- Angela Ida De
Benedictis (Cremona)
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- Cecilia Luzzi (Bologna)
- Lucia Marchi
(Cremona)
- Marco Marica
(Roma I)
- Luisa Nardini
(Roma I)
- Paolo Russo
(Bologna)
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Angela Ida De
Benedictis, La
musica per radio in Italia. Ipotesi per una teoria sul
radiodramma
La ricerca illustrata
nella relazione prenderà in considerazione
esclusivamente le forme despressione musicale nate
con e per la radio dalla fine degli anni 20 ai
70. Saranno privilegiate lanalisi delle opere
radiofoniche di Alfano, Pizzetti, G. F. Malipiero,
Bucchi, Rota, Berio, Maderna e Sciarrino, e di quel
particolare settore della produzione noto sotto le
generiche definizioni di radiodramma o
radiocommedia che deve alla dimensione
puramente acustica del nuovo medium le inedite
relazioni tra suono (musica e rumori) e azione
drammatica. Lo sviluppo della drammaturgia radiofonica è
in continua osmosi con le possibilità via via offerte
dalla struttura radiofonica e dai suoi strumenti tecnici:
si è quindi reso indispensabile un metodo
dindagine mirato alla ricognizione di quattro
differenti livelli, che procedono dal generale al
particolare: (1) analisi dei contesti storici e
culturali, per comprendere come questa nuova forma di
committenza abbia condizionato le scelte poetiche e
linguistiche dei compositori; (2) analisi delle strutture
tecnico-compositive, per comprendere come e quanto le
potenzialità linguistiche dello "strumento"
radio abbiano effettivamente inciso sulla progettualità
dautore e sul risultato drammatico e sonoro delle
opere selezionate; (3) classificazione delle diverse
funzioni assunte dalla musica allinterno dei
radiodrammi e delle radiocommedie, per tentare una
definizione di genere che tenga conto degli
svariati fattori in gioco (periodo di produzione; sede di
produzione; contenuti drammatici; tipo di relazione
intercorrente tra soggetto drammatico e linguaggi
musicali prescelti; tipo di funzione assunta dalla
musica, ossia dalle sue più o meno accentuate
caratteristiche di "musica di scena", se
accessoria allazione, o di
"rappresentazione", se veicolo per
lazione; grado di autonomia musicale, quando alcuni
caratteri agenti sono veicolati direttamente dai suoni:
in assenza di copioni o partiture, per alcuni casi
considerati paradigmatici, si procederà a ricostruire
testi verbali e musicali documentati solo in forma
acustica); (4) analisi dei rapporti di contaminazione tra
la musica funzionale prodotta per la radio da compositori
quali Berio e Maderna e la loro coeva produzione acustica
ed elettronica. Particolare attenzione sarà dedicata
allattività compositiva condotta presso lo Studio
di Fonologia della RAI di Milano, centro di elaborazione
elettroacustica sorto ad opera di Berio e Maderna nel
1955.
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Cecilia Luzzi, Poesia e musica nei
madrigali a cinque voci di Filippo di Monte (1580-1595)
- Nella produzione di
madrigali a cinque voci di Filippo di Monte del
periodo qui considerato, lo stile poetico è
laspetto che più incide sulle scelte
musicali del compositore. Largomento qui
affrontato è parte di un più ampio studio sulla
poesia dei 22 libri di madrigali che Monte
pubblica tra 1580 e 1603, reso possibile
dallindagine sulle fonti poetiche del
madrigale cinque-seicentesco svolta da Lorenzo
Bianconi, Angelo Pompilio e Antonio Vassalli (Repertorio
della Poesia italiana musicata dal 1500 al 1700,
in corso di pubblicazione).
