Archivio Storico:- ex Dipartimento di Musica e Spettacolo - Universita' di Bologna
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Hans Heinrich Eggebrecht
(Friburgo in Brisgovia)
MUSICA COME TEMPO
Cosè il tempo? Non lo so. Però mi piacerebbe saperlo. Per questo me lo chiedo. Mi piacerebbe saperlo in rapporto alla musica, di cui mi sono sempre occupato e nella quale quel che chiamiamo tempo ha una parte così importante. E mi piacerebbe saperlo anche in via di principio non solo perché la sfera dei principii deve accompagnare ogni approccio alla musica, ma anche perché quando si diventa vecchi si avvicina la fine del tempo concesso alla nostra vita. Mi piacerebbe unire lelemento di principio alla musica, ed entrambi alla vita. Ma so già che, nonostante le domande e le riflessioni, non saprò mai cosa sia il tempo. Si dice: non ho, ho poco, ho molto tempo; oppure: il tempo mi fugge, oppure ancora: mi prendo tempo. Tutto questo, e altro del genere, quando vien detto, noi lo comprendiamo senzaltro. Ma cosè quella cosa che non ho, o di cui posso dire che ne ho poca, o molta, che mi fugge e che mi posso prendere? Credo che sia possibile trovare una risposta a domande del genere considerando anzitutto lorologio. Lorologio è una macchina inventata dalluomo per misurare il tempo, che si basa su movimento, unità di misura e numero. Qui lunità di misura è determinata geofisicamente e viene misurata facendo riferimento al sole, alle stelle o alle maree, allacqua o alla sabbia, a un sistema di rotelle con contrappesi, molle e pendolo, oppure allelettricità, al quarzo e allatomo. Tuttavia non è il funzionamento della macchina, né la storia di questo funzionamento, unito a un costante perfezionamento della misurazione, che ci interessano qui, ma solo il fatto che esiste una misurazione del tempo, lorologio (Uhr) parola che deriva da una unità di misura, cioè dal latino hora, ora. Le affermazioni tipiche della vita quotidiana ricordate allinizio ad esempio non ho tempo, mi prendo tempo, il tempo non conta, il tempo è denaro sono affermazioni fatte in riferimento allorologio, anche quando non ci pensiamo espressamente. Il tempo scorre in misura calcolata, e nei miei programmi è già occupato, cosicché io non ho tempo, oppure me lo prendo per far qualcosa, oppure mi è indifferente rispetto ai miei progetti, oppure è a mia disposizione e lo sfrutto. Questo tempo misurato in unità, che scorre e in merito al quale posso decidere se non ne ho o se me lo prendo e se e come sfruttarlo, lo chiamerò tempo dellorologio (Uhrzeit) (1). E forse alla domanda su cosa sia il tempo si potrebbe rispondere così: il tempo è tempo dellorologio, o per usare unaltra espressione, tempo cronometrico. Esso è sempre e ovunque lo stesso, solo che viene calcolato con sfasature nelle regioni corrispondenti ai diversi fusi orari del pianeta, a seconda della distanza di ciascuna regione dallora solare media a zero gradi di longitudine. La vita tutta, il pensiero e il normale disbrigo delle faccende quotidiane sono posti nel tempo, che lorologio misura e mostra. Ma cosè il tempo al di fuori dellorologio? Si può dire che ci sia? O cè tempo solo perché cè lorologio che lo misura? Allora non ci sarebbe tempo = tempo, ma tempo = misura. Dunque il tempo è la misura di qualcosa per indicare la quale, allorché la misuriamo, non disponiamo di altro nome che tempo? Quando diciamo non ho tempo, o mi prendo tempo, il tempo mi fugge, il tempo si è fermato, tutte queste affermazioni, consapevolmente o no, vengono fatte sullo sfondo del tempo dellorologio. Ma esse sovrappongono e sostituiscono la misura dellorologio con un altro metro; non valgono per tutti, ma per me: esse costituiscono il tempo nella mia coscienza. Non avere tempo o prendersi tempo significa che io non ho tempo, che io me lo prendo. In questo senso