Archivio Storico:- ex Dipartimento di Musica e Spettacolo - Universita' di Bologna
ABSTRACTS
DELLE RELAZIONI TENUTE AL TERZO COLLOQUIO DI MUSICOLOGIA
Margaret Bent (Oxford), Senso e retorica nel recupero della musica medievale
La musicologia del tardo secolo XX si è
molto occupata dellautenticità (o delle autenticità)
nellesecuzione della musica antica, sulla spinta del boom
nellindustria del disco. Da molto tempo tale pretesa è
però stata messa in dubbio, e vè chi di recente ha
cercato dinvalidare nichilisticamente qualsiasi tentativo
di ricostruzione. Propongo di discutere sul fatto che tali
critiche insistono eccessivamente sulla musica intesa come suono,
e vanno controbilanciate da un più attento esame dei modi in cui
un brano di musica produce il proprio senso indipendentemente
dalla fattispecie della realizzazione sonora. Come nel caso delle
lingue morte, il nostro accesso alla musica antica avviene solo a
partire dalla sua registrazione scritta; la musica ci richiede un
esame simile di quegli aspetti della grammatica e della retorica
che ne possano svelare il senso (non semantico).
Questi aspetti sono specifici di ciascuna generazione,
composizione, brano; vanno compresi come mutevoli convenzioni
prodotte dalluomo, non già come atemporali leggi di
natura, e devono venir ricavati dalla musica stessa con
lausilio dei trattati e dei concetti coevi, così come per
secoli sè fatto per le lingue, dove il suono originario è
altrettanto irraggiungibile. In aggiunta ai teorici musicali, gli
scritti di grammatica e retorica della tarda antichità e del
medioevo offrono copiosi paralleli, in particolare per la
polifonia tardomedievale basata sul contrappunto; gli studiosi di
retorica, perlopiù poco avvertiti degli echi e delle
implicazioni musicali dei propri testi, sono stati poco attenti
alla dimensione esecutiva, rispetto a quella in senso
stretto letteraria.
Confido che questo suggerimento possa rivelarsi fruttuoso nel
nuovo secolo e favorisca una miglior considerazione di quegli
aspetti della musica antica che possono sopravvivere al mutare
dei gusti moderni in materia di suono, e che non è disperato
voler recuperare.
Juan José Carreras (Saragozza), Al crocevia: la storiografia musicale da una prospettiva spagnola
Iain Fenlon (Cambridge), Insegnare musica e cultura
Il mio intervento verte sulla difficoltà che sincontra nel collegare (a) lincremento di conoscenze meramente musicali con (b) limperativo di saper pensare in termini contestuali anziché in termini esclusivamente interni alla disciplina, e ciò in unepoca in cui (c) il profilo culturale degli studenti universitari si va appiattendo o, diciamo, si va trasformando.
Sia nella storia tout court sia nella storia
della musica, il travaglio dello strutturalismo e degli altri
approcci che puntavano sulla scientificità delle
Scienze umane ha condotto, dopo il 1968 assunto qui come
data simbolo , a certe forme di relativismo influenzate, in
particolare, dal pensiero di Derrida (decostruzione), di Foucault
(archeologia del sapere), del femminismo (Susan McClary) e del politically
correct angloamericano.
La relazione si concentrerà anzitutto sullinteresse e la
difficoltà della nozione di intrigo, o di
intreccio, proposta dallo storico Paul Veyne. Ci si
chiederà se tutti gli intrighi abbiano, nella storia della
musica, la stessa validità. Si interrogheranno alcune opere di
storici della musica dispirazione relativista. Si
riprenderà, per la storia della musica, la questione sollevata
da Umberto Eco circa i limiti
dellinterpretazione. Infine, si evocherà una
situazione nuova: lo sviluppo delle scienze cognitive, e la
pubblicazione di lavori che istituiscono dei nessi tra
lanalisi musicale e la storia, non potrebbero orientare la
storia della musica in direzioni nuove, e lanciare una nuova
sfida alle tendenze relativiste?
Luigi Pestalozza (Milano), Fare storia della musica fra presente e futuro: tre questioni di metodo
Ragionare oggi, nello stato di cose non solo
musicale presente, sulla storia della musica nella prospettiva
del secolo XXI vuol dire avere in primo luogo consapevolezza del
revisionismo storico come ideologia dominante e organica al
neoliberismo dilagato nel mondo, che investe anche la musica,
anche la sua storia, per come, andando oltre lo stesso inerte
eurocentrismo che nel mondo continua a governare gli stessi
manuali di storia musicale, persegue la cancellazione,
loblio, della musica che nel Novecento fino a quella
presente anzi soprattutto negata ha aperto e apre il
sapere e la storia della musica, o quindi il modo di pensarla e
di farla, a tutti i soggetti musicali presenti nella società, a
tutte le culture musicali senza confini e gerarchismi, meno che
mai (appunto) eurocentrici.
Questo processo, peraltro non solo musicale per come si interrela
con gli sconvolgimenti rivoluzionari del secolo XX si
pensi solo alla fine del vecchio colonialismo o alla questione
democratica divenuta ineludibile in ogni punto della terra
sottrae oggi il presente e il futuro anche musicali alla
consequenzialità di un passato che non può più dunque essere
determinante del presente nel momento in cui questo si apre
problematicamente al futuro, al secolo XXI: ossia fra un tale
presente di cambiamento del rapporto storico di fondo della
musica, e il passato che da tale cambiamento è per primo
investito, il rapporto non può più essere concepito e
praticato, proprio da chi fa storia, storicisticamente, perché
il rapporto si è fatto dialettico, relativo, infine dialettico
in senso materialista, per cui passato e presente sono in
interrelazione, non in rapporto di dipendenza. Salvo che proprio
perciò, per negare ed eliminare questa dialettica senza
idealistiche sintesi, il presente anche musicalmente oggi
dominante è quello appunto revisionistico della fine della
storia, della regressione del futuro alla logica e della ragione
ideologica di tale fine che attualizza il passato anche musicale
imponendolo come sua ineludibile determinazione a un presente
dunque privato di futuro, dunque regressivamente
postmodernista, ovvero mirato allesclusione dalla storia di
ogni pensiero e di ogni prassi anche musicali di cambiamento: del
resto, come hanno ricordato Lotman e Uspenskij, «le epoche di
regresso storico, imponendo alla collettività schemi storici
estremamente mitologizzati, intimano alla società loblio
dei testi che non si piegano a un simile tipo di
organizzazione».
Allora però un tale presente musicale è al centro della nostra
questione la storia della musica di fronte al secolo XXI
ma proprio nel senso della sua virtualità, artificialità
ideologica, che ci pone di fronte, se il futuro storico musicale
e quindi il fare storia della musica oggi è appunto la nostra
questione, a un preciso capovolgimento: non porsi in termini di
fine della musica, della non solo sua storia, vuol dire partire
dalla musica per come la vera storia presente e quindi del secolo
XX, in quanto storia di cambiamento, sta in essa; o dunque per
come essa, musica del cambiamento sempre presente, sta in questa
storia.
Di qui la scelta di Luigi Nono, al cui sconvolgimento musicale la
relazione è dedicata, o della sua musica per come la sua
riconcezione linguistica si porta dentro e ci fa capire, ci
indica, ben oltre la stessa nuova musica eurooccidentale, la
decostruzione storica generale della storia
consequenzialisticamente concepita e praticata dal dominio
socioculturale, o quindi la costruzione di un altro,
antagonistico rapporto storico non solo musicale. Ma questa è
già una prima questione di metodo per una storia della musica
non mistificata, o quindi in prospettiva del secolo XXI: le altre
due seguendo sempre a partire dallo stato dei rapporti non solo
musicali come stanno nella musica, nella sua lingua.
Harold S. Powers (New York), Il valore esotico di un canone musicale storico
Senza dubbio esistono modi di fare sia musicologia
sia storia della musica senza tenere in considerazione alcun
canone musicale, sia esso occidentale o no. Nondimeno qui
tenterò di dare una giustificazione dellidea che si
continui ad insegnare la storia della musica darte
occidentale; e a questo scopo mi rifaccio a due passi delle tesi
del convegno: la storia della musica è un «ramo particolare
della musicologia»; e «un canone sempre più diffuso è ipso
facto un canone a rischio di dissoluzione».
(1) Un canone musicale è definito socialmente, non in base al
valore artistico ad esso attribuito. (2) La musica di qualsiasi
canone vive nella simbiosi tra professionisti appositamente
addestrati e conoscitori esperti. (3) Tale musica può sviluppare
una complessità strutturale paragonabile a quella delle
strutture linguistiche, ma siccome può funzionare riferendosi
solo a sé stessa, (4) essa può aprire un accesso non mediato al
lavorio astratto della mente umana.
(5) Il canone musicale dellOccidente ha un particolare
valore in quanto possiede forme di notazione scritta per un sia
pur limitato numero di generi musicali, sullarco di quasi
un millennio; e in questo senso è più ricco di ogni altra
cultura musicale al mondo. (6) Possiamo sì studiare la musica
(scritta) del passato in Occidente come se fosse la musica di un
paese esotico; ma al tempo stesso si tratta di una musica in cui
possiamo cogliere tutta una serie di connessioni, molteplici e
intrecciate, col canone della musica occidentale oggi in vigore.
(7) Si apre perciò la possibilità di un dialogo alla
maniera di Bachtin tra il modo in cui tale musica venne
concepita nel proprio tempo da coloro che la produssero e il modo
in cui la comprendiamo per come ci è pervenuta.
Wilhelm Seidel (Lipsia), Ci occorre un canone?
Il mio contributo è scritto dal punto di
vista di Lipsia. È da Lipsia che sono promanati gli impulsi più
vigorosi per la formazione del canone in musica.
