Archivio Storico:- ex Dipartimento di Musica e Spettacolo - Universita' di Bologna Il Saggiatore musicale - Attività 2002 Sesto Incontro dei Dottorati di ricerca

Conferenze e convegni

Sesto Incontro dei Dottorati di ricerca in Discipline musicali
Università degli Studi di Bologna
Dottorato in Musicologia e Beni musicali
Università di Trento
Dottorato in Scienze della musica
Università degli Studi di Pavia, sede di Cremona
Dottorato in Musicologia e Scienze filologiche
Università degli Studi di Roma "La Sapienza"
Dottorato in Storia e Analisi delle Culture musicali
Università degli Studi di Padova
Dottorato in Storia e Critica dei Beni artistici e musicali
Università degli Studi di Siena, sede di Arezzo
Dottorato in Letteratura e Comunicazione
Alma Mater Studiorum – Università di Bologna
Dipartimento di Musica e Spettacolo
palazzo Marescotti - via Barberia 4
sabato 1° giugno 2002 - ore 10.30-12.30 e 15-18
Ingresso libero

PROGRAMMA
 
 
ANNA VILDERA (Padova)
"Usus veteres" nel Cerimoniale marciano del Cinquecento
 
DANIELE VALENTINO FILIPPI (Cremona)
Scelte poetiche ed atteggiamenti compositivi nella "Selva armonica" (1617)
di Giovanni Francesco Anerio
 
DAVIDE DAOLMI (Roma)
L’indagine drammaturgica al servizio della scenotecnica barocca:
"L’armi e gli amori" al Teatro Barberini
 
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TARCISIO BALBO (Bologna)
La "Didone" dal Metastasio a Händel: il come ed il che cosa
 
MARIATERESA STORINO (Trento)
Riconoscimento stilistico all’ascolto
 
CLAUDIA POLO (Arezzo)
Verdi nei "media": riflessioni sulla figura e l’opera
 
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Discussione
 

Coordinamento organizzativo
Barbara Cipollone, Angelo Rusconi
             
con il sostegno della
Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna

 
Anna Vildera (Padova), "Usus veteres" nel Cerimoniale marciano del Cinquecento

Dai primi sondaggi effettuati sul Caerimoniale marciano, redatto da Bartolomeo Bonifacio tra il 1559 e il 1564, emerge immediatamente un dato: è intenzione del Bonifacio, primicerius della basilica di San Marco, di annotare da una parte tradizioni liturgico-musicali appartenenti ad una tradizione antiquior, dall’altra usi recentiores: il modus vetus e il novissimus convivono dunque nella stessa fonte, ad un tempo conservativa ed innovatrice. Rivolgere l’attenzione verso gli usus veteres significa andare alla ricerca di qualcosa che talora si è perduto: il canto delle letture evangeliche e profetiche, ad esempio, benché rievocato con una certa nostalgia, sembra presentare alcuni problemi esecutivi di non facile soluzione da parte dei maestri di cappella marciani.
I pochi cenni del Caerimoniale non risultano essere supportati da testimoni musicali aventi la medesima origine: si può tuttavia tentare di osservare gli esempi musicali offerti da codici appartenuti a chiese limitrofe – ad esempio quella padovana – per ipotizzare, se non altro, quale potesse essere la tradizione marciana.

Daniele Valentino Filippi (Cremona), Scelte poetiche ed atteggiamenti compositivi nella "Selva armonica" (1617)
di Giovanni Francesco Anerio

Giovanni Francesco Anerio, musicista tra i più notevoli nel panorama romano del primo Seicento, pubblica nel 1617 la Selva armonica, dove si contengono motetti, madrigali, canzonette, dialoghi, arie a una, doi, tre e quattro voci. Tale miscellanea, in cui l’ispirazione prevalente è sacra, o per meglio dire spirituale, vede la luce due anni prima dell’opera più celebre dell’Anerio, il Teatro armonico spirituale, una raccolta cui molti autori attribuiscono un ruolo chiave nella nascita del genere ‘oratorio’, all’incrocio tra gli influssi di tradizione laudistica e quelli del dialogo e del madrigale spirituale. Nella Selva s’incontrano simili problemi di genere, che verranno esaminati analizzando le scelte poetiche di Anerio e gli atteggiamenti del compositore di fronte alle strutture metriche e retoriche dei testi.
L’indagine si prefigge di aprire nuovi spiragli di comprensione sull’orizzonte creativo d’un autore cresciuto umanamente e culturalmente nell’ambiente dell’Oratorio filippino e formatosi musicalmente nell’aureo solco tracciato a Roma dal Palestrina.

