Archivio Storico:- ex Dipartimento di Musica e Spettacolo - Universita' di Bologna Attività 1998

Conferenze e convegni

 

Tavola rotonda II, La committenza nell’arte e nella ricerca
 
1) La combinazione degli articoli che stanno alla base di questa tavola rotonda può sembrare bizzarra: due di essi riguardano la committenza musicale nel passato; il terzo riguarda la committenza – in senso lato – della ricerca musicologica in un sistema scientifico-didattico contemporaneo. (La situazione britannica, sia detto en passant, prefigura per tanti aspetti il futuro prossimo che ci attende in Italia).
Il dato che collega i due fenomeni, diversissimi, si può ricondurre ad un interrogativo comune che, in termini brutali, possiamo compendiare così: quale mai motivo spinge qualcuno dotato di potere e di mezzi a finanziare qualcosa di ‘inutile’? O a rovescio: in che senso la musica e la ricerca vengono da costoro considerate tanto ‘utili’ (e a che cosa?) o tanto necessarie da giustificare esborsi anche notevoli?
2) Gli studi sulla committenza musicale fin qui effettuati dalla musicologia storica rispondono in genere a questa domanda: chi ha pagato chi per fare che cosa? Sono studi che si inscrivono perlopiù nella sfera della storia sociale, o socio-economica. Scaturiscono peraltro da una logica interna allo sviluppo della ricerca scientifica: rispondono all’aspirazione, post-idealistica, di abbandonare la storia dell’arte intesa come storia di ‘eroi’, come concatenazione di ‘grandi personalità creatrici’. È un desiderio legittimato dalla sobria, realistica constatazione che per lunghi tratti della storia della musica la posizione sociale dei musicisti nonché il carattere artistico della loro produzione risultano tutt’altro che saldi. (Non a caso, gli studi sulla committenza abbondano per i secoli anteriori alla Rivoluzione francese, pre-borghesi, mentre scarseggiano per l’800 e il ’900.)
Succede tuttavia che in questa fuga dall’idealismo si vada inconsapevolmente creando un’altra categoria di ‘eroi’: Galeazzo Sforza o Vincenzo Gonzaga o Ferdinando de’ Medici prendono il posto di Josquin o di Monteverdi o di Cavalieri come ‘protagonisti’ della narrazione storica. Un idealismo di risulta soppianta l’idealismo di partenza.Un’altra tipica reazione cripto-idealistica, stavolta consapevole: se i meccanismi della committenza non incidono sulla struttura intrinseca dell’opera d’arte musicale, ma tutt’al più influenzano – poniamo – talune scelte relative alla funzionalità di questo o quel genere preso en bloc, non vorrà dire che sono ipso facto poco importanti per lo storico della musica? (Donde molte recenti esortazioni a ‘lasciar perdere’ gli studi sulla committenza.)
Lo storico della musica stenta ancor oggi ad ammettere ciò che Annibaldi ha vivacemente illustrato nell’introduzione a La musica e il mondo (Bologna, il Mulino, 1993): agli occhi dei committenti, e della maggior parte dei destinatari, la musica ha sia una funzione in senso lato segnaletica (a mo’ di insegna o di addobbo), sia il carattere di un generico attributo ‘umanistico’, non però un carattere ‘artistico’ modernamente inteso. Siamo noi a ricercare un valore artistico individuale là dove in origine si richiedeva, più che altro, un ‘lavoro ben fatto’. Ma del lavoro ben fatto – della singola opera, o serie di opere – ci possiamo nondimeno interessare con profitto, e in almeno due prospettive: sia iuxta sua principia (ossia per ciò che diceva ai contemporanei: donde l’utilità per noi degli studi sulla committenza, sui motivi che la sottendono), sia in un’ottica attualizzante (ossia per ciò che quell’opera d’arte dice a noi). In altre parole: occorre intendersi su ciò che cerchiamo, e perché.
3) Un gradino più sù, la domanda chiave dello studioso della committenza muove, anche se in maniera irriflessa, verso la sfera dell’antropologia storica: perché qualcuno paga qualcun altro per fare una data cosa? In altre parole: quali sono i motivi, le ragioni, gli interessi – creativi o consuetudinari – che spingono un individuo o un gruppo entro un dato contesto sociale a richiedere determinate produzioni? Il loro significato simbolico andrà comunque decifrato entro lo specifico sistema culturale.
Allo storico della musica interessa perlopiù tracciare la storia di singoli generi, stili, opere, autori, nel senso di un progresso teleologicamente orientato verso il presente. Ma occorre calarsi nel sistema di cultura e di valori dei promotori e dei destinatari, se si vuol comprendere il senso intrinseco di queste opere e, attraverso di esso, il senso generale del sistema complessivo che le produce e le gode.
