Carmela Bongiovanni (Genova), Un
episodio della fortuna del Metastasio nell'800: il caso
Ferdinando Paër Nella sua cospicua produzione cameristica
vocale, Ferdinando Paër (1771-1839) predilige testi di
Pietro Metastasio. Come altri compositori del suo tempo,
resta sostanzialmente fedele a scelte letterarie legate
al secolo precedente, secondo il gusto del suo pubblico
(compreso quello dellaugusto mecenate Napoleone).
Alcune delle ariette indicate a firma del Metastasio sui
frontespizi delle edizioni musicali di Paër non
risultano però tra le opere ufficialmente elencate e
tramandate del poeta cesareo. Negli anni a cavallo tra
'700 e '800 (1797-1802ca.), Paër visse certamente a
Vienna, ove il culto del Metastasio doveva essere ancora
molto forte: è ipotizzabile che in tale contesto la
circolazione informale di suoi testi, pervenutici
soltanto tramite la tradizione editoriale musicale, fosse
assai radicata presso musicisti e ambienti colti della
capitale. La composizione di Paër di ariette e duetti su
testi del Metastasio può essere ascritta almeno in parte
a questo ambiente e a questo periodo.
Ai margini (ma non troppo) della produzione musicale
colta del loro tempo, tali ariette sono rifinite con
grande accuratezza, talora sono brevi scene di qualità
nettamente superiore alla media delle romances
francesi contemporanee.
Tra la musica di Paër sul testo del Metastasio, va
infine ricordata la festa teatrale Atenaide;
assente dai repertori bibliografici, sta a dimostrare
quanta parte della sua produzione in campo teatrale come
in altri generi resti da sondare e riscoprire.
Francesca Calciolari
(Siena), Considerazioni su alcuni aspetti del
processo creativo di Chopin: la Sonata op. 65 per
violoncello e pianoforte
Pubblicati in facsimile
nel 1988 ma ancora non adeguatamente studiati, gli
schizzi per la Sonata op. 65 per violoncello e
pianoforte di Fryderyk Chopin (ora conservati a Varsavia,
Società Chopin, M/232) costituiscono un corpus
cospicuo fra le fonti autografe chopiniane; sono dunque
un documento fondamentale per la comprensione delle
problematiche compositive poste a Chopin sia dal genere
della sonata, sia dalla scrittura per due strumenti,
raramente affrontata dal compositore e comunque solo in
questunico caso nellepoca della sua maturità
artistica.
La raccolta comprende una
varia tipologia di materiali: dai primi fogli di lavoro a
una versione in bella copia, quasi definitiva, della
Sonata. La ricostruzione della cronologia della
composizione e lanalisi dei fogli col maggior
numero di correzioni consentono di individuare le fasi
più problematiche ed alcuni aspetti peculiari del metodo
compositivo di Chopin: egli adottò infatti un
atteggiamento diverso nei vari movimenti della Sonata,
così da valorizzare le potenzialità formali ed
espressive di ciascuno di essi. Dalla forma-sonata
dellAllegro e dalla forma di rondò del Finale
muove una ricerca tesa a conferire originalità e
carattere ai due movimenti: la continua rielaborazione ne
varia le convenzioni tonali e formali, comerano
concepite verso la metà dellOttocento. Le maggiori
incertezze nello Scherzo e nellAdagio riguardarono
invece la scelta dei livelli tonali.
La copia della parte del
violoncello (ora conservata a Parigi, Bibliothèque
Nationale, MS.10510), eseguita da Auguste Franchomme, il
violoncellista amico del compositore e dedicatario
dellopera, non era finora mai stata seriamente
studiata, ma si è rivelata invece importante: se la si
confronta con la bella copia nella raccolta di schizzi e
con la prima edizione della Sonata, si verifica
che le prime due fonti furono realizzate parallelamente e
prima dellulteriore stesura definitiva
manoscritta, modello delledizione a stampa e
attualmente perduta. La compilazione di una bella copia
fra il materiale preparatorio è insolita nella prassi
compositiva di Chopin che era invece solito procedere
direttamente dagli schizzi alla realizzazione
dellunica versione in pulito da usare come Stichvorlage.
È probabile che Chopin labbia realizzata per
verificare praticamente, insieme a Franchomme,
leffetto di quanto elaborato, sebbene già gli
schizzi rivelino una certa sicurezza nella scrittura per
due strumenti. Lipotesi confermerebbe tuttavia
quanto già emerso dalla documentazione epistolare.
Roberto Calidori (Ferrara), Il
"Secondo libro dei Fiori musicali" (1588) e il
repertorio dei madrigali a tre voci
La mia comunicazione
prende lavvio dalla catalogazione della raccolta
miscellanea Fiori musicali di diversi autori a tre
voci, libro secondo (Venezia, 1588), effettuata
nell'ambito del seminario dedicato alle edizioni
collettive di musica profana del XVI secolo, tenuto
presso il DAMS di Bologna da Concetta Assenza e Paolo
Cecchi.
Le caratteristiche musicali dei madrigali a tre voci
pubblicati nella silloge, mostrano in particolare come in
tale repertorio, fiorito soprattutto nel secondo
Cinquecento, si riscontri una pronunciata influenza di
stilemi e topoi compositivi propri della
canzonetta coeva.
Gabriella Ceraso (Roma), Considerazioni
sul comico nella musica strumentale
La relazione presenta i
primi risultati di uno studio sul rapporto tra la
categoria estetica del "comico" e la musica
strumentale sette-ottocentesca. Tale studio intende
verificare se e come, in assenza di testo poetico, azione
drammaturgica o programma letterario, la musica
strumentale sia stata capace di esprimere la comicità,
di volta in volta tramite la melodia, l'armonia, il ritmo
o l'articolazione formale. In questa prospettiva,
l'analisi dei repertori non potrà prescindere da un
preliminare tentativo di definire la categoria del
"comico" in base a un'attenta disamina degli
studi realizzati in ambito estetico e musicologico: si
spera così di evidenziare alcune delle principali
condizioni che possono dar luogo a una situazione di
comicità in un contesto musicale. La casistica delineata
a livello teorico una casistica che considera la
variabilità storica del concetto di
"comicità" entro l'ampio periodo cronologico
studiato - costituisce un punto di partenza di
fondamentale importanza per lo studio sistematico dei
repertori; i risultati consentono a loro volta di
riformulare nuove ipotesi di lavoro. In particolare, sono
esaminati e confrontati brani tratti da opere strumentali
di Franz Joseph Haydn e Gioacchino Rossini, due autori
notoriamente propensi a creare situazioni di forte
comicità grazie al dosaggio di mezzi sintattici ed
espressivi anche nel repertorio strumentale. È così
possibile individuare alcuni modelli ricorrenti, utili
per un primo passo verso un'ipotesi di
"sintassi" del comico in musica.
Si cerca allora di formulare una risposta
allinterrogativo: esistono delle
"costanti" dello stile comico che possano
avvicinare l'opera di compositori anche molto distanti
tra loro?
Certamente le specifiche modalità di realizzazione del
"comico" in musica dipendono da varianti
contestuali: diverso lo stile personale degli autori,
diverso il panorama storico e geografico, diverso
l'atteggiamento degli ascoltatori cui le opere sono
destinate. La ricerca di "costanti" non intende
appiattire tali peculiarità su un quadro monolitico e
unitario: più semplicemente vuole evidenziare alcuni
nessi capaci di collegare esperienze della storia
musicale alla luce del comun denominatore
dell'espressione della comicità.
Danilo Costantini (Como), Ausilia
Magaudda (Novara), Le esecuzioni annuali di
oratorii nella confraternita napoletana dei Sette Dolori
Larchivio della
confraternita napoletana dei Sette Dolori contiene
documenti che vanno dal 1602 fino al 900 inoltrato.
La confraternita fu fondata da Melchior Mexia de
Figueroa, e dieci confratelli, il 20 febbraio 1602 nel
convento di S. Spirito di Palazzo dei PP. Domenicani.
