Archivio Storico:- ex Dipartimento di Musica e Spettacolo - Universita' di Bologna Attività 1998

Conferenze e convegni

 

SECONDO INCONTRO DEI DOTTORATI DI RICERCA IN DISCIPLINE MUSICALI

ABSTRACTS

Vincenzo Borghetti, Preliminari a un’edizione di musica del Quattrocento
Nell’edizione di musica antica, il "dilemma della traduzione" è uno degli aspetti su cui la musicologia angloamericana si è dimostrata più sensibile negli ultimi anni. Alcuni studi hanno proposto un ripensamento radicale della prassi editoriale moderna, sulla scia della familiarità ormai acquisita dai musicisti con il sistema semiografico del Rinascimento (si veda il saggio di Margaret Bent apparso su "Early Music" del 1994). La consapevolezza che trascrivere dalla notazione mensurale alla notazione moderna equivale ad una vera traduzione più che ad una semplice traslitterazione ha generato una serie di riflessioni sulla liceità di presentare o meno i testi musicali nella veste "originale". Tuttavia, quello che dovrebbe essere uno stimolo per un progresso nella tecnica d’edizione in musicologia – sulla scia di alcune filologie letterarie – rivela nelle sue premesse una pericolosa inclinazione al culto, ai limiti del feticismo, dell’autentico, considerato come definitivo.
La relazione ha focalizzato l’attenzione su due punti fondamentali per il filologo che si occupi di musica del Quattrocento, e sulle implicazioni teoriche che le riflessioni sulla tecnica d’edizione presuppongono a monte: (1) partitura / parti separate; (2) notazione moderna / notazione antica. (1) Senza voler a tutti i costi cercare la prova provata dell’esistenza della partitura per la musica vocale nel Quattrocento, ci si è chiesto se sia davvero indispensabile trovare nel modus operandi del passato il metodo più giusto per operare nel presente, o se invece, facendosi carico della propria storicità, alcuni aspetti dei documenti antichi non vadano necessariamente e coscientemente sacrificati. (2) Conservare la notazione "originale" non mette al riparo dai "rischi dell’interpretazione" che la trascrizione in notazione moderna invece comporterebbe. Inoltre, il concetto di "originale" risulta oltremodo problematico proprio se applicato alla notazione del primo Rinascimento. Sostenere che la notazione antica e le parti separate riescano di per sé a mettere l’esecutore moderno in condizione di recuperare quella libertà nei confronti della polisemia del testo che la partitura moderna metterebbe fuori gioco – riguardo alle alterazioni, all’andamento ritmico, al text underlay ecc. – ha l’aria di essere un’illusione. Il punto in questione è il nostro rapporto col testo scritto che, sia pure in notazione antica, non viene più né letto né eseguito da una comunità di "madrelingua".
Marco Mangani, Per un’analisi delle forme minori tra Cinque e Seicento: indagine su un campione mantovano
Nell’intervento sono stati presentati due aspetti significativi di un’indagine, concretizzatasi in una tesi dottorale, sulle canzonette prodotte in ambiente mantovano durante il ducato di Vincenzo Gonzaga (1587-1612): l’idea di un doppio livello di segmentazione del testo musicale e l’elaborazione di un modello pertinente di analisi armonica dei procedimenti cadenzali.
La proposta avanzata è di effettuare una segmentazione di primo livello che prescinda del tutto dal concetto di cadenza, in favore di quello, rigorosamente definito, di simultaneità tra le voci di un insieme polifonico in corrispondenza dell’ultima sillaba di un segmento testuale (concetto quest’ultimo, a sua volta, definito preliminarmente a partire dai canoni correnti della versificazione). Grazie a questa prima operazione si individuano dei segmenti polifonici, delle unità musicali nelle quali l’insieme polifonico intona una ben definita porzione di testo. Quindi, e solo dopo questa prima segmentazione, è possibile procedere ad un secondo livello, in cui si procede all’individuazione delle vere e proprie frasi musicali.