(1) Nella storia della musica il canone è una manifestazione
piuttosto recente. In prospettiva filosofico-storica, esso è
profondamente debitore dellestetica del secolo XIX. Si è
costituito e si è potuto affermare sotto il segno di motivi che
però sono nel frattempo diventati implausibili: e ciò non senza
il contributo diretto della musicologia.
(2) Nondimeno, certi riflessi del consolidarsi del canone
continuano ad incidere sullodierna vita musicale. Ne
menziono due: la spaccatura tra musica darte e musica
triviale; e la ritirata della nuova musica
darte dai territorii del dilettevole. (3) Sebbene i
fondamenti del canone moderno oggi non vengano più riconosciuti,
gli addetti alla vita musicale continuano a pensare e ad agire
secondo le sue categorie. (4) Il canone ha dei meriti. Ha
insegnato al mondo a concepire la musica come un bene che merita
dessere conservato e durevolmente riproposto. Cè il
rovescio della medaglia: è colpa del canone se si deprezza la
musica non canonizzata o non canonizzabile, se la nuova musica
darte è stata man mano respinta ai margini della vita
musicale, se il dilettevole è svanito dalla sfera della musica
darte. (5) Spero ed auguro che gli uomini che si sentiranno
a casa loro nel secolo XXI si dilettino allascolto dei
madrigali di Monteverdi e si edifichino allascolto delle
sinfonie di Beethoven. E non perché appartengano ad un canone,
bensì perché vorrei che anche ai melomani del nuovo millennio
fosse concesso il piacere, lemozione estetica che queste
musiche mi hanno procurato e tuttora mi procurano. Auguro e spero
nel contempo che i vecchi steccati cadano, che la nuova musica
darte riconquisti il gusto del dilettevole, e che viceversa
la musica cosiddetta triviale venga trattata con
serietà e pertinenza.
Quel che ci occorre non è un nuovo canone, semmai dei curricoli
capaci di far sì che pedagogicamente accada ciò che
auspichiamo.
Gary Tomlinson (Philadelphia), Musicologia, antropologia, storia
Mi propongo di analizzare unicona
estetico-storiografica dei pensiero debole in campo
musicale, Lanima di Hegel e le mucche del Wisconsin: una
riflessione su musica colta e modernità di Alessandro
Baricco (1992), non solo per mettere in evidenza alcune (fra le
molte) aporie concettuali e alcune (fra le molte) forzature
storiche, ma specialmente per dimostrare come sotto le apparenze
di una riflessione storico-estetica su musica colta e modernità
si celino, in modo più o meno nascosto, alcuni principii base
della New Economy e del New Management di importazione
statunitense.
Le finalità euristiche e didattiche che mi propongo sono
duplici: da un lato, sul piano speculativo, dimostrare come il
cosiddetto post-modernismo, sotto lapparenza di
una corrente estetica, mascheri la propria vera natura
commercial-consumistica; dallaltro, su quello
storiografico, dimostrare come un paradigma
ideal-tipico ancora fortemente attivo (specialmente
in Italia: con la benedizione tanto della destra che della
sinistra) condizioni la storia musicale presente e la recezione
della storia musicale del passato. Lo scopo ultimo è,
evidentemente, di prendere coscienza del pregiudizio
economico-mercantile per disattivarlo e fondare (nel secolo XXI,
ma non troppo in là, possibilmente, anche se ho piena coscienza
che ucronia e utopia sono due facce della stessa medaglia) una
storiografia ed unestetica altre, che
intrattengano forti rapporti con espressioni
umanistiche del pensiero contemporaneo.
Nellanno 2000 si commemora il quinto
centenario della nascita di Carlo V. Tra i numerosi e
approfonditi studi dedicati alla sua persona e alla sua epoca,
colpisce la scarsità di lavori relativi allanalisi e alla
comprensione di eventi festivi organizzati in suo onore durante i
trentatré anni in cui governò i Regni di Spagna. Ci
soffermeremo sulla festa celebrata nella città di Valladolid il
18 novembre del 1517: prima entrata trionfale di Carlo
dAsburgo nei suoi territori spagnoli.
Non disponiamo di molte informazioni relative a questa
celebrazione, però sappiamo dal cronista L.Vital che «il y
avoit, aux embouchements et entrées des rues, en cincque lieux
ou en six par où le Roy debvroit passer, des portes de bois,
légierement faictes et estoffées, et des personnaiges
accoustrez, représetans des histoires mentionées en certains
escripteaulx en language castillan». Partendo da tale
affermazione, tenendo presente il contesto storico e investigando
alcune caratteristiche della tradizione di studi che interpretano
la musica legata a determinati eventi festivi nella Spagna dei Re
Cattolici, cercheremo di far luce sul modo in cui la musica
veniva eseguita in queste histoires e in altre del periodo
precedente. Proveremo ad ipotizzare e ad interpretare lo stile
musicale di queste rappresentazioni, tenendo comunque presente
che non sembrano rimanere esempi delle composizioni eseguite
durante le entrate trionfali dei sovrani tra il secolo XV e il
principio del XVI.
Il progetto che presentiamo riguarda la redazione di
una bibliografia analitica che sostituisca lobsoleto e
assai approssimativo catalogo curato da Emil Vogel e poi
integrato da Alfred Einstein. Le circa 400 edizioni (compresi i contrafacta
in lingua inglese, francese, tedesca e latina) pubblicate nel
periodo preso in esame costituiscono un corpus ampio, ma non
sterminato, che può essere catalogato da uno staff di studiosi e
studenti adeguatamente organizzato. Il repertorio dovrà
contribuire ad una migliore conoscenza delloggetto
antologia, fornendo una descrizione approfondita delle fonti che
risulti utile ad ambiti di ricerca di tipo storico, socio-storico
e filologico.
A tal fine è stata approntata una scheda che, oltre alla
descrizione bibliografica della raccolta, prevede la trascrizione
integrale dei testi poetici intonati e degli incipit musicali,
linserimento di una serie di notizie utili a meglio
definire lambito storico, geografico e culturale della
silloge (trascrizione integrale delle dediche, identificazione
degli autori delle liriche musicate e degli eventuali curatori,
notizie sulle caratteristiche tipografiche ecc.), ed una
bibliografia specifica per le antologie per le quali esista una
letteratura secondaria.
La scheda diverrà la maschera dinserimento di una
base-dati informatizzata che sarà integrata e collegata sia con
larchivio computerizzato del Nuovissimo Vogel-NNV,
in corso di realizzazione da parte di Angelo Pompilio (progetto
che si propone di schedare tutte le raccolte a stampa di musica
profana e devozionale in lingua italiana edite tra il 1500 e il
1700), sia con larchivio informatizzato del Repertorio
della poesia italiana in musica - REPIM, creato da Lorenzo
Bianconi, Angelo Pompilio ed Antonio Vassalli, finalizzato
allidentificazione degli autori dei testi poetici musicati
nei secoli XVI e XVII.
È prevista sia la realizzazione di una banca-dati informatizzata
consultabile on line, sia la pubblicazione del catalogo in
forma cartacea.
Il progetto di ricerca qui descritto è collegato ad un seminario
didattico (che ha avuto inizio nellanno accademico
1999-2000 e che avrà durata triennale), organizzato
nellambito dellinsegnamento di Storia della musica
del corso di laurea in D.A.M.S. nellUniversità di Bologna,
in collaborazione con «Il Saggiatore musicale».
Il dibattito sul postmoderno musicale non
ha mai suscitato grandi entusiasmi, in comune, daltra
parte, con quanto avvenuto nellambito letterario, che
difficilmente ha fatto uso di questo termine, temuto e
disprezzato, dice Remo Ceserani, dagli storici italiani della
cultura e della letteratura. Proprio per questa ragione è
legittimo chiedersi, come ha fatto nel 1990 Giuseppe Patella, se
il dibattito sia riuscito o no a superare la dimensione della
chiacchiera ed acquistare validità e consistenza
culturali
Nel corso degli anni ci sono stati alcuni tentativi di sollevare
una discussione sul postmoderno: la Biennale Musica di Venezia
del 1981 e la lettera di Marco Tutino pubblicata su
«Musica/Realtà» nel gennaio-aprile dello stesso anno, senza
dimenticare la molteplicità affrontata da Armando
Gentilucci nel suo celebre saggio del 1979. Già nella seconda
metà degli anni Settanta è possibile trovare riviste
interessanti in questa direzione: «Gong» (1974-78), «Musica
80», il cui primo numero uscì nel febbraio 1980, e «Musica
viva» (1977-1996). A questo dobbiamo aggiungere alcuni articoli
ospitati, anche se sporadicamente, su riviste musicali
(soprattutto «1985. La musica» e «Musica/Realtà») e su
pubblicazioni specificamente dedicate allargomento (ad
esempio Molteplicità di poetiche e linguaggi nella musica
doggi a cura di Daniela Tortora del 1988). Tre sono
stati i temi affrontati con maggiore assiduità: la definizione
di unepoca, i pericoli domologazione, le
caratteristiche dellodierno linguaggio musicale.
Di fronte al rischio, da qualche tempo annunciato, di passare
dalla molteplicità allindifferenza al
linguaggio, come ha rilevato Enrico Fubini, è interessante
saggiare secondo quali prospettive è stato affrontato il
postmoderno musicale e verificare, eventualmente,
linadeguatezza del dibattito, incapace di cogliere e di
svolgere un tema che, ad ogni modo, riguarda tutti i campi
dellarte.
