Archivio Storico:- ex Dipartimento di Musica e Spettacolo - Universita' di Bologna Attività 2000 La musica nell'èra della sua riproducibilità tecnica

Conferenze e convegni

 
in collaborazione con
 
Dipartimento di Musica e Spettacolo
Università degli Studi di Bologna
Centro di promozione teatrale "La Soffitta"
 
Scuola superiore di Studi umanistici
dell'Università degli Studi di Bologna
 
Giornata di studio su
 
La musica nell'èra della sua riproducibilità tecnica:
cent'anni di riproduzione sonora
 
Bologna
Palazzo Marescotti - via Barberia 4
venerdì 19 maggio 2000
ore 11-1330, 1530-18
relazioni e interventi di
 
Gianmario Borio
Scuola di Paleografia e Filologia musicale
Università di Pavia-Cremona
 
Franco Fabbri
International Association for the Study of Popular Music, Milano
 
Roberto Leydi
Dipartimento di Musica e Spettacolo
Università di Bologna
 
Carlo Marinelli
Istituto di Ricerca per il Teatro Musicale, Roma
 
Paolo Prato
Roma
 
Antonio Serravezza
Dipartimento di Storie e Metodi
per la Conservazione dei Beni culturali
Università di Bologna-Ravenna
 
coordina
 
Carlo Piccardi
Radiotelevisione della Svizzera Italiana, Lugano

***

Ingresso libero
Coordinamento organizzativo di Tarcisio Balbo
 
col sostegno di
 
 

Carlo Piccardi, La musica nell’èra della sua riproducibilità tecnica: cent’anni di trasmissione e riproduzione del suono

Riguardo alla musica, il ’900 si distingue da tutti gli altri secoli per la prevalenza della comunicazione virtuale. Amplificata e riprodotta elettricamente, è in questa dimensione che la musica ha prevalentemente agito sugli individui e sulle masse, attraverso una mediazione che sempre più tende a ridurre la fonte sonora originale a variante secondaria del suo porsi, a sopravvivenza di vecchia abitudine. Di tale processo, nonostante la sua portata totalizzante, la musicologia non ha tenuto sufficientemente e convenientemente conto, ed ha omesso di elaborare categorie critiche specifiche in grado di cogliere la mutazione radicale che il fenomeno ha determinato a livello psicologico, sociale, culturale ed estetico.

Cosa comporta la pratica mediata della musica rispetto alle possibilità creative e di consumo? Sicuramente un recupero dell’‘oralità’, nel senso dello sganciamento della musica dallo stadio regolatore della scrittura, con tutto quanto essa poteva indurre in termini di stimolo di processi mentali sempre più complessi. L’amplificazione esalta il suono nella sua plasticità più che nella sua capacità di trascendere la condizione fisica. La trasmissione a distanza ha inoltre ridotto la musica al livello della fruizione individuale, laddove l’uso domestico tende a prevalere (in termini di attività fisiologica circoscritta alla sfera personale) sul valore identitario rispetto alla comunità di riferimento. Vissuta come bisogno, nella funzionalità sociale essa tende a ridursi al quotidiano (al livello delle emozioni e dell’affettività), indebolendo la sua facoltà di porsi come valore simbolico e di spinta all’astrazione.

D’altra parte la mediazione elettrica del suono ha reso possibile la conservazione di quest'ultimo. La ripetizione immutabile dell’evento sonoro ha vinto la fugacità di un’espressione estemporanea, ad esempio rendendo possibile per il jazz una storia che non esisterebbe senza la documentazione sonora registrata. Lo stesso vale per il balletto e per gli aspetti registici, destinati a diventare sempre più centrali nello spettacolo musicale proprio in quanto fissabili e (sottraendo lo spettacolo alla memoria ‘mitica’) resi immediatamente esemplari. Soprattutto, ciò ha consentito un’accumulazione di documenti che per la prima volta consentono una storia dell’interpretazione musicale.

La tecnologia della riproduzione del suono, però, non è neutra e non è semplice testimone dell’accadimento musicale. Essa è in grado di intervenire sulla struttura della composizione evidenziando linee, ritmi e colori al di là di quanto previsto nella partitura. Ne conseguono orientamenti di gusto che allo stadio più elementare esaltano la melodia nelle forme tradizionali della canzone, il ritmo nelle forme esotiche, il timbro nella riproduzione della musica del passato (soprattutto barocca, riacquisita all’interesse generale per la parentela instaurata con l’evidenza sonoriale della musica giovanile). La tecnologia riproduttiva consente la presentificazione di tutto il repertorio, al punto da abbattere confini culturali e geografici e da costituire premessa a fenomeni di contaminazione sempre più frequenti. Musicalmente parlando, l’ascoltatore odierno partecipa a una situazione di multilinguismo che, in rapporto al tempo (coesistendo con il patrimonio storico) e allo spazio (subendo l’effetto della realtà globalizzata), si manifesta potenzialmente arricchente per coloro che sono capaci di derivarne ragioni di confronto e di scelta. Nei fatti, tuttavia, la stessa situazione si impone, al di là della volontà dei singoli, attraverso modelli a senso unico, livellanti.

