Archivio Storico:- ex Dipartimento di Musica e Spettacolo - Universita' di Bologna Attività 1997

Conferenze e convegni 1997

 

PRIMO COLLOQUIO DI MUSICOLOGIA DEL "SAGGIATORE MUSICALE"
Bologna, palazzo Marescotti, 21-23 novembre 1997

 

Fabrizio della Seta,

La prospettiva ermeneutica
Relazione introduttiva

Ermeneutica è parola venuta oggi di moda, col diffondersi di tendenze culturali quali il 'pensiero debole', il 'decostruzionismo', il 'postmoderno'. Ma l'ermeneutica ha una storia antica, come tecnica dell'interpretazione di testi poetici, religiosi e giuridici. Nell'Ottocento diviene un tema filosofico-metodologico generale, in connessione al problema della fondazione delle scienze storiche in quanto distinte dalle scienze naturali (W. Dilthey). Nel Novecento, quello ermeneutico diviene un problema ontologico radicale ad opera di Martin Heidegger, al cui programma ha dato forma compiuta Hans Georg Gadamer nel suo capolavoro Wahrheit und Methode (1960), un testo che ha avuto un'enorme influenza non solo in ambito strettamente filosofico, ma anche in quelli della storiografia e della critica letteraria. Fra le idee, tutte assai antiche, alle quali Gadamer ha impresso nuova vitalità vi sono: il valore della tradizione, che agisce perennemente sul presente come Wirkungsgeschichte; la critica del pregiudizio contro il pregiudizio, e in particolare della pretesa (in particolare positivistica) di una conoscenza oggettiva, svincolata dagli interessi e dalle preconoscenze di chi conosce; il "circolo del comprendere", per cui la parte rinvia costantemente al tutto e viceversa; la dialettica di domanda e risposta, per cui chi interroga un testo sta anche rispondendo a una domanda postagli dal testo stesso; il fatto che in un testo si possa trovare di più di quanto lo stesso autore sapesse. Queste idee sono il punto di partenza di tendenze che hanno rivoluzionato il modo di accostarsi ai testi letterari, quali la storia della recezione e la teoria della risposta estetica. Anche la musicologia ha dovuto confrontarsi con queste tendenze, a volte in modo giustamente problematico, come illustra in modo esemplare Carl Dahlhaus nei capitoli V e VI delle sue Grundlagen der Musikgeschichte. D'altronde, in ambito tedesco, l'ermeneutica musicale ha una storia che risale perlomeno all'inizio di questo secolo, in un clima culturale profondamente influenzato da Dilthey, se è vero che le due parole sono state accostate per la prima volta in articoli di Hermann Kretzschmar del 1903 e 1906. Da allora sull'argomento si è sviluppata una fiorente letteratura, che si arricchisce di anno in anno. In Italia gli echi di queste discussioni si sono appena avvertiti, ma da pochi anni ci si è potuti fare un'idea di un possibile accostamento ermeneutico alla musica, con la traduzione di alcuni saggi di Hans Heinrich Eggebrecht (Il senso della musica, Bologna, il Mulino, 1987).

A questo punto è opportuno far notare che il titolo di questa tavola rotonda non è "L'ermeneutica musicale", bensì "La prospettiva ermeneutica". Esso si riferisce non a una specifica tradizione filosofico-critica, ma più in generale a qualsiasi tentativo di accostarsi al fatto musicale cercando di risalire, al di là della descrizione di strutture linguistico-musicali autosufficienti, al complesso di esperienze, individuali e collettive, di tipo emotivo, esperienziale o storico-culturale, di cui esse si fanno veicolo ("... the much-disputed idea that music means something, or better yet, something we can talk about", per dirla con Lawrence Kramer). In questo senso un approccio ermeneutico può rinviare a una pluralità di possibili modelli epistemologici, dalla semantica all'analisi delle strutture narrative, dalla psicologia sperimentale alla psicanalisi. Anche in questo caso il rinvio a Eggebrecht, con la sua distinzione tra 'senso' e 'contenuto' della musica, è utile. Ma il pensiero corre piuttosto alla tavola rotonda, diretta nel 1987 a Bologna da Joseph Kerman, su La critica musicale tra analisi tecnica e ermeneutica, titolo che si spiega solo avendo presente la battaglia polemica condotta, a partire dagli anni '70, da una piccola pattuglia di musicologi americani contro il positivismo, lo scientismo, la pretesa di oggettivismo, dominanti nella cultura anglosassone. (Non si può dire che quella battaglia sia stata vinta in maniera definitiva; ma certo i dieci anni trascorsi hanno visto un diffondersi vertiginoso di tendenze che si autodefiniscono come New Musicology, non sempre evitando il rischio di voler soltanto sostituire nuove parole d'ordine alle vecchie, e che hanno cominciato a suscitare a loro volta qualche moto d'insofferenza, di cui si è avuto qualche sentore nel recente convegno londinese della Società Internazionale di Musicologia.)