Dello stesso anno è il primo statuto, approvato il 5
dicembre 1602 dal cardinale Gesualdo. I libri di spese
fino al 1674 sono integralmente scritti in spagnolo,
lingua che dopo questa data compare solo sporadicamente.
Ciò è dovuto probabilmente al fatto che in origine i
congregati erano per la maggior parte spagnoli. Dal
materiale da noi consultato risulta che le occasioni per
le quali annualmente si faceva musica erano le seguenti: la
festa dellAddolorata, celebrata la vigilia
della Domenica delle palme con lesecuzione di un
oratorio e della musica per i vespri; lanniversario
dei fratelli defunti, celebrato in un giorno
variabile degli inizi di novembre, quando erano eseguiti
lufficio dei morti con il canto delle lezioni e
della libera, la messa cantata; la seconda domenica di
ogni mese, in occasione dellesposizione del
Venerabile; occasioni particolari, festa per la
gravidanza della regina di Spagna (1707),
dellimperatrice (1715) e successiva nascita
dellarciduca Leopoldo (1716). In questultima
occasione fu eseguito un Te Deum di Porpora. Dal
1716, la seconda domenica di ogni mese erano ingaggiati
dei "figlioli" del Conservatorio dei Poveri di
Gesù Cristo, sostituiti, dal 1738, da quelli della
Pietà.
Michele Curnis (Torino), Recupero
di motivi classici nellopera seria settecentesca:
il tema della tempesta marina tra filologia e cabalette
Due ricerche di carattere
storiografico luna fondamentale tra i
riferimenti peculiari ma forse di impostazione corriva a
certa rigidità (C. Dahlhaus, Euripide, il teatro
dellassurdo e lopera in musica. Intorno alla
recezione dellantico nella storia della musica,
in La drammaturgia musicale, a cura di L.
Bianconi, Bologna 1986, pp. 291 ss.), laltra,
recentissima, di meritoria provocazione nellambito
della Quellenforschung dei supporti letterari
dellopera in musica (A. Martina, Retorica e
tragedia per musica. L "Iphigénie en
Aulide" di Gluck, "Il Saggiatore
musicale" VII 1 (2000), pp. 61 ss. spingono a
ricollocare in un contesto eminentemente filologico il
rapporto tra melodramma e dramma antico. La prospettiva
critico-testuale forza naturalmente a selezione drastica
dei referenti congrui ad un connubio del genere, ma viene
immediatamente confortata da innegabili rispondenze
letterarie: il confronto diretto di fonti quali
Eur. Tro. 686-696, Or. 340-344,
rispettivamente con Metastasio LOlimpiade II
5 (Siam navi allonde algenti; oppure Leroe
cinese II 4 Quando il mar biancheggia e freme)
e Metastasio Giustino II 6 (Benché in seno del
porto fedele; oppure Per la festività del Santo
Natale II, Fra i perigli dellumido regno)
obbliga a (ri)considerare lopera di un poeta
cesareo che fu anzitutto studioso e lettore erudito
dellantichità.
Il tema della tempesta marina è così in grado di
cementare generi diversi; gli autori del neoclassicismo
europeo riprendono precise funzionalità desunte appunto
dalla tragedia attica allinterno del testo
melodrammatico (quel supporto chiamato per comodità libretto),
e riformulano un topos che sin dalle sue prime
comparse in àmbito drammatico da Soph. Ai 206
ss., OC 1239 ss. a Grimani (?) Agrippina I
6, Lalma mia tra le tempeste si
rivela sia metafora letteraria (per cui si veda H.
Blumenberg, Naufragio con spettatore, Bologna
1985), sia episodio narrativo saliente, specie in fase
conclusiva (i finali dellElena e dellIfigenia
in Tauride euripidee; quindi le ricadute sul teatro
occidentale analizzate in C. Questa, Il ratto dal
serraglio, Urbino 1997): il motivo in questione viene
fissato tra le attese del pubblico e destinato a sortire effetti
scenografici e mozione daffetti (Son
qual nave ache agitata | da più scogli e dalle onde...).
I libretti metastasiani si caratterizzano appunto per
linsistenza su questo motivo, demandato a strutture
retoriche estremamente consolidate (laria di
tempesta, soprattutto nelle componenti metrica e
ritmica) e imparentate con i testi antichi grazie alla
frequentazione specificamente filologica: nel teatro
successivo il trattamento del tema sarebbe diventato
unione mescidata di elementi differenziati (sino al
sincretismo di entità letterarie disparate in un poeta
archeologo come il Boito dellOtello verdiano:
... pel ciel marmoreo, ... per le attorte folgori, ...
per loscuro mar sterminator...).
Antonella DOvidio (Pavia-Cremona),
Colista e Lonati: la sonata a tre a Roma prima di
Corelli
La pubblicazione nel 1681
dellOp. I di Corelli presso leditore romano
Mutij segna una svolta importante per la futura carriera
del musicista di Fusignano, oltre che per il genere
stesso della sonata a tre: viene infatti riconosciuta
finalmente dignità di stampa ad un repertorio che a Roma
era ampiamente diffuso e consumato, ma affidato quasi
esclusivamente alleffimera, e spesso
sommersa, circolazione manoscritta.
Finora questo repertorio, che per comodità possiamo
definire pre-corelliano, è stato considerato solo
occasionalmente dagli studiosi. I rapporti tra Corelli e
la schiera dei suoi allievi, imitatori ed epigoni sono
stati abbondantemente sviscerati, ma non altrettanto è
stato fatto per i suoi predecessori, soprattutto di
ambito romano.
A questo proposito focalizziamo lattenzione su due
compositori-virtuosi (luno di liuto, laltro
di violino) attivi a Roma intorno agli anni
60-70 del Seicento: Lelio Colista (1629-1680)
e Carlo Ambrogio Lonati (1645-1710 ca), autori
rispettivamente di 26 e 9 sonate a tre, interamente
giunteci in forma manoscritta.
Il loro contributo è significativo principalmente in
relazione al modello formale di sonata. Attorno alla
metà del secolo, infatti, il modello
"patchwork" o "a mosaico" intorno al
quale si era articolata la struttura primo-seicentesca è
superato dallesigenza definire elementi capaci di
conferire al genere sonatistico unorganizzazione
maggiore. Con questo intervento si vogliono evidenziare
alcuni aspetti formali e stilistici delle sonate a tre di
Colista e Lonati, utili a tratteggiare in modo più
nitido le caratteristiche dello strumentalismo romano
pre-corelliano e sottolineare come gli anni romani
dellapprendistato compositivo di Corelli fossero
fondamentali, non solo per il consolidarsi del suo stile
contrappuntistico, ma anche per la definitiva maturazione
dello stile a tre che ben presto si imnporrà in
tuttEuropa.
Annalisa de Curtis, Raffaella
Valsecchi (Milano), Teatri in opera
Nel mese di novembre 2000
è stato avviato un programma di ricerca dal titolo Teatri
in opera, dedicato ai teatri storici italiani,
inizialmente con riguardo particolare alle strutture
lombarde; il programma è sostenuto dalla neonata
Associazione dei Teatri Storici, e realizzato con il
coordinamento scientifico di Riccardo Allorto,
organizzativo di Monica Cereda e con le fotografie di
Silvia Lelli.
Il titolo del progetto, Teatri in opera,
gioca sullambivalenza semantica del
termine opera che da una parte sottolinea
lambito privilegiato dindagine, la lirica, ma
dallaltra evidenzia la necessaria operazione di
sensibilizzazione nei confronti di un intero patrimonio
artistico, sociale e culturale, quale è quello dei
teatri edificati prima degli anni 30 del XX secolo.
Nelle intenzioni di chi lha voluta, nell
operazione interagiscono vari apporti: in particolare
quello architettonico (Annalisa de Curtis), e quello
musicologico (Raffaella Valsecchi). Se le schede riferite
allindagine architettonica si orientano ai
caratteri di specificità e curiosità dei singoli spazi,
lindagine musicologica punta allo studio dei
repertori di ciascun teatro: lobiettvo è creare le
premesse per un circuito specifico dei teatri
minori.