si può distinguere tra tempo oggettivo e soggettivo. Il tempo oggettivo è il tempo dellorologio, la cui misura vale per tutto e tutti; lo si può chiamare anche tempo assoluto, poiché la sua misura, ab-soluta, indipendente e intoccabile, vale sempre e ovunque, cosicché il tempo non è né veloce né lento, né breve né lungo, ma sempre e ovunque lo stesso. Il tempo soggettivo invece modifica la forma della misura prodotta dallorologio tramite un io che pone il metro di misura quando dice il tempo non mi passa mai, ora ho tempo (oppure no), mi scappa via, ma io me lo prendo. Immanuel Kant difficilmente sarebbe daccordo con questa distinzione tra tempo soggettivo e oggettivo, stando allestetica trascendentale della sua Critica della ragion pura. Per lui il tempo è interamente soggettivo, dal momento che al pari dello spazio sta alla base di ogni intuizione e conoscenza in quanto forma a priori pura, cioè non empirica. Il tempo è "unicamente una condizione della nostra (umana) intuizione e in sé, fuori del soggetto, è nulla". In ciò consiste "lidealità trascendentale del tempo, secondo la quale il tempo, se si astrae dalle condizioni soggettive dellintuizione sensibile, è assolutamente nulla e non può essere annoverato tra le cose in sé stesse (prescindendo dal loro rapporto con la nostra intuizione), né come sussistente né come inerente". Il tempo "non inerisce agli oggetti stessi, ma semplicemente al soggetto che li intuisce" (2). Può darsi: può essere che il tempo sia una condizione aprioristica della nostra intuizione. Ma questa condizione devessere detta soggettiva in quanto a priori? Per contro, come potrebbe ancora interessarmi un alcunché di oggettivo, se non mi è accessibile sulla base della mia forma a priori dellintuizione? Non mi interessa, e ciò vale in generale. Senza la distinzione tra oggettivo e soggettivo io non posso pensare il tempo; ora trasferirò questa distinzione al livello del tempo a priori. Mi interessa il fatto che vi siano tempi diversi, uno dei quali io chiamo tempo oggettivo, e si tratta del tempo cronometrico (il tempo dellorologio nel senso più ampio del termine); esso scorre indipendentemente dai soggetti, incontenibile e non influenzabile, dallinizio sino alla fine dei tempi. I soggetti però misurano questo tempo oggettivo (in relazione ad essi) con metri soggettivi, allorché dicono: il tempo non passa mai, oppure è volato, si è fermato, non ho tempo, ma me lo prendo eccetera. Tutto questo lo chiamerò, in modo forfettario, tempo soggettivo. Dunque ci sono due tempi, quello oggettivo che chiamo tempo dellorologio, e quello soggettivo, che può essere chiamato tempo-concezione (Auffassungszeit) (3) stima dellorario (non ho tempo), ma se possibile anche senza stima , che al di là dellorologio costituisce un tempo affatto personale. Io dico due tempi, e non due tipi di tempo, perché ciò comporterebbe lesistenza, sullo sfondo, di un tempo, il tempo, cosicché tempo dellorologio e tempo stimato sarebbero due tipi di un unico e medesimo tempo. Allora ci troveremmo di nuovo davanti al problema di cosa sia questunico tempo, e questo problema, finché posso, vorrei evitarlo. Infatti credo che sia proprio questo unico tempo quello di cui non so e mai saprò cosa sia. Se ora, dunque, vi sono due tempi, allora potrebbero anche essercene più di due. Ma anzitutto fermiamoci a questi due tempi, quello determinato dallorologio e quello determinato dalla mia stima, dalla mia concezione. Questi due tempi, tenteremo ora, tenendo presente la musica, di farli oggetto di dimostrazione (relativa al fatto che ci sono) e di riflessione (su cosa siano). Tempo dellorologio e tempo-concezione sono, in relazione sia alla dimensione musicale della musica sia al problema circa lelemento fondamentale dellessere del tempo, relativamente privi dinteresse; in questo contesto