Archivio Storico:- ex Dipartimento di Musica e Spettacolo - Universita' di Bologna Il Saggiatore musicale - Attività 2003 VII incontro dei dottorati di ricerca

Conferenze e convegni

Settimo Incontro dei Dottorati di ricerca in Discipline musicali
Università degli Studi di Bologna
Dottorato in Musicologia e Beni musicali
Università degli Studi di Ferrara
Dottorato in Modelli, Linguaggi e Tradizioni nella Cultura occidentale
Università degli Studi di Firenze
Dottorato in Storia dello spettacolo
Università degli Studi di Lecce
Dottorato in Storia e Critica dei Beni musicali
Università degli Studi di Padova
Dottorato in Storia e Critica dei Beni artistici e musicali
Università degli Studi di Pavia, sede di Cremona
Dottorato in Musicologia e Scienze filologiche
Università degli Studi di Roma "La Sapienza"
Dottorato in Storia e Analisi delle Culture musicali
Università degli Studi di Trento
Dottorato in Scienze della musica
Alma Mater Studiorum – Università di Bologna
Dipartimento di Musica e Spettacolo
palazzo Marescotti - via Barberia 4
sabato 7 giugno 2003 - ore 10.30-12.30 e 15-18
Ingresso libero

PROGRAMMA
 
Gabriele Becheri (Roma)
Edoardo Sanguineti e la musica
 
Lucia Boscolo (Padova)
Sopravvivenze arcaiche del proprio dei santi aquileiese in melodie processionali dei secoli XIV-XV
 
Gianni Cicali (Firenze)
Nascita di una prima buffa: Anna Lucia de Amicis
 
Antonella D’Ovidio (Cremona)
La sonata a tre a Roma prima di Corelli: aspetti strutturali e principii di unità formale
 
Nicola Giosmin (Trento)
Grammatica e semantica in uno stile dato
 
Alessandro Macchia (Lecce)
La lira e la spada: musica, cordoglio e memoria per le vittime delle due guerre mondiali
 
Angelo Rusconi (Bologna)
L’acrostico di Guido d’Arezzo
 
Carlida Steffan (Ferrara)
La lirica da camera italiana nel primo Ottocento: ambiente, funzione, testi

Coordinamento organizzativo
Barbara Cipollone, Angelo Rusconi
             
con il sostegno della
Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna

Gabriele Becheri (Roma), Edoardo Sanguineti e la musica

Edoardo Sanguineti ha cominciato negli anni ’60 a collaborare con musicisti (Luciano Berio, Vittorio Gelmetti, Vinko Globokar), e continua tuttora: sono ormai una quarantina i compositori che, a vario titolo, hanno utilizzato testi suoi. Elettronica, teatro musicale, orchestra o ensemble o strumento singolo con voce: non c’è soluzione timbrica che non abbia toccato la poesia di Sanguineti; il quale si è spesso dimostrato disposto, oltretutto, a mettersi in gioco in prima persona, leggendo testi durante concerti o prestando la voce a manipolazioni elettroniche.

Nelle poesie musicate si osservano tre diverse situazioni: testi autonomi, indipendenti da qualsiasi realizzazione musicale, liberamente selezionati dal compositore; testi autonomi, selezionati e messi a disposizione dal poeta; testi appositamente scritti per un musicista. In tutti e tre i casi, è data ampia facoltà d’intervento ai compositori, in una poesia che presenta notevoli tratti di musicabilità e dicibilità, vale a dire possibilità (o addirittura necessità) d’essere recitata ed eseguita ad alta voce. Dal musicista, d’altra parte, Sanguineti si aspetta una restituzione di senso, sotto forma di quella capacità connotativa che è fuori dalla portata della scrittura, stretta com’è nelle maglie di una logica puramente concettuale e semantica.

Fra le collaborazioni più intense e durature si registrano quelle con Luciano Berio, Vinko Globokar, Fausto Razzi, Luca Lombardi e Andrea Liberovici, compositori assai diversi dal punto di vista stilistico e linguistico ma, agli occhi del poeta, uniti da una medesima tensione alla ricerca, che egli considera imprescindibile nella propria poesia e, più in generale, nell’arte. Il lavoro con Berio, beninteso, ha un’importanza del tutto particolare, e in A-Ronne, opera nata su un testo appositamente scritto da Sanguineti (1974/75), emergono, meglio che altrove, gli elementi fondamentali della collaborazione, proprio in termini di capacità connotative della musica, in questo lavoro messe continuamente alla prova. Non a caso A-Ronne va considerato, secondo il compositore, un "documentario" su una poesia, dove gli strumenti per la dotazione di senso sono il dialogo ed il costante passaggio dal caos all’ordine, dall’indifferenziato al differenziato (e viceversa); il tutto senza rinunciare, s’intende, ai processi tipici della musica (ripetizione, contrasto, eccetera).