Mariagrazia Carlone (Chiavenna), Il database MusIco di iconografia musicale
MusIco è un programma informatico quasi del tutto ultimato, sviluppato allo scopo di creare un database di iconografia musicale consultabile su Internet. Ogni scheda, che corrisponde a unimmagine musicale, è formata di diverse pagine contenente vari campi, in cui sono distribuite le informazioni, che possono anche venir lette e stampate in formato-testo. MusIco si presta a catalogare qualsiasi genere di oggetto portatore di iconografia musicale (dipinti, disegni, sculture, stampe, illustrazioni di testi manoscritti o a stampa, e così via), e al termine della sua elaborazione consentirà di effettuare ricerche per soggetto, strumento musicale, esecutore, tipo di ensemble, musica raffigurata, artista, data, luogo di origine e di conservazione, e molto altro ancora.
Antonio Caroccia (Battipaglia), La corrispondenza salvata: lettere a Francesco Florimo
«Queste lettere che mi sono state scritte nella mia lunga vita, invece di bruciarle, mi fu consigliato di donarle a questo Archivio musicale come documenti della Storia musicale di questo secolo». Così scriveva Francesco Florimo nel novembre del 1887. È passato più di un secolo, e i numerosi volumi che raccolgono la corrispondenza dellarchivista, storico e compositore calabrese giacciono nella Biblioteca del Conservatorio di musica S. Pietro a Majella di Napoli. Dopo moltissimi anni, durante i quali lesigenza di un completo studio e di un catalogo ragionato dellarticolato epistolario dello storiografo si era fatta sempre più urgente, studiosi e appassionati possono finalmente approdare ad un carteggio del tutto inedito e originale con i più svariati artisti dellOttocento, tra i quali Auber, Anfossi, Serrao, Halévy, David, Zingarelli, Furno, Conti, Curci, Ricci, Carafa, Mariani, Petrella, Crescentini, Rossi eccetera. La ricerca riguarda circa 800 lettere (una piccola parte dedicata a maestri e compositori) delle oltre 6000 di cui consta lintero corpus epistolare, distribuite in modo non omogeneo lungo un arco di tempo che va dal 1830 al 1887. Scopo del presente studio è di ovviare ad una lacuna che da decenni intralcia la ricerca musicologica, lanciando le basi per unedizione critica e per una prima catalogazione con relativo regesto. Da questo studio emerge un Florimo intimo, nascosto e sconosciuto, sullo sfondo delle innumerevoli attività e sul filo delle numerose iniziative intraprese a Napoli e nel mondo musicale dellOttocento.
Pietro Cavallotti (Berlino), Il concetto di forza in Gilles Deleuze e Brian Ferneyhough
Uno dei concetti centrali della filosofia
poststrutturalista francese è quello di forza,
inteso come energia produttiva, pulsione anarchica creatrice di
differenze in opposizione a ogni formalismo o staticità del
pensiero. Questo concetto, che occupa una posizione privilegiata
nel pensiero di Gilles Deleuze, in special modo nelle sue
riflessioni sullarte, ha esercitato unevidente
influenza sulla poetica di Brian Ferneyhough. Nei suoi scritti
teorici degli anni 80, il compositore cita ad esempio più
volte una frase tratta dal saggio di Deleuze su Francis Bacon (Logique
de la sensation, Parigi 1981): «En art, et en peinture,
comme en musique, il ne sagit pas de reproduire ou
dinventer des formes mais de capter des forces».
Questo assunto trova espressione soprattutto nel ciclo di
composizioni Carceri dinvenzione (1980-1986)
ispirato allespressività dei contrasti, alle «mutually
conflicting lines of force» degli omonimi disegni di
Gianbattista Piranesi. I nove brevi pezzi per soprano e gruppo da
camera che compongono le Études transcendentales (1982-85),
una delle opere del ciclo in questione, sono per la loro stessa
concisione esempi eccellenti per tentare un approccio analitico.
Grazie allo studio degli schizzi dellautore, conservati
nella Paul Sacher Stiftung di Basilea, mi è stato possibile
ricostruire il processo compositivo di alcune Études. I
risultati di questa analisi mostrano come lidea di dare
espressione a contrastanti linee di forza guidi Ferneyhough sin
dalliniziale definizione del piano formale e lo influenzi
nella selezione dei principali procedimenti tecnico-compositivi.
Sin dalle prime ricerche in ambito arsnovistico
ci sia consentito limpiego di questo termine
discusso, ma ormai consolidato per indicare tutto un repertorio
in special modo italiano loccupazione primaria degli
studiosi è stata di acquisire la conoscenza, la catalogazione e
lanalisi di fonti in primo luogo musicali, codici,
copertine di recupero di manoscritti dispersi, per cercare di
delimitarne il corpus. Fatto sta che oggi linsieme
di tali composizioni risulta uno dei meglio inventariati e dei
più editi sia per le musiche sia per i testi poetici, per non
parlare degli splendidi facsimili delle fonti principali. Queste
indagini notava acutamente già F. A. Gallo sin dal 1987
si sono concentrate principalmente sulle fonti «in sé
considerate» piuttosto che sulle «composizioni musicali in esse
contenute» e (mi permetto di aggiungere) sul contesto culturale
che le ha espresse e fatte ideare (ovvero la città quale
raffinata metafora contestuale di un variegato universo
creativo). Gallo rilevava poi, non senza ironia, come
paradossalmente «lindagine codicologica» avesse raggiunto
una «tale intensità» che addirittura «gli ignoti copisti di
un qualunque codice trecentesco sono meglio individuati nelle
loro caratteristiche che non i compositori delle musiche in essi
copiate».
Il progetto di ricerca che qui si vuole illustrare prende le
mosse proprio da queste considerazioni, ovvero dalla possibilità
di studiare il repertorio italiano trecentesco senza ignorare le
problematiche della sociologia, della psicologia,
dellantropologia e dellanalisi delle mentalità
collettive che costituiscono quellinsostituibile contesto
culturale di creazione della musica e della poesia finora
sacrificato da un approccio esclusivamente
filologico-paleografico o da unanalisi rivolta alla
congruità delle strutture metriche. Il rapporto tra musica e
storia non può passare solo attraverso il reperimento di
frammenti, lindividuazione di elenchi di varianti, o la
specificazione astratta di strutture formali ed armoniche (magari
applicando sovrastrutture pensate per altri contesti, quali il
metodo schenkeriano). È dunque auspicabile che oltre a tutto
questo vi sia anche un criterio ulteriore e diverso di
analisi dei capolavori della musica tardomedievale che
tenga conto soprattutto delle mentalità collettive, della
storia, della cultura, della società e dellimmaginario. La
polifonia trecentesca non può essere inscritta soltanto entro
tipologie semiografiche o di incostanze testuali, ma deve essere
concepita anche quale complesso equilibrio di invenzione e
scienza, di musica e poesia, espressione di un contesto
intellettuale fatto di modi di vivere e di sentire, di credenze,
di conoscenze o di orizzonti culturali più disparati. Il sogno,
la fonte, il fiume, il giardino iniziatico (e dunque non solo
quello damore), la tempesta, la visio, la
trasformazione, gli astri, gli animali, le simbologie, il tempo
meteorologico, il fuoco, ludire, limmaginare, i miti
(Diana, Narciso, Orfeo), il mangiare, la contrapposizione tra
intelletto e ragione, il prato, lalbero, il cavaliere,
lalba, i gesti, il clima, gli odori, i colori, la morte, la
femminilità, il corpo, sono temi rilevanti non tanto per
quantificare un catalogo di sovrastrutture esotizzanti o
astoriche, quanto piuttosto funzionali per individuare
quella priori ideologico al quale appartengono
determinati parametri culturali tipici del sapere medioevale.
Lattrazione per il fantastico, per il meraviglioso, per il
soprannaturale e limmaginario costituiscono, infatti,
alcuni degli aspetti fondanti della cultura urbana del Trecento
vòlta a realizzare un proprio modello di mentalità, specchio di
un determinato sistema economico e sociale.
Il nostro progetto è finalizzato alla ricostruzione
delle modalità di produzione musicale nel Regno di Napoli fra il
XVII e XVIII secolo, e dei rapporti musicali che intercorrevano
tra la capitale e le province. Punto di partenza è la «Gazzetta
di Napoli», il periodico settimanale ufficiale del Regno, dal
quale abbiamo attinto più di 4500 notizie musicali tra il 1675 e
il 1768. Sebbene il contenuto di questo giornale sia piuttosto
generico riguardo ai fatti musicali, attraverso la
computerizzazione, lindicizzazione dei dati e il confronto
con altre fonti e pubblicazioni, se ne possono ricavare delle
informazioni precise, spesso inedite, che costituiscono i
tasselli mancanti per la ricostruzione della vita musicale
dellepoca. Lo abbiamo potuto sperimentare in particolare
per il periodo compreso fra gli ultimi anni del Sei e i primi
decenni del Settecento.
In questo arco di tempo, i cambiamenti che si verificarono nella
vita politica e sociale ebbero un particolare riflesso sugli
sviluppi artistici, e Napoli divenne uno dei centri culturali
italiani più importanti. La classe aristocratica si aprì alla
cultura, esercitando una grande influenza sulla produzione
culturale e artistica, anche perché stimolata dalla concorrenza
nei confronti del ceto civile. Molti nobili organizzarono salotti
culturali e spettacoli nelle proprie residenze, divennero
importanti committenti in campo artistico, e spesso loro stessi
furono pittori, letterati o musicisti dilettanti. Il nostro tipo
di ricerca ci ha consentito di ricostruire limportante
ruolo svolto da alcuni di loro nellambito delle attività
musicali del Regno e di individuare tutta una serie di attività
che li metteva in relazione: si ritrovavano allinterno
degli stessi salotti, accademie e confraternite; assistevano
regolarmente agli spettacoli operistici che si tenevano nei
teatri della capitale; partecipavano alla programmazione
artistica del teatro dei Fiorentini facendo scritturare
librettisti, strumentisti, cantanti e compositori al loro
servizio, e alla gestione economica sovvenzionando
rappresentazioni che venivano anticipate o replicate nelle loro
residenze della capitale o dei propri feudi di provincia, dove
facevano costruire appositi teatri.
