Archivio Storico:- ex Dipartimento di Musica e Spettacolo - Universita' di Bologna Attività 1997

Conferenze e convegni 1997

 

ABSTRACTS
DELLE RELAZIONE TENUTE AL PRIMO COLLOQUIO DI MUSICAOLOGIA.

 

Grazia Magazzù, Canti tradizionali nella Festa "Vara" a Fiumedinisi (Me)
 
Questa festa assume rilevanza particolare per le forme e le modalità con le quali viene svolta. Le molte azioni paraliturgiche che vengono messe in atto si inseriscono nel rituale ufficiale delle celebrazioni religiose e, in diversa maniera, coinvolgono tutta la gente del posto. La festa si svolge in estate, ad intervalli di 5 o 7 anni, in onore della Madonna Annunziata. La Vara è una struttura in legno di notevoli dimensioni che nell'ultimo giorno della festa, adeguatamente addobbata, viene fatta sfilare per le vie dei paese; su di essa, a conclusione dei festeggiamenti, avrà luogo la Sacra Rappresentazione dell'Annunciazione.
Il rituale che porta a questo momento culminante si struttura in una serie di azioni molto suggestive, che hanno luogo fin dai mesi precedenti. Tra queste, sono da citare i Viaggi, processioni in ginocchio effettuate dalle donne del paese, che intonano, lungo il tragitto, un canto polivocale tradizionale. Un altro rito molto interessante è la Serenata alla Madonna, durante la quale vengono intonati diversi brani con accompagnamento di strumenti musicali. Il fulcro della Festa Vara è costituito da una gara di canto che vede impegnati bambini nell'esecuzione del brano tradizionale della Sacra Rappresentazione; dopo una serie di "prove" pubbliche, il popolo sceglierà alla fine tre bambini che impersoneranno le figure della vicenda evangelica: ‘Padre Eterno’, ‘Maria’ e ‘Angelo’. Come si può dedurre da questa breve descrizione, la musica assume una notevole importanza in questa festa; i modelli canori e i brani strumentali che vengono eseguiti durante il suo svolgimento sono molto significativi. Evidenti sono, inoltre i legami dei canti sacri di tradizione orale con altri repertori diffusi in questa zona, appartenenti in larga misura al mondo contadino,

 

Nico Staiti, I Rom Khorakhané e la musica
 
Più che un'etnia suddivisibile in sub-etnie, i Rom sono una casta di specializzati interpreti delle tradizioni e diffusori di cultura. Per la loro provenienza da Oriente e per aver esercitato l'attività musicale professionale in tutte le zone soggette alla dominazione turca, hanno contribuito in maniera rilevante alla formazione dell'attuale patrimonio culturale contadino del sud dell'ex-Iugoslavia, soprattutto della sua componente di derivazione islamica. A questi interpreti specializzati di tradizioni, soprattutto musicali, ritengo vada attribuita una funzione rilevante – assai più di quanto l'organologia moderna non abbia fatto – nell'importazione in Europa occidentale di strumenti e forme musicali di provenienza islamica. Ciò vale soprattutto per i repertori e gli oggetti della musica rituale e di quella domestica: se per quanto riguarda i repertori cerimoniali e militari – e le trombe e i timpani con cui questi venivano suonati – appaiono credibili le teorie che imputano la loro diffusione in Occidente al confronto militare tra Islam e cristianità, soprattutto attraverso le crociate, ciò appare assai meno congruente per altri strumenti e forme espressive che sono peraltro, ancor oggi, appannaggio di alcuni gruppi zingari (Lautari, come Calderashi o Ursari, è tuttora la denominazione di gruppi Rom che si distinguono dagli altri a partire dalla specializzazione dell'attività professionale).
Ai Rom dobbiamo l'importazione e la diffusione in quelle zone di strumenti e forme musicali provenienti da Oriente. Oggi viene da loro un'ulteriore innovazione delle tradizioni musicali locali: lasciati ai contadini (cioè a tutti i non-Rom, da loro ritenuti arretrati e conservatori) oboi e tamburi, essi suonano la musica di tradizione con sassofono, batteria, campionatori.
Questi strumenti rinnovano profondamente la tradizione, ma non la stravolgono e fanno proprio, esasperandone le caratteristiche distintive, il linguaggio degli strumenti che hanno sostituito. I musicisti Rom che si sono trasferiti in Italia in seguito alla guerra nell'ex-Iugoslavia vanno a Tunisi per acquistare tastiere costruite da ditte giapponesi per il mercato arabo, con timbri campionati affini a quelli di oboi, flauti, clarinetti di tradizione, e già impostate su maqam piuttosto che sui modi occidentali. Continuano così ad assolvere il ruolo di mediatori di cultura tra Islam e mondo cristiano che è stato loro proprio fin da quando, secoli fa, si sono affacciati sul Mediterraneo.

 

Saverio Lamacchia, "Solita forma" del duetto o del numero?
 
La domanda nasce dalla constatazione che quella indicata da Harold S. Powers come "solita forma" dei duetti e dei numeri a più voci è una possibile opzione formale anche per l'aria, nel primo quarto dell'Ottocento circa. Pur essendo in assoluto preferita l'aria in tre tempi, quella in quattro tempi gode di particolare favore per un tipo di cantante, il tenore baritonale di forza, come quell'Andrea Nozzari per il quale Rossini scrive quasi esclusivamente arie in quattro tempi, accomunate, oltre che dalla medesima forma, da uno schema drammatico-musicale ben riconoscibile. L'aria in quattro tempi diventerà sempre più rara sul finire degli anni venti, ma non mancano esemplari donizettiani e verdiani di metà secolo.

 

Ralf Rohmann, La "Musique anodine" di Gioachino Rossini: un esperimento estetico?
 
La relazione si occupa dell'estetica vocale dell’ultimo Rossini. Le sei canzoni della Musique anodine (1857), tutte scritte su un medesimo testo di Pietro Metastasio, hanno registri espressivi molto diversi. Analizzando testo e musica, Rohmann discute le interpretazioni offerte dalla critica e conclude che Rossini rovescia i ruoli che testo e musica avevano nella vecchia estetica degli affetti, per esprimere la sua estetica belcantistica "prima la musica e poi le parole".

 

Alberto Rizzuti, Il "Guarany" di António Carlos