Lucia Boscolo (Padova), Sopravvivenze arcaiche del proprio dei santi aquileiese in melodie processionali dei secoli XIV-XV

Lo studio dei processionali in uso nella diocesi di Aquileia nei secoli XIV e XV consente di ampliare le nostre conoscenze intorno alla fase più antica del repertorio liturgico-musicale relativo al proprio dei santi locali. Infatti, alcune melodie processionali dedicate a santi della diocesi compaiono anche nello stadio più antico degli uffici propri dei medesimi santi, così che sembrano cristallizzate nel tempo, alimentando interrogativi circa la loro origine.

Ad un’analisi più accurata esse non solo si lasciano ricondurre alla primitiva formazione del proprio dei santi, ma in qualche caso potrebbero risalire addirittura a un periodo precedente, essendo del tutto o in parte desunte dal Temporale o dal Comune dei martiri.

L’arcaicità dei brani concerne soprattutto i santi festeggiati da epoca più remota (Ermagora e Fortunato; Ilario e Taziano; Eufemia, Dorotea, Tecla ed Erasma; Donato di Cividale), segno forse di una volontà conservatrice nei riguardi di precedenti manifestazioni del culto dei santi ad Aquileia: le processioni (cantate) al luogo del martirio.


Gianni Cicali (Firenze), Nascita di una prima buffa: Anna Lucia de Amicis

Per ‘sistema dei ruoli’ nel teatro dell’opera buffa si intende un articolato fenomeno economico e artistico-produttivo, rappresentato da una categoria di attori-cantanti che rispondono ad una sia pur variabile qualifica professionale (primi buffi e prime buffe, buffi caricati, buffi toscani o napoletani, mezzi caratteri, secondi buffi e seconde buffe ecc.). Collegati tra loro, costoro formarono, tra la metà del secolo XVIII e gli inizi del XIX, compagnie teatrali in grado di proporre un repertorio operistico dotato di caratteristiche comuni e condivise, entro una sovrastruttura – culturale, linguistica, economica, urbanistica, editoriale e teatrale – che preesisteva e che però, su scala nazionale e continentale, dimostrava un notevole dinamismo, innervata com’era da una capillare rete di trasporti per le merci e le persone.

Il ‘campione’ selezionato per questa relazione riguarda la vicenda di Anna Lucia de Amicis, prima buffa che debutta nel 1754 a Siena con La finta sposa e al Cocomero di Firenze con Le pescatrici di Goldoni. Circa gli spostamenti in Toscana di Anna Lucia e Domenico Antonio de Amicis, suo padre, una vasta messe di documenti permette di ricostruire taluni aspetti professionali e consente nel contempo una ricognizione sinottica degli avvenimenti teatrali a metà secolo in un contesto importante come quello del Teatro del Cocomero. Vengono quindi ricostruite le edizioni del libretto della Finta sposa, partendo da un archetipo napoletano del 1745 (La finta cameriera), la specificità drammaturgica dei ruoli, il loro peso contrattuale, l’evoluzione della drammaturgia fino all’edizione di Londra 1763, l’ultima in cui la De Amicis interpretò la parte di Lisetta.

In seguito Anna Lucia de Amicis passò all’opera seria, circostanza – invero inconsueta – che ne fa un soggetto tanto più interessante nel panorama delle prime buffe.


Antonella D’Ovidio (Cremona), La sonata a tre a Roma prima di Corelli: aspetti strutturali e principii di unità formale

Posta in secondo piano dai fasti dell’opera in musica, della cantata e dell’oratorio, la produzione di sonate a tre nella Roma del Seicento prima di Corelli pare aver inciso solo marginalmente sugli sviluppi dello strumentalismo seicentesco, soprattutto se la si compara all’impatto delle scuole strumentali dell’area emiliano-bolognese o veneta. Ad uno sguardo più attento, questo repertorio, trasmesso per lo più manoscritto, ci permette però di ridisegnare a grandi linee il contributo dato dai compositori romani – Lelio Colista, Carl’Ambrogio Lonati, Alessandro Stradella, Carlo Mannelli, tutti anche virtuosi di strumento – agli sviluppi di determinate pratiche compositive nel campo della sonata.

