Archivio Storico:- ex Dipartimento di Musica e Spettacolo - Universita' di Bologna Attività 1998

Conferenze e convegni

Tavola rotonda I, Biografia e composizione

Roland Barthes ebbe a scrivere un giorno che "l’origine dell’opera è nella mano che traccia il segno". Potremmo proporre alcune modeste e parzialissime riflessioni su un problema oltremodo complesso, quale quello a noi proposto sui rapporti tra biografia e composizione, muovendo proprio da quella continuità tra mano e segno, in origine diretta e organica, e immediatamente dopo (a segno tracciato) evanescente e ambigua. Compiuta l’opera, sembra spezzarsi il rapporto profondo e misterioso tra l’opera e la corporeità pensante di quella mano – che appartiene a un individuo strutturato così e non altrimenti dalle sue origini genetiche, dal suo genere, dalla sua età, dalla somma infinita di accadimenti che lo hanno plasmato e che hanno intrecciato la sua esistenza con quella di infinite altre nel contesto storico dal quale è scaturito e con il quale si è confrontato e si confronta. La mano che si ritrae, a lavoro terminato, ci permette solo di avvicinarci a un segno, che si intende spesso solo come il fantasma di un Werk, la traccia di un progetto compositivo, che attende di concretizzarsi in strutture sonore, rivelatrici del pensiero e dell’energia creativa ad esse sottesa.

A questo punto pare sorgere una difficoltà sulle prime insormontabile. Se focalizziamo la nostra attenzione sull’opera piuttosto che sulla globalità dell’esperienza esistenziale (della storicità concreta) che l’ha generata, corriamo il rischio di renderla astratta e di sottrarle fondamentali dimensioni di senso; se viceversa distogliamo lo sguardo dall’oggetto estetico plasmato in quella forma specifica, per studiarne il contesto entro il quale è nato, rischiamo di perderci nei meandri infiniti di accadimenti, personaggi, storie, dal profilo spesso incerto e dalle ancora più incerte relazioni con l’opera che dovrebbero spiegare. Nella difficile mediazione tra queste due dimensioni sembra porsi la problematica relazione tra biografia e composizione.

Prima di proseguire ci si permettano alcune considerazioni: anzitutto vorremmo notare che il tema, così come è proposto ("biografia e composizione"), si attaglia specificamente a un particolare aspetto dell’esperienza musicale colta moderna e contemporanea di area occidentale, mentre per altre epoche o per altri fenomeni appare di applicazione assai ardua o addirittura impossibile. Il concetto di "biografia" presuppone un io creatore dalla personalità ben individuata (e narrabile) che agisce anzitutto "componendo", cioè progettando e costruendo strutture musicali fissate nella notazione e cristallizzate in un’opera o in una serie di opere. Sia chiaro tuttavia che anche in quest’ambito, la logica del poiein compositivo è parziale rispetto a quella di un rapporto globale tra una personalità inserita in un determinato tempo e il fenomeno della musica in tutta la ricchezza dei suoi significati antropologico-esistenziali. In altre parole potremmo dire che la storia di una personalità creativa non è eguale alla somma delle opere che si sono accumulate nella sua esperienza di vita (posto che sia sempre possibile sussumere determinati manufatti musicali – per esempio un melodramma barocco – nella categoria di un Werk "composto"). Al di sopra e al di là di quelle opere (spesso sollecitate da contingenze del tutto esteriori) cogliamo (anche se spesso oscuramente) l’esistenza di una disposizione creativa "in potenza" che si è concretata e coagulata, per così dire, in un particolare percorso creativo, ma non vi si identifica completamente. Cogliamo altresì le infinite relazioni che legano una particolare "esperienza della musica" con l’emergere e il costruirsi – a livelli di consapevolezza sempre maggiore – di una personalità in rapporto al suo percorso biografico e alla generale situazione storica nella quale è inserita. E infine cogliamo che quella particolare "esperienza della musica" si specchia e si plasma nel confronto con un "sapere musicale", un "sentire musicale", con modi di fare, di eseguire, di recepire la musica che accomunano il nostro creatore con l’intera epoca e con lo specifico contesto storico-ambientale nel quale è inserito.