- Il concetto di
stile è qui riferito
allaccezione retorico-normativa propria
della cultura cinquecentesca. (La moderna
concezione dello stile come maniera individuale
despressione è assai più tarda e si
sviluppa a partire dal 700, decadendo il
prestigio della retorica.) I mutamenti di stile
che si registrano in questi libri di madrigali
rinviano a due categorie retorico-stilistiche
coniate da Pietro Bembo, gravità e
piacevolezza. La gravità nella
lirica del Petrarca e dei suoi imitatori, che
caratterizza la produzione del musicista dagli
esordi del 1554 fino a questi libri a cinque voci
del 1580-81 (tutte opere dove predomina la forma
poetica del sonetto), è resa attraverso i
raffinati artifici contrappuntistici dello stile
madrigalistico aulico. Diversamente, la poesia
dai contenuti e dal tenore più lievi che il
musicista intona a partire dal 1586 i
madrigali di Battista Guarini, Torquato Tasso,
Livio Celiano (alias Angelo Grillo) e
altri poeti coevi si mostra più consona
allo stile leggiadro del madrigale-canzonetta.
- Tale polarità
stilistica è stata esemplificata attraverso
lanalisi di due campioni
lintonazione in due parti del sonetto di
Bernardo Tasso "Ora che gli animali il sonno
affrena" (VIII libro, 1580) e del
madrigale epigrammatico di Alberto Parma
"Baci, sospiri e voci" (XII libro,
1587) e lesame dei diversi aspetti
del testo (logico-sintattico, elocutivo,
semantico, stilistico) e dei parametri della
musica (impianto modale, distribuzione delle
cadenze, scelta dellorganico, articolazione
formale, trattamento polifonico dei soggetti,
condotta delle parti, carattere dei profili
ritmici, illustrazione musicale del contenuto
semantico).
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Lucia Marchi, "Am Anfang war die
Notation": interpretazioni antiche e moderne della
scrittura dellArs subtilior
- Negli anni compresi
tra la morte di Machaut e i primi anni del
400, la sperimentazione di nuove forme di
notazione è talmente ricca e vistosa che taluni
studiosi, tra cui Willi Apel, hanno ipotizzato
una sorta di sviluppo autonomo della scrittura, a
cui verrebbe addirittura subordinata la volontà
artistica ed espressiva del compositore. Benché
opinioni così estreme non siano accettabili, è
innegabile che la notazione della cosiddetta ars
subtilior sia quantomai complessa e ricca di
forme diverse. Per questo motivo è stata spesso
accusata di essere più artificiosa del
necessario: questo giudizio andrebbe invece
mutato nella constatazione che unarte
elevatasi a tali livelli di subtilitas non
può che venir espressa con una notazione di
estrema precisione e raffinatezza.
- Alcuni criteri di
lettura dei fenomeni notazionali contribuiscono a
chiarire il perché delle scelte di compositori e
copisti: (1) la dipendenza dalla mensura e
dal tipo di raggruppamento in cui le figure
compaiono: raggruppamenti diversi possono
spiegare luso di figure diverse anche per
esprimere lo stesso valore ritmico, e lo stesso
segno può avere significati differenti in
contesti diversi; (2) la volontà di creare
strutture simmetriche e ordinate: ciò giustifica
in molti casi luso di estesi passaggi
scritti con valori aumentati oppure in color;
(3) la funzione iconica della notazione, ovvero
la rappresentazione visiva da parte della
scrittura del significato espresso dal testo
della composizione.
- Uno studio più
approfondito fornisce dunque nuovi strumenti di
comprensione, alla luce dei quali si può
rivedere il giudizio sulla notazione di questo
periodo: la sua complessità non è fine a sé
stessa, ma è il mezzo per esprimere con la
massima precisione e raffinatezza unarte
estremamente sottile.
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Marco Marica, L'opéra-comique in Italia
(1770-1830): rappresentazioni, traduzioni e derivazioni.