Scopo principale del progetto è ripristinare il contatto
tra territorio (inteso in senso geografico e sociale) e
patrimonio teatrale che gli appartiene; unopera di
sensibilizzazione, che rifugga lattuale tendenza a
cancellare le tracce del proprio passato culturale, si
propone di rendere percepibili condizioni apparentemente
invisibili o forse soltanto dimenticate
grazie al recupero degli spazi indagati, si
propone poi di restituire i teatri storici al loro uso
originario, come luoghi della rappresentazione.
Una fase di indagine preliminare, condotta in territorio
lombardo, ha permesso di individuare teatri storici in
numero ben maggiore di quanti fossero finora censiti.
Oggi possiamo così considerare anche la Lombardia terra
di teatri storici, al pari di altre regioni italiane. In
senso lato sono state considerate sale storiche tutte le
strutture edificate prima del 1930 che abbiano ospitato
spettacoli di varia natura. In senso stretto sono stati
considerati teatri storici quelli, pure edificati prima
del 1930, che a tuttoggi si presentino con palchi.
In base a tali parametri risulterebbero esistere in
territorio lombardo circa centocinquanta sale storiche
per spettacolo, a fronte di una quarantina di teatri
storici. Al riguardo è già stata realizzata una mappa
dei luoghi ritrovati: una serie di cartine
delle singole province lombarde permettono di riconoscere
le diverse realtà teatrali.
Dalla redazione delle cartine dovrebbe avviarsi un
percorso teso a riportare in attività i teatri storici
lombardi, specificamente i minori, entro un
circuito alternativo a quello già esistente. Riattivare
le realtà teatrali indagate e
scoperte non comporta necessariamente, almeno
in un primo tempo, la restituzione del singolo teatro
alla sua destinazione originaria. Il progetto, infatti,
immagina usi legati a un ritrovato sistema
teatrale, nellottica non più semplicemente urbana,
ma territoriale e si propone di far conoscere un sistema
di luoghi e culture che vadano oltre lambito
teatrale inteso in senso stretto.
Andrea DellAntonio (Austin),
Particolar gusto e diletto alle orecchie:
lascolto nel primo Seicento
Sulle orme delle
controversie sulla "seconda pratica" e le
"nuove musiche", le stampe italiane del primo
Seicento producono una raffica di saggi sulla musica,
scritti da (e/o per) non-musicisti. Insieme a simili
saggi coevi rimasti manoscritti, questi scritti
costituiscono (senza veri precedenti) un vasto corpus di
commentari sulla musica da parte di poeti, filosofi, e
altri intellettuali. Parallelamente, le stampe musicali
in "stile moderno" portano spesso una
"nota a chi legge" con osservazioni sulle nuove
prassi esecutive della musica ivi contenuta, ma spesso
anche sulle sue qualità espressive, e i presunti effetti
su chi ascolta.
Tali commentari non attingono allaffermata
tradizione pedagogica dei trattati cinquecenteschi di
teoria musicale e di contrappunto in stile osservato;
traggono piuttosto esempio dalla pratica musicale coeva.
Inoltre, fatto più importante per il presente studio,
lenfasi pervasiva in questi saggi sul senso
delludito rivela la consapevolezza che una
discussione sul significato musicale possa, e forse
debba, essere impostata dal punto di vista
dellascoltatore.
Questo fenomeno suggerisce che la nuova presenza pubblica
della musica nel primo barocco fosse accompagnata dalla
percezione che occorresse che il
"dilettante/conoscitore" di ceto dirigente
esercitasse un giudizio critico sul significato di questa
prassi culturale e che tale giudizio si potesse
formare tramite lascolto, piuttosto che tramite la
lettura e/o lesecuzione. Sebbene la scrittura
secentesca sulla musica non contempli quellestetica
sistematica che avrebbe poi caratterizzato il pensiero
illuministico, riflette tuttavia un tentativo di
stabilire unimpostazione pragmatica (specialmente
nellambito della Controriforma), e inserisce la
musica in un contesto più ampio e ben più
contemporaneo di quello proposto dal
filoclassicismo tardo-cinquecentesco.
Attraverso lanalisi di tesi e sottintesi della
scrittura peri-musicale di questo periodo, questa
relazione esplora lo sviluppo della critica e
dellestetica musicale nellItalia del primo
Seicento in questa prima concettualizzazione
dellideale di "ascolto attivo".
Elisabetta Fava (Torino), Spazio
scenico e immaginazione: strategie del coro romantico
Sulle riviste del primo
Ottocento gli interventi critici in merito alla
definizione della deutsche Oper sollecitano la
scelta di argomenti legati al sovrannaturale: e dunque un
relativo distacco dall'opera italo-francese (più legata
a plot storici) e una simbiosi con la letteratura
romantica tedesca. L'applicazione di tali istanze (da Die
Sylphen di Friedrich Himmel a Hans Heiling di
Marschner, attraverso un'ampia campionatura intermedia),
si rispecchia sensibilmente nella rinnovata scrittura
corale, finora adagiata nel genere caratteristico (marce,
Trinklieder etc.).
Il coro mantiene una duplice funzione: da un lato
(soprattutto nella grosse Oper) la grandiosità
monolitica delle scene ritual-spettacolari, la solennità
filiata dall'ambito oratoriale e dalle cerimonie di gusto
francese; dall'altro, però, (romantische Oper) si
stacca da questo cliché, e diventa sempre più
fluido. Questa mobilità agevola la difficile
acquisizione della Durchkomposition: le prime
scene importanti in tale senso contemplano una
fondamentale presenza del coro (banchetto e scena al
Blocksberg nel Faust di Spohr, tempesta marina nel
primo quadro della Undine di Hoffmann, scena nella
Wolfsschlucht, prologo sottoterra in Hans
Heiling).
Anziché presupporre la fissità del tableau, questa
nuova coralità diventa medium grazie al quale gli
spazi si dilatano oltre il palcoscenico, come invocato da
Schiller, da Hoffmann, da Novalis: spalanca il plein-air,
evoca il sublime e persino la simultaneità di luoghi
terreni e luoghi sovrannaturali, come quando Undine
dialoga con gli spiriti acquatici o Heiling, già
trasferitosi nella nuova magione Biedermeier,
percepisce ancora il canto sotterraneo dei suoi simili.
Dunque, il coro assume su di sé i crismi dell'infinito e
della lontananza romantica: l'apparente rigore imitativo
di alcune pagine (cfr. Marschner) si trasforma, all'atto
della realizzazione scenica, in un pulviscolo di echi e
rifrazioni e comporta necessarie dislocazioni spaziali.
Inoltre il "fuori scena" acquista. un'incidenza
inedita, e non è più finalizzato a predisporre introiti
solenni, bensì a suggerire la trasfigurazione della
fiaba. Il suono remoto si carica di suggestione e di
mistero, come piaceva a Reichardt, a Rochlitz, più tardi
a Johann Christian Lobe e Heinrich Dorn; la matrice
letteraria è profonda, innegabile la consanguineità con
il mondo poetico di Hoffmann o di Tieck (Der
Runenberg, Die Elfen).
La consuetudine di riunire il Bund e far
musica all'aperto ha reso ai musicisti la mano sciolta in
ambito corale: abituati a dominare le masse corali
imponenti dei Musikfeste (Elba, Basso Reno) i
direttori-compositori possono cimentarsi a teatro con ensemble
più contenuti, e riescono a governarne i movimenti.
I cori "romantici" progrediscono ben oltre
quelli a cappella tanto disprezzati da Wagner nel saggio Stesura
del libretto: ma implicano una revisione della prassi
esecutiva, che consenta al direttore il pieno controllo e
lorganizzazione di strategie registiche: così gli
intenti dei compositori sono un ulteriore sprone a
definire la funzione e la tecnica della direzione
d'orchestra, che sarà impostata proprio dai tre
autori-chiave dell'opera romantica tedesca, ossia Spohr,
Weber e Marschner.
