Archivio Storico:- ex Dipartimento di Musica e Spettacolo - Universita' di Bologna Quarto Incontro dei Dottorati di ricerca

Conferenze e convegni

Quarto Incontro dei Dottorati di ricerca
in Discipline musicali
 
Bologna
Scuola Superiore di Studi Umanistici
Palazzo Marchesini - via Marsala 26
sabato 10 giugno 2000
ore 11-13, 15-18
 
Università degli Studi di Bologna
Dottorato in Musicologia
 
Università degli Studi di Pavia
Scuola di Paleografia e Filologia musicale in Cremona
Dottorato in Filologia musicale
 
Università degli Studi di Roma "La Sapienza"
Dottorato in Storia e Analisi
delle Culture musicali
 
Andrea Massimo Grassi (Pavia-Cremona)
Alcune peculiarità di scrittura nelle ultime opere da camera di Johannes Brahms
 
Massimiliano Locanto (Pavia-Cremona)
Gli schizzi di Stravinskij: tecnica e linguaggio nelle opere seriali dopo "Movements" (1959)
 
Giorgio Monari (Roma "La Sapienza")
Il concetto di 'autenticità' e la musica antica: Harnoncourt e Leonhardt
 
Elisabetta Pasquini (Bologna)
«Longum iter est per praecepta»: gli "Esemplari" e padre Martini
 
Marinella Ramazzotti (Bologna)
Alcuni esempi di fusione timbrica nella musica vocale del '900
 
Ennio Speranza (Roma "La Sapienza")
Verdi e il quartetto per archi: brevi note su un compromesso perfetto
 
Dibattito su organizzazione, funzionamento, sbocchi dei tre Dottorati di ricerca
Ingresso libero
Coordinamento organizzativo di Angelo Rusconi

Andrea Massimo Grassi (Pavia-Cremona), Alcune peculiarità di scrittura nelle ultime opere da camera di Brahms

L'odierna musicologia brahmsiana ha manifestato unanime l'esigenza che i testi delle opere di Brahms venissero sottoposti ad un rinnovato scrutinio critico (è uscito di recente il primo volume della Neue Brahms-Gesamtausgabe). Di pari passo, si è acuito l'interesse per certe peculiarità della scrittura brahmsiana – alcune, inequivocabilmente moderne, erano state additate con la preveggenza del precursorse da Schönberg nel famoso saggio Brahms il progressivo – che, prima ignorate, inosservate, travisate o malintese, avevano indotto una trasmissione scorretta del testo, e dunque un’incomprensione del pensiero musicale. La relazione prende le mosse da testimoni manoscritti delle ultime opere cameristiche di Brahms per esaminare tre aspetti della sua scrittura: (a) la varietà ritmica e metrica, ottenuta spostando sui tempi deboli la legatura di frase e di portamento; (b) l'autonomia e la funzione gerarchica delle voci, sottolineate mediante differenziazione dei segni dinamici e di espressione; (c) il rafforzamento di certe cellule melodiche, ottenuto grazie a una forcella-accento. Osservare e comprendere tali peculiarità di scrittura consentirà sia di riconoscere i segni di dinamica, fraseggio ed espressione come inerenti alla struttura dell'opera – e dunque di considerate inammissibile, nel caso di Brahms, la distinzione tra elementi essenziali ed accidentali –, sia di trasmettere correttamente questi segni, ricchi di significato, nell'intento di rispettare senso e funzione del segno brahmsiano, e dunque di rispettare la volontà dell'autore e il suo pensiero musicale.