- Tra la fine del Sette
e gli inizi dellOttocento un numero
crescente di opéras-comiques francesi
venne rappresentato in Italia. Si trattava sia di
lavori alla "vecchia maniera", vale a
dire basati, per quanto riguarda la musica, in
tutto o in gran parte su timbres conosciuti
(comédies en vaudevilles), sia di
composizioni basate su musiche nuove (comédies
mélées dariettes, drames lyriques,
opéras-bouffons ecc.); i due generi erano
accomunati dalla caratteristica di alternare
numeri musicali e dialoghi recitati. Le modalità
di diffusione di questi opéras-comiques sul
territorio italiano furono assai diverse: si
ebbero rappresentazioni da parte di troupes itineranti
francesi (che fecero conoscere in lingua
originale al pubblico italiano anche tragedie,
drammi, commedie e persino qualche tragédie
lyrique; durante gli anni della dominazione
francese molte di queste troupes godevano
dellappoggio più o meno diretto
dellImperatore), rappresentazioni in
italiano (più rare o più difficili da
documentare, e quasi sempre legate a circostanze
eccezionali), e infine rappresentazioni in forma
di pièce teatrale, vale a dire con
lomissione della musica e la trasformazione
delle parti cantate in dialoghi recitati. Se da
un lato le rappresentazioni in lingua originale
costituiscono forse la testimonianza più antica
del tentativo dintrodurre nella
"roccaforte operistica" italiana un
genere teatrale straniero, le traduzioni dei
libretti francesi (sia nella forma che mantiene
la musica originale, sia nella forma in prosa)
mostrano chiaramente le difficoltà degli
italiani ad adattarsi a un genere dopera
che non prevedeva i recitativi, riservava uno
spazio relativamente ridotto ai finali e ai pezzi
concertati, presentava un numero elevato di
musiche di scena e di "canto recitato"
(ossia di arie o cori nei quali i personaggi
annunciano che stanno per iniziare a cantare), e
puntava piuttosto sulle capacità istrioniche
degli interpreti che sulle loro qualità vocali.
- Il gran numero di opéras-comiques
che, nelle diverse forme sopra descritte,
vennero rappresentati in Italia tra la fine del
Sette e linizio dellOttocento (oltre
un centinaio di rappresentazioni o traduzioni
documentate) non fu senza conseguenze sulla
produzione melodrammatica italiana: oltre a
sperimentare forme di opere "alla
francese", con i dialoghi al posto dei
recitativi, i compositori italiani guardarono con
crescente interesse allopéra-comique sia
come fonte di soggetti drammatici, sia come
modello drammatico-musicale: diverse centinaia di
opere buffe, semiserie e farse italiane composte
tra il 1770 e il 1830 derivano in maniera più o
meno diretta da opéras-comiques francesi.
Nella maggioranza dei casi i compositori italiani
si limitarono a riprendere le linee generali del plot
originale, adattandolo alle convenzioni
operistiche italiane; tuttavia in alcuni casi
(p. es. la Nina pazza per amore composta
da Paisiello sulla versione italiana di Carpani)
si intese sperimentare un vero e proprio innesto
di forme musicali italiane sui libretti francesi:
le conseguenze che ne derivarono per
levoluzione dellopera buffa italiana
sono ancora tutte da studiare.
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Luisa Nardini, Il repertorio neo-gregoriano
del "Proprium Missae" in area beneventana
- Lesigenza
dimpostare in chiave regionalistica lo
studio sul repertorio "gregoriano"
nasce dalla constatazione che il materiale
liturgico-musicale formatosi e diffusosi in
Europa tra lottavo e il nono secolo
presenta, al di là di una sostanziale
uniformità, numerose varianti di carattere
locale.
- I manoscritti di area
beneventana sono fonti dimportanza primaria
per ricostruire il canto piano della Chiesa
medievale, giacché mostrano la presenza di
numerose e differenti tradizioni di canto.
Accanto allantico repertorio locale (il
canto beneventano antico), al gregoriano standard
(di formazione franco-romana) e ai tropi e alle
sequenze, esiste una serie di melodie composte in
loco dopo la metà del secolo IX secondo lo
stile e la forma gregoriani. Questi brani
servivano a colmare le lacune nel calendario
della liturgia gregoriana. Sono quindi
essenzialmente brani composti per celebrare il
culto di santi locali o festività di tardiva
istituzione. Non mancano, comunque, esempi di
nuove melodie anche per alcune giornate
liturgiche della più antica tradizione della
Chiesa occidentale.
- Lanalisi di
questo repertorio intende approfondire
levoluzione del gusto musicale in una fase
cruciale della storia della musica occidentale:
nel periodo in cui, cioè, il canto liturgico di
formazione franco-romana subisce integrazioni e
ampliamenti, anche attraverso la composizione di
generi nuovi quali tropi e sequenze.
- Lo studio del proprium
missae permette di evidenziare interessanti
fenomeni di contaminazione e rielaborazione di
stilemi e linguaggi musicali. Se infatti alcune
melodie si caratterizzano per la commistione di
procedimenti melodici arcaizzanti in una cornice
formale di più squisito sapore gregoriano, altri
casi mostrano una più marcata libertà
compositiva.