Gioia Filocamo (Bologna), Calamaio
- torchio andata e ritorno: un viaggio dentro il codice
Panciatichi 27
Lintroduzione del
torchio tipografico nel mondo rinascimentale non
significò rottura definitiva e immediata col sistema di
scrittura manuale praticato fino ad allora. La vera
rivoluzione culturale che linvenzione della stampa
determinò e poi alimentò fu molto più tarda, sfasata
rispetto allinvenzione della macchina ed alla
realizzazione dei primi libri (E. Eisenstein, The
Printing Revolution in Early Modern Europe,
Cambridge, Cambridge University Press, 1983; trad. it. Le
rivoluzioni del libro. Linvenzione della stampa e
la nascita dellera moderna, Bologna, Il Mulino,
1995). Durante il suo primo secolo di vita il torchio ha
convissuto pacificamente con le attitudini della
scrittura medievale ed ha prodotto singolari commistioni:
il periodo compreso tra la fine del Quattro e
linizio del Cinquecento è una specie di zona
franca che ben corrisponde alla stesura del manoscritto
musicale Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale,
Panciatichi 27 (post febbraio-dicembre 1505): un
momento caratterizzato da un interscambio biunivoco di
tecniche e costumi fra scriptorium e bottega dello
stampatore. Le vicende del codice panciatichiano
testimoniano questo mutuo rapporto fra cultura
manoscritta e cultura tipografica anche sul versante
musicale: il formato e le sue dimensioni ricalcano
evidentemente quelle dei primi libri di musica polifonica
stampati (quelli petrucciani), così come vari brani
presumono antigrafi a stampa (licenziati da Andrea Antico
e Ottaviano Petrucci). Tali relazioni consentono di
ipotizzare utilmente datazioni post quem per il
codice, ma testimoniano inconfutabilmente anche
leterogeneità culturale nella quale i copisti
panciatichiani hanno operato: il libro musicale, stampato
in serie, propone inevitabilmente ai suoi fruitori un
canone ben definito che sanziona oggettivamente un gusto
determinato, mentre il manoscritto è un prodotto che
esprime e riflette un gusto personale (del committente o
del copista) nella scelta e nellaggregazione di
quanto vi è contenuto. Libertà, questa
testimoniata nel Panciatichi 27 anche dalla presenza di
moltissimi unica , destinata però a
rimanere circoscritta ad un àmbito locale e perdere
così la possibilità di tramutarsi in prodotto di ampia
fruizione.
Carlo Fiore (Roma), Una petizione
per ridare la cittadinanza italiana agli oltremontani
Il flusso migratorio che
in più di cento anni ha portato decine di musicisti del
nord-ovest europeo a lavorare in Italia, ha contribuito
in maniera determinante non solo alla vita musicale della
penisola, che proprio negli oltremontani si è
identificatata almeno tra il 1460 e il 1530, ma anche
alla definizione del Rinascimento italiano in senso lato.
Eppure, dagli esordi della musicologia, la bibliografia
dedicata alla truppa di contrappuntisti che va da
Agricola a Weerbeke, passando per Compère, Isaac,
Josquin, Mouton, Obrecht, si è concentrata per la
stragrande maggioranza (oltre il 95%) nei paesi di lingua
inglese (cosa che non è avvenuta nel campo degli studi
sulle arti figurative). Unindagine sistematica
sullo stato delle ricerche mostra:
quanto la sproporzione nella provenienza della
pubblicistica raggiunga livelli sconosciuti agli altri
àmbiti della musicologia storica o analitica;
come lambiente anglosassone abbia imposto senza
mezze misure alcuni indirizzi della ricerca che, di
fatto, hanno fossilizzato il dibattito intorno a
tematiche sempre uguali e trascurato aspetti di primaria
importanza (lo studio delle individualità stilistiche o
quello della storia della recezione);
come la pubblicistica residua abbia appiattito la sua
produzione sugli asfittici spazi lasciati aperti dal vero
e proprio "cartello" che governa la musica
antica dal secondo dopoguerra;
come, proprio dai rappresentanti più illuminati della
comunità scientifica anglofona si possano trarre spunti
per un "decentrato" rilancio (didattico oltre
che prettamente scientifico) degli studi sulle cappelle
musicali italiane tra Quattro e Cinquecento.
Silvia Iovane (Pescara), Massimo
Salcito (Foggia), Connotazioni
simbolico-liturgiche e iconografico-musicali negli
affreschi del Santuario della Madonna dAppari in
Paganica
La ricerca, tuttora in
corso, è realizzata in collaborazione con la
Soprintendenza BAAAS (LAquila), lArchivio
della Curia Arcivescovile (LAquila) e l'Archivio di
Stato (Pescara e LAquila). Il Santuario della
Madonna detto "d'Appari"
("dell'apparizione"), sito nelle vicinanze di
Paganica, frazione del comune dell'Aquila (Abruzzo),
contiene circa 350 mq di affreschi realizzati tra la
metà del Quattrocento ed il 1615, ed è un'importante
testimonianza nella locale diffusione del culto mariano.
Le opere, di alto valore artistico (Andrea Delitio,
Francesco da Montereale), ricoprono totalmente la
superficie di pareti e volta, con una serie di sezioni
caratterizzate da personaggi di varia natura (padri della
Chiesa, profeti, apostoli, sibille, angeli e putti);
unite da complessi legami di natura artistica, dottrinale
e musicale, vedono nell'Incoronazione il fulcro
centrale. I cartigli e le tavolette dipinte di fianco a
figure come la Sibilla Ellespontica e il Profeta Amos,
oppure nella Sacra Conversazione tra Origene
Cipriano Basilio e Ambrogio, offrono infatti un'insolita
presenza di testi di natura profetica sulla Vergine e sul
Cristo, ed uno spaccato su talune dispute teologiche
emerse nel contemporaneo Concilio di Trento, circa il
ruolo umano e divino della figura di Maria. A complemento
del complesso disegno simbolico, spiccano gli elementi
musicali presenti soprattutto nel cinquecentesco ciclo
degli Angeli Musici, dotati di un ricco corredo
strumentale: tra l'altro un Flauto a mano con
Tamburina a corde, un Liuto accordato al
cantino (simbolica rappresentazione della celeste
armonia) ed un Organo Positivo.
Notevole anche il Davide con viola da gamba, al
momento la più antica rappresentazione datata dello
strumento in Abruzzo (1560), relativamente rara in
connessione con il Re salmista. Di interesse anche un Putto
con strumento a fiato (probabilmente un Cornetto),
ed una Tromba Sinuosa, con l'originale
conformazione cappio - cerchio. A complemento sta un Trio
angelico dotato di due brani musicali tuttora non
identificati.
L'originale correlazione esistente tra rappresentazione
pittorica, messaggio liturgico e rappresentazione
musicale rende certamente il Santuario un unicum
nel panorama artistico, non solo regionale.
Leo Izzo (Bologna), La
conservazione dellidentità culturale creola nella
musica di Jelly Roll Morton
Jelly Roll Morton,
pianista, compositore e band leader, è una
figura centrale della storia del jazz non solo per il
valore indiscusso delle sue composizioni pianistiche e
delle sue registrazioni a guida di piccoli organici, ma
anche perché la sua attività ha attraversato le fasi
cruciali della nascita e della prima diffusione di questo
genere musicale.
La musica di Morton, infatti, può essere interpretata
alla luce del rapporto tra creoli e neri nella New
Orleans dei primi anni del Novecento. Nel dichiarare la
propria poetica Morton mostra un atteggiamento
ambivalente nei confronti della cultura afroamericana: da
un lato ereditò dalla comunità creola di New Orleans
laspirazione ad accostarsi alla tradizione musicale
europea, dallaltro era a tutti gli effetti inserito
nella realtà professionale dei musicisti jazz
neroamericani. La sua particolare formazione gli
permetteva quindi di padroneggiare due distinti
vocabolari musicali: uno basato sul rispetto della pagina
scritta e della mente compositrice, laltro sulla
pratica esecutiva ed improvvisativa appresa nei luoghi di
aggregazione per neri.
