, alterna i contorni
stessi dellinquadratura (non per nulla, il film è
stato realizzato originariamente in 16 mm e poi portato
al formato classico di 35 mm). A questo rito, Martone
invita un po tutti gli attori ed i collaboratori
che negli anni hanno seguito lesperienza dei Teatri
Uniti. Da Anna Bonaiuto a Iaia Forte, da Andrea Renzi a
Toni Servillo. Non testimoni, o semplici officianti di
una cerimonia. Piuttosto, soldati contro in questo
teatro dellimmagine. Fino allacqua del mare.
- RASOI
- Regia: Mario Martone;
sceneggiatura: Mario Martone, Toni Servillo su testi di
Enzo Moscato; fotografia: Pasquale Mari; montaggio:
Jacopo Quadri; musica: Haydn, Scarlatti, canzoni
napoletane depoca; interpreti:
, Isacco
Esposito, Licia maglietta, Iaia Forte, Marco Manchisi,
Vincenzo Modica, Enzo Moscato, Toni Servillo, Tonino
Taiuti; produzione: Teatri Uniti; distribuzione: Mikado.
- Italia, 1993, 55 min.
-
- Il grande spettacolo di
napoli, quello in cui lintera civiltà partenopea
mette in gioco se stessa, in una cantata profana di ampio
respiro. "Blues metropolitano", per citare un
altro, sottovalutato, affresco del paesaggio urbano,
dipinto a metà degli anni 80 da Salvatore Piscicelli.
Necessitava di un documento preciso, tradizionale in un
certo senso, che percorresse la via maestra dei rapporti
tra cinema e teatro.
-
- Rasoi non ha però
solo questo valore di testimonianza. E una cronaca
diretta, fedele, vicina ai volti e ai corpi degli attori.
Anche in questo caso, il palcoscenico non può darsi se
non nella misura in cui è svelato dallobiettivo. I
monologhi, le lamentazioni, le tirate, le violente
invettive passano direttamente dal testo alla pellicola.
Sin troppo accademico, ha obiettato qualcuno, per quanto
rasenta la letteralità. Eppure capace di un calore
estremo, di comunicare le verità forti di un tessuto
urbano contraddittorio. Che urla la propria disgraziata,
i propri vizi grandi e piccoli allineando una serie di
personaggi tragici, farseschi, o semplicemente
incredibili.
-
- Guappi e scugnizzi che
strillano indemoniati, vagabondi che raccontano di
invasione e donne sofferenti dinsonnia che
prevedono epidemie, regine, statue della Madonna, e il
fantastico Re Bomba, epulone preso da visioni
apocalittiche. Tutti interpretano il loro numero come un
colpo di rasoio, giocato tra un passato che emerge dalla
narrazione, dal sogno o dallincubo, e un presente
sottaciuto, che ammicca decisamente alla realtà
contemporanea.
-
- Il gioco dei rimandi, avanti
e indietro nel tempo, trova una nuova dimensione, quasi
un "secondo grado", una volta inserito nel
contesto cinematografico. Il punto in cui la cronaca
filmata lascia il posto ad un oggetto diverso, e lo
spettacolo si trasforma, in immagine.
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