- Nel corso della
ricerca è emerso che, nellambito dei
testimoni della più ampia regione beneventana,
quelli provenienti da Benevento presentano il
maggior numero di unica. Evidentemente
lantica capitale del dominio longobardo
meridionale si rivela, rispetto alla Puglia e
alla Dalmazia, meno soggetta allinfluenza
cassinense.
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Paolo Russo, L"enimmatico
mostro": Medea allopera e a teatro in Italia
tra Sette e Ottocento
- Come qualsiasi
soggetto mitologico, anche la vicenda di Medea
non è fissata una volta per tutte in un testo
teatrale o letterario. In ciascun dramma
incentrato su questa fabula
linteresse, più che sulle peripezie e la
sorte di Medea, è concentrato sulle modalità e
gli strumenti con cui esse vengono intrecciate e
narrate.
- La vicenda
dellinfanticidio di Medea è stata a lungo
trascurata nel teatro italiano, ma dal 1780 circa
è stata spesso ripresa, almeno fino alla metà
del secolo successivo. Attraverso lo studio delle
Medee italiane si possono dunque indagare
le tendenze generali del teatro italiano alla
svolta del secolo.
- Il soggetto penetra
sulle scene italiane allinsegna
dellestetica del terribile e del sublime.
Inizialmente non sono né la tragedia né
lopera ad impossessarsene ma il ballo, il
melologo e la pantomima che prendono a modello il
canovaccio di Noverre e il testo di Friedrich
Gotter (rappresentato con musica di Benda). La
traduzione di questo testo viene ristampata a
più riprese, ma versi e indicazioni sceniche
sparse si trovano anche disciolti in una Vendetta
di Medea, tragedia adespota in cinque atti
con pantomima, musica di Giuseppe Moneta (Firenze
1787). Il teatro operistico se ne occupa poco
dopo, sempre con i medesimi intendimenti
estetici. Lanonima Vendetta di Medea musicata
da Gaetano Marinelli (Venezia 1792), e quella da
essa derivata da Onorato Balsamo per la musica di
Francesco Piticchio (Napoli 1798), presentano i
caratteri del sublime indagati da Michela Garda:
rappresentare soggetti terribili ed i n s i e m e
il loro effetto. Il teatro letterario
comincia ad interessarsi al soggetto poco più
tardi ma secondo altri criteri e poetiche: hanno
veste neoclassica una Medea in Corinto di
Domenico Morosini (Venezia 1806), una Medea
di Francesco Gambara (Brescia 1812 ca.), ed altre
due, di Federico Della Valle duca di Ventignano e
di G. B. Niccolini, ormai ben dentro
lOttocento.
- Quando venne chiamato
a Bergamo da Mayr per lavorare alla Medea in
Corinto (Napoli 1813), Romani non si rivolse
alla tradizione del sublime terrifico alla
Marinelli (propria del balletto e
dellopera), ma a quella letteraria
neoclassica. Il riferimento più diretto è la
tragedia veneziana di Morosini, da cui tra
laltro Romani prende il titolo e lexergo
oraziano ("Sit Medea ferox").
- Il libretto di Romani
si presenta dunque come campione ideale per
indagare varie questioni: (1) la poetica
neoclassica inveratasi in talune opere del primo
800 italiano; (2) le complesse procedure di
adattamento dal teatro tragico al teatro
dopera: si dimostra infatti come perfino
nel caso di un soggetto celebre, più volte
trattato, il libretto si presenti come testo
derivato, collazione di fonti diverse, in cui il
librettista non reimpianta la vicenda ex novo,
ma rielabora versi e scene preesistenti, in un
fitto dialogo con la produzione drammatica e
poetica coeva; (3) i rapporti tra teatro
letterario e teatro musicale come capitolo della
letteratura comparata: il successo e la
diffusione di Medee teatrali successive al 1813
spiegano molte delle alterazioni apportate al
libretto di Romani in occasione delle repliche
dellopera di Mayr e delle nuove intonazioni
di Prospero Selli (1839) e Saverio Mercadante
(1851).
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