dovranno essere toccati solo succintamente ed elaborati sino al momento in cui nella nostra riflessione spunterà qualcosaltro. Tutta la musica dura un certo tempo, misurabile con lorologio. Non di rado la durata dellesecuzione è indicata nelle partiture a stampa. Nelledizione Universal della Prima sinfonia di Mahler è indicata "circa 50 minuti", in quella della Sinfonia op. 21 di Webern "10 minuti". Questo interessa il programmatore di concerti, e nelle opere edite di recente la cosa ha un peso nella definizione delle percentuali da corrispondere agli autori. Di frequente, inoltre, la composizione si orienta su indicazioni di questo genere, ad esempio nel caso della musica per film o di composizioni commissionate per feste. Questo tempo della musica, il tempo di esecuzione cronometrabile, in rapporto alla musica di per sé è unesteriorità, che poco o nulla dice sul suo interno in quanto evento temporale. Comunque sia, si constata che per la misurazione cronometrica la musica offre due punti, linizio e la fine, col che si afferma che essa, in quanto realtà per sé, è delimitata rispetto alla realtà nella quale si svolge; ciò significa che nellessere temporale dellessere essa ha una propria presenza (Dasein). Ma in merito al problema di questa delimitazione e in merito al tempo e al modo in cui esso si manifesta allinterno di tale delimitazione, il tempo di esecuzione non dice nulla. Ma se anche potessimo entrare armati di orologio allinterno della musica, per pianificare e misurare gli eventi musicali con, poniamo, lunità di misura del secondo e delle sue frazioni (nella misura in cui ciò è possibile in modo univoco), non verremmo a capo del problema del tempo in musica. Otterremmo valanghe di numeri, che presi per sé non soltanto sono muti, ma anche ciechi. Tanto più che quel che essi designano, cioè i tempi in sé, non esiste affatto. Una durata, ovvero una quantità di durate, separate da quel che dura sono applicabili a infiniti eventi o astraibili da essi; ma prese per sé non sono nulla. Il tempo inizia ad essere qualcosa soltanto quando cè là qualcosa che dura. E lo stesso vale per la misurazione del tempo o della durata. La misura in sé è affatto indifferente, poiché può valere per uninfinita molteplicità, e presa per sé svanisce nel nulla. È così nella vita in genere: unora o un secondo non dicono nulla, se in pari tempo non vien detto, o si sa, a che cosa si riferiscono. Non è già il tempo che accade, ma laccadere, e solo allorché laccadere si fa evento il tempo accade. Tutto il tempo è tempo dellorologio, dal momento che può essere misurato. Ma il tempo dellorologio, che oggettiva il tempo, cioè lo rende astratto, è sempre tempo carico di eventi, tempo-evento, dal momento che senza eventi non vè realtà. Il tempo come tempo-evento si risolve nel soggetto: viene percepito, o per dirla più esattamente non è il tempo che viene percepito, bensì levento, e a seconda della qualità della percezione dellevento nel soggetto si misura la concezione del tempo. Se un certo evento mi annoia, se dunque non ha per me nessuna o poca qualità, il tempo mi appare lungo (e breve nel ricordo). Ciò sembra dipendere dalla qualità dellevento, dalla sua densità e varietà, dal suo grado di informazione, da quanto riesce ad attivare la percezione. In ultima istanza però a decidere sulla lunghezza o brevità non è la qualità degli eventi, bensì la qualità della percezione, la risonanza nel soggetto, la concezione. Un evento, e con esso il tempo-evento, viene concepito: il tempo-evento diviene tempo-concezione. Preso per sé, levento ha tanto poca realtà nella vita materiale quanta ne ha lorologio che lo misura. Reale nel senso della vita esso lo diviene solo grazie ad un io, a un soggetto, alla sua esperienza vissuta dellevento. Perciò il tempo-concezione può anche essere detto