Massimiliano Locanto (Pavia-Cremona), Gli schizzi di Stravinskij: tecnica e linguaggio nelle opere seriali dopo “Movements” (1959)

Gli schizzi relativi alle opere del periodo in questione forniscono molte informazioni circa processo compositivo e genesi, offrono abbondanti spunti all'analisi e all'interpretazione dell'opera oltre che utili punti d'osservazione per approfondire le peculiarità del linguaggio musicale del tardo Stravinskij. Sotto questo profilo, tuttavia, la lettura di questi materiali, considerate le loro caratteristiche, ci pone inevitabilmente in una sorta di "circolo ermeneutico": gli schizzi possono, alle volte, rispondere a certe nostre domande, ma non senza una certa dose di "pre-giudizio" analitico. Ciò è tanto più vero nel caso delle opere tarde di Stravinskij. Con l'adozione del metodo seriale, il materiale preparatorio viene ad occupare, entro il processo creativo complessivo, una sede ancor più vicina al prodotto finito: rispetto allo Stravinskij dei periodi precedenti, gli schizzi d'una data opera presentano infatti una fisionomia assai più prossima a quella dell'opera compiuta. Per converso, si dilata la fase del processo creativo che non è testimoniata per iscritto: insomma, gli schizzi rappresentano da un lato uno stadio preliminare rispetto alla forma finale dell'opera, dall'altro uno stadio finale di annotazione, seppur provvisoria, d'un processo che, in ultima analisi, è stato avviato e si è svolto in gran parte nella mente del compositore. In questo senso gli schizzi rappresentano solo 1'esteriorizzazione parziale, la labile traccia di un'idea che può a volte manifestarsi, a volte rimanerci del tutto sconosciuta. Tanto la selezione di certi ordinamenti seriali (che il materiale preparatorio testimonia come prime scelte compositive) quanto le deliberate "violazioni" di tali scelte iniziali in fase di elaborazione possono intendersi come conseguenza di un'idea musicale preliminare più ampia: spesso, secondo un modus operandi tipicamente stravinskiano, quest'idea consiste in una ricerca su questa o quella proprietà musicale degli insiemi sonori. In quest'ottica, numerose peculiarità degli schizzi gettano luce su aspetti musicali che, per quanto centrali nell'interesse del compositore, sono però difficili da cogliere attraverso la sola forma "esteriore" degli schizzi.

Giorgio Monari (Roma “La Sapienza”), Il concetto di 'autenticità' e la musica antica: Harnoncourt e Leonhardt

Negli anni '80 un dibattito particolarmente vivo sull’’autenticità’ si accende dentro e intorno a quel variegate mondo musicale che risponde a denominazioni generiche quali 'musica antica', 'barocca', 'rinascimentale', o anche 'esecuzioni filologiche'. Per spiegare e caratterizzare questo complesso di fenomeni, omogeneo per certi aspetti ma anche assai differenziato ed articolato nelle sue manifestazioni, occorre riflettere sulla nozione di 'autenticitià', sul ruolo che assume rispetto all"identità' e sul modo in cui questa viene intesa. Un recente lavoro del sociologo Alessandro Ferrara espone diverse ed opposte concezioni dell’’autenticità' in quanto fondamento d'un giudizio di validità per un’‘identità’ concepita in senso psicanalitico. Alla luce di tali distinzioni, il confronto tra i repertorii di due personaggi come Nikolaus Harnoncourt e Gustav Leonhardt rivela convergenze e divergenze significative, soprattutto nell'opposizione tra un concetto 'integrativo' ed uno 'antagonistico' dell'autenticità. I loro repertorii vengono pertanto considerati come identità simboliche, in virtù del fatto che, alla stregua di identità individuali, essi si lasciano giudicare come coerenti, vitali, 'profondi'.

Elisabetta Pasquini (Bologna), “Longum iter est per praecepta": gli "Esemplari" Padre Martini

