Archivio Storico:- ex Dipartimento di Musica e Spettacolo - Universita' di Bologna Attività 1997

Conferenze e convegni 1997

 

PRIMO COLLOQUIO DI MUSICOLOGIA DEL "SAGGIATORE MUSICALE"
Bologna, palazzo Marescotti, 21-23 novembre 1997

 

Lorenzo Bianconi,

L'opera metastasiana: prospettive critiche
Relazione introduttiva

 

I saggi in discussione sono i seguenti due, che tutti conoscono bene: R. Di Benedetto, Dal Metastasio a Pergolesi e ritorno. Divagazioni intertestuali fra l'"Adriano in Siria" e "L'olimpiade", "Il Saggiatore musicale", II, 1995, pp. 259-295; R. Mellace, Tre intonazioni dell'"Achille in Sciro" a confronto: Caldara, Leo, Hasse, III, 1996, pp. 33-70.

Sapete anche che, a ridosso del bicentenario della morte (1982), la bibliografia critica sul Metastasio è cresciuta di numero e di livello (e se tanto mi dà tanto, il tricentesimo della nascita, 1998, farà il bis). Nella discussione non potremo non tenerne conto. Cerco di delimitare qui i confini della discussione, i bordi della scacchiera.

Premesse

1. La questione centrale è semplice: l'opera metastasiana è una forma d'arte assente. Tutti sappiamo quanto è importante: esteticamente, storicamente. Ma quasi nessuno può dire di averne diretta esperienza. Il dramma per musica metastasiano (e settecentesco in generale) è un genere teatrale sottratto alla sua esistenza propria: il teatro d'opera. Non solo in confronto a Mozart Verdi Wagner Puccini, anche in confronto al dramma per musica del Seicento: perfin Cavalli Cesti Sartorio "vanno" di più che Vinci Hasse Jommelli.

Questa assenza incide sulla nostra percezione di spettatori, dunque di critici e di storici. Non è data al Metastasio la chance che il festival di Pesaro, poniamo, ha concesso alle opere napoletane di Rossini. La drammaturgia musicale metastasiana è un ens rationis, una nozione incorporea: alla stregua dei neutroni e dei protoni, sappiamo che c'è, sappiamo anche com'è fatta, ma non la vediamo né la tocchiam con mano. Non si dà un'estetica dell'invisibile e dell'impalpabile.

Gli impedimenti sono tanti e tutti buoni: i castrati non figlian più; ci vorrebbero voci smaglianti, ma ai divi della vocalità non cale recuperare anticaglie; l'ancien régime non piace né a destra né a manca; con Freud, lo studio analitico delle passioni ha perso mordente; il nostro sia pur modico fabbisogno di grazia spiritosa e di nobiltà d'animo - il mondo odierno non s'illuda di poterne fare impunemente a meno - è coperto dai vecchi film di Lubitsch e Sternberg; il piacere dell'intreccio drammatico mozzafiato è ampiamente soddisfatto dal cinema di Hitchcock; gli artisti che per loro sventura sono nati ed hanno operato nelle metropoli (come Roma, come Vienna) non hanno dalla loro i magnifici assessorati di provincia, Pesaro Ferrara Bergamo; pesa tuttora, checché se ne dica, il verdetto di De Sanctis, e quello di Gramsci;...

Fatto sta che i filologi (ma anche i musicologi) leggono il Metastasio, i musicologi (ma non i filologi) compitano le partiture dei suoi musicisti, e però né gli uni né gli altri hanno un'immagine teatrale vissuta, propriamente drammatica. Gli uni inscenano i suoi drammi, ben che vada, nel "teatrino della mente"; gli altri si chinano su ogni aria e perdono di vista l'insieme (vor lauter Arien das Drama nicht sehen, dice un proverbio tedesco appena appena ritoccato). Occupandosi del Metastasio, i filologi lavorano per la storia della poesia, i musicologi lavorano per la storia della musica: come potrebbero lavorare per il Metastasio, ossia per un uomo di teatro cui è negato il palcoscenico?