Inoltre: solo una visione astrattamente idealistica ha potuto considerare che un’opera musicale sia riducibile, nella sua essenza, al processo di pensiero che si applica nella costruzione di determinate strutture e nella messa in atto di determinati procedimenti compositivi. L’opera, nella sua stessa fisicità di "segno" è di fatto indecifrabile al di fuori della concretezza della prassi notazionale che la tramanda; e tale prassi notazionale è legata a filo doppio a una prassi performativa alla quale fa continuo riferimento. Tale prassi si basa a sua volta su una serie di strumenti musicali, di convenzioni esecutive e interpretative, è legata a luoghi e a tempi deputati, a modi di recezione specifici. Il testo dell’opera musicale (che troppo spesso viene sommariamente equiparato al testo letterario, mentre risponde a uno statuto peculiare del tutto differente) è intriso di fisicità storica, ed è proprio questa fisicità concreta, questa materialità progettuale proiettata continuamente al di là di se stessa che in definitiva ne individua e ne approfondisce il "senso". D’altra parte le stesse strutture compositive e gli stessi gesti espressivi messi in atto nell’opera musicale non sono decodificabili (o lo sono solo in modo approssimativo) se non contestualizzandoli storicamente. Testo e struttura musicali – da questo punto di vista – sono anche documenti "biografici", testimonianze preziose e insostituibili di una biografia interiore che porta al cuore del lavoro compositivo nonché della sua proiezione esecutiva e in senso lato "sociale"; entrambi ci narrano cose che nessun altro documento – per prezioso che sia – è in grado di comunicarci. Filologia ed analisi musicale possono dunque concorrere non meno dell’archivistica, della storia e della filologia letteraria alla ricostruzione della biografia (di un’intima "biografia" musicale) del compositore e del suo tempo.

Certo, esistono infinite altre fonti esterne all’opera (documenti, contratti, lettere, diari, testimonianze di contemporanei, reazioni critiche, e – last but not least – composizioni letterarie o addirittura musicali dello stesso autore o di altri autori) che possono e, anzi, devono concorrere alla ricostruzione biografica del compositore, illuminandone le origini, la formazione tecnica ed intellettuale, le vicende private e familiari, le tappe della carriera, l’appartenenza ad istituzioni, il collegamento a determinati ambienti e circoli culturali, politici e sociali, le committenze, le relazioni con altri autori ed interpreti, le condizioni economiche, i modi della diffusione della sua opera e le forme della sua efficacia e della sua ricezione.

Che l’accertamento dell’autenticità di queste fonti debba rispondere a criteri scientifici e che la loro interpretazione debba essere ispirata a un metodo rigoroso viene qui dato per scontato, anche se la prassi (conscia o anche inconscia) di soliciter più o meno doucement le fonti sia – come tutti sanno – operazione corrente e in qualche modo, forse, organica al lavoro dello storico.

Per scontato viene anche dato il principio che la finalità ultima della biografia di un compositore sia la migliore e più profonda comprensione della sua musica. Essendo la musica (intesa nell’accezione più ampia dei suoi valori strutturali e delle sue valenze significative, ideologiche e in senso lato sociali) la parte più significativa del suo percorso esistenziale: in senso proprio la "sostanza" della biografia stessa.

Come si possano mettere in relazione i dati relativi alla biografia con l’ambito della composizione, non può essere oggetto di regole prescrittive, per una serie di ragioni. Teniamo conto anzitutto che sino ai decenni di poco posteriori grosso modo alla prima metà del secolo diciottesimo (con rarissime eccezioni) possediamo pochissime notizie intorno alla qualità umana, al carattere, alla cultura, alle frequentazioni, in una parola, alla "vita" dei musicisti. La biografia della maggior parte di loro si riduce ad alcuni scarni riferimenti cronologici relativi alle date di nascita e di morte (quando siano pervenute), all’impiego presso questa o quella istituzione, alle date di composizione, di stampa, o di rappresentazione delle loro opere e – sporadicamente – a poco più di questo. Tutto ciò avviene non perché un destino maligno abbia infierito sulle fonti (anche se talora ha di fatto infierito), ma per la buona ragione che le contingenze biografiche e la personalità dei compositori non furono – sino a una certa epoca – oggetto di particolare considerazione per i contemporanei o lo furono in misura scarsa. Né i compositori – per parte loro – avrebbero mai pensato di istituire un nesso tra le loro vicende biografiche e le loro opere: si sa a quali distorsioni abbia portato lo studio sotto questa angolazione di autori come Gesualdo o Stradella. Un interesse biografico in senso moderno emerge esattamente nel momento in cui il musicista incomincia a rifiutare un ruolo sociale subordinato e artigianale di prestatore d’opera specializzato, per rivendicare una propria dignità artistica ed umana; e quando, parallelamente, la società incomincia a discutere sul ruolo sociale, culturale e formativo della musica, ad interessarsi al musicista e a cercare nella sua biografia le tracce di quelle peculiarità che ravvisa nella sua opera.