Attraverso questi nobili, nelle zone più periferiche del regno
venivano anche riprodotti oratorii e commedie dati nella
capitale, a volte con la partecipazione degli stessi prestigiosi
interpreti. Tra loro figurano i principali committenti napoletani
di Hasse, Händel, Fago, Mancini, Porpora, Sarro, Alessandro
Scarlatti, Vinci.
Il quadro della vita musicale nelle province che ne risulta è
molto più ricco e articolato di quello finora conosciuto.
Le informazioni qui riassunte saranno esposte in maniera più
dettagliata nella relazione, e costituiscono il campionario di un
lavoro più ampio che, secondo il nostro progetto, dovrebbe
coprire tutto il periodo per il quale possediamo notizie dalla
«Gazzetta». Lobiettivo finale è di mettere a
disposizione degli studiosi, in un volume a stampa, tutte le
notizie musicali in nostro possesso, complete di indici e
cronologie, ma anche la nostra elaborazione di questi dati.
Antonio De Lisa (Potenza), Il Novecento musicale degli irregolari e degli isolati
Ho già svolto una relazione in questa sede.
Lanno scorso il tema dellintervento verteva sulla
problematica relativa al compositore americano Charles Ives
(La funzione Ives nella musica del Novecento). In questa
seconda occasione vorrei affrontare, con la dovuta prudenza
metodologica e circospezione scientifica, la problematica degli
irregolari e degli isolati nella musica del Novecento. Le due
cose sono collegate. Non si capirebbe lemergere di questo
universo, se non si avesse chiaro che è stato Ives il punto di
partenza.
Si possono fare dei nomi. Gli americani Carl Ruggles, Henry
Cowell, Ruth Crawford, Conlon Nancarrow, Harry Partch, Lou
Harrison, il messicano Julián Carrillo, il franco-americano
Edgar Varèse, il cèco Alois Hába, i futuristi italiani
(Russolo, Pratella, Casavola, Mix) e russi (Roslavec, Mossolov,
Lourié, Obukhov), laustriaco Josef Hauer con sullo
sfondo la figura di Arnold Schönberg e il tedesco
Hartmann, litaliano Giacinto Scelsi (senza dimenticare
Ferruccio Busoni), il microtonalista russo Ivan Wyschnegradsky.
Quella che qui si delinea è una serie di esperienze proemiali e
introduttive o, in alcuni casi, parallele, o addirittura
alternative rispetto alle grandi tendenze novecentesche.
Lopera di questi compositori è strettamente correlata al
tornante più inquieto e mercuriale del Novecento musicale.
Una prima domanda si pone: qual è il ruolo storico di questi
personaggi? una più attenta considerazione di queste figure nel
panorama musicale del Novecento ci dice qualcosa di nuovo sullo
stesso sviluppo storico del secolo? 2. come si sostanzia
musicalmente la categoria degli irregolari e degli isolati? qual
è la strada giusta, da un punto di vista analitico, per
leggere adeguatamente la traccia lasciata da
queste esperienze alternative?
Siamo di fronte a una specifica soglia di ascolto, a un nuovo
universo concettuale: ci imbattiamo infatti in problemi che
mettono radicalmente in discussione le categorie compositive
tradizionali, quelle centrali legate al sistema delle altezze e
al ritmo: il microtonalismo e la poliritmia.
1.Microtonalismo: una terra di nessuno fatta di quarti, ottavi,
terzi, sedicesimi, trentaduesimi di tono, che pone la musica
occidentale di fronte al problema del continuo e
dellinfinito, in un pellegrinaggio del possibile,
dellincerto e dellindefinito;
2. Poliritmia: il tempo, attraverso le ricerche sul ritmo,
acquista in questa prospettiva una carica dinamica che la musica
occidentale aveva conosciuto solo nel medioevo. Chi scrive ha
avuto modo, in tre anni di lavoro su queste problematiche, di
verificare davanti a due pubblici diversi studenti
universitari e giovani compositori il concreto interesse
nei confronti delle problematiche delineate. Questo percorso
ambisce di sfociare in un volume a stampa. In questa sede se ne
delineano i punti principali.
La bibliografia degli scritti in cui compare Josquin
dalle fonti darchivio della fine del Quattrocento
alla musicologia attuale permette di ricostruire
cinquecento anni di storia della musica dal punto di vista di un
protagonista che non ha mai cessato di far sentire il proprio
peso. Lintervento descrive una ricerca storiografica in
progress che tende a tracciare possibili percorsi più che a
fissare scenari specifici: il profilo in movimento di
un compositore, e quello della musica in Occidente
che cambia attorno a lui.
La periodizzazione che emerge allo stato attuale della raccolta
documentaria è definita da alcuni titoli chiave: le prime tracce
archivistiche e la trattatistica fino al Dodekachordon di
Glareano (1547), fonte teorica, e insieme agiografica, dalla
quale la tradizione attinge massicciamente; la General History
of Music di Ch. Burney (1798), le Memorie
dellabate Baini (1828) e il Dictionnaire di F.
Fétis (1873-75), che racchiudono un eterogeneo, per quanto
ridotto e anomalo, gruppo di testimonianze; la prima edizione
degli opera omnia curata da A. Smijers (1921); la
monografia di Helmuth Osthoff (1957-59); lInternational
Josquin Festival Conference del 1971; la fondazione della New
Josquin Edition (1987); gli studi di M. e L. Merkley sulla
Milano sforzesca (1998) e il Josquin Companion (2000). La
ricerca compilatoria sistematica, che comprende anche le presenze
minute (in epistolari, cronache, dizionari ecc.), permette non
solo di tracciare la storia della recezione difficile e
accidentata di un compositore, ma anche di sottolineare alcuni
processi dellestetica e della storiografia musicale, le
modalità di diffusione delle informazioni e la trasformazione
degli strumenti della ricerca. Un progetto che, parafrasando
Harold Powers, cerca di guardare la storiografia musicale «da
una prospettiva altra».
Lestetica moderna ha introdotto la categoria
del nuovo tra i criteri fondamentali per giudicare il valore di
unopera musicale. Carl Dahlhaus (Analisi musicale e
giudizio estetico, Bologna 1987, pp. 21-24 e 32-36), in
particolare, ne ha illustrato la dipendenza da presupposti
storico-filosofici, individuando il ruolo dellestetica
adorniana nel concepire la novità in termini di adeguatezza
storico-sociale. È difficile tuttavia applicare questo modello
ad autori e repertorii che non trovano una collocazione univoca
entro la dialettica di conservazione e progresso, e in
particolare per coloro che, come Fanny Hensel, sono rimasti ai
margini della vita musicale e con ciò anche al di fuori del
dibattito sulle tecniche compositive, implicito nella
presentazione di unopera in uno spazio pubblico.
Il caso dei fratelli Mendelssohn è emblematico. Non solo: i
primi sondaggi critici sulla produzione di Fanny Hensel agiscono
come una cartina di tornasole per saggiare la validità di questo
paradigma storico-estetico. Pur nellaffinità idiomatica di
gran parte della loro musica, i due fratelli rivelano, infatti,
concezioni diverse della scrittura musicale e della sua
integrazione formale. Il bilancio dellindagine intrapresa
da Marcia Citron (Hensels Songs for
Pianoforte of 1836-37: Stylistic Interaction with Felix
Mendelssohn, «Journal of Musicological Research», XIV,
1994, pp. 55-76) su un campione limitato ma significativo di
composizioni per pianoforte ha portato alla conclusione che, a
fronte di evidenti affinità stilistiche, i brani di Fanny
presenterebbero una maggiore complessità stilistico-formale.
Sembra che la Hensel-Renaissance di questi ultimi anni sia stata
anche alimentata dal sospetto (o dalla speranza) che nel rapporto
carico tra i due fratelli si annidasse anche il
conflitto tra una tendenza stilistico-formale innovativa e una
più conciliante e borghese impersonata dal fratello, per di più
fieramente avverso alla pubblicazione delle composizioni della
sorella. Lo schema innovazione vs
conservazione-repressione, esplicito o implicito, non sembra
però sufficiente per comprendere il delicato negoziato tra
imposizioni familiari, scelta di strategie compositive e
progettazione di uno spazio mentale e creativo trasversale alla
distinzione tra pubblico e privato.
Lobiettivo di questa relazione è di illustrare alcuni
aspetti di unautonoma intenzione compositiva di Fanny come
risultato appunto di un negoziato tra le convenzioni di gender
allora operanti non soltanto nella definizione tra sfera pubblica
(maschile) e privata (femminile), ma nelle stesse scelte
stilistiche e compositive. Punto di partenza di questa indagine
sono due lettere nelle quali i fratelli si scambiano opinioni
sulle reciproche concezioni della forma, e lanalisi di
alcune loro composizioni per pianoforte e quartetto darchi.