Organizzare una tavola rotonda su questi temi in Italia è impresa difficile, proprio per la scarsezza di dibattito su essi. Ed è inevitabile che ad animarla vengano chiamati studiosi assai lontani tra di loro per formazione, interessi di ricerca, metodologie; con tutti i rischi, ma anche con i vantaggi, che una tale eterogeneità comporta. Per conferire alla discussione un centro focale verso il quale far convergere gli sforzi di ciascuno, gli organizzatori del Colloquio hanno proposto di farla partire da due saggi pubblicati di recente sul "Saggiatore musicale". Sebbene il titolo annunciato nel programma ufficiale faccia pensare il contrario, chi scrive non ha inteso la tavola rotonda come una discussione su questi saggi, ma viceversa ha inteso questi ultimi come punti di partenza per una discussione più ampia, di carattere metodologico (ma se possibile non esclusivamente teorico). E il punto di partenza potrebbe essere proprio la domanda, se e in quale misura i saggi di Jéquier (La Musique sage des Vierges Sages et la musique folle des Vierges Folles dans le drame liturgique du "Sponsus", "Il Saggiatore musicale", III, 1996, pp. 5-31) e di Giani ("Diese einladende Trauer…" La recezione musicale di una ballata goethiana, III, 1996, pp. 273-323), a prescindere dal loro valore, si possano definire quali esempi di un approccio ermeneutico.

Da questa domanda ne possono discendere infinite altre, fra le quali alcune scontate, banali forse, ma che non ci si stanca mai di riproporsi. È possibile, è opportuno, distinguere od opporre un'analisi "interna" a un'ermeneutica che va oltre il fatto musicale? (Eggebrecht direbbe certamente di no; e con lui chiunque sia stato convinto dalla lettura di Hegel, o di Saussure, o di tanti altri, dell'inseparabilità di forma e contenuto.) L'ermeneutica e/o l'analisi [musicale] sono discipline distinte dalla storia [della musica], o sono strumenti di essa, o coincidono con essa?

Il responsabile dell'andamento del dibattito non può certo prendere posizione; ma, non essendo sospetto di faziosità e di dogmatismi politico-ideologici, vorrebbe proporre un problema al quale, in questi tempi di crisi delle ideologie che è diventata indifferenza alle ideologie, forse nessuno ha pensato: il problema ermeneutico, cosi come si è configurato con Gadamer, presuppone un quadro di riferimento che, se non è necessariamente reazionario, è certamente e dichiaratamente conservatore, tradizionalista, anti-illuministico, antirazionalistico; il che non ha impedito di svilupparne i presupposti da parte di studiosi che altrettanto certamente non si riconoscono in quel quadro. Ma, nel momento in cui ci accingiamo a discutere dell'utilità di un approccio ermeneutico alla musica, è legittimo non renderci coscienti del "pregiudizio" ideologico da cui esso parte, e non prendere posizione su di esso? (Chi dichiarasse di ispirarsi al filone anglosassone e non a quello tedesco non farebbe a mio avviso che aggirare il problema, come fanno, mi sembra, molti intellettuali radical americani: un segno, forse, del fatto che il positivismo è una pianta ancora molto robusta.) Insomma: crediamo alla neutralità della scienza (e delle scienze umane in particolare), per cui da tutto si può assumere tutto, purché funzioni? O ci identifichiamo con un uso critico della ragione, che ne riconosce i limiti senza per questo mandarla in soffitta? E naturalmente è del tutto rispettabile anche la posizione di chi aderisce esplicitamente e coscientemente a un'ideologia conservatrice. Quel che non si può fare è non prendere posizione: le parole sono gravide di significato, e soprattutto agiscono, e dobbiamo porci il problema di che strada stiamo imboccando quando ne adottiamo una.


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