(Le rare volte che un suo dramma va in scena, a lavorare contro sono il concertatore e regista. Il concertatore non si contenta di amputare intere scene e intere arie, ama farle a spezzatino: guadagna tempo cronometrico, e annichilisce il tempo drammatico. Il regista si contenta di due capitelli corinzi, tre cimieri e quattro crinoline - ho veduto una volta a Lugo il Catone in Utica di Vinci dato con scena fissa, talché gli "Acquedotti antichi ridotti ad uso di strada sotterranea", nelle cui tenebre vanno a smarrirsi i personaggi e gli animi al colmo dell'atto III, erano illuminati dallo stesso solleone del "Cortile" che precede e del "Luogo magnifico" che segue - ma poi s'affanna a "movimentar la scena" durante le arie, nella pia intenzione di fugarne l'aborrita "staticità" e col risultato certo di distrarre l'attenzione dello spettatore dalla sola cosa su cui conta in quel momento concentrarla, ossia la musica: memento le ombre cinesi di pulcinelli marpioncelli e colombine salterine con cui Roberto De Simone volle illeggiadrire le angustie di Farnaspe Osroa Emirena nel pateticissimo Adriano in Siria di Pergolesi dato alla Pergola nel 1985.)

2. Contro il Metastasio - e proprio per averlo intonato - lavorano, paradossalmente, gli stessi (pochi) grandi musicisti del Settecento cui i teatri non son preclusi.

Il solo dramma per musica metastasiano che tutti conoscono è immensamente lontano dal Metastasio: La clemenza di Tito di Mozart, poiché è di Mozart, ce l'ha fatta a superare l'interdetto. Calca le scene, conta - pur tra legioni di metastasioscettici - truppe scelte di vivaci aficionados, vanta una bibliografia specifica di tutto rispetto (Rice): è stata studiata per filo e per segno la sua genealogia (Lühning), la sua ideologia (Seidel), la sua collocazione stilistica (Heartz), la tradizione del suo testo (Durante, diss. Harvard), la sua recezione (Senici). Ma con la Clemenza di Mazzolà-Mozart siamo al dramma metastasiano di quarta generazione. Questa conoscenza vissuta è uno schermo in più che occulta il Metastasio d.o.c.

Di Gluck conosciamo, bene o male, le opere "riformate": ma possiamo capire appieno una riforma di cui conosciamo gli esiti, non però il punto d'attacco? Non la fraintendiamo alla radice, concependola come una riforma contro l'opera italiana e non dell'opera italiana (i.e. metastasiana)?

Di Händel, leggiamo che "the strong romantic cast of [his] imagination ... must have been repelled by the stilted characters and moralizing tone of Metastasio's librettos"; e del Metastasio leggiamo che "he manoeuvred his characters like puppets on a political chessboard, subordinating their behaviour to the laboured ramifications of the plot, with the result that for all his edifying intentions they are apt to emerge as morally contemptible. This is the antithesis of Handel's approach" (Dean&Knapp, p. 18). La riprova? Händel avrebbe musicato "solo" tre drammi del Metastasio, stufandosene presto. Falso: dal '28 al '37 Händel allestisce a Londra tutti i drammi italiani del non ancora poeta cesareo (1724-1730), tre con musiche sue e quattro con musiche (arcimetastasiane) di Leo e Vinci.

Che la musica scritta da Vinci Hasse Pergolesi Porpora Galuppi Jommelli Piccinni per i drammi del Metastasio sia più spesso sì che no un distillato d'eleganza, una quintessenza di delizie, un elisir di palpiti e patemi còlti allo stato nascente, lo sanno quattro gatti di musicologi che, avendo accesso ai facsimili Garland, si canticchiano da sé le loro partiture. Per una forma d'arte che ha allietato (o, chissà, tediato) tre-quattro generazioni filate nell'Europa dei Lumi, è un po' poco.

3. Una conseguenza riflessa di questo stato di cose è che al buio tutti i gatti sono bigi. Per inveterata consuetudine, parliamo dell'opera metasiana tout court, consideriamo il fenomeno en bloc. (Accade anche nel titolo di questa tavola rotonda.) La studiamo come un sistema, e poco ci curiamo delle manifestazioni individuali: i singoli drammi, le singole partiture. Per meglio dire, esaminiamo sì i casi individuali, ma più che altro allo scopo di mettere a punto la miglior conoscenza del méchanisme che regola il sistema generale. Allo storico - e soprattutto allo storico dell'arte - compete però di distinguere, più che di generalizzare.

