Archivio Storico:- ex Dipartimento di Musica e Spettacolo - Universita' di Bologna Attività 1999

Conferenze e convegni

Musica e Museo

in collaborazione col Centro dipartimentale "La Soffitta"
del Dipartimento di Musica e Spettacolo dell’Università di Bologna, col sostegno di Bologna2000

Bologna, palazzo Marescotti


Mario Armellini, Un museo urgente, una felice congiuntura

Quindici anni fa Andrea Emiliani chiudeva il suo intervento al convegno su padre Martini con questo auspicio:
Fatta la mostra, ora è necessario fare il museo. Troppi sono non solo i ritratti, ma gli strumenti, le carte preziose, gli oggetti del vecchio Padre Martini. I tempi, così mutati, impongono, per queste tele un luogo più protetto, più tutelato e tuttavia eloquente che, anch’esso invenzione del XVIII secolo, sappia organizzare questa umana materia in una proposta metodologicamente sicura. Noi confidiamo, dunque, che fra gli esiti in campo tecnico scientifico così sicuri, così certi, di questo convegno ci sia anche quello di una nuova quadreria di Padre Martini ed un museo della vita musicale a Bologna nei secoli dell’età moderna. È un auspicio che forse questo convegno può trasformare in una mozione.
I tempi sono maturi. La concomitanza di più fattori finalmente sembra favorire la creazione di un museo ove riunire le raccolte di interesse musicale della città di Bologna: la biblioteca e la quadreria del Museo Bibliografico Musicale (già appartenute a Martini e all’antico Liceo Musicale di Bologna), e la collezione di strumenti musicali del Museo Medievale (già del Liceo e poi del Museo Civico).
I tempi per la costituzione di questo museo sono maturi per almeno quattro ragioni:
(1) la quadreria e la biblioteca, vincolate per 99 anni all’edificio che attualmente le ospita dalla legge che nel 1942 trasformava il Liceo in Conservatorio statale, versano in condizioni di conservazione e di tutela precarie: per la mancanza di spazi, per l’inadeguatezza delle condizioni ambientali e di sicurezza, per la carenza di personale e di risorse;
(2) la collezione di strumenti musicali, pur ben conservata nel Museo Medievale, non è fruibile dal pubblico per la mancanza di locali;
(3) il Comune di Bologna dispone da alcuni anni nel centro storico di un antico e prestigioso palazzo, donato con raro senso civico dalla signora Eleonora Sanguinetti affinché se ne facesse un istituto culturale per la città;
(4) nell’anno 2000 cadono due eventi che faranno giungere a Bologna fondi straordinari per la cultura: Bologna sarà una delle otto "città europee della cultura" e parteciperà alle celebrazioni del giubileo millenario.
La concomitanza di queste quattro condizioni si verifica con una frequenza superiore solo a quella con cui del perfetto allineamento dei pianeti nel sistema solare. È un attimo fuggente che gli amministratori bolognesi hanno inteso cogliere avanzando la proposta di costituire un Museo della Musica nel quale le collezioni cittadine d’interesse musicale potrebbero finalmente trovare, nella loro globalità, un’adeguata conservazione, tutela e valorizzazione. (Una proposta, tuttavia, che per potersi pienamente trasformare in atto richiede la disponibilità da parte del Conservatorio statale di Musica a rivedere con il Comune di Bologna quei punti della legge del 1942 che gli odierni standard di tutela e conservazione pongono in contrasto con la legislazione in materia di beni storico-artistici.)
 