Saverio Lamacchia (Bologna), Di unopera senza antipasto: la Zelmira di Rossini
Gli studiosi di Rossini hanno sottolineato
lo sperimentalismo delle nove opere scritte per il San Carlo
(1815-1822), soprattutto riguardo laspetto morfologico. Il
caso di scuola è il cosiddetto Terzettone del Maometto II:
nella versione originale (1820) comprende ben nove tempi e
finanche una mutazione scenica a vista; nella versione veneziana
(1823) e in quella francese (Le Siège de Corinthe, 1826)
Rossini sfronda lelefantiaca struttura, riducendola a
dimensioni più consuete. La relazione vuole mostrare come lo
sperimentalismo delle opere napoletane si possa manifestare, ad
altri livelli, anche in un numero a forma standard come
lIntroduzione della Zelmira (1822), che consta di
Coro e Cavatina tripartita. Arciconvenzionale in un organismo
convenzionale, il Coro desordio dunopera di
primo Ottocento si riconosce, normalmente, dacchito, sia
per la situazione che inscena una «proemiale cerimonia»,
per dirla con Ritorni sia per lintonazione musicale,
caratterizzata da unestrema linearità della condotta
compositiva. Questa funzione decorativa del coro inteso
come brano musicale e come personaggio collettivo , che
comporta una certa staticità dellazione e del movimento
scenico, è evidente anche nella maggior parte delle opere
napoletane di Rossini: che esprima giubilo (Elisabetta Otello
Armida Ricciardo e Zoraide Donna del lago) oppure dolore (Mosè
in Egitto Ermione), esso è generalmente fermo sulla scena, o
tuttal più sfila marciando (quando si tratta di un coro di
guerrieri, come in Armida e Ricciardo e Zoraide).
Alla luce di questa osservazione, leffetto teatrale
prodotto dal Coro dapertura della Zelmira appare
stupefacente. Il «massimo disordine» con cui i «vari gruppi di
guerrieri di Mitilene sbigottiti attraversano la scena»
allapertura del sipario crea unatmosfera di panico e
sconcerto del tutto inconsueta per questo luogo drammatico, anche
perché, mancando la sinfonia, lo spettatore è immesso come non
mai direttamente in medias res: verosimilmente Rossini fa
a meno di quest«usitato hors duvre»
per ragioni drammatiche e non, come tra il serio e il faceto
sostiene il Carpani, per la già bastante lunghezza
dellopera. Levento che provoca la scomposta reazione
degli astanti lassassinio del condottiero Azorre
non è scenicamente esibito, ma avviene, per così dire,
al di qua dellapertura del sipario, ossia fa parte di un
antefatto che mai nelle opere precedenti di Rossini era stato
così strettamente e dinamicamente collegato
allabbrivio dellazione. Lo spettatore condivide, in
un certo senso, lo sconcerto dei guerrieri di Mitilene, derivato
per lui dalla non immediata comprensione di quanto è avvenuto:
verrà a sapere che è Antenore il mandante dellassassinio
solo nel recitativo dopo la sua Cavatina, vero capolavoro di
dissimulazione.
La relazione si soffermerà in particolar modo sullaudacia
armonica del passo, che resta tanto più impressa in quanto
compare là dove lo spettatore, abituato comè alla facile
omofonia consonante dei cori ottocenteschi, meno saspetta
un linguaggio musicale complesso e tormentato.
La notazione ecfonetica si sviluppa per la lectio
solemnis delle pericopi dellAntico e del Nuovo
Testamento e, in ambito greco, per quanto si può ricavare dai
manoscritti conservati, è usata dal IX al XIV secolo
Nel suo sviluppo vengono distinte tre fasi: il sistema
pre-classico (tracce si ritrovano nei manoscritti del IX-X
secolo), il sistema classico (dallXI al XIII secolo), il
sistema degenerato, di cui alcuni esempi si possono
già incontrare nei manoscritti del XIII secolo e che diventano
via via sempre più frequenti nel corso del XIV.
Finora lattenzione degli studiosi si è incentrata
principalmente sul libro dei Prophetologion; relativamente
allEvangeliarion invece, oltre allanalisi di
Carsten Høeg, esistono solo pochi contributi.
LEvangeliarion, per il suo contenuto e in quanto
libro daltare, è il più importante dei lezionari del rito
bizantino, e già questo sarebbe sufficiente a giustificare una
ricerca sistematica. Inoltre, lanalisi da me condotta sul
ms. Vind, Suppl. gr. 128, un evangeliario del XII secolo, ha
evidenziato nuove caratteristiche di questo sistema di notazione,
che hanno indotto ad approfondire la ricerca in tale campo.
È nato così il progetto Gli evangeliari greci con
notazione ecfonetica: indagine sistematica dei manoscritti datati,
oggetto della mia attività di ricerca post-dottorale, nella
Scuola di Paleografia e Filologia musicale di Cremona.
Partendo dai risultati finore raggiunti, in particolare
dallanalisi del ms. Vatic. gr. 1069 del 1175,
lattenzione verrà focalizzata sulle ultime fasi dello
sviluppo della notazione ecfonetica, per cercare di chiarire i
motivi che hanno portato alla sua dissoluzione e poi alla sua
scomparsa, benché ancora oggi le pericopi dei testi sacri
vengano eseguite secondo melodie tràdite.
Si intende porre in rilievo
linfluenza dello stile concertante e sonatistico di
ascendenza viennese allinterno della struttura compositiva
dellaria operistica degli ultimi decenni del secolo XVIII.
Un esito particolare della ricerca di nuove soluzioni formali
allinterno del tradizionale pezzo chiuso, condivisa da
numerosi operisti attivi a cavallo di Sette e Ottocento, è
quello che condusse verso laria in forma-sonata. Si
farà notare la vicinanza della griglia compositiva di queste
arie con la schematizzazione fornita dal teorico Francesco
Galeazzi, e si insisterà sulla sotterranea ed implicita
invadenza del non dimenticato modello del da capo.
Come figura emblematica di questo sincretismo fra
classicismo viennese e convenzioni dellopera
napoletana, verrà scelto Ferdinando Paer, loperista che
più di altri ha saputo fondere la cura per la struttura formale
del pezzo chiuso (mutuata dalla precoce dimestichezza con le
opere di Mozart) con le esigenze drammaturgiche del testo
intonato. Sarà proposta lanalisi dellaria di Cleante
Perfido, ah! Qual disegno tratta dallopera giovanile
Ero e Leandro (Napoli, S. Carlo 1794), quale esempio di
perfetta corrispondenza fra le tensioni presenti nel testo
poetico e quelle derivanti dalla logica sonatistica del
contrasto.
Renato Di Benedetto (Napoli), Canone enigmatico
Augusto Mazzoni (Brescia), La musica nellestetica fenomenologica
Le radici della fenomenologia husserliana
affondano nello stesso terreno che alla fine del secolo XIX ha
visto fiorire in area tedesca le ricerche psicologiche sul suono
e sulla musica. Husserl fu allievo di Carl Stumpf, oltre che di
Brentano, ed ebbe ben presente lopera di Christian von
Ehrenfels e di Alexius von Meinong, autori in cui la tematica del
suono non è certo secondaria. Spunti cospicui per una
fenomenologia del suono si possono trovare nello stesso Husserl
(dalle Lezioni sulla coscienza interna del tempo alle Lezioni
sulle sintesi passive, nonché in diversi appunti inediti),
mentre più rare risultano le riflessioni inerenti strettamente
la musica.
Di unestetica fenomenologica concernente in senso proprio
la sfera musicale si può parlare soprattutto di fronte ai lavori
di alcuni autori che furono allievi di Husserl a Gottinga (Conrad
e Ingarden) o che furono membri del circolo fenomenologico di
Monaco (Geiger). Waldemar Conrad nel suo studio sulloggetto
estetico (1908-9) ha riservato ampio spazio allesame
delloggetto musicale, accennando a un confronto con le
teorie di Hugo Riemann. Il contributo di Moritz Geiger, in
particolare nel saggio sul dilettantismo nel vissuto artistico
(1928), ha riguardato invece la difesa di una concezione
dellascolto come concentrazione esterna. Alle
problematiche dellopera musicale si è dedicato infine
Roman Ingarden con una serie di osservazioni sul piano
ontologico, gnoseologico ed estetico che, dapprima in Polonia e
quindi in ambito tedesco e internazionale, hanno goduto di una
certa risonanza musicologica.
Tra gli allievi successivi di Husserl è da citare Alfred
Schütz, sociologo e filosofo che ha lasciato alcune riflessioni
sulla musica. Influssi diretti o indiretti del pensiero
fenomenologico sullestetica musicale si possono segnalare
dal secondo dopoguerra in Francia e poi negli USA e in Italia,
grazie a un filone di elaborazioni teoriche e filosofiche che
risulta tuttora in corso.
Tra il 1759 e il 1761 Parma sperimentò una
sua riforma melodrammaturgica, ispirata e organizza da Guillaume
du Tillot, primo ministro della corte borbonica e primo attore
dellilluminismo parmense.
In precedenti studi ho potuto rilevare come la stagione
riformistica voluta da Du Tillot a Parma non fosse la semplice
espressione di una mimesi della tragedia in musica francese. In
realtà per Du Tillot la Francia rappresentava il punto di
riferimento organizzativo, non contenutistico. Egli manifestava
invece uno spirito europeo nel tentativo di fondere idee e
gusto con lobiettivo di rinnovare una civiltà.
In genere i manuali segnalano sinteticamente che la riforma del
melodramma a Parma nasce dalla fusione della librettistica
francese con la musica italiana. In realtà fu esattamente
lopposto. Per attuare il suo progetto, Du Tillot si servì
del poeta Carlo Innocenzo Frugoni che doveva ispirarsi ai
libretti francesi Hippolyte et Aricie (scritto da
Pellegrin, che a sua volta aveva ripreso Racine) e Castor et
Pollux (di Bernard), mentre per la musica aveva ingaggiato il
compositore Tommaso Traetta, che in questo caso si cimentava in
un confronto indiretto con Rameau. Ma Frugoni, per quanto attiene
al libretto, assunse una posizione legata al pathos di
impostazione affettiva italiana, e non al modello
francese in cui i sentimenti sono espressi in un clima eroico
alquanto convenzionale. Al contrario, la musica di Traetta, pur
non riconducendosi alla scuola italiana, subisce idealmente
linfluenza di Rameau sia nella struttura compositiva sia
per gli aspetti legati allorchestrazione.