tempo vissuto. Anche riguardo a ciò che sia il tempo-concezione e al modo in cui esso domini il tempo si può dare una delucidazione ricorrendo alla musica, anche se qui lelemento specifico del tempo musicale non vien posto al centro dellattenzione; intendo parlare di quella peculiarità della musica che noi sempre esigiamo, per poi confrontare tale peculiarità con la vita. Una stessa musica, noiosa per luno, scorre con la rapidità del lampo per un altro. Questimpressione di lunghezza o brevità non può in ultima analisi dipendere dal valore estetico della musica, dalla densità e dalla qualità dei suoi eventi. È piuttosto una faccenda che riguarda il modo che ha il soggetto di concepire, che riguarda il suo gusto, la sua esperienza estetica, le sue aspettative, il modo in cui si sente in quel dato momento, il suo tono emozionale: e si può aggiungere che esistono gruppi, cerchie di persone che hanno gusti, cultura, aspettative o condizioni emotive analoghe. Il tempo in sé si sottrae allintervento della speculazione che abbiamo tentato sin qui. Il tempo come tempo dellorologio svanisce nellevento, nel tempo-evento, e levento svanisce nella concezione, nel tempo-concezione. Lorologio può misurare ogni cosa, ma ha tanto poca realtà quanto levento che misura. Nella realtà concreta della vita il tempo è sempre tempo-concezione. Io non ho tempo, io ho molto tempo, mi prendo tempo, il tempo mi fugge, tempo vuoto, tempo pieno, bei minuti, un brutto quarto dora: tutto ciò è affare della concezione. Il tempo dellorologio in quanto tempo-evento, che è soggettivo in quanto tempo-concezione, non è qualcosa di specificamente musicale, ma vale nella vita in genere. Stessa validità generale lhanno anche parecchi altri concetti di tempo che vengono impiegati in rapporto alla musica, e che per via di tale validità generale non colgono lo specifico del tempo musicale. Ad esempio il tempo dellinterpretazione: cioè la differenza nella durata di uno stesso brano, rintracciabile sin nei minimi dettagli, nel caso di esecuzioni dal vivo ripetute. Nessuna è identica ad unaltra, sul piano della durata. Ma questo vale anche per la vita in genere: tutto quel che viene ripetuto può essere legato a differenze temporali. Oppure prendiamo lo stacco del tempo (Tempozeit): ovvero il tempo richiesto nel quadro della soggettivizzazione moderna della musica da indicazioni quali Adagio o Presto, lento o rapido, rallentando o accelerando, giù giù sino alle indicazioni metronomiche prescritte per ogni singolo episodio. Ma anche tutti gli altri eventi della vita di relazione possono essere legati ad esigenze temporali, verbali o cronometriche. Unaltra prospettiva indirizzata alla musica e però in pari tempo di portata generale si schiude allorché gli eventi vengono ponderati in rapporto alla modalità del loro decorso temporale. È quanto si chiama correntemente riflessione sul tempo, e si potrebbe parlare di diverse forme di questa riflessione che cerca di pensare il tempo. Ma il tempo, come tempo per sé, non lo si può pensare in forme. Lo si può pensare solo sulla scorta di eventi, che come tali mostrano differenti decorsi temporali. Tutto questo, lo chiameremo forma di decorso (Verlaufsform), tempo di decorso e pensiero che pensa il decorso degli eventi. Una delle forme di decorso è il tempo di decorso orientato verso una mèta, teleologico. Esso ha una parte dominante nella musica occidentale. Il tono di una melodia medievale viene determinato a partire dalla finalis; una dissonanza tende alla risoluzione; una clausola o cadenza si muove verso laggregato tonico di chiusura; unopera o una sinfonia gravitano verso il Finale. In particolare, ha una natura teleologica la tonalità basata sulle funzioni armoniche, poiché in essa gli aggregati sonori, in quanto funzioni, sono costantemente in movimento verso