La riproduzione del suono ha determinato nell’atto creativo un recupero del contributo collettivo fornito dagli interpreti, spostando il momento risolutivo dalla partitura scritta alla verifica in sede concertistica o nello studio di registrazione. Per le forme leggere, la pratica dell’arrangiamento, che nonostante tutto si avvaleva ancora del pentagramma per tradurre nella corporeità dei suoni il primo stadio di concezione, si è trasformata in un atto empirico da laboratorio, in intervento diretto sul suono da parte degli interpreti intesi come collettivo creativo. A tutti i livelli ciò ha portato al recupero dell’improvvisazione (che dal jazz si è estesa ad altri generi) e alla rivalutazione dell’interprete-compositore. Ciò non è stato senza conseguenze sulla musica colta (Boulez, Berio, Stockhausen, Nono), la quale sul fronte del minimalismo (Glass, Reich, Nyman) agisce al punto da presentare l’evento concerto come la riproduzione in tempo reale dell’ordine che in sala di registrazione si determina in funzione del disco (diventato veicolo privilegiato del messaggio musicale). Il risultato più significativo di tale prassi è rappresentato dallo spostamento dell’attenzione dai valori costruttivi al cosiddetto sound, al messaggio musicale affidato a una cifra sonora, a una sovrastruttura atmosferica esaltata appunto dalla tecnica di amplificazione elettrica del suono. V’è da chiedersi se tale evoluzione, responsabile di una rivoluzione vera e propria nell’atto percettivo sia dal punto di vista psicologico sia da quello culturale (per l’effetto generalizzato presso le cerchie giovanili), non sia a conti fatti più sostanziale delle rivoluzioni perseguite dall’avanguardia in termini di superamento delle logiche compositive convenzionali.

In ogni caso, il processo di riduzione di senso della composizione musicale a cifra sonora impressa nella memoria in termini istantanei ha conosciuto un incremento attraverso il film e la pubblicità. A partire dalla vecchia tecnica del Leitmotiv, la funzione musicale ha trovato modo di coniugarsi con la visione nella costituzione di ‘immagini’ sonore appunto, agenti come polarizzatori di attenzione in un contesto retto dalle regole del montaggio, dove perdono senso il principio dello sviluppo e la logica argomentante che cedono di fronte all’assemblaggio, alla costruzione per associazione o contrapposizione di piani, di frammenti di discorso oggettivati. Ciò ha a che fare con procedimenti in cui giustamente sempre più si parla di ‘effetto sonoro’ per designare un livello dell’azione musicale caratterizzato da un uso del suono non come mezzo allusivo ma come materia sonora in sé. Le sigle radiofoniche, televisive, le identificazioni sonore di vario genere sono il prodotto più significativo di questo processo di oggettivazione, che in tal modo (abbandonata la funzione rappresentativa) entra nella dimensione domestica.

L’incremento della presenza sonora al livello del quotidiano (nei luoghi pubblici, nelle segreterie telefoniche, ecc.), spinta fino alla saturazione (quasi come risposta a un horror vacui, all’alternativa del silenzio quasi completamente rimossa), è responsabile dell’uso ambientale del tappeto sonoro, che da una parte fa appello al repertorio del passato declassato a percorso di suoni indistinti (responsabile dell’abitudine all’ascolto distratto), mentre dall’altra indirizza le energie creative a concepire forme musicali aperte, determinate dal suono campionato, risolte in resa ipnotica alla pura atmosfera acustica, di uso individuale, quasi terapeutico (new age, ambient music, ecc.).

La sintetizzazione del suono, pur nella sua dominanza, non è però senza via di ritorno. Se da un lato è data all’autore la possibilità di manipolare direttamente il suono, controllandone l’esito senza demandarne il compito all’interprete, dall’altro la necessità comunicativa legata al contatto fisico reclama il complemento gestuale. In tal modo, nel live electronic avviene il recupero almeno parziale della presenza esecutiva in tempo reale, a sancire come il messaggio attraverso il suono non possa prescindere dalla messa in evidenza di una responsabilità comunicativa riconosciuta nell’atto concreto della sua produzione. Quando il suono non fosse manifesto, provvede l’esasperazione del gesto a riscattarlo dall’inerzia della dimensione elettrica (come dimostra il codice retorico delle pose e degli scatti propri ai musicisti rock), mentre il divismo e i raduni di massa intorno alle rock star, ricostituendo la dimensione di un sentire comunitario che non si accontenta della possibilità di un uso puramente privato della musica, riflettono la portata del modello antropologico resistente a ogni sovrastruttura tecnologica e alla sua illusione di alterare la natura dell’individuo. In questo senso l’irruzione degli esotismi del patrimonio dei paesi tropicali periferici sulla scena della musica di consumo mostra la persistenza di comportamenti fondati sulla dimensione tribale, a rivelare come la mediazione industriale della musica non implichi necessariamente il superamento lineare di stadi successivi di cultura, ma possa essere addirittura un fattore restaurativo di condizioni primitive. Senza pretendere che ciò significhi un’ottimistica affermazione del primato dell’uomo sul progresso tecnico, si constata come l’evoluzione non proceda deterministicamente, ma ad ogni fase stabilisca equilibri chiamati a fare i conti con i fattori imprevedibili della complessità in cui siamo calati.


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