Verificando i dati darchivio sullorganizzazione del
teatro dopera della corte parmense (che contengono anche
importanti elementi di confronto con limpostazione
francese) e le partiture italiane e francesi conservate presso la
Biblioteca Palatina, è possibile mettere in evidenza la
condizione innovativa della riforma attuata a Parma ma invertendo
i fattori indicati dalla manualistica: suggestione italiana per
il libretto e francese per la musica.
Emiliano Migliorini (Bologna), Il pianto delle zitelle di Vallepietra
Il pianto delle zitelle di Vallepietra è
uno spettacolo popolare interamente cantato rappresentato sul
Monte Autore nel giorno della Santissima Trinità, al culmine del
pellegrinaggio che annualmente qui si rinnova. Poco prima che
termini la primavera, difatti, una massa imponente di pellegrini
muove da varie zone del Centro Italia e si riversa sugli angusti
spazi su cui poggia il piccolo santuario rupestre della Trinità,
presso Vallepietra, nel Lazio. Il pellegrinaggio, compiuto
nellarco di un paio di giorni, conserva distinti elementi
riconducibili al mondo pagano, comè tipico in genere di
realtà popolari contadine, ed è caratterizzato da intensi
attimi di ritualità, evidenti echi di una religiosità
protostorica, di stratificazioni mitiche su cui si sono innestati
i contenuti della cristianità: atteggiamenti dendrofori, riti di
comparatico, lanci di pietre su cumuli di pietre e nelle acque
dei ruscelli, atti di penitenza estrema, sono ancor oggi momenti
consueti del pellegrinaggio verso il Monte Autore.
Il pianto delle zitelle, che chiude le celebrazioni della festa,
è una sorta di sacra rappresentazione della Passione di Cristo.
Lo interpretano alcune ragazze di Vallepietra le quali, una
volta, ricevevano la carica per discendenza. Sono tutte vestite
di bianco, tranne una brunata che rappresenta la Madonna, e
ognuna di esse ha in mano uno strumento della passione che la
rappresenta. Il canto si definisce nellalternanza dei misteri
(le arie dolenti delle zitelle) con un trio che canta una
versione parafrasata del Miserere, stranamente vivace. I
misteri sono tutti caratterizzati dallincipit di un salto
di quinta discendente, una sorta di ritornello insistente che
ritroviamo spesso durante la rappresentazione e che per le donne
di Vallepietra costituisce il vero e proprio pianto. La liturgia
si inserisce nello spettacolo con il Veni creator spiritus e
lOremus iniziali e con la benedizione finale
impartita dal vescovo di Anagni (alla cui diocesi il santuario
appartiene, pur essendo Vallepietra in provincia di Roma); il
pianto si chiude con un finale a più voci, unica sezione
polifonica dellintera rappresentazione.
Lo spettacolo, il cui testo più antico è un libretto
manoscritto del 1836 (Misteri della Passione di Nostro Signore
Gesù Cristo, una copia di quello composto da Francesco Tozzi
attorno al 1700), ha subìto nel corso dellultimo secolo
molti rivolgimenti. Infatti, pur conservando essenzialmente la
forma originaria, ha finito per trasformarsi, negli ultimi anni,
da statica rappresentazione articolata in quadri scenici
rappresentativi, in dinamico melodramma in cui gli oggetti della
Passione diventano elementi scenografici, e i personaggi citati
(Giuda, Pilato, i soldati romani... ) protagonisti della scena.
Ciò ha portato ad imporre le esigenze teatrali su quelle
musicali (aspetto peculiare della rappresentazione), con
prevedibili ripercussioni sulla messa in atto dello spettacolo.
Cambiamenti rilevanti sono anche svincolati dalle nuove esigenze
spettacolari. Ecco i più rilevanti: (1) una progressiva discesa
di tonalità; (2) labbandono delle fioriture e degli
abbellimenti, ovvero una modernizzazione della
melodia, una stilizzazione della gamma tonale; (3) una tendenza
alla tonalizzazione, ovvero la perdita degli elementi di
commistione fra modo maggiore e minore che caratterizzavano il
canto; (4) una omogeneizzazione del tempo dei misteri con quello
del Miserere, in precedenza definito da andamenti
contrastanti; (5) la perdita dei modelli mimici di riferimento
(una particolare gestualità stereotipata che ricordava molto
quella del planctus rituale).
Lintervento prevede un sintetico tentativo di ricostruzione
di una storia del Pianto attraverso i documenti (materiali audio,
video e fotografici) lasciati dagli etnomusicologi e dai
documentaristi nellultimo secolo, rilevando, dove è
possibile, gli elementi e i processi di trasformazione
delloggetto di studio.
Pia de Tolomei, scritta per la
stagione di carnevale 1836/37 alla Fenice di Venezia (ma
rappresentata al Teatro Apollo a causa di un incendio), fu
inizialmente concepita per una compagnia «alla moderna», con
tre sole prime parti (soprano tenore baritono), ma
alla fine fu adattata ad una compagnia a quattro
(venne aggiunto un contralto en travesti).
Il riassetto dellopera incise negativamente sul tempo
drammatico, che Donizetti esigeva serratissimo, e diede origine
ad una tradizione esecutiva piuttosto movimentata, in cui
lopera sembrò cercare ma non trovare una forma stabile e
soddisfacente, come peraltro dimostrano i vari rimaneggiamenti da
parte dei due autori (esistono ben tre versioni autentiche
dellopera: Venezia 1837, Senigallia 1837, Napoli 1838).
Ripercorrendo le tappe salienti del percorso genetico-evolutivo
dellopera, notiamo che, dopo la prima veneziana, la parte
di contralto (Rodrigo, il fratello di Pia) fu quasi del tutto
tagliata a Senigallia e Lucca (1837), indi parzialmente
ripristinata a Roma e Napoli (1838). Venne però sempre
conservato il duettino pseudo-amoroso tra Pia e
Rodrigo nel finale primo, che rende più verosimile (e anche più
stuzzicante) la vicenda.
Difficile decidere, anche in sede di edizione critica, se
lopera sia effettivamente a tre (come ebbe a
dichiarare Donizetti) o a quattro (come personalmente
credo). Linserimento della parte di Rodrigo fu sì tardivo
e, da un punto di vista strettamente drammatico, inopportuno, ma
aggiunse un terzo polo amoroso, che completa la rosa
dei pretendenti di Pia: dopo lamore coniugale e geloso di
Nello (baritono) e quello infuocato di Ghino (tenore),
lamore fraterno, quasi incestuoso di Rodrigo
(trascuro lintreccio politico, del tutto marginale). Va
detto infine che la cavatina di Rodrigo, cacciata dalla porta
(non fu più eseguita dopo la prima veneziana), rientrò dalla
finestra (divenne uno dei pezzi favoriti dellopera e fu
ristampato più volte da Ricordi).
Attraverso quattro esempi danalisi
della sintassi musicale di Mozart (Minuetto K. 464),
Bartók (Birkózás, n. 108 da Mikrokosmos). Webern
(Streichquartett op. 5 n. 1) e Varèse (Intégrales),
sintende evidenziare la distanza delle suddette opere
dai principii narrativi della teoria musicale tradizionale, e
tuttavia la permanenza, nellambito di tale distanza, di
aspetti di narratività.
Nei primi tre esempi la sintassi compositiva dei brani si basa
sui modelli A-B-A (Mozart e Bartók) e forma-sonata
(Webern). Sullasse uditivo-temporale, tuttavia, la sintassi
discorsiva articola gli eventi musicali in sequenze di enunciati
che disattendono, a vantaggio di altre scelte narrative, la
logica espositiva della forma tripartita e della forma-sonata.
Viceversa in Intégrales di Varèse permangono,
nellassenza di una sintassi di tipo tonale, alcuni criteri
di enunciazione sintattica tradizionali, quali il periodare a
coppie di termini corrispondenti, il principio
dellintensificazione progressiva (Steigerung), la
successione solo/solo con accompagnamento.
La distinzione fra sintassi compositiva (come campo delle scelte
morfologiche e sintattiche virtualmente possibili) e sintassi
discorsiva (come campo delle scelte narrative effettivamente
attuate nella catena temporale) è ricavata dai principii della
semiotica narrativa definiti da Greimas in ambito letterario, e
sembra in grado di offrire validi strumenti per una corretta
ermeneutica degli effetti di senso in contesti musicali sia
tonali sia non tonali.
La disamina sugli effetti di senso proposta nelle letture
analitiche di Petersen su Mozart e Bartók, di Danuser su Varèse
e del sottoscritto su Webern, porta a considerare in una
prospettiva più ampia il tema del rapporto fra partitura e
testo dascolto - peraltro già sviscerato nelle
sue implicazioni storiografiche e fenomenologiche da Heinrich
Besseler ne Lascolto musicale nelletà moderna (1959)
e Thomas Clifton in Music as Heard (1983) - suggerendone
lapplicazione in musicologia nellambito della storia
della composizione e della teoria musicale.
Ugo Piovano (Torino), Luigi Hugues e la letteratura didattica italiana per flauto nellOttocento
Luigi Hugues (Casale Monferrato 1836 -
1913) è stato uno dei principali flautisti italiani dei secolo
scorso; tuttavia non esiste alcuno studio specifico sulla sua
attività e sulla sua copiosa produzione.