Questi aspetti della sua poetica ebbero ruolo importante
nella sua conduzione orchestrale, ed in particolare nel
rapporto tra scrittura ed improvvisazione instaurato nei
gruppi da lui diretti.
Lo studio di queste problematiche è stato condotto con
lesame del brano Oh, didnt he
ramble, registrato da Morton nel 1939 alla guida di
un gruppo di nove elementi, tra cui alcuni creoli e
originari di New Orleans.
Il confronto tra le parti manoscritte preparate da Morton
per la registrazione (conservate presso lHistoric
New Orleans Collection di New Orleans) e la musica
effettivamente eseguita dal gruppo durante
lincisione fornisce indicazioni importanti su
alcuni aspetti del primo jazz ancora poco noti. La
conoscenza della formazione musicale e
dellidentità culturale dogni membro della band
consentivano infatti di determinare lesito finale
di un brano grazie ad una scrittura appropriata alle
caratteristiche individuali di ciascun esecutore.
Stefano Lorenzetti (La
Spezia), "La sventurata musica
sì veloce
nel morire": rapporti tra musica e memoria tra
Cinque e Seicento
La frase desunta dal
trattato sulla pittura di Leonardo testimonia la
profondità del rapporto tra musica e memoria. Un legame
ontologico, radicato nell'atto percettivo, fonte al tempo
stesso del fascino e della caducità di un'arte che si
affida esclusivamente al più effimero 'oggetto' naturale
/ culturale: il suono.
Se la musica ha, dunque, bisogno della memoria per
esistere, in un certo senso, anche la cultura del XVI
secolo, pare mostrare un'analoga dipendenza: l'ars
memoriae era una componente essenziale di quel canone
classicista che, proprio nel Cinquecento, si precisa e si
definisce; assume così la funzione di punto di
vista privilegiato, di 'camera ottica' con cui leggere e
dilucidare il segreto colloquio tra le arti che alimenta
l'incessante riscrittura dell'esistente.
La presente ricerca, allo stadio iniziale, ipotizza un
legame tra memoria artificiale e musica da verificare e
discutere nelle seguenti direzioni:
- Ricognizione delle sezioni sulla musica nella
trattatistica sulla memoria. (L'arte della memoria oltre
a costituire una parte della retorica generale ha dato
vita ad una nutrita trattatistica specializzata,
manoscritta. e a stampa, in cui è possibile rintracciare
sezioni dedicate alla musica.)
- Arte della memoria e procedure compositive / esecutive,
in particolare:
- a) arte della memoria
e contrappunto alla mente.
- b) arte della memoria
e prassi della diminuzione. (Nella organizzazione
delle procedure tipiche del contrappunto
improvvisato e della diminuzione è possibile
rintracciare implicite / esplicite analogie con
le tecniche della memoria artificiale.)
- Arte della memoria e organizzazione,
trasmissione e visualizzazione del sapere
musicale. (La codificazione del sapere musicale
nella trattatistica cinquecentesca si avvale di
tecniche di memorizzazione verbale / visiva.
Schemi, diagrammi, figure sono parte integrante
del testo: essi esprimono una concezione del
sapere e della sua comunicazione, una modalità
globale di percezione, che costruisce 'macchine
sensoriali' votate alla riscrittura classicistica
della conoscenza.)
Cecilia Luzzi (Arezzo), Funzioni
delle cadenze e rappresentazione del testo nel madrigale
del 500
Larticolo di Stefano
La Via, "Natura delle cadenze" e
"natura contraria delli modi". Punti di
convergenza fra teoria e prassi nel madrigale
cinquecentesco, comparso nel "Saggiatore
Musicale" (IV, 1997, pp. 5-51) costituisce un
riferimento importante nellanalisi del madrigale
polifonico per la classificazione dei procedimenti
cadenzali nel madrigale cinquecentesco e per la
riflessione sul ruolo delle cadenze nelle relazioni tra
testo e musica.
Lapplicazione del modello proposto da La Via
allanalisi dei circa 300 madrigali a cinque voci
composti tra 1581 e 1595, analisi svolta nel contesto del
mio lavoro Poesia e musica nei madrigali di Philippe
de Monte (Bologna, Dottorato di ricerca in
Musicologia, di prossima pubblicazione presso Olschki),
ne ha confermato lefficacia, e ha consentito
ulteriori osservazioni sulle funzioni delle cadenze.
Accanto allarticolazione della struttura sintattica
e metrico-prosodica e alla resa dei contenuti affettivi
del testo poetico, rilevate da La Via, infatti, nei
madrigali di Monte si registra anche la funzione di
connotazione stilistica. La scelta dei procedimenti
cadenzali caratterizza da un lato lo stile grave, la
concezione madrigalistica della forma musicale come
flusso sonoro continuo in cui la forma del testo poetico
si dissolve in prosa musicale, dallaltro lo stile
leggero dallorganizzazione formale definita, basata
su una segmentazione del discorso musicale in frasi di
breve respiro e sulla disposizione del testo poetico in
sezioni delimitate da cesure nette, come nella
canzonetta. Inoltre non tutti i movimenti cadenzali hanno
funzione semantica: tale impiego espressivo caratterizza
più lo stile grave che quello leggero dove la relazione
tra testo e musica è prevalentemente neutra.
Alcuni dati interessanti sulla funzione semantica delle
cadenze emergono dal confronto dei movimenti cadenzali
nelle intonazioni di Rore, Wert, Mosto e Da Gagliano
sopra il sonetto di Giovanni Della Casa O sonno, o
della queta, umida, ombrosa: in Wert, Mosto e Da
Gagliano non emerge la corrispondenza netta tra cadenze
dalla valenza "positiva" o "negativa"
con la porzione di testo corrispondente registrata da La
Via in Rore.
Se è innegabile che la cadenza sia impiegata nel genere
madrigalistico in funzione espressiva, è da valutare con
un campione di autori ed esempi assai più ampi il ruolo
rivestito entro i complessi rapporti tra musica e testo
nel genere del madrigale. Limpiego della cadenza è
infatti solo uno dei numerosi mezzi per la
rappresentazione dei contenuti e degli affetti del testo
poetico, e come tale è preferibile valutarne il
significato allinterno della fitta trama di
relazioni tra la poesia e la musica.
Marco Mangani (Pavia-Cremona), Verso
una tipologia delle sinfonie verdiane
In generale, le sinfonie
dopera di Giuseppe Verdi non hanno suscitato
particolari attenzioni analitiche: anche le guide più
accreditate riservano allargomento poche, fugaci
osservazioni. In particolare, si sorvola sulle questioni
di tecnica costruttiva o, talvolta, si manca il bersaglio
(è il caso, a parere di chi scrive, dellanalisi
riservata da Julian Budden alla sinfonia di Alzira).
Come altri operisti prima di lui, Verdi oscilla (per
ragioni complesse, intrinseche ed estrinseche) tra
"preludio" e "sinfonia". Il presente
intervento, parte di una più ampia indagine sullouverture
italiana dellOttocento, si concentra sui brani
verdiani definiti espressamente dalle fonti
"sinfonie". Nellambito considerato, sono
riscontrabili due filoni ben distinti: quello
caratterizzato dalla struttura generale
"Introduzione e Allegro" (cui si ascrivono
anche i pochi casi caratterizzati da un unico movimento
mosso); e quello della sinfonia in tre movimenti
"Mosso Lento Mosso" (Nabucco,
con ulteriore introduzione, Giovanna dArco, La
battaglia di Legnano).
In entrambi i casi, si registra nella produzione verdiana
un percorso di progressiva definizione della tecnica
costruttiva. In altre parole, laffinarsi di una
concezione funzionale dellouverture non
comporta un contemporaneo indebolimento del rigore
compositivo, bensì un suo incremento: il caso clamoroso
della sinfonia di Luisa Miller, lucido tributo
dun operista italiano alla concezione tedesca dello
sviluppo tematico e unicum nella produzione
verdiana, è solo lesempio più vistoso di una
ricerca che segue vie personali, ma non per questo
anarchiche.