Il continuum tipologico dei musei – È forse tra i compiti di una relazione introduttiva porre sul tavolo della discussione alcuni nodi concettuali, nell’immediato né chiari né ovvi. Innanzitutto: è la musica – espressione artistica immateriale, intangibile – organizzabile ed esponibile in un museo? La locuzione ‘Museo della Musica’ che cosa definisce? A quale delle tipologie museali che già conosciamo dovrà fare riferimento un Museo della Musica? Quali saranno i criteri selettivi di ammissione degli oggetti in un Museo della Musica? Vorrei qui, sia pur in modo sommario, esemplificare alcune tipologie di museo.
Un museo egizio raccoglie qualsiasi oggetto purché appartenga alla civiltà egizia, si tratti di un vaso, di una scultura, di un sistro, di un amuleto, di un papiro, di una mummia. Ciò che conta di un oggetto è il suo dato m a t e r i a l e, la sua rarità ed il suo apporto alla conoscenza di una civiltà da noi lontana nello spazio e nel tempo. Il dato e s t e t i c o, spesso presente in grande misura, non è determinante ai fini della sua inclusione nel museo. Sostanzialmente simili a quelli valevoli per un museo archeologico sono i criteri di selezione degli oggetti vigenti nei musei etnologici, siano essi di popoli in via d’estinzione – è il caso dei nostri musei della civiltà contadina – o di popoli già estinti.
In un museo d’arte figurativa i criteri di selezione sono assai diversi: quasi in senso assoluto, prevale il dato estetico. E così agli Uffizi troviamo in un unico contenitore dipinti di Giotto Leonardo Caravaggio Rubens Watteau Canaletto, tutti uniti dal comun denominatore dell’eccellenza artistica.
Un museo archeologico (o etnografico) e una pinacoteca potrebbero collocarsi agli estremi del continuum ideale delle forme possibili di un museo. Altre tipologie, attente ora più all’aspetto materiale ora a quello estetico degli oggetti, si collocheranno variamente entro questo continuum.
Da un museo egizio il visitatore inesperto uscirà con qualche conoscenza in più sulla civiltà del Nilo, sia materiale, sia artistica. E la contestualizzazione di un oggetto d’arte tra oggetti d’uso rappresenterà, nel momento in cui di esso avrà restituito la dimensione originaria di oggetto tout court, un plus-valore didattico in grado forse di accrescere anche l’apprezzamento estetico.
Dagli Uffizi, museo di capolavori, il visitatore inesperto esce inebriato nello spirito, ma non avrà appreso nulla, più di quanto non conoscesse già, sul mestiere, la condizione sociale, l’apprendimento dell’arte del pittore, né sul funzionamento delle botteghe, le tecniche di realizzazione dei colori e via dicendo. Alcuni visitatori più attenti riusciranno, che so, a individuare i topoi iconografici che caratterizzano i santi nelle innumerevoli sacre conversazioni. Ma alla fine gli Uffizi restano un museo per il godimento dello spirito prima che per l’apprendimento, un "museo di opere pittoriche", non un "museo della pittura".
La musica cosiddetta ‘colta occidentale’, incontrovertibilmente arte estetica, i suoi Uffizi non li ha. O meglio, ne ha ovunque esista un luogo deputato alla realizzazione sonora di partiture e spartiti: sale da concerto e teatri d’opera. Conservatori di questi musei saranno i direttori artistici che sceglieranno, ordineranno, accosteranno i capolavori per il più intenso ed efficace piacere estetico del pubblico.
Se non potrà individuare nel valore estetico il criterio selettivo principale, perché l’oggetto artistico musicale è immateriale, come potrà esistere allora un Museo della Musica? Forse solo come museo della civiltà m u s i c a l e. Un museo i cui limiti – geografici, cronologici, culturali, di contenuto – dovranno essere chiari ed espliciti già in fase progettuale, affinché non si assista alla sua trasformazione in contenitore universale della civiltà sonora. (Mi lusingo pensando che in un paese come l’Italia – ove da sempre chi si occupa di musica è guardato con un misto di ammirazione, diffidenza e soggezione – un museo che parlasse del "far musica" senza enfasi idealistiche avrebbe l’effetto di avvicinare i suoi visitatori alla musica ed alle professioni musicali.)
 
La forma del museo – Quale dovrà allora essere la forma di un Museo della Musica? Quali ne dovranno essere gli assunti culturali? Formulerò alcuni interrogativi: è mia speranza che le esperienze dei relatori e le riflessioni che emergeranno dal convegno possano condurre non solo ad una migliore messa a fuoco dei problemi, ma anche a risposte certe.
A chi si dovrà rivolgere un Museo della Musica? Ad un pubblico qualificato ed esperto, in grado di contestualizzare perfettamente i singoli pezzi e di apprezzarne il valore, oppure ad un pubblico non competente, in cerca nel museo di nuove conoscenze e stimoli?
In anni in cui si assiste al proliferare di musei vòlti al recupero della vita quotidiana e materiale del passato, come dovrà essere un Museo della Musica per riuscire a parlare della vita materiale della musica e di coloro che vissero per la musica o con la musica, compositori strumentisti teorici copisti stampatori organari liutai cantanti scenografi librettisti impresari spettatori dilettanti?
Potranno delle partiture, dei trattati, delle lettere, degli strumenti musicali, dei ritratti di musicisti raccontarci dei frammenti di storia della musica – o più semplicemente delle storie – in quanto oggetti m a t e r i a l i?
Potremo chiamare Museo della Musica un museo degli strumenti musicali, di solito organizzato secondo criteri selettivi di straordinarietà tipologica o estetica, e spesso carente per la contestualizzazione storica e materiale degli oggetti?
Sarà ancora in grado un Museo della Musica di parlarci di padre Martini musicista, storico, teorico, collezionista universale della musica? O la prevalenza di criteri di eccellenza, sia essa estetica o documentaria, sarà tale da presentarci in un magnifico florilegio solo alcuni pezzi, i più belli, i più significativi, i più suggestivi?
Come sarà il catalogo di un Museo della Musica? Un catalogo a schede, organizzato per descrizioni erudite di oggetti ordinati secondo la loro tipologia; o un catalogo-saggio, nel quale le descrizioni degli oggetti saranno elementi narrativi delle storie che i curatori avranno scelto di raccontare anche attraverso oggetti tipologicamente e morfologicamente lontani?
Molte di queste domande parranno retoriche. Nondimeno, sarà bene interrogarsi anche sulle questioni in apparenza più ovvie e scontate affinché ogni scelta o soluzione operativa sia il frutto di un progetto culturale, e non delle sue carenze o incertezze.
Al di là delle incertezze, nella costituzione di un Museo della Musica tutti – musicisti, musicologi, storici dell’arte, conservatori, studiosi, architetti – dovremo aver presente questo ammonimento lanciato da André Chastel ai realizzatori di musei: "Questi oggetti erratici sono testimoni che non basta designare, ma che vogliono essere interrogati. Abbiamo creato dei talismani preziosi per mantenerci svegli, ma con il rischio che un’accumulazione monotona ne annulli a poco a poco la virtù".

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