A questo punto, le conclusioni di frase possono esser sottoposte a differenti tipi di analisi; e quella armonica è parsa tra le più pertinenti. In sostanza, l’analisi dei principali procedimenti di cadenza si fonda sulla constatazione che il modello cadenzale "in tre fasi" di Zarlino ha un corrispettivo nella successione di tre suoni della voce più grave, dei quali, il penultimo assume spesso l’aspetto di un piccolo "pedale di dominante" (secondo la successione "triade - quarta e sesta - triade con ritardo della terza"), mentre il terzultimo, per la relazione di grado congiunto col successivo e per l’accordo che ospita, può talvolta prefigurare il ruolo della futura sottodominante.
A fondamento, per dir così, teoretico di tale indagine si sono poste due convinzioni: che, nel definirsi dell’armonia come disciplina autonoma, forte sia stato il ruolo della "stilizzazione" dei procedimenti contrappuntistici; e che le definizioni date da tale disciplina, ivi compresa quella di "funzione", si siano sempre appuntate non su nuove sonorità, ma sulla ricontestualizzazione di sonorità note.
Simonetta Ricciardi , Haydn in Italia: la fortuna della "Creazione" nella prima metà dell’Ottocento
L’accoglienza della Creazione in Italia costituisce un campione della ricerca che sto svolgendo sulla ricezione della musica di Haydn nella penisola nel corso del XIX secolo. Alcuni dati danno un’idea piuttosto articolata del positivo impatto della Creazione sul pubblico: la notevole frequenza con cui l’oratorio è stato eseguito (almeno ventuno volte in versione integrale tra il 1804 e il 1855); le numerose riduzioni (tra cui perfino trascrizioni per banda e un paio di contrafacta, ovvero con adattamento di nuovi testi sotto la musica di Haydn); infine, la presenza non inconsueta di singoli brani nei programmi delle accademie vocali e strumentali.
La rassegna delle recensioni mette in luce tuttavia un atteggiamento ambivalente. Spesso l’ammirazione per le capacità descrittive della musica di Haydn non è disgiunta da una certa perplessità riguardo alla sua capacità di commuovere. L’oratorio haydniano viene cioè giudicato su due differenti livelli, riconducibili da una parte alla "dottrina" – cioè alla perizia tecnico-compositiva –, dall’altra all’"ispirazione poetica", con una netta prevalenza della prima.
Il fatto che l’aspetto descrittivo della Creazione fosse sentito come una chiave di lettura privilegiata dell’opera – a discapito delle sue qualità melodiche – trova conferma in alcuni scritti di carattere estetico della prima metà del secolo come le Haydine di Giuseppe Carpani, la Vie de Haydn di Stendhal, nonché la Filosofia della musica di Raimondo Boucheron. In questi testi la Creazione si presta per chiarire i diversi modi in cui la musica può assolvere al suo scopo: la neoclassica imitazione della natura.
Considerati in prospettiva diacronica – i primi due lavori sono anteriori di circa un ventennio al testo di Boucheron –, le tre letture dell’opera di Haydn – in particolare i giudizi relativi alla rappresentazione del caos – documentano un interessante mutamento dell’orizzonte d’attesa degli italiani nel corso della prima metà dell’Ottocento. In primo luogo, s’assiste al progressivo riconoscimento dell’autonomia espressiva della musica strumentale, favorito dal carattere sempre meno sporadico e privato delle accademie di musica "classica", con cospicua presenza dei compositori d’oltralpe. In secondo luogo il linguaggio armonico di Haydn – a tratti definito troppo tedesco, come nel brano orchestrale che apre la Creazione –, viene pienamente assimilato.
Nicola Scaldaferri, La tradizione musicale delle montagne albanesi: resoconto di una ricerca sul campo
L'intervento ha illustrato l'esperienza di ricerca sul campo compiuta nel febbraio del '98, nel quadro delle indagini attualmente in corso tra alcuni gruppi di etnia albanese dell'area balcanica.
La ricerca si è svolta in due zone dell'Albania con differenti tradizioni musicali: l'area di Gramsh, nel sud del paese, con una ricchissima polifonica sia vocale che strumentale e l'area di Tropoja, ubicata nelle montagne del nord al confine con il Kosovo, con una musica esclusivamente monodica e una presenza assai significativa di canto epico.
Sono stati fatti ascoltare alcuni esempi di polifonia di stile tosk a tre voci, di polifonia strumentale (i complessi di fyell, flauto obliquo tipico di Gramsh) e alcuni canti mondici.