In particolare, per quanto concerne il movimento mosso
del primo dei filoni sopra elencati, si può cogliere
unadesione ad un generale modello bipartito
(Esposizione e Ripresa, o Coda), cui rispondono nei modi
più diversi tutti i brani interessati (ivi compresa, con
le varianti del caso, la sinfonia per La forza del
destino), rispettando, a partire da Luisa Miller,
gli equilibri tonali della forma-sonata (già peraltro
adombrati nei brani precedenti). Caratteristica saliente
di tale concezione è il sistematico rifiuto della
ricapitolazione del tema iniziale nella tonalità
dimpianto (peraltro rispondente a una precisa
tradizione formale), anche quando (come in Stiffelio
Aroldo) si ha un accostamento più deciso al
modello rossiniano. Ciò sembra rispondere ad una
concezione estetica del tutto autonoma, ma assai prossima
a quella esposta da Wagner in un suo celebre scritto del
1857 (citato da Thomas S. Grey in "19 Century
Music", xii/1, 1988): in esso il compositore tedesco
considerava un serio difetto la presenza di
ricapitolazione sonatistica dopo la sezione centrale
nella Leonora beethoveniana.
Sandra Martani
(Pavia-Cremona), I Bizantini in Italia: testimonianze
della cultura musicale italo-greca
Durante il Medioevo la
popolazione di lingua greca svolse un ruolo di primaria
importanza nella vita culturale dell'Italia meridionale.
Funzionari civili e militari, vescovi e monaci che per
motivi diversi si stabilirono in Italia, costituirono
saldi legami sociali e culturali.
Se i rapporti politici con Costantinopoli furono soggetti
ad alterne vicende e si conclusero nel 1071 con la
definitiva caduta di Bari in mano normanna, l'eredità
culturale bizantina rimase viva ancora per secoli. Anzi,
proprio sotto la dominazione normanna vi fu un'importante
fioritura letteraria in lingua greca, testimoniata dalla
produzione di poesie di modello classico, epigrammi,
omelie e vite di santi.
Anche la musica svolse un ruolo di primo piano: proprio
in questo periodo la nuova fioritura del canone
una delle più importanti forme innografiche bizantine
ha centro nella cosiddetta "scuola di
Grottaferrata".
S. Nilo, che fondò il monastero di Grottaferrata nel
1004, e il suo successore Paolo, avviarono infatti una
ricca produzione innografia proseguita fino alla metà
del XII secolo. Risulta così particolarmente calzante
anche per la cultura musicale la definizione di
"Byzance après Byzance", coniata dal
bizantinista rumeno Nicola Jorga.
In campo letterario ed artistico il fenomeno è stato
variamente studiato, e in ambito musicale l'interesse si
è focalizzato principalmente sui rapporti col canto
della chiesa latina, per indagarne i mutui scambi e le
derivazioni. È stata trascurata però l'indagine sulla
musica bizantina in Italia come patrimonio culturale
autonomo e l'analisi del ruolo svolto dalla musica nella
vita culturale del tempo, anche per l'oggettiva
difficoltà d'individuare con sicurezza le fonti di
origine italiana o comunque circolanti nellItalia
meridionale.
Attraverso le testimonianze di alcune fonti letterarie
(in particolare dei racconti agiografici e dei Typika),
si abbozza un panorama della musica bizantina in Italia
per contribuire alla comprensione della vita culturale
dell'epoca.
Lorenzo Mattei (Prato), Morfologia
del finale tragico nellopera italiana allo scadere
del Settecento
Già da tempo indagini
drammaturgiche, tematiche e stilistiche hanno affrontato
il problema del finale tragico e della morte sulla scena
nellopera seria italiana a cavallo tra Sette e
Ottocento. Questo intervento esamina la questione dal
punto di vista morfologico: tenta cioè di individuare
una serie di soluzioni musicali regolarmente applicate in
concomitanza del funesto epilogo di un "dramma per
musica". Pur non essendo vincolanti, alcuni stilemi
del tragico rarefazione del tessuto
orchestrale, frammentazione fraseologica, rottura di
continuità nella linea del canto, utilizzo di
particolari figure ritmico-melodiche, impiego di
dinamiche associate a precise concatenazioni armoniche
si presentano con tale costanza da indurre a
ipotizzare un codice condiviso dal compositore e dal
pubblico, in base al quale è possibile parlare di topoi
entro un genere non tipico, quale comunque restò la
tragedia per musica con finale tragico.
Come campione esemplificativo è presentata una selezione
di passi tratti da autori italiano fino ad ora raramente
esaminati (Alessandri, Bianchi, Guglielmi, Nasolini,
Portugal, Paër, Zingarelli). Si nota così che la scarna
essenzialità della versione "tragica" del Tancredi
rossiniano non costituisce un unicum, ma al
contrario sinserisce in una tradizione
e in un gusto che risalgono fin allultimo
quindicennio del XVIII secolo.
Marina Mayrhofer (Napoli), Dal
ballet-pantomine al ballet-blanc: fonti ed esiti della
drammaturgia musicale della "Sonnambula"
La prima cera, l'impronta
sulla falsariga della Nina paisielliana
su cui viene modellata la fisionomia di Amina,
nella Sonnambula di Bellini, è l'innocenza. Da
questo presupposto è possibile individuare la dinamica
primaria del dramma, una sorta di percorso che va
dall'innocenza alla presunzione di colpa e da questa allo
scagionamento finale. L'azione in senso stretto, giocata
sul tema del sonnambulismo, ha inizio solo quando, dopo
l'arrivo del Conte (I/6), il Coro intona "A fosco
cielo, a notte bruna". Nell'evoluzione del dramma la
fase che porterà all'incriminazione di Amina segna, fin
dall'inizio, una variazione nel tono generale dell'opera
che, mediato da Romani dalla comédie-vaudeville (La
somnambule di Scribe-Delavigne), dal ballet-pantomime
(La somnambule ou larrivée dun nouvel
seigneur di Scribe-Aumer) e dallopéra comique
(La dame blanche di Scribe-Boieldieu), sfuma in altro
genere: questo, sembra essere evocato dal Coro, sollecito
nell'informare il Conte della presenza di un
"fantasma". S'inaugura cosi un'atmosfera
allusiva del clima di quella romantische Oper d'argomento
fantastico, i cui personaggi macchiati da colpe
imperdonabili aspirano ad una redenzione raggiungibile
solo attraverso la morte. La musica di Bellini conduce
oltre le pur molteplici convenzioni dei generi, mediate
nel libretto da Romani. Essa, come scrive Rosen, agisce
sui nervi, focalizzata com'è sul ritmo reiterato e
ipnotico dei motivi e dotata di quello stile spianato,
costruito su legati espressivi entro i quali la linea
vocale fluttua liberamente. In virtù di questo stile
Amina si solleva per cosi dire "sulle punte",
entra nel mondo fantastico delle "fiancées mortes
avant le jour des noces" che "ne peuvent
demeurer tranquilles sous leur tombeau" (Gautier).
Il personaggio sembra restare, contro ogni evidenza,
fantasma che non trova pace, e reca su sé un carico di
colpa che sembra destinarlo ad una Liebestod, in
realtà appena sfiorata.
Con sensibilità europea, Bellini interpreta la
dimensione del sonnambulismo secondo suggestioni che
dall'opera romantica tedesca si sono trasmesse al
balletto, ma non il ballet-pantomime, indicato
tra le fonti, bensì quel ballet-blanc o ballet
fantastique che negli stessi anni, per merito di
Filippo Taglioni, sta nascendo a Parigi (La sylphide è
del 1832). Amina sembra così creare un precedente per la
Giselle di Gautier-Adam che trionferà dieci anni
più tardi sulle scene dell'Académie Royale.
Secondo tali prospettive s'intende riflettere sulla
drammaturgia dell'opera belliniana, e seguire un
itinerario che dalle fonti dell'opera conduce ad esiti
teatrali di segno diverso, quali appunto sono espressi
nel ballet-blanc di Gautier-Adam, Giselle.