Questa situazione genera di per sé uno spartiacque oggettivo sulla natura dei documenti e delle testimonianze a disposizione dello studioso e sul loro uso legittimo. Ma, al di là di questo, si può correttamente affermare che ciascun musicista e ciascuna epoca storica presenta una problematica peculiare e che in ogni caso non tutti gli elementi biografici (se non utopisticamente) possono essere utilizzati in funzione di una migliore comprensione della musica: alcuni di essi rimarranno necessariamente inerti (o potranno essere citati con pura funzione suggestiva): almeno sino a quando uno studioso non riuscirà a far scattare un corto circuito virtuoso tra aspetti della biografia e aspetti del processo compositivo.

Vorremmo concludere attirando l’attenzione su alcuni aspetti ulteriori del rapporto tra biografia e composizione. Il primo riguarda la stretta connessione che si instaura nella storia della critica e nella storia della recezione – dal tardo Settecento in poi – tra la ricostruzione biografica, la valutazione critica e – aggiungeremmo – la dimensione interpretativa in sede esecutiva. Un caso istruttivo è quello di Pergolesi (ma l’esempio potrebbe estendersi a molti altri autori precedenti e successivi). Una biografia fittizia – che tende ad esasperare gli aspetti dolorosi e lacrimosi di una personalità che si vorrebbe colpita dalla iniquità del destino e dall’invidia degli uomini, genera un gigantesco catalogo di opere spurie che a quel falso cliché si ispirano, occulta viceversa opere assai più significative certamente autentiche e ingenera modelli interpretativi di esasperato ed esasperante sentimentalismo. Può darsi anche il percorso contrario, come nel caso di Domenico Scarlatti: Si constata correttamente che lo straordinario corpus delle sonate per clavicembalo (quelle pubblicate negli Essercizi per gravicembalo e soprattutto quelle confluite negli anni tardi della sua vita nelle due serie dei codici spagnoli) costituisce il nucleo più significativo della sua produzione e si costruisce – per giustificarne la genesi in base a una cronologia ancora tutta da verificare – una biografia e un percorso stilistico privo di ogni fondamento storico; si delinea un rapporto artistico ed umano con il padre Alessandro del tutto fantastico, si dà un’immagine denigratoria dei suoi anni italiani (e della stessa situazione musicale italiana del tempo), e ci si rifiuta non si dice di analizzare, ma di prendere tout court in considerazione la sua produzione vocale, come se – prescindendo dalla validità intrinseca – non avesse alcun valore per ricostruire la sua formazione musicale e la sua psicologia compositiva.

In quest’ambito i trabocchetti sono del resto all’ordine del giorno. Per fare un esempio, siamo tutti divenuti consapevoli di quanto pericoloso sia interpretare le opere di un compositore sulla base delle affermazioni di poetica sue o del gruppo al quale afferisce (che spesso hanno più a che fare con la biografia privata o con le vicende collettive piuttosto che con la sostanza musicale delle sue composizioni); ma siamo altresì consci che alla base di certe mitizzazioni biografiche stia una volontà mistificatoria o occultatrice degli stessi autori. Anche in questo caso gli esempi si sprecano e si intrecciano pericolosamente con la produzione di miti propria dell’inconscio collettivo, rendendo arduo il lavoro dello storico.

In conclusione, un giudizioso rapporto tra biografia e composizione, in sede musicologica, dovrebbe guardarsi vuoi dalle insidie di un biografismo svincolato dalle opere (un vezzo che ha caratterizzato in particolare il secolo diciannovesimo e la prima parte del ventesimo, ma che sussiste tuttora e non solo a livello divulgativo), così come da una metodologia di analisi astratta, fondata su modelli universali e insensibile alla concretezza storica e all’individualità delle opere. Quest’ultima costituisce un perfetto parallelo (a mio parere altrettanto negativo) della concezione della filologia sopra richiamata, che si ostina ad applicare acriticamente e meccanicamente alle opere musicali metodologie elaborate in sede letteraria.

Credo che gli studi pubblicati sul "Saggiatore musicale" (non parlo ovviamente del mio) ed indicati da chi ha organizzato questo incontro come punto di riferimento per la discussione – pur nella loro profonda diversità di argomento e di impianto – abbiano brillantemente evitato questo pericolo. Mettono in atto un continuo confronto critico tra contingenze biografiche e strutture compositive, e – ciascuno per la sua parte – offre preziosi spunti per una migliore comprensione delle opere attraverso una più attenta messa in prospettiva delle biografie dei rispettivi autori o di momenti nodali di esse. Confermano altresì un dato peraltro scontato: che non si possa studiare la biografia di un compositore senza inserirla nel contesto più ampio della società entro la quale è stata vissuta. Ma questo ulteriore e formidabile problema (il rapporto musica / società) – ancorché intimamente legato a quello del rapporto tra biografia e composizione – presenta una propria specificità e potrà essere utilmente discusso in una ulteriore tavola rotonda del "Saggiatore musicale".