punti di riferimento: ogni aggregato mira al successivo. Il decorso da punto a punto è qui un movimento da mèta a mèta, nel quale, una volta raggiunta la cadenza finale, non solo si compie temporalmente il processo di formazione in figura dellintero, ma anche la finalità dominante nella figura raggiunge il suo punto finale. Queste forme musicali dal decorso teleologico corrispondono alla dominanza delle concezioni, dei regolamenti e dei progetti in genere orientati verso una mèta, nel pensiero politico, scientifico e religioso. La vita umana è orientata verso la morte. La fede cristiana nella salvezza, che ha plasmato in modo così profondo il pensiero occidentale, è determinata in senso teleologico. Unaltra concezione, contrapposta alla teleologia, pensa in termini di moto circolare. Nel decorso circolare il movimento torna incessantemente a sé, in modo da non aver né mèta né inizio né fine: lattimo è qui caratterizzato dalla onnipresenza. Nella musica occidentale questa forma di pensiero appare nella dissoluzione dellarmonia funzionale, nella sistematizzazione dellatonalità, nei fenomeni della forma puntillistica basata sulle serie e dellalea controllata. La musica viene deteleologicizzata escludendone qualsiasi finalità; viene detemporalizzata eliminandone ogni profilo definito (Gestalt) e ogni formazione basata su tali profili definiti. Il pensiero che pensa il decorso vuol liberarsi dalle catene che lo legano alle gerarchie e alla loro inquietudine governata dallonnipotenza della mèta. Rifacendosi a posizioni tipiche della filosofia orientale, il pensiero vuole sbarazzarsi anche in musica di ogni limite, per giungere allunità dellessere che riposa in sé stesso. Se si vogliono rintracciare le forme del pensiero che pensa teleologicamente il decorso temporale e altri tempi di decorso non teleologici della musica, bisogna far ricorso alla storia. In tal modo si potrà stabilire che non esiste una riflessione sul decorso temporale che valga una volta per tutte, ma solo appunto la sua storia, che conduce a sempre nuove intuizioni ed elaborazioni del decorso temporale, cosicché a partire da qui non è possibile ottenere (in via di principio) una risposta alla domanda su cosa sia il tempo musicale. E in secondo luogo si vedrà che un pensiero che cerchi di pensare il decorso temporale nellambito musicale si trova sempre storicamente accavallato ad una riflessione analoga di carattere generale, di modo che anche a partire di qui non è dato alcun elemento specificamente musicale. Il pensiero che pensa il decorso degli eventi, che costituisce il tempo di decorso, si fonda sul pensiero del paradigma temporale articolato in presente, passato e futuro, quale è rispecchiato, nella grammatica, nei tempi del verbo. Il presente è simultaneamente ricordo e attesa. Un punto temporale è sempre un punto del tempo, in quanto è determinato nel farsi evento da qualcosa che veniva prima, ed è orientato verso qualcosa che viene dopo. Il pensiero temporale che pensa il decorso degli eventi contraddistingue la modalità ontologica delluomo e pertanto anche la musica. Un gesto, un motivo o un tema intesi come figura musicale; una ripetizione o una trasformazione intesi come processo cui inerisce una figura; una fuga, una variazione o una sonata intesi come configurazione di una forma: tutto questo può essere inteso nella sua peculiarità solo se lascolto confronta costantemente il presente con ciò chè passato, per riassumere entrambi nellattesa e nella recezione di ciò che sta per sopraggiungere, in quanto figura e configurazione. Quanto viene pensato temporalmente e musicalmente arricchisce lascolto musicale di punto in punto mediante laddizione di unità dotate di senso, fenomeno in cui la percezione, nellatto di comprendere la musica, ricorda il passato come presente che attende il futuro