A Roma, la sonata a tre diventa oggetto di una formulazione stilistica secondo criteri più specifici rispetto ai modelli del Nord, sia dal punto di vista tecnico, con la nuova centralità acquisita dall’elemento contrappuntistico e dunque dal movimento fugato, sia sotto il profilo formale, con una tendenza a concepire la sonata, soprattutto in Colista, secondo parametri di unità e coerenza motivico-strutturale. L’analisi incrociata delle procedure compositive adottate da Corelli e di quelle messe a punto a Roma nella generazione precedente può ridefinire il ruolo svolto dai compositori qui sù menzionati nell’affermare lo ‘stile a tre’; nel contempo, permette di valutare più dettagliatamente alcuni elementi di continuità stilistica tra questa tradizione strumentale e quella che proprio a Roma, dal 1681 in poi, vedrà in Arcangelo Corelli il suo acclamato protagonista.


Nicola Giosmin (Trento), Grammatica e semantica in uno stile dato

Nel recente saggio Le regole della musica, di Mario Baroni, Rossana Dalmonte e Carlo Jacoboni (Torino, EDT, 1999), molti problemi relativi alla grammatica musicale vengono affrontati e risolti, ma al tempo stesso altri ne sorgono. In particolare, uno dei nodi cruciali è costituito dal rapporto fra la grammatica qui elaborata e le teorie del significato. In questo senso la ‘grammatica’ di Baroni, Dalmonte e Jacoboni rappresenta un passo importante verso la definizione del concetto di ‘stile’: ma l’esito risulterebbe ulteriormente arricchito se si proseguisse la ricerca in ambito ‘espressivo’.

L’indagine si orienterà in due distinte direzioni:

1. arricchire la grammatica con uno studio circa le possibilità espressive della grammatica stessa (ontologia degli oggetti musicali); le possibilità espressive della grammatica saranno studiate a partire dall’individuazione di ‘tipi espressivi’ entro un dato stile; a questa individuazione farà seguito il tentativo di costruire un’ontologia formale degli oggetti musicali che tenga conto delle nozioni di dipendenza, connessione, identità ecc., tipiche dell’approccio ontologico;

2. studiare, in generale, il rapporto tra le teorie del senso e la grammatica (ontologia condivisa tra discipline).

Scopo della ricerca è di indagare in profondità il primo punto; per quanto riguarda il secondo, verrà presa in considerazione solo la semantica psicologica di Michel Imberty. L’intento è di pervenire ad una ‘grammatica di stile’ completa anche di una sorta di ‘semantica’ dello stile stesso. È evidente tuttavia che il ricorso all’ontologia porterebbe a ben pochi risultati, se non venisse supportato da un approccio generale di tipo filosofico. Si cercherà innanzitutto di discutere criticamente i problemi sollevati dalla grammatica dello stile, e poi di porli in relazione dialettica con le vari discipline summenzionate. Questo confronto critico sarà il punto di partenza per la costruzione dell’ontologia degli oggetti musicali di uno stile, unendo metodologie analitiche a (sia pur blandi) processi di formalizzazione dei risultati.


Alessandro Macchia (Lecce), La lira e la spada: musica, cordoglio e memoria per le vittime delle due guerre mondiali

Nel corso degli ultimi decenni si è registrato un considerevole incremento nello studio delle manifestazioni culturali sollecitate dalla tragedia delle guerre mondiali che hanno scavato il volto e l’anima del secolo XX. Tuttavia, anche tralasciando lavori di carattere specifico sulla poesia di guerra o sui monumenti ai caduti, persino nei contributi di più ampio respiro manca un’indagine su come i compositori di musica abbiano risposto a quegli eventi.

Se è vero, come diceva Debussy, che non esiste ‘musica di guerra’, pure esiste una risposta di tipo creativo a tali avvenimenti: e il caso dello stesso compositore francese è eloquente. Si notano differenze sostanziali nella maniera di celebrare in musica i caduti della prima guerra mondiale e quelli della successiva; tuttavia, già nei confronti del conflitto del 1914-’18 si palesano approcci differenziati. C’è da un lato una posa eroicizzante, che guarda ai precedenti ottocenteschi – e il nome di Berlioz è un punto di riferimento decisivo –, dall’altro un discreto raccoglimento, assai più consapevole della tragedia. Il sentimento di ‘pietà’ invocato dal poeta Wilfred Owen (1893-1918), poi universalizzato da Benjamin Britten con il War Requiem (1962), è venuto a scardinare il tratto retorico.

La relazione non è circoscritta a una sola nazione, universale essendo il dolore che ha accomunato nelle reazioni emotive i paesi belligeranti: il cordoglio consente anche di accomunare i due conflitti mondiali in una strategia commemorativa che ha permesso a Britten di ricordare le vittime della seconda guerra con poesie della prima.