(Francesco Degrada)


Tavola rotonda II, Haydn e Mozart: si torna alla critica stilistica?
L’interrogativo posto alla tavola rotonda intende esprimere tutta la discrezione e la cautela richieste dal caso; si vuole prima di tutto verificare la sensazione che la musicologia storico-critica degli ultimi anni si sia rimessa, in modo più o meno esplicito, a parlare di stile, a riconsiderare lo stile come un campo d’indagine utile alla comprensione di autori, opere, gruppi di opere; in seconda istanza, una volta valutata questa sensazione, saggiare l’applicabilità del concetto di ‘stile’ alla nuova dimensione della musicologia attuale.
 
Il concetto di ‘stile’ nella storia della musica è stato introdotto in modo sistematico da Guido Adler in vari scritti, fra cui il saggio del 1885 su "estensione, metodo e scopo della musicologia" e il volume Der Stil in der Musik del 1911; il posto centrale dell’autore-eroe è preso dallo stile come oggetto e mezzo di ricerca, di orientamento, periodizzazione e sistemazione (Operazione analoga, negli stessi anni e nella stessa Vienna, conduceva nell’ambito della storia dell’arte Alois Riegl con Stilprobleme, pubblicato nel 1893.) Dalla scuola di Adler, manifesta nei volumi di vari autori dello Handbuch der Musikgeschichte (1924 sgg.), molte cose sono penetrate nella nostra disciplina: qui interessa solo la convinzione di poter individuare i tratti caratteristici di un autore o di un periodo tramite raffronti differenziali con il contesto degli artisti minori, della media; concetti come ‘direzioni stilistiche’, ‘svolte stilistiche’, ‘combinazioni di più stili’ eccetera sono diventati correnti e hanno circolato diffusamente. Anche in Italia, Torrefranca (1930) si basava su un concetto eminentemente stilistico, quello di ‘impressionismo ritmico’, per caratterizzare un sonatismo italiano nel panorama europeo; ma è soprattutto nella musicologia anglosassone che quell’esempio si è radicato: un libro come Music in the Baroque Era di Bukofzer (1947) è tutto tessuto sul concetto di ‘stile’ (alcuni paragrafi: "Disintegrazione dell’unità stilistica", "La nascita dello stile concertato", "Fusione degli stili nazionali: Bach", "Coordinazione di stili nazionali: Händel", "Stile e forma" ecc.).

Dopo il 1950 riflessioni di questo tipo perdono terreno: ormai la definizione dei generi e dei caratteri sembrano cose acquisite e non immediatamente modificabili; si avverte anche il pericolo di scivolare in una psicostilistica; la parola stile resta quasi abbandonata al mondo della moda e dell’arredamento; la naturale crescita della musicologia e del suo specialismo si è aperta, come sappiamo, altre direzioni più promettenti: ad esempio verso l’analisi, sia semiografica (carte, filigrane ecc.) sia dell’oggetto musicale (sia combinata: nello studio del "processo compositivo") e verso la storia sociale come studio della committenza. La parola stile torna a campeggiare nel 1971 nel celebre libro di Rosen sullo stile classico: pur muovendo egli dagli antipodi delle vecchie concezioni – Rosen non considera evoluzioni e transizioni, non collega gli elementi in una storia o in una o più personalità, ma li isola attraverso casi illuminanti, rotture, folgorazioni –, nelle sue pagine (tra le più lette e citate degli ultimi anni) sono tornate in primo piano considerazioni di forma e funzionalità stilistiche.

Ma sono soprattutto gli ultimi anni, anche per la spinta di altri cambiamenti, che fanno percepire la sensazione contenuta nell’interrogativo iniziale. L’analisi da sola non sembra più in grado di arrivare al nocciolo di ogni questione; la committenza non funziona bene in tutte le epoche e lascia scoperte zone importanti di quell’Ottocento classico-romantico che è tuttora la base del repertorio. L’articolo di Kerman sui concerti mozartiani, pur avendo assorbito punti di vista analitici e di committenza, torna a parlare in modo centrale, anche se morbido e non normativo, di stile: fa leva sullo stile per definire il K. 491 "opera profondamente sovversiva" e per avanzare l’ipotesi squisitamente morale di un Mozart che si stacca dal proprio pubblico; si può dire che Kerman cerchi nei caratteri formali di quel brano degli "indizi" in senso spitzeriano. Analoghe considerazioni si potranno ricavare dalle altre letture; e chiedersi se un ritorno "moderno", "contaminato", alla critica stilistica non possa favorire una nuova riflessione su ciò che è specifico, unico nel linguaggio musicale.

(Giorgio Pestelli)


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