4) Andrà riflettuto sulla circostanza che assai spesso il finanziamento della committenza musicale percorre vie oblique, o improprie. (Mutatis mutandis, vale anche per la ricerca scientifica odierna.) Si veda p. es. il sistema dei benefici ecclesiastici: attraverso il loro ‘commercio’, i sovrani delle piccole corti italiane assicuravano dall’esterno il sostentamento dei musicisti al loro servizio.
Del pari improprio si presenta a volte l’impiego dei musicisti. Un solo aspetto (finora poco indagato: cfr. gli studi di Daolmi): quanti musicisti, nelle corti italiane e straniere del ’500-’600, hanno avuto mansioni extramusicali le più curiose, dallo spionaggio alla diplomazia, dalla copertura dei passatempi erotici dei committenti al diretto coinvolgimento in essi? Così facendo, ritorniamo nella sfera della storia sociale. Ma con una prospettiva in più: la musica può essere uno strumento, un mezzo, un pretesto per coprire attività illecite o clandestine: per dissimulare più che per manifestare.
5) Le forme della committenza mutano col mutare della struttura sociale e del sistema simbolico. Nell’antico regime, altra sarà la realtà di una corte autocratica (Kirkendale/Annibaldi; Piperno), altra quella delle cappellanie nella Spagna del siglo de oro (Carreras), altra ancora quella del teatro, pubblico o di corte (Daolmi su Milano nel ’600; Carreras su Madrid nel ’700). (Una domanda à côté: quale recondita ragione ideologica ha fomentato, in anni recenti, la ipervalutazione del ruolo svolto dalle corti – cfr. programmi di ricerca quali "L’Europa delle corti" – rispetto alle indagini su centri urbani, stati repubblicani, società borghesi?)
Dopo la Rivoluzione francese, in un sistema politico e sociale complesso, dotato di un’opinione pubblica evoluta, con strutture assai incisive per quanto attiene alla formazione professionale (conservatorii; accademie; ecc.), alla rappresentanza degli interessi (organizzazioni associative, sindacali; legislazione; ecc.), all’organizzazione del consenso (intervento dello Stato; editoria; comunicazioni di massa; ecc.), i meccanismi della committenza si fanno viepiù intricati e sfuggenti. Ma non per questo si affievoliscono: occorrerà intensificarne lo studio. (Un raro esempio: i lavori di Nicolodi sulla musica nell’età fascista.)
6) Dentro la realtà evoluta della società contemporanea, il sistema della ricerca scientifica applicata alle arti – alla musica in particolare – ha una parte di rilievo nella produzione simbolica: soprattutto nella sfera della storia dell’arte (della musica). La comprensione del passato, e la sua preservazione-reinterpretazione, alimenta il sistema della ‘memoria’ storica, la ricerca dell’‘identità’, eccetera. Questo fattore basterebbe da solo a giustificare l’investimento di denaro pubblico e privato per la ricerca storica (su tutto l’arco del ventaglio disciplinare: dalla critica ermeneutica alla conservazione e valorizzazione dei beni culturali, ecc.).
Nel nostro campo, la tendenza attuale ad invocare e sposare la logica del ‘mercato’ rischia di tutto appiattire sul concetto della cosiddetta ‘musicologia applicata’ (la musicologia finalizzata alla produzione musicale-teatrale: dalle edizioni critiche alle attività di promozione alla divulgazione ecc.). Per converso, i meccanismi della selezione autoreferenziale all’interno del sistema della ricerca universitaria – il criterio delle ricerche ‘d’eccellenza’ cui assegnare una precedenza assoluta, se non addirittura un’esclusiva, a danno di ricerche meno prestigiose, o meno tecnologicamente innovative, ma non perciò inutili – rischiano di fare piazza pulita dei filoni disciplinari meno robusti. Le discipline umanistiche sono intrinsecamente ‘deboli’ nella competizione con le discipline scientifiche in senso stretto; nel novero delle discipline umanistiche, la musicologia è un vaso di coccio; dentro la musicologia, certi rami sono più fragili di altri.
L’impressione che la committenza scientifica sia ‘cieca’ andrà precisata: forse è soprattutto rozza e brutale; forse dobbiamo imparare meglio a giocarla d’astuzia. Di sicuro – importa riconoscerlo – siamo anche noi implicati in uno struggle for life che disegna, in parte a nostra insaputa, il tracciato della (nostra) storia.
(Sui temi relativi a quest’ultimo punto, cfr. anche le relazioni di X. M. Carreira e C. Rodríguez Suso in questo stesso II° Colloquio.)

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