Stefano Patuzzi (Mantova), "Alcune
toccate e vari madrigali rotti": il ms. C 85 del
Civico Museo Bibliografico Musicale
Il ms. C 85 del Civico
Museo Bibliografico Musicale di Bologna contiene sia
lezioni di contrappunto impartite fra il 1620 e il 1622,
sia brani per viola da gamba copiati da Francesco Maria
Bassani e per la più gran parte frutto delloperato
compositivo di Orazio Bassani "della viola",
suo zio. Fra essi spiccano le parafrasi strumentali di
composizioni vocali profane di Cipriano de Rore e di
Giovanni Pierluigi da Palestrina.
Prendendo spunto dalle stesure sinottiche delle versioni
originarie e di parafrasi strumentali di madrigali di
Cipriano de Rore proposte da Ernest Ferand nel suo Die
Improvisation e nella scia delle più tarde
acquisizioni disciplinari relative alla viola bastarda
sviluppate in particolare da Jason Paras il
contributo intende proporre una lettura interpretativa
del manoscritto citato. Unosservazione ravvicinata
delle composizioni parafrastiche per viola consente
infatti di comprendere con maggiore chiarezza tanto i
criteri alla base dello sfoltimento della compagine
polifonico-vocale in vista di una riduzione strumentale,
quanto le dinamiche che a inizio Seicento spinsero ad
individuare una manciata di brani esemplari meritevoli di
far parte del canone compositivo, allora in allestimento.
Anita Pesce (Napoli), La
produzione discografica partenopea a 78 giri: per la
salvaguardia di un patrimonio
La conoscenza della
produzione discografica napoletana a 78 giri si rivela
fonte preziosa per lo studio di più prodotti culturali
di area napoletana. È da fare comunque una distinzione
di base: da un lato la produzione autoctona di dischi
registrati in loco già dai primi anni del
Novecento, che contempla svariati generi musicali (dalla
lirica alloperetta, dalla romanza alla canzone
classica) e teatrali (dalle scene dialettali, alle scene
dal vero, alla sceneggiata); dallaltro la
sconfinata produzione di case discografiche maggiori che
affidarono una buona parte della loro produzione
allincisione di canzoni classiche napoletane;
queste, infatti, avevano un mercato più che consolidato
in tutto il mondo, sia grazie a italiani emigrati che ad
appassionati dogni nazionalità (basti pensare che
canzoni come O sole mio erano tradotte sugli
spartiti nelle lingue più disparate, dallinglese
allo spagnolo, dallo svedese al polacco).
Limportanza darchiviare queste fonti è
evidente; ancor lo sarebbe la possibilità di accedere ai
materiali sonori, oltre che ai meri dati descrittivi:
sembra che in questo senso qualcosa si sia mosso negli
ultimi anni.
La mia proposta di lavoro progetta un intervento per
acquisire e gestire informazioni relative ai materiali
discografici (le collezioni private sono di difficile
accesso, ma esistono già piccoli nuclei per i quali sono
forse possibili i primi interventi).
La relazione accenna alla ricostruzione storica delle
case discografiche che hanno operato a Napoli (il limite
cronologico è costituito dal passaggio
dallincisione meccanica a quella elettrica, poiché
questa influì sui sistemi di produzione e sul modo di
affrontare il mercato dalla Phonotype Record, la ditta
qui presa a modello); studia poi la situazione attuale:
dove sono conservate le fonti, quali sono le possibilità
di accesso ai materiali sonori, le possibili modalità di
archiviazione dei dati relativi alla produzione
discografica partenopea, quelle di conservazione e
lipotesi di rendere accessibile al pubblico
uneventuale raccolta di materiali sonori.
Roland Pfeiffer (Perugia -
Venezia), Forme daria particolari nelle opere
buffe di Giuseppe Sarti
Giuseppe Sarti (1729-1802)
è oggi conosciuto soprattutto per le sue opere serie,
tra le quali il Giulio Sabino del 1781. Nonostante
la rivalutazione di alcuni studi più recenti, sulle sue
opere buffe pesa ancora, invece, il giudizio negativo di
Andrea della Corte che ne definì la musica "assai
povera dispirazione".
Unanalisi approfondita di tali opere rivela invece
che, per quanto riguarda la tecnica e gli effetti
musicali dei finali e di altri pezzi dinsieme,
Sarti fu allaltezza del suo tempo.
Il notevole successo sui palcoscenici italiani ed europei
delle Gelosie villane (1776), di Fra i due
litiganti il terzo gode (1782) e dei Finti eredi
(1785), non può però essere attribuito solo ai pezzi
concertati visto che per la gran parte predominano le
arie, dove Sarti adotta la varietà di forme tipica della
sua epoca: ne troviamo a uno, a due o a tre movimenti,
questultime presentano solitamente la struttura veloce
lento veloce, oppure, più di rado, lento
veloce più veloce con graduale
accelerazione dellagogica.
Più interessanti sono però le strutture eccezionali in
quattro o più parti. Queste non seguono alcuno schema
generalizzabile, ma possono essere spiegate generalmente
come ampliamenti della forma tripartita in relazione alle
situazioni drammatiche.
La varietà musicale di queste arie è talvolta da
attribuire al solo compositore, spesso però vi
contribuisce anche il librettista, che, grazie al cambio
del metro o del contenuto verbale suggerisce tempi o
metri di battuta differenti. Nel caso di testi molto
lunghi la diversificazione dei movimenti evita la
monotonia, e, col conseguente "effetto
scenico", aiuta lattore a rendere
lazione più istrionica. Anche se la struttura
formale di tali arie non avrà seguito, la loro
concezione scenico-drammatica creerà nuove prospettive,
e sarà ripresa in epoche successive.
Ugo Piovano (Torino), Il metodo
analitico di Abramo Basevi nello "Studio sulle opere
di Giuseppe Verdi" e negli altri scritti musicali
Lo Studio sulle opere
di Giuseppe Verdi (1859) di Basevi può essere
considerato il primo tentativo serio di diffondere anche
in Italia l'analisi musicale. Si tratta di un tentativo
solo in parte esplicito, in quanto l'autore manifesta
l'intenzione di "accrescere l'importanza della
critica musicale in Italia", in modo da farle
"esercitare e sul gusto universale, e sui maestri
quella benefica influenza, onde l'arte s'avvantaggia nel
suo avanzamento". Tuttavia è lo stesso Basevi a far
notare che occorre dare fondamento scientifico alla
critica, per renderla "critica analitica",
l'unica che "rappresentando l'indagine anatomica,
sola può condurre allo studio della fisiologia della
musica". In questo modo l'analisi musicale diviene
strumento indispensabile del critico, unico mezzo che gli
consente di formulare giudizi oggettivi sulle opere
musicali.
Nel preparare l'edizione critica del volume di Basevi ho
potuto constatare come esso sia stato considerato
inizialmente per i suoi giudizi e, più recentemente, per
la terminologia formale adottata (Rosen, Powers, Parker e
Roccatagliati
). Mi è parso interessante, invece,
esaminare il metodo analitico di Basevi nel suo
complesso. Non ho limitato la mia indagine allo Studio
sulle opere di Giuseppe Verdi ma ho esaminato tutti
gli scritti musicali dello studioso livornese, in
particolare le fondamentali analisi dei Quartetti op.
18 di Beethoven: qui Basevi individua sei tipologie
analitiche: estetica, periodologica, armonica,
contrappuntistica, strumentale e ritmica.
Per comprendere la sua metodologia è necessario
esaminare anche i trattati sull'armonia, gli scritti
sulla storia della musica e quelli filosofici che
forniscono il fondamento gnoseologico indispensabile. Non
va poi nemmeno trascurata la ricca biblioteca (il Fondo
Basevi) nella quale troviamo non solo tutte le partiture
delle composizioni citate ma, soprattutto, numerosi
trattati, documentazione che gli fu essenziale per
costruire il proprio metodo analitico.