e lo incorpora, sino al punto in cui il decorso della figura giunge al compimento e termina. Non ci interessa qui il fatto che in rapporto al pensiero teleologico anche quello temporale abbia una storia, e che nella nuova musica, sulla base dellatonalità, tenda a raccogliere lessere nel punto che chiamiamo presente. Ci limitiamo a sottolineare soltanto che anche il pensiero che pensa il decorso musicale non è mai stato, neppure oggi, un pensiero specificamente musicale, ma viene sempre fiancheggiato da rappresentazioni del tempo che a loro volta sono pensate, esplicate filosoficamente e realizzate musicalmente anche al di là dellambito musicale, in quanto forme storiche generali di pensiero, dipendenti dallo sviluppo culturale. Il tempo specificamente musicale, che costituisce nella musica lelemento specifico del tempo, non può dunque essere rintracciato neppure orientandosi sul tempo di decorso temporale. Ma la domanda ora è: cosè il tempo specificamente musicale, se non è tempo dellorologio, né tempo dellinterpretazione e dello stacco di tempo, né tempo-concezione o tempo vissuto, né tempo del paradigma temporale, né tempo pensato teleologicamente o circolarmente, visto che tutti questi tipi di riflessione sul decorso temporale sono insediati anche al di fuori della musica? Al problema di cosa sia la dimensione specifica del tempo musicale possiamo avvicinarci se interroghiamo il suono, lelemento primo della musica, circa la sua modalità dessere temporale, e cerchiamo di rispondere a questa domanda con laiuto della storia della riflessione sul suono, sulla base della storia della filosofia del tempo, al cui centro stanno Aristotele e Aristosseno, Agostino, Kant, Hegel e Husserl; ma qui non ce ne occuperemo. Un confronto critico tra i diversi approcci filosofici che la storia ci offre potrebbe confermare la tesi, centrale nella mia concezione, che recita: il tempo del suono non si manifesta nel tempo (come se ci fosse tempo già prima, e indipendentemente da esso), ma come tempo (nel mentre che il suono lo pone). Il suono non necessita o non pretende tempo, nel senso che lo utilizza o lo riempie come se il tempo fosse dato in anticipo, ma fonda il tempo nel senso che esso stesso è tempo. Così anche il tempo musicale non è tempo in quanto musica, come se la musica fosse nel tempo, ma è la musica come tempo che si manifesta solo mediante, con, e nella musica. I suoni, le vibrazioni dellaria prodotte da stimoli, non hanno bisogno di tempo, sono il risuonare del tempo, un costante iniziare, durare e finire in un infinitamente vario e variamente combinabile durare e valutare, articolare e stratificare, proporzionare e distruggere, strappare ed estendere, interrompere e ricominciare, comprimere ed ampliare e tutta linfinita ricchezza di forme di moto degli stimoli sensoriali che può prodursi mentre parimenti pone il tempo. Ripenso ora alla definizione che ho sviluppato ed esposto nel mio libro su "La musica e il bello"(4), e che necessita di una correzione. Essa suonava: la musica è un gioco con stimoli sensoriali nella forma di un gioco col tempo. La prima metà della definizione (la musica è un gioco con stimoli sensoriali) non è qui in discussione. Tutta la musica, per il fatto di essere suonata da un esecutore su uno strumento, è un gioco con stimoli acustici, con suoni, accordi, un gioco sonoro che in quanto gioco non ha altro scopo allinfuori del gioco, perché fa dellesecutore e dellascoltatore soggetti attivi di questo gioco, e può realizzare il divenir-uno dellio con il gioco della musica. In pari tempo il gioco sonoro è informato (eingestaltet) da un senso, identico ad esso in quanto formazione, un esser-formato ricco di senso, un senso giocoso. E in pari tempo lelemento ricco di senso del gioco è colmato di significato, di contenuti, in particolare al