Davide Daolmi (Roma), L’indagine drammaturgica al servizio della scenotecnica barocca:"L’armi e gli amori" al teatro Barberini

Peculiarità propria dell’opera in musica è la riscrittura: il libretto riscrive in genere un testo precedente, mentre la musica a modo suo riscrive il libretto, nel senso che lo ripensa. Le differenze che si determinano nel passaggio da uno statuto testuale all’altro sono spesso più rivelatrici di ogni singola componente presa isolatamente (la musica e il libretto, certo, ma anche il testo-spettacolo e tutti gli elementi connessi).
Un confronto fra l’impianto drammatico del dramma L’armi e gli amori allestito a Roma nel Teatro Barberini (1656), libretto di Rospigliosi e musica di Marazzoli, e il suo precedente spagnolo – una commedia di cappa e spada di Juan Pérez de Montalbán – molto ci rivela circa la macchina scenica che accolse l’opera romana: si tratta d’informazioni così dettagliate e precise, pur in assenza di bozzetti e fonti iconografiche, da permetterci di ricostruire le applicazioni scenotecniche praticate nel Teatro Barberini. Si precisa così l’evoluzione delle quinte piatte a scomparsa, ponendoci di fronte a una fase ibrida fra la scena fissa teorizzata dal Serlio nel ’500 e la successiva mutazione a vista alla Torelli: è una fase intermedia che, per quanto mutuata direttamente dal Buontalenti, ci si palesa assai diversa da come l’avevamo immaginata fino ad oggi.

Tarcisio Balbo (Bologna), La "Didone" dal Metastasio a Händel: il come ed il che cosa

Come osservò Charles de Brosses nel 1739-40, "non vi è mai stato nessun poeta pari al Metastasio nell’arte di esporre il soggetto": nelle prime scene d’ogni suo dramma per musica, "quasi senza che vi sia un racconto, lo spettatore si trova al corrente di tutto ciò che è necessario per comprendere l’opera". Più specificamente, l’esposizione fornisce una certa quantità di informazioni narrative che vengono ad integrare le notizie anticipate dall’argomento e dalla lista dei personaggi, già note dunque allo spettatore fin da prima che inizi lo spettacolo (o la lettura). Così facendo, nelle prime scene il drammaturgo enunzia, in particolare, ogni elemento utile per comprendere il ruolo che nella vicenda sarà chiamato a svolgere ciascun personaggio.
La relazione illustra in che modo i tagli e le modifiche inferte da Händel sia al recitativo sia al corredo delle arie incidano sui meccanismi drammatici nell’esposizione della Didone abbandonata del Metastasio (1724). Il riferimento è al pasticcio che Händel confezionò per il Covent Garden nel 1737 sulla scorta della partitura di Leonardo Vinci (1726).

Mariateresa Storino (Trento), Riconoscimento stilistico all’ascolto

È difficile investigare i meccanismi psicologici della percezione dello stile, sia per i complessi processi cognitivi implicati nella costruzione razionale del "sentito", sia per la difficoltà di stabilire procedure sperimentali atte a comprendere la totalità delle dimensioni musicali e sonore dell’opera d’arte, sia infine per l’ambiguità degli elementi che definiscono il costrutto teorico ‘stile’.
In un lavoro recente (Le regole della musica, Torino, EDT, 1999), Mario Baroni, Rossana Dalmonte e Carlo Jacoboni hanno indotto dall’analisi di un corpus di arie di Giovanni Legrenzi un sistema di regole formali che ne descrivono lo stile. Recenti teorizzazioni delle scienze cognitive ci danno modo di verificare la pertinenza di tale sistema di regole nonché la validità stilistica dei brani prodotti mediante l’implementazione informatica di tale sistema. La verifica della pertinenza stilistica tramite modelli e metodi della psicologia cognitiva consente di delucidare la natura dei meccanismi percettivi attivati nel formulare giudizi stilistici e di confermare ovvero smentire, dopo una comparazione euristica tra le opere del compositore e i prodotti della macchina, il carattere specifico e onnicomprensivo del corpus di regole dello stile legrenziano individuato in sede analitica, nonché la possibilità di riprodurlo informaticamente.

Claudia Polo (Arezzo), Verdi nei "media": alcune riflessioni sulla figura e l’opera

Il dottor Hinkfuss, in Questa sera si recita a soggetto, sostiene: "se un’opera d’arte sopravvive, è solo perché noi possiamo ancora rimuoverla dalla fissità della sua forma". L’attualità di un’opera o d’un autore si riflette in genere nella serie di ipotesi che si formulano intorno al suo rinnovato uso. Muove da queste riflessioni la ricerca sulla recezione della figura e dell’opera di Giuseppe Verdi in Italia attraverso i media nel Novecento e fino al centenario del 2001. Stampa generalista e specializzata, fonografia, radio, cinema, televisione, Internet, nel selezionare gli aspetti della figura e dell’opera di Verdi, ne offrono una fenomenologia "moltiplicata", implicando specifici modelli culturali e musicali.
Se alcuni studiosi si sono già interrogati intorno a questo problema – lo testimonia la bibliografia verdiana di Gregory Harwood (1998) –, manca tuttavia un’analisi a largo raggio sui mezzi di comunicazione, vecchi e nuovi, che hanno mediato e mediano l’opera e la figura del compositore. La ricostruzione storica che qui si propone è radicata nella riflessione sui processi culturali e comunicativi che rappresentano il fenomeno Verdi. L’adozione di una prospettiva distesa sull’arco di circa cent’anni permette di osservare dappresso la dinamica di tali processi nei diversi media.


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