Le vie di fuga correnti da quest'impasse aiutano sì e no. Sono principalmente due, e le vizia il teleologismo. (1) Teleologismo morfologico. Si studiano le micro- e le macroevoluzioni del sistema, dentro il sistema. Si registra l'allontanamento graduale dal modello dell'aria col daccapo come progressiva "emancipazione" dalla "convenzione". (Insospettisce che a farlo siano quegli stessi storici della musica che, se parlano del Seicento, registrano ogni embrione di daccapo come sintomo d'un propizio "progresso".) Si quantifica l'incremento nel numero dei duetti, dei terzetti, dei quartetti come un avventurato allontanamento dal "rigido" modello di partenza (rec.-aria-rec.-aria-...) e come avvicinamento alla "vivacità" del teatro mozartiano. Si saluta l'aggiunta d'un paio di flauti, d'oboi o di corni come una marcia d'accostamento al sinfonismo haydniano. Cose importanti forse per la storia della musica, non per comprendere il senso individuale d'un'opera d'arte. (2) Teleologismo drammaturgico. Nel modello di partenza i personaggi difettano di "coerenza psicologica", divisi come sono tra tanti affetti quante sono le loro arie. Un'idea irriflessa di che cos'è -drammatico', coniata sul dramma naturalistico di fine Ottocento (melodramma italiano incluso) più che sulla drammaturgia classica (da Racine a Lessing), lamenta la staticità delle scene, l'intermittenza del movimento teatrale, la dittatura dell'eloquio forbito: si spia allora ogni pur minimo indizio che punta al movimento continuo, al tumulto, al pittoresco, alla scultorea individualità dei personaggi. La vendemmia che se ne può trarre, anche nei drammi metastasiani di quarta generazione (La clemenza di Tito di Mozart docet), non è incoraggiante.

Prospettive

Assodato che, per la forza delle cose, l'approccio del critico e dello storico al dramma per musica del Metastasio è per ora eminentemente mentale; accertato che importa tuttavia ricostruire (non foss'altro che mentalmente) la dimensione teatrale, la sola che ci può restituire il senso di ciò ch'esso dovette essere (non possiamo certo accettare l'idea che per un secolo intero il fior fiore della classe dirigente del mondo occidentale si sia dilettata d'una forma teatrale deteriore e scimunita): quali strade abbiamo davanti? Ne indico alcune; ma l'elenco si può allungare o riformulare ex novo: è uno degli scopi della tavola rotonda. (Ometto la prospettiva storico-sociale, che indaga il rapporto tra forme di produzione e forma artistica: ha dato risultati importantissimi per la ricostruzione del fenomeno, ma investe genericamente il fenomeno -teatro d'opera', non specificamente l'opera metastasiana.)

 