Nel 1775 Giovanni Battista Martini porta a compimento l'Esemplare, o sia Saggio fondamentale pratico di contrappunto: il volume II, dedicato alla fuga, segue di un anno solo quello "sopra il canto fermo". Nel trattato, il Francescano, «lusingandosi che questo debba servire di stimolo a' giovani a impossessarsi delle fondamentali regole dell'arte», reca, analizza e discute oltre cento esempi «dei primi e insigni maestri» del contrappunto, «la base e il fondamento di tutti gli stili»: anzitutto il Palestrina e Costanzo Porta per la modalità, Marenzio e Perti per i procedimenti imitativi. La cornice teorica da cui trae spunto per le osservazioni preliminari è pressoché la stessa delle composizioni prese a modello: ricorrono perlopiù le citazioni da Zarlino e Berardi, auctoritates indiscusse dei secoli XVI e XVII. L'ossatura dell'opera, che Martini palesa sin dal titolo, è il paradigma d'un mutato atteggiamento verso il tradizionale argomentare per regole (caro alla dottrina musicale), qui posto in secondo piano rispetto all'analisi e al commento. Lo studio comparato di due trattati coevi, che ambo si affidano all'iter per e-xempla, fornisce nuovi indizi circa le letture e le frequentazioni su cui si è venuta modellando la rifiessio- ne teorica del dotto bolognese: il riferimento è all'Arte pratica di contrappunto di Giuseppe Paolucci e, soprattutto, agli abbozzi di un inedito Esemplare di Giacomo Antonio Perti.

Marinella Ramazzotti (Bologna), Alcuni esempi di fusione timbrica nella musica vocale del '900

La 'composizione dei timbri' è l'obiettivo sul quale convergono le differenti tendenze d'un secolo che sembra sfuggire ad una classificazione per generi, materiali e tecniche compositive. In linea con le premesse teoriche di Helmholtz e Stumpf circa la natura consonantica degli intervalli spettrali, e in continuità con le indicazioni tecniche sulla coesione strumentale affrontate dal trattato d'orchestrazione di Berlioz, i compositori del secolo XX esplorano il timbro in rapporto alla sua complessità e agli effetti percettivi di fusione e segregazione. Le modalità compositive attraverso le quali i musicisti organizzano in un'unica immagine uditiva le componenti vocali e strumentali sono leggibili entro un processo di cui segnalo le tre fasi che considerso più rappresentative: 1) nel primo '900 la fusione timbrica tra voci e strumenti viene strutturata sulle relazioni armoniche, che perdono il loro contenuto funzionale e si caratterizzano come strutture formanti del timbro: la logica della defunzionalizzazione armonica risale a Debussy, di cui analizzo Sirènes (1897-99, III Nocturne); 2) nella musica per voce degli anni '60 1'effetto di coesione percettiva risulta dal potenziamento delle componenti sonoro-strumentali connesse all'emissione e all'articolazione del fonema vocale: sul percorso tracciato da Varèse, Berio, in Circles (1960), esalta la componente ritmica della consonante; 3) negli anni '80 la ricerca sulla 'strumentalità' della voce e la 'vocalità' dello strumento viene spinta fino all'ambiguità del segnale: il controllo dell'attacco e la componente del soffio che agisce sull'identificazione della frequenza fondamentale alterano la riconoscibilità delle fonti sonore, che tendono a venir percepite come fuse; i campioni esemplificativi sono tratti da Omaggio a György Kurtág di Nono (1983-86).

Ennio Speranza (Roma “La Sapienza”), Verdi e il quartetto per archi: brevi note su un compromesso perfetto

L'intervento, che rientra in una più ampia ricerca su forme, stili e modelli del quartetto per archi in Italia tra Otto e Novecento, analizza il rapporto che Verdi tenne col questo genere strumentale (cosi com'esso veniva percepito all'epoca), soprattutto in relazione al Quartetto in Mi minore (1873), unica "distrazione" cameristica dell'ormai anziano musicista, e sulla scorta delle sue controverse dichiarazioni sulla forma ‘quartetto' e sulla propria composizione. Attraverso una lettura ravvicinata del Quartetto s'intende registrare perché e in che modo Verdi faccia proprie, non senza venature polemiche, alcune istanze dei fautori della musica strumentale: non per questo il compositore addiviene a soluzioni di comodo, né accetta acriticamente modelli percepiti come ‘esogeni’; anzi, fonde stile individuali e scrittura autenticamente quartettistica – o tale considerate dai critici coevi che additavano nel genere del quartetto per archi il fondamento d'ogni e qualsiasi rinascita d'un robusto strumentalismo italiano –, per piegarla a personali esigenze comunicative.


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