Angelo Rusconi (Bologna), L’acrostico di Guido d’Arezzo

In un gran numero di manoscritti, due trattati di Guido d’Arezzo – il Micrologus e le Regulae rhythmicae – iniziano con dei versi acrostici formanti il nome dell’autore. L’acrostico del Micrologus è inconfutabilmente autentico; più complessa la situazione dell’altro. Nella sua edizione delle Regulae (1985), Joseph Smits van Waesberghe dà l’acrostico in corsivo e fra parentesi quadre, segno che non considera autentici i versi. Nella nuova edizione critica di Dolores Pesce (1999), invece, due versioni dell’acrostico precedono il poema, una di seguito all’altra, indifferenziate tipograficamente fra loro e rispetto al testo principale. Ma le motivazioni addotte dalla curatrice e il riesame della tradizione non rendono accettabile questa soluzione, invero anomala. Una delle due versioni dell’acrostico non ha nulla a che fare con le Regulae, per la semplice ragione che nella tradizione manoscritta non appare mai in rapporto con questo trattato: la si incontra esclusivamente in testa ad un Dialogus de musica che diverse fonti hanno trasmesso sotto il nome di Guido, ma che va più correttamente attribuito a un anonimo autore operante in area ‘lombarda’ (o ‘padana’). Sarà stata appunto l’attribuzione a Guido a suggerire ad un compilatore di comporre per questo Dialogus un acrostico in versi, sulla falsariga di quello del Micrologus (o di adattarvi l’altra versione).

L’altra versione, questa sì legata sempre alle Regulae, è assente in tutta la tradizione italiana (ivi comprese quindi le fontes optimae dei trattati di Guido); un’unica importante eccezione fa bensì prendere in considerazione la possibilità di un’origine italica, ma non basta da sola a scardinare le ragioni che escludono l’ipotesi dell’autenticità. In sostanza, il solo acrostico del Micrologus è stato composto da Guido d’Arezzo, e in origine né il Dialogus né le Regulae erano introdotti dai componimenti che Smits e Pesce hanno tirato in causa. Pertanto, nessun acrostico dovrà entrare a far parte di una futura edizione critica del Dialogus, e l’acrostico delle Regulae va eliminato dall’edizione del testo autentico di Guido.


Carlida Steffan (Ferrara), La lirica da camera italiana del primo Ottocento: ambiente, funzione, testi

La ricerca si occupa perlopiù della musica vocale da camera italiana composta da autori dediti in primis al melodramma: la procedura appare obbligata, ma non manca di suscitare un certo imbarazzo, per molteplici ragioni. Innanzitutto, la trasmissione dei testi: in parte, il repertorio è disperso in fogli staccati; in parte, è giunto sul mercato editoriale anche attraverso molteplici ristampe; in parte, rimane consegnato ad autografi e album di varia natura, spesso in mano privata e non consultabili. Nel mettere mano all’esigua produzione di Bellini ho potuto fare alcune riflessioni e considerazioni circa la classificazione delle fonti (operazione propedeutica all’edizione critica), le occasioni compositive (mercato editoriale o souvenirs per gli amici), l’autorevolezza degli autografi nell’accidentato percorso della ramificata trasmissione di un brano.

Più che inseguire il miraggio di un percorso evolutivo nel catalogo di ciascun compositore, è preferibile perseguire – non senza le opportune distinzioni di valore estetico – l’obiettivo di una focalizzazione più generale del fenomeno della lirica vocale da camera italiana (produzione/circolazione/recezione) nell’imponenza del dato statistico, alimentato da compositori ‘specialisti’ e da celebri dilettanti e gestita da editori (in testa a tutti Ricordi) attenti a soddisfare il consumo dei salotti aristocratico-borghesi.

Ambienti e contesti condizionano anche le scelte poetiche. Nei primi decenni, corti filonapoleoniche e salotti aristocratici razzolano nell’immaginario arcadico-neoclassico. Un cambiamento di gusto significativo si fissa attorno agli anni ’30, quando compaiono sul mercato le Strenne: la romantica caoticità del loro contenuto – racconto cronaca romanzo ode sonetto versi traduzione ballata ecc. – condizionò potentemente il gusto (soprattutto femminile) e l’orizzonte d’attesa di esecutori e fruitori della lirica da camera. Ai modelli sentenziosi ed arcadici, che pur mantengono una straordinaria persistenza, si affiancano nuovi stereotipi, nuovi modelli iconologici: il pastore, il barcaiolo, la tomba di Fille lasciano spazio al trovatore, al crociato, all’amante rinchiusa nel castello diroccato. È un mutamento di gusto e cultura che viene a fondare un nuovo immaginario complesso e articolato, importante anche per situare gli esiti ‘alti’ del teatro musicale.


Il Saggiatore musicale

Archivio Storico:- ex Dipartimento di Musica e Spettacolo - Universita' di Bologna