Alla luce del materiale esaminato si può concludere che
il tentativo di Basevi sia in parte fallito: nessuno in
Italia seguì il suo esempio, ma si dovette attendere
almeno mezzo secolo per vedere diffondersi un'analisi
musicale sistematica degna di tal nome. Anche lo stesso
volume su Verdi, daltronde, malgrado numerosi
spunti interessanti ed anticipatori, dal punto di vista
analitico risulta superficiale e schematico e non
raggiunge l'organicità e l'esemplarità annunciata nella
prefazione.
Luca Conti (Trento), Andrea
Di Giacomo (Bologna), Virginia Guastella (Bologna),
Maria Melchionne (Bologna), Anna Scalfaro (Bologna),
Raffaele Pozzi (Bologna coordinatore), Sulle
strade della dodecafonia: Gino Contilli, Riccardo
Malipiero, Mario Peragallo, Camillo Togni
Nellambito del
seminario avanzato su "Problemi e aspetti della
musica del Novecento" curato da Raffaele Pozzi per
la cattedra di Storia della musica del Corso di Laurea
Dams di Bologna, sè costituito un gruppo di
ricerca sulla recezione e diffusione della dodecafonia in
Italia.
Nella relazione viene esaminato il dibattito sulla
dodecafonia in Italia dopo il 1945 e il ruolo centrale
assunto, in questo senso, da Luigi Dallapiccola. Se ne
esaminano quindi gli approcci di Gino Contilli (Canti
di morte per voce e tre strumenti, 1949; Otto
studietti dodecafonici per pianoforte, 1949-50) che,
allievo di Dallapiccola, ladotterà per uscire
dalle "secche del neoclassicismo", di Riccardo
Malipiero ("Cantata sacra",1947;
"Studi",1953), di Camillo Togni (Variazioni
per pianoforte e orchestra, 1946; Capricci per
pianoforte, 1954-57), tra i primi italiani a partecipare
ai corsi di Darmstadt.
È poi esaminato il caso dei Lirici greci di
Salvatore Quasimodo (Milano, Edizioni di Corrente, 1940)
di cui si ricostruisce il caso letterario, si analizza la
recezione compositiva da parte di Luigi Dallapiccola,
Goffredo Petrassi e Bruno Maderna.
Matteo Cortesi, Adriana
Tuzzo (Bologna), Paolo Somigli (Bologna -
coordinatore), Critica giornalistica e musica di
consumo: i casi Eminem e Marilyn Manson
La relazione è parte di
una ricerca avviata nellambito del seminario La
musica di consumo in Italia: economia, sociologia, stile
(Università di Bologna, Dipartimento di Musica e
Spettacolo; Corso di Storia della musica, coordinamento,
Paolo Somigli), finalizzata a rintracciare le principali
caratteristiche della critica giornalistica alla musica
di consumo; in particolare, interessa verificare se, in
analogia a quanto mostrato da una ricerca dei primi anni
90 per la critica alla musica colta, esiste la
possibilità che eventi di contorno rispetto al fenomeno
puramente musicale assumano carattere di predominanza
nelle osservazioni e valutazioni della critica ed
eventualmente secondo quali modalità e in che misura. Si
è preso così in esame il trattamento che un campione di
quattro quotidiani nazionali ("Corriere della
Sera", "Il Giornale", "il
manifesto", "la Repubblica") ha riservato
in uno stesso periodo (gennaio-marzo 2001) a due
musicisti al cui successo hanno contribuito in modo
significativo fattori non musicali: Marilyn Manson ed
Eminem: le valutazioni e le osservazioni espresse
risultano spesso caratterizzate da grande interesse a
fenomeni marginali rispetto alla musica; esse, inoltre,
sono assai influenzate dallorientamento dei singoli
quotidiani e dalla loro affinità con gli atteggiamenti
più o meno realmente provocatorii dei due cantanti.
Per un verso, dunque, la critica musicale non rinunzia al
proprio ruolo di strumento di valutazione di un fenomeno;
per altro, si sofferma quasi esclusivamente sull'aspetto
di costume, e lascia in secondo piano o trascura del
tutto quello prettamente musicale. In altre parole, nel
campione da noi analizzato, ciò che rimane più in ombra
di una critica musicale sembra proprio ciò che dovrebbe
costituirne loggetto privilegiato: la musica.
Mariateresa Storino (Trento), Hanslick
vs Neue deutsche Schule
Un confronto puntuale tra Vom
Musikalisch-Schönen di Hanslick e Berlioz und
seine Harold Symphonie di Liszt mette in luce nessi
nel pensiero dei due autori da sempre celati dalla loro
appartenenza a fazioni avverse. Già Dahlhaus, tuttavia,
nel 1967 rivedeva letichetta di Hanslick come
formalista; successivamente Nattiez, nella riedizione
francese del libello hanslickiano, proponeva una lettura
su due dimensioni semiologica ed estetica
che sistematizzava su asse logico lintricato
insieme di formulazioni di Hanslick, spesso
apparentemente contrastanti.
Con questa revisione del formalismo
hanslickiano è possibile rileggere lopposizione
Hanslick-Liszt e ritrovare una radice comune a Vom
Musikalisch Schönen, Berlioz und seine Harold Symphonie
ed altri scritti. Nel suo saggio Hanslick intende
indagare il bello musicale da una prospettiva
scientifica, nella speranza di poterne scoprire canoni
valutativi inconfutabili; ma al contempo è chiaro come
larte sonora non possa essere avulsa dal momento
della creazione e della fruizione e come non possa essere
ingabbiata in un astratto sistema generale di pensiero,
concluso e definito una volta per tutte.
La valutazione del momento poietico ed estesico
stabilisce il legame di Hanslick con Liszt, sebbene i due
autori rivolgano la loro attenzione alla realtà fattuale
dellopera in gradi diversi. La convergenza dei due
autori, tuttavia, si riscontra anche nella ricerca
dellessenza dellarte sonora, della sua
autonomia, del suo valore, della sua specificità, in
base al confronto con un nucleo filosofico comune, a
volte esplicitamente indicato (vedi citazioni di Liszt e
di Hanslick da Hegel) ma spesso ridotto a segreta
memoria: Kant.
Dalla lettura del pensiero di Hanslick e di Liszt in
relazione alle comuni origini nella Critica del
giudizio kantiana, sotto forma di un contrappunto a
tre voci, la dicotomia musica assoluta vs musica a
programma assume una prospettiva diversa in cui è
possibile rintracciare la condivisione di elementi
teorici tra i rappresentanti di partititi antagonisti, al
di là del genere prescelto ad emblema delle loro
estetiche.
Anna Vildera (Padova), Musicisti
tedeschi allUniversità di Padova nel 700
LUniversità di
Padova cercò sempre di favorire gli studenti stranieri:
concedeva loro, pertanto, particolari privilegi, come
lesenzione dai dazi; nel Settecento, per ovviare
agli abusi favoriti da tale consuetudine, il
"Decreto dellecc.mo Senato 4 giugno
1750 e terminazione degli ill.mi et ecc.mi
Sig.ri Rifformatori dello Studio di Padova, 11 ottobre
1750, e sussequenti Ducali 1751, 25 novembre"
sostituivano esenzione dai dazi con la corresponsione di
denaro contante.
A partire dal 1755, tra gli studenti della Natio
Alemanna che cercarono di beneficiare di questo
privilegio, appaiono i nomi di alcuni noti e meno noti
musicisti: Johann-Gottlieb Naumann, Johann Schuster,
Franz Seydelmann, Johann Eyselt, Johann Hunt, Ignaz
Wiehrl, Antonio Nasolini, i fratelli Francesco e Giuseppe
Ferrandini.
Tale costume, invalso presso lo Studium padovano,
fu immortalato in alcune pagine dei Bruchstücke J.-G.
Naumanns Biographie di A.-G. Meissner (Praga
1803-1804), in cui è descritto proprio
limmatricolazione del musicista. Di grande
interesse per la storia dellUniversità, il
racconto di Meissner lo è anche per la biografia di
Neumann: con la documentazione dei registri
settecenteschi dellArchivio Antico
dellUniversità, la figura fortemente idealizzata
che emerge dagli scritti meissneriani assume contorni
decisamente più umani e veritieri.
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