  1. La prospettiva morfologico-stilistica. È la strada preferita dai musicologi (p. es. Degrada, Gallarati, Strohm nelle sue Italienische Opernarien): conoscere sempre meglio e sempre più precisamente le sottili varianti nel sistema delle forme, per coglierne la flessibilità e la ricchezza, e nel contempo per cogliere le sfumature individuali nello stile (di un dato compositore, cantante, tipo di aria, personaggio).
  2. La prospettiva comparativo-evolutiva. È una variante della prospettiva (1), favorita dalla prassi delle intonazioni multiple. Il confronto tra partiture successive d'uno stesso dramma consente di raggiungere gli stessi scopi di (1), mostrando in più la vitalità (o il deperimento) dell'organismo drammatico. Perciò è una strada percorsa sia dai musicologi (p. es. Mellace su Achille in Sciro, ma già Strohm su Alessandro nell'Indie, l'équipe Ziino sui quattro Ezio di Jommelli, Lühning su La clemenza di Tito), sia dai filologi (Joly su Adriano in Siria, Maeder sull'Olimpiade).
  3. La prospettiva letteraria. Appurato il "logocentrismo" del teatro metastasiano (Sala Di Felice), mette conto di analizzare il sistema metrico (Brizi), il lessico (concordanze, a cura di A. L. Bellina), i temi ricorrenti (Accorsi), l'assetto retorico dell'azione (Maeder), le tecniche poetiche nell'aria (Goldin), le ascendenze letterarie (p. es. francesi: Paratore, Weiss).
  4. La prospettiva vocale. Data la centralità dell'aria, constatato l'(apparente) irrealismo della distribuzione vocale, assodata la legge-base d'ogni drammaturgia musicale (d'Amico: il personaggio è la sua voce), la comprensione del sistema delle voci e delle tecniche canore è essenziale (Durante, Mamy). Siccome la vocalità è una doppia funzione, del dramma da un lato (nel gioco dei parallelismi e delle contrapposizioni di timbri e maniere diverse) e dello stile musicale dall'altro (sviluppo di uno stile musicale cantabile anche in campo strumentale, p. es. con J. Chr. Bach e il giovane Mozart), questa prospettiva si innesta quasi naturaliter sulla prospettiva comparativo-evolutiva (Quetin).
  5. La prospettiva intellettuale. Si riassume principalmente nello studio della dimensione retorico-psicologica, che del teatro del Metastasio rappresenta forse il nucleo vitale. Le ascendenze cartesiane (intuite da Raimondi, accertate da Gronda) meritano di essere precisate alla luce dell'applicazione della psicologia cartesiana al teatro di Händel proposta da Kivy (Osmin's Rage) e alla luce della concezione retorica mutuata dalla tragedia francese (l'idea del personaggio della tragedia classica francese come attore-oratore che "tenta successivamente di provare tutta una serie di maschere tormentate che prefigurano in maniera imperfetta l'ultima", può forse utilmente applicarsi al corredo di arie del personaggio metastasiano: M. Fumaroli, Eroi e oratori, p. 69). Il saggio di Di Benedetto rappresenta una benvenuta estensione della prospettiva intellettuale al lavoro del musicista: Pergolesi non avrà studiato Les Passions de l'âme, ma non avrà neppure lavorato contro Les Passions de l'âme.
  6. La prospettiva ideologica. Il teatro del Metastasio è latore di messaggi funzionali al potere autocratico e alle ideologie che lo sottendono, non senza calcolate varianti (Catone in Utica o Artaserse sono "possibili" a Roma e a Venezia, non a Vienna). È una prospettiva che muove dalla considerazione globale (piuttosto che analitica) del dramma per musica, coltivata sia dai filologi (p. es. Bellina) sia dai musicologi d'indirizzo storico-sociale (p. es. Strohm, L'opera italiana nel Settecento), e si intreccia con la storia della recezione. (Senici, Emanuele, Piana, in lavori d'imminente pubblicazione, documentano l'implicazione francamente reazionaria del repêchage del Metastasio nelle capitali dell'Italia restaurata, Torino in testa.) Nella tavola rotonda, Chegai annuncia una chiave di lettura "umanitaria" (massonica).
  7. La prospettiva antropologica. Anche questa è una prospettiva globale: non parte dall'analisi delle componenti, bensì dal prodotto finale nel suo insieme, includendovi anche la funzione sociale, la cornice spettacolare. La formulazione per ora più avanzata è stata data da Martha Feldman ("JAMS" 1995, "Musica e Storia" 1997), calcando un po' la mano sulla componente rituale come rispecchiamento dell'assetto sociale voluto dal principe promotore dello spettacolo. Feldman sfiora, en passant, anche la prospettiva femministica (buona la domanda: perché nella drammaturgia metastasiana mancano le donne in età, e segnatamente le figure materne?): ci si potrebbe spingere molto più avanti (p. es.: studiare il sistema delle voci e le funzioni teatrali del travestitismo in Siroe o in Semiramide riconosciuta). Nella tavola rotonda, Armellini annuncia una chiave di lettura incentrata sulla "storia delle mentalità". Che ogni drammaturgia implichi un'antropologia (Dahlhaus, in Storia dell'opera italiana VI, p. 100), è un truismo troppo facilmente trascurato da musicologi e filologi. L'opera in musica - il Metastasio in primis - è (stata) la scuola del sentimento, lo strumento sociale dell'educazione emotiva, nell'Italia (e nell'Europa) moderna: anche come tale va studiata e capita.

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