Alcuni anni di ricerche mi hanno consentito di realizzare un
primo catalogo abbastanza completo comprendente circa 150
composizioni edite e oltre 50 manoscritti di musica sacra
(conservati nellArchivio Capitolare del Duomo di Casale).
La produzione flautistica, che supera da sola i cento brani,
costituisce uno dei corpus più significativi nel panorama
italiano dellOttocento per qualità e varietà. In
particolare, si segnalano una cinquantina di composizioni
originali (sonate. notturni, pezzi caratteristici e così via) e
le sette raccolte didattiche: 24 Studi di perfezionamento op. 15,
30 Studi op. 32, 6 Grandi Studi brillanti op. 50, La scuola
del flauto op. 51 (divisa in 4 Gradi), 40 Nuovi Studi op. 75,
[40] Esercizi op. 101 e la Nuova Raccolta di Studi op. 143.
In questa prima fase della ricerca ho
concentrato lattenzione sulla produzione didattica,
ponendola a confronto con le raccolte analoghe pubblicate in
Italia nellOttocento. Dai cataloghi di Lucca, Ricordi e
altri editori minori, emerge un campionario interessante, che
mostra inizialmente la prevalenza degli autori francesi (con alle
spalle la tradizione ormai consolidata del Conservatorio di
Parigi) e, nella seconda metà del secolo, laffermazione
della scuola italiana con i vari Briccialdi, Ciardi, De Michelis,
Galli, Gariboldi, Krakamp, Peichler, Rabboni e Romanino.
Lanalisi dettagliata delle numerose raccolte reperite nelle
biblioteche di vari Conservatorii ha permesso di evidenziare la
progressiva diffusione dello strumento, la sua continua
evoluzione in termini costruttivi si passa gradatamente
dal flauto ad una chiave al nuovo sistema Böhm e le
notevoli conquiste tecniche esecutive.
Possiamo fare anche due osservazioni generali fondamentali: in
primo luogo si nota la quasi totale assenza di studi
semplici. Del resto, allepoca, la formazione
primaria avveniva quasi sempre nelle bande e nelle filarmoniche
locali, con docenti polistrumentisti che scrivevano personalmente
gli esercizi ed i brani da studiare. In secondo luogo, il
materiale didattico si presenta quanto mai eterogeneo e, a volte,
di dubbia classificazione. A fianco di alcuni metodi veri e
propri, troviamo infatti maree di Studi, Esercizi, Preludi,
Capricci ma anche Sonate, Duetti e Fantasie operistiche
facili o di carattere progressivo che
mostrano unevidente valenza didattica.
La produzione di Hugues si segnala soprattutto per
lorganicità, per il livello musicale e per
lindiscusso successo che la fece entrare immediatamente nei
programmi di tutti i Conservatorii.
In conclusione, la relazione presenterà un catalogo abbastanza
completo della produzione didattica italiana per flauto
nellOttocento, esaminata da vari punti di vista (storico,
organologico, analitico ed estetico) e penso possa costituire un
contributo originale al settore, al momento piuttosto avaro di
studi specifici.
La pubblicazione da parte delleditore
Leduc del Traité de rythme, de couleur et dornithologie
di Olivier Messiaen rappresenta un atteso avvenimento per lo
studioso del Novecento musicale. Il trattato, che amplia e
rielabora gli argomenti esposti nella nota Technique de mon
language musical (1944) e nelle successive conférences
tenute a Bruxelles (1958), a Notre-Dame di Parigi (1977) e a
Kyoto (1985), raccoglie ed espone in sette tomi la produzione
teorica di Messiaen nellarco cronologico che va dal 1949 al
1992, anno della morte.
Nei cinque tomi finora pubblicati Messiaen sviluppa innanzitutto
le speculazioni sul tempo e sul ritmo, che rappresentano un nodo
fondamentale della sua poetica. È interessante notare come i
riferimenti teorici, in una sintesi personale evidentemente
orientata al comporre, prendano spunto dal pensiero tomistico per
giungere ad inglobare la concezione dello spazio-tempo elaborata
da Bergson e da Einstein.
Ulteriore elemento dinteresse dellopera sono la
pubblicazione di alcune analisi ed autoanalisi, che rivelano i
contenuti dei corsi tenuti da Messiaen nel Conservatorio di
Parigi. Le analisi riguardano, tra laltro, il canto
gregoriano, luso della metrica greca nel Printemps di
Claude Le Jeune e di taluni procedimenti ritmici in Beethoven, in
Mozart o nel Sacre du Printemps di Stravinskij; toccano
infine opere del compositore, quali la Turangalîla-Symphonie o
il Livre dorgue.
Un terzo importante nucleo dellopera è rappresentato
dagli interessi naturalistici e ornitologici di un compositore
che, come è noto, ha fatto uso di trascrizioni di canti degli
uccelli nella propria opera. In conclusione il Traité di
Messiaen si presenta come un contributo teorico dallaspetto
poliedrico e composito. Esso mostra una coerente sintonia con la
sfera più propriamente creativa e musicale del compositore e si
segnala come un corpus analitico-speculativo tra i più singolari
del nostro tempo.
La comunicazione si colloca
nellambito della ricerca sul trattato tolemaico che
costituisce largomento della mia tesi di dottorato
ricerca della quale ho già avuto modo di esporre un parziale
risultato nel precedente colloquio del «Saggiatore musicale».
Giunto quasi al termine dei lavoro, propongo stavolta non la
lettura di un singolo passo, ma un tentativo di interpretazione
generale della struttura argomentativa dellopera.
Dallesame del livello macrostrutturale e dei livelli
inferiori, condotto con il metodo dellanalisi tematica,
emerge il quadro di unopera concepita come un vero e
proprio ciclo di lezioni, con tanto di unità didattiche ed
esercitazioni, organizzata in modo che tutti i temi vengano
toccati ciclicamente a livelli sempre più tecnici, per favorire
nel contempo lassimilazione e lapprofondimento delle
dottrine proposte. In particolare, il livello microstrutturale
evidenzia da una parte come i connettivi testuali abbiano la
funzione di marcare le chiavi di volta della scansione
argomentativa, dallaltra come lautore si preoccupi di
rendere il lettore costantemente partecipe della struttura
stessa, attraverso luso di veri e propri
microsommari interni.
Lo studio della struttura è finalizzato allindividuazione
del target dellopera. Se è indubbio che i più
diretti destinatari sono i futuri harmonikoi, come si può
comprendere se si pensa alle notevoli competenze matematiche e/o
geometriche richieste da molti passi, ritengo che non sia
improbabile anche una destinazione più divulgativa,
enciclopedica (nel senso etimologico dellenkyklios
paideia). Infatti lultima sezione degli Harmonica, quella
che prende in esame i legami tra micro e macrocosmo
(armonia-anima, armonia-etica, armonia-sfere celesti), basata su
analogie tra campi epistemici diversi, non chiama in causa le
conoscenze più minuziosamente tecniche trasmesse in precedenza,
ma piuttosto concetti generali e più semplici, che potrebbero
essere alla portata anche di chi, meno ferrato nella matematica,
si fosse fermato ai microsommarii tralasciando le
sezioni più ostiche. Il tutto va collocato, ritengo, nella
generale tendenza della cultura del II secolo d.C. a proporsi
come sistema epistemologicamente compatto, come
costruzione enciclopedica. Non sarà inutile al proposito il
confronto con Galeno, che praticamente negli stessi anni di
Tolemeo vedeva nellesercizio non necessariamente
professionale delle technai un baluardo contro il
deterioramento morale e culturale della società imperiale.
Nellepoca in cui nascono i grandi lessici (Polluce) e le
opere di erudizione antiquaria (Ateneo), Tolemeo sembra concepire
un analogo progetto di costruzione dei mondo: nel suo
caso, naturalmente, sub specie harmonica.
Oggetto di questa relazione è Il Primo Libro de' Madrigali a cinque voci di Giovan Battista Bartoli, uno degli ultimi protagonisti del madrigale fiorentino. Le ipotesi che formuliamo sulla genesi della sua opera sono strettamente relate alle recenti scoperte di dati biografici che consentono di calare il compositore nel contesto fiorentino nel quale egli ha operato. Di particolare importanza la scoperta della sua presenza come diacono prima, come presbitero poi nella Parrocchia di San Lorenzo, che aveva avuto rapporti con la stamperia Zanobi Pignoni, cioè la stessa presso la quale Bartoli pubblicò la sua raccolta di madrigali. San Lorenzo era anche la Parrocchia presso la quale operava allora come maestro di cappella Marco da Gagliano, con il quale certamente il Nostro avrà avuto contatti.
Quale anticipazione di uniniziativa di studio e di edizione letteraria e musicale degli Uffici dei santi venerati nellantica diocesi di Como, si propone una breve riflessione sui significati della componente agiologica nel calendario sacro comense, nei libri liturgici, nella devozione popolare locale. La questione è interessante nella prospettiva delle vicende storico-religiose di Como, che nel secolo VI, in seguito allo scisma antiromano dei Tre Capitoli, passò dalla giurisdizione ecclesiastica milanese a quella del Patriarcato di Aquileia (sotto la quale rimase per oltre un millennio), assumendo per il proprio rito la qualifica di patriarcale. Le figure più illustri nella storia religiosa di Como e Aquileia, e perfino certi personaggi attivi in prima persona nella controversia tricapitolina, trovano spazio, in diversa misura, nel culto locale: Abbondio, patrono di Como e protagonista nel concilio di Calcedonia (le cui deliberazioni sarebbero state calpestate dal concilio constantinopolitano II, a parere dei contestatori); Ermacora, protovescovo e patrono di Aquileia; Agrippino, consacrato vescovo di Como dal patriarca scismatico di Aquileia, Giovanni, e simbolo dellinflessibile difesa del dogma patrum contro gli inaccettabili compromessi politici fra papato e impero. Lindagine si avvale delle fonti liturgiche scritte, dei toponimi e dei tituli ecclesiastici, delle testimonianze iconografiche, delle tradizioni popolari sopravviventi o documentate; sottolinea il mutare della situazione nel corso del tempo, parallelamente allevolversi della situazione storico-religiosa, e verifica le variazioni avvenute nel culto dopo la soppressione del Patriarcato (con il conseguente passaggio di Como allarcidiocesi di Gorizia prima, alla primitiva metropolitana Milano poi).