livello della sfera emozionale, delle immagini, delle associazioni. È questo a render bella, in senso potenziato, la musica, poiché le molte cose che essa è in grado di esprimere in quanto realtà della vita e della sfera emotiva, non si manifestano qui come realtà, ma come gioco. Però la seconda metà di quella definizione ( nella forma di un gioco col tempo) deve essere ponderata in nuova prospettiva. Infatti "col tempo" non si può giocare, poiché non cè un tempo in sé. Così come il gioco della musica non gioca col gioco bensì, per esser gioco, gioca con qualcosa, con stimoli sensoriali, allo stesso modo il tempo può essere solo come un qualcosa, o in qualcosa, che non è esso stesso tempo, bensì manifesta il tempo, fa sorgere, progetta, crea il tempo, pone il tempo, lo fonda. Secondo lo stato attuale della mia riflessione, sarebbe più corretto dunque se la definizione suonasse così: la musica è un gioco con stimoli sensoriali nella forma di una fondazione del tempo. Questo tempo fondato dalla musica, creato da essa, ha tutta una serie di proprietà. (1) Il tempo fondato come musica, o cè come musica concreta, o non cè affatto. Aggiungo che il fatto che ci sia è indipendente dalla concretezza della musica concreta, dal caso singolo, da quella data opera e dalla sua funzione specifica, è indipendente dalla storia, dalle forme del pensiero che pensa il decorso, da elementi come metro, battuta, ritmo. Il tempo musicale nel suo aspetto di principio è il tempo che perviene alla presenza (Dasein) mediante una concreta musica, quale che essa sia. (2) Il tempo fondato come musica, cioè come gioco con stimoli sensoriali, è anche quando si manifesta in forme estemporanee, senza il sussidio della notazione sempre composto, proprio nel senso letterale del verbo latino componere: posto insieme, una com-posizione di movimenti, un tessuto organizzato di percezioni sensibili, ciascuna delle quali ha una durata che fonda il tempo. La compositio degli stimoli sensoriali è parimenti una compositio di tempi, che forma un tuttuno con essa. Questa frase non è rovesciabile: una compositio di tempi non può fungere da punto di partenza. Non si può comporre qualcosa che non cè, neppure come realtà estetica. (3) La compositio del tempo fondato come gioco con stimoli sensoriali è complessa in sommo grado: già in una singola voce o parte, e a maggior ragione in un tessuto di tali voci. Ogni singolo evento nella totalità degli eventi e ogni relazione tra di essi fondano il proprio tempo. (4) Pertanto il tempo musicale in quanto realtà estetica non è cosa da cogliere per via razionale. E ciò non solo a causa della sua complessità e non solo in conseguenza della modificabilità dellelemento musicale stabile in ciascuna sua realizzazione strumentale: al di là di tutto questo, il tempo non può essere isolato. Né lanalisi del tempo musicale cronometrica e matematica, né quella che lo visualizza in modo schematico hanno una realtà estetica. Nella realtà del farsi evento il tempo musicale si sottrae alla razionalità astraente; si nega allapproccio scientifico. (5) Il tempo fondato come musica è oggettivo; non nel senso del tempo dellorologio, che svanisce come dato nella comprensione di ciò che si fa evento. È oggettivo nel senso di una fattualità che viene prodotta dallevento sensibile. Anchessa viene concepita, ma precede ogni concezione e non svanisce in essa, bensì la fonda e vi rimane come alcunché di essenziale. (6) Il tempo musicale viene sì inteso, ma non con dati numerici, misurazioni fisiche, o apparecchiature concettuali di tipo epistemologico. Viene inteso, piuttosto, nellatto della percezione estetica: inteso dallintelletto estetico. E nella sua oggettività e aconcettualità avvia lidentificazione estetica, cioè il processo del giocare-insieme del gioco degli stimoli di senso nella forma