Lucio Tufano, "Nina ossia La pazza per amore" di Giovanni Paisiello: testo e contesto
Originariamente concepita per solennizzare un evento della vita di corte napoletana, Nina ossia La pazza per amore divenne una delle pièces comiche più fortunate del maturo Settecento italiano e godette di una larga diffusione sui palcoscenici di mezza Europa per almeno un trentennio. Sottoposta ad un’indagine articolata, l’opera si rivela punto di confluenza di complessi percorsi culturali e di interessanti problemi musicali e filologici, rispetto ai quali occorre porre in atto, accostandole e integrandole, metodologie distinte. L’indagine, pertanto, pur avendo come principale obiettivo la restituzione ecdotica del testo paiselliano nelle sue due versioni autentiche (in forma di atto unico, 1789; organizzato in due parti, 1790), intende pure metterne in luce la preistoria franco-lombarda (la discendenza, cioè, dalla "comédie en prose melée d’ariettes" Nina ou La folle par amour di Marsollier-Dalayrac, tradotta in italiano nel 1788 da Giuseppe Carpani), le peculiarità formali e drammaturgiche rispetto alle convenzioni vigenti (in particolare la commistione di dialoghi recitati e numeri musicali), nonché le tappe più significative della successiva fortuna, segnata da complesse vicende di trasmissione e di recezione. Tale storia va ricostruita prestando costante attenzione ai diversi contesti nei quali avvennero sia la creazione e la revisione d’autore, sia le manipolazioni e gli adattamenti successivi, nell'intento di pervenire non solo alla registrazione di permanenze e di scarti, ma anche all’interpretazione delle dinamiche trasformative – condizionate dalla frizione di drammaturgie eteronome come da contingenti esigenze d’allestimento – che l’opera fu in grado di sopportare, così da riattingere le diverse immagini che di essa si riverberarono nella coscienza dei fruitori.
Marco Uvietta, Aspetti del linguaggio armonico di Alexandre Tansman tra le due guerre
Lo studio delle sonorità ottatoniche nella produzione giovanile del compositore francese di origine polacca Alexandre Tansman (1897-1986) costituisce un contributo al dibattito avviato da Berger, e ripreso soprattutto da Van den Toorn e Taruskin, sulla natura ottatonica di alcuni aspetti del linguaggio musicale di Stravinskij. L’assimilazione da parte di Tansman di queste sonorità e delle loro caratteristiche ‘figure’ direttamente da fonte russa – e non come influenza stravinskijana – costituisce un’ulteriore conferma dell’esistenza, nella musica della prima metà del ’900, di un retroterra sonoro ottatonico assai più vasto di quello espresso dalle personali soluzioni tecniche di alcuni dei più rappresentativi compositori dell’epoca: la recente applicazione da parte di Allen Forte di questo campo di ricerca alla musica di Webern muove, di fatto, da tale premessa. Nelle prime composizioni di Tansman (1917-1921) l’assimilazione di questo retroterra sonoro è espresso prevalentemente nell’impiego di accordi dominantici con estensioni ottatoniche (ad es. do-sol-mi-sib-mib-fa#-la, suoni 1. 6. 4. 8. 3. 5. 7. della scala ottatonica do-reb-mib-mi-fa#-sol-la-sib). Successivamente, in seguito alla scoperta della musica di Bartók (Parigi 1922), Tansman adotta alcune figure musicali tipicamente ottatoniche, in particolare la sequenza intervallare 5. 1. 5. (ad es. mi-la-sib-mib, suoni 1. 4. 5. 8. della scala ottatonica mi-fa#-sol-la-sib-do-reb-mib) e le sue varianti 6. 5. e 5. 6. In sintesi Tansman tende ad enfatizzare i rapporti di tritono impliciti nella scala ottatonica, applicandoli in modo quasi esclusivo anche alla tecnica politonale. Intorno alla metà degli anni Venti la chiarificazione delle dinamiche tonali e l’adozione di una scrittura più diatonica, frutto dell’influenza francese, indurranno Tansman ad una rilettura degli aggregati dominantici con estensioni ottatoniche in chiave funzionale, ovvero come campi armonici tensivi concentrati nei principali punti di articolazione formale.

Home

Archivio Storico:- ex Dipartimento di Musica e Spettacolo - Universita' di Bologna