Presso la Parry Collection (Harvard
University, Cambridge, Mass.) è custodita limponente mole
dei materiali (in gran parte canti epici) registrati da Milman
Parry e dal suo allievo Albert Lord negli anni 30
nellarea balcanica, principalmente nella ex Yugoslavia.
Paradossalmente, le ricerche di Parry e Lord hanno sì aperto
nuove strade nello studio delle relazioni tra oralità e
scrittura (con esiti determinanti nellambito degli studi
omerici e della poesia medievale), ma sono state oggetto di
scarsissima attenzione da parte degli etnomusicologi; solo due
studiosi (Bartók e Erdely) si sono infatti soffermati su alcuni
degli aspetti musicali, documentati da Parry e Lord, a fronte
della fitta schiera di quelli che si sono invece occupati della
poesia orale (cioè dei testi verbali dei canti).
Lintervento intende illustrare i risultati di uno studio
sulla Parry Collection nellambito del dottorato di
ricerca in Musicologia. Innanzitutto i materiali della collezione
hanno costituito il punto di partenza per uno studio in chiave
diacronica della tradizione del canto epico da una prospettiva
principalmente musicale; essi sono stati analizzati in parallelo
con quelli raccolti negli ultimi anni nel corso della ricerca sul
campo tra le popolazioni di etnia albanese. Lanalisi non si
è limitata agli aspetti strettamente musicali ma è stata estesa
al contesto, in particolare alle questioni riguardanti
lidentità etnica in questarea. I materiali della
collezione hanno inoltre permesso considerazioni più generali di
carattere metodologico sui criteri di indagine e di analisi
etnomusicologica.
Nel Cinque e Seicento i compositori di madrigali attingono alle seguenti fonti: (1) poesia stampata in edizioni letterarie; (2) manoscritti (ricevuti dal poeta o da un intermediario); (3) testi di precedenti composizioni musicali. Diciotto dei 200 madrigali composti dal Wert sembrano esser stati musicati e pubblicati prima che ne apparisse la versione a stampa, quindi non possono risalire a fonti di tipo (1). Se la fonte di O sonno di Mons. Della Casa, sembra essere di tipo (3), per gli altri diciassette si può supporre la modalità (2), il che concorderebbe anche con i dati biografici del compositore. Si ritiene che questo tipo di ricerca, condotto anche per altri musicisti, possa contribuire al chiarimento dei rapporti tra compositori e poeti.
Cristiano Vavalà (Bologna), Dalle regole del contrappunto allingegneria della conoscenza e ritorno
La costruzione di un sistema artificiale in
grado di simulare il comportamento di un esperto umano presuppone
la possibilità di descrivere in termini espliciti e non ambigui
ciò che è importante sapere sullambiente o dominio di
competenza entro cui il sistema sarà chiamato ad agire. Questo
lavoro prende il nome di rappresentazione della
conoscenza ed è oggetto di una ingegneria specifica. In un
certo senso anche un trattato di teoria musicale è una
rappresentazione di una conoscenza,
loggettivazione di un sapere conservato chissà come
chissà dove allinterno del nostro essere. Più
propriamente, però, lespressione si riferisce a un
complesso di predicati (o sia formule che asseriscono qualcosa su
qualche aspetto del mondo) la cui verità sia
calcolabile, decidibile sulla base di una logica, e
le cui implicazioni possano essere pertanto oggettivamente
dimostrate.
In questintervento si mostra come ridurre in forma
computabile alcune regole e concetti utili per
sopravvivere in un dominio musicale pur molto
semplice come quello del contrappunto a due voci nota contro
nota. Operazioni di questo tipo sollecitate da tempo da
una musicologia cognitiva che prometteva faville
ancorano la riflessione sulla musica ad un livello molto
elementare, ma presentano alcuni pregi: anzitutto fanno apparire
complesse (perché di fatto lo sono) cose che in genere si
ritengono semplici; rendono immediatamente disponibili le
implicazioni di ciò che si va predicando (il che è prezioso ad
esempio per un teorico interessato a definire la grammatica
duno stile musicale); infine, nella misura in cui riescono
a coniugare lettura ragionamento e implementazione, costituiscono
uno strumento didattico assai efficace, e perfettamente
armonizzabile con gli indirizzi di una Storia della musica
che voglia accendere nello studente linteresse per i testi:
se si pensa a quanta conoscenza cè, già pronta per essere
formalizzata, nei grandi capolavori della teoria musicale.
Allinterno del tanto discusso gap e/o
connubio musica + tecnologia = musica elettronica,
lopportunità di indagare la parabola del C.S.C.
(Centro di Sonologia Computazionale dellUniversità di
Padova) è diventata loccasione per realizzare
unindagine globale sulla (più o meno riuscita)
collaborazione tra ingegneri e compositori; più in generale, tra
ambiente tecnologico-ingegneristico e istituzioni musicali;
ancora più in generale, sulla possibilità di esistenza e
legittimità di tale binomio (relativamente a Padova).
Liniziale entusiasmo di pochi ingegneri nel
centro degli anni 70 (verrà istituzionalizzato
solo nel 1979) per la sonic art e per la tecnologia
digitale, lottica di una politica favorevole allo scambio
di competenze tra persone e tra istituzioni:
lUniversità, la Biennale di Venezia e altre , le
macchine e la grande quantità di memoria che calamitavano i
compositori elettronici: se tutto ciò fece diventare il CSC, con
un picco nella prima metà degli anni 80, un centro noto a
livello internazionale dove Nono, Donatoni, Stroppa (in tutto
oltre quaranta compositori) lavorarono fianco a fianco con gli
ingegneri per produrre alcune delle più importanti opere
elettroniche sulla scena della musica contemporanea,
nellultimo decennio tale politica ha subìto un radicale
cambiamento, per non dire inversione. Le ultime attività
padovane danno maggiore (quasi esclusivo) spazio alla ricerca
sonologica, e la demografia del centro alto numero di
musicisti vs pochi tecnici si è capovolta. La mia
indagine rivela lascesa del centro fino agli anni 80,
ed esplora il complesso panorama (nuovo scenario dello home
computing, relativo mutamento nei sistemi di composizione,
spesso complicata conduzione delle politiche personali) entro il
quale musica e informatica (fino al 1999) hanno divorziato.
Ciò emerge da una ricerca filologica e storica basata su
non-archivi (urgente problema dellincoscienza storica di
questo tipo di centri) supportata da uno studio
sociologico dellatmosfera culturale in cui i fatti avevano
luogo (interviste, stretto contatto con compositori italiani e
stranieri, impressioni e considerazioni derivate dalla mia
presenza costante nel centro per un anno). Il mio background
musicale e umanistico ha fatto i conti con la mentalità
ingegneristica (non solo nel campo del know how tecnologico,
anche nella diversa coscienza dei fatti), cosicché il mio ruolo
è stato di concept engineer: collocare eventi,
storia dei momenti tecnologici, sostrato umano, in caselle, per
poi raccontarle, tali caselle, cercando di disegnare la linea dei
paradigmi scientifici e culturali.
Esistono numerosi repertorii musicali che
sono privi di quella che tradizionalmente chiamiamo
partitura. In questi repertorii, il problema di
maggior rilievo nel reperire i documenti utili allo studio delle
musiche sta nellindividuare una o più fonti
che possano dirsi filologicamente corrette, rispondano cioè a
determinati criteri di autenticità.
Possiamo considerare testi per lo studio di questi
repertorii i documenti sonori consistenti nelle registrazioni
delle produzioni, sia in un contesto di tradizione orale sia in
un contesto in cui il compositore è anche esecutore delle
proprie opere senza la mediazione di una partitura nel senso
tradizionale del termine (esistono altre forme di
partitura, che tuttavia non vengono ancora
considerate testi).
I due principali generi interessati a questo problema sono la
musica etnica (nel cui alveo possiamo far rientrare tutte le
riprese musicali sul campo) e quella elettroacustica (che può
comprendere anche certi fenomeni della musica leggera tipicamente
da studio, come, ad esempio, il rock e il pop).
Di fronte a queste musiche, loggetto di studio non è più
una testimonianza della scrittura di un individuo,
soggetta necessariamente ad una mediazione
(linterpretazione) per essere percepibile, ma la
registrazione di un evento su un particolare supporto in un
particolare formato, immediatamente diretta allascolto.
La corretta individuazione di questo tipo di fonti è subordinata
alla conoscenza dei materiali e dei loro formati. Da un lato, i
brani di musica ripresa sul campo presentano problemi relativi
alla corretta interpretazione di determinati valori (altezza,
timbro, durata), dallaltro, i brani di musica
elettroacustica, particolarmente quelli prodotti negli anni
40-60, essendo il frutto di una serie di
rielaborazioni di vario materiale sonoro, presentano inoltre
problemi nellidentificazione delle diverse fonti che
possono aver contribuito alla realizzazione dellopera. In
entrambi i casi la corretta lettura e un eventuale
restauro sono elementi indispensabili ad una
interpretazione non falsata e il più possibile vicina alla
versione originale.