di un porre il tempo. Lio dellesecutore-giocatore e dellascoltatore sprofonda nel gioco della musica come tempo, sì che ogni altra temporalità svanisce. Se la realtà non è gioco, allora la musica come gioco svuota la realtà di quanto ha di reale. E se la realtà è tempo dellorologio, allora la musica è una liberazione dal tempo dellorologio che conduce in un altro tempo. Di fatto non esiste nulla oltre alla musica che abbia un tale potere liberatorio e de-realizzante. E se ripenso ora alla domanda di partenza cosè il tempo? , a questo punto so che era stata posta in modo sbagliato in rapporto al tempo. Non si può chiedere qui cosa sia il tempo. Infatti il tempo musicale non cè come tempo in genere o in sé, non prima o al di là della musica, bensì cosa non razionalizzabile solo come musica, e nientaltro. Ma non è mia intenzione lasciare le cose così. Infatti ci eravamo chiesti quale fosse lelemento di principio che caratterizza il tempo: e ce lo eravamo chiesti non solo per rendere accessibile al pensiero la sfera specifica del tempo musicale, ma forsanche per conoscere, partendo da qui, cosa sia il tempo nella nostra vita. La musica così la nostra definizione è un gioco con stimoli sensoriali nella forma di una fondazione del tempo. Questo è stato interpretato come de-realizzazione della realtà nel gioco e come liberazione dalla realtà del tempo cronometrico. Ma, rovesciando il discorso, non potrebbe la musica essere il paradigma stesso dellatto di toglier di mezzo i concetti, che pur le sono stati attribuiti, di derealizzazione e di liberazione? Non dovrebbessere così? Toglier di mezzo la derealizzazione, ma non nel senso di trasportare la musica nella realtà della vita, come piacerebbe ad alcuni moderni. Infatti ciò non è possibile: la musica è sempre gioco. Nel campo visivo sta il toglier di mezzo la derealizzazione che si dà allorché la vita stessa si coglie e si muove in direzione della musica, nel giocoso del gioco, nella intima beatitudine della modalità dessere del gioco, analoga alla musica. E toglier di mezzo la liberazione dal tempo non nel senso che si vorrebbe trasferire il tempo reale, quello dellorologio, dentro la musica. Infatti il tempo reale non è nulla, e nel suo nulla viene inghiottito dal tempo musicale. Toglier di mezzo la liberazione dal tempo vale qui nel senso di una traslazione della modalità dessere del tempo musicale nella realtà della vita mediante la sua traslazione nel porre mediante il soggetto, proprio come fa la musica allorché, per così dire in qualità di soggetto, pone il tempo. Il tempo cè per lio solo come tempo suo, fondato da lui, proprio come cè tempo nella musica solo come il suo tempo, da essa fondato. Così, la domanda di partenza cosè il tempo? non era stata posta in modo sbagliato solo in merito alla musica, ma anche in relazione alla vita. Non ci si può interrogare su qualcosa che non cè. Mentre io rifletto sulla musica e vorrei portare alla realtà la sua derealizzazione, imparo a creare il tempo come mio proprio tempo. La vita non devessere un sopportare il tempo, unesistenza nel tempo, prigionia nel tempo, mosso dalla sua ruota, angoscia di fronte al passare irrevocabile, paura della fine del tempo, ma nel farsi evento, nellautorealizzazione dellio la vita può essere un creare, un porre, un fondare il tempo, in cui la somma delle creazioni crea anche una fine. Il tempo può essere il nostro avversario, un nemico: esso vuole assoggettarci. Noi possiamo opporci ad esso, allorché non ci assoggettiamo al suo volere, ma lo progettiamo a partire da noi stessi, come fa la musica. Forse si può pensarla anche così, o, diciamo, forse questo è uno dei possibili indirizzi di pensiero. Io non lo so, e certo non lo saprò mai. (Traduzione dal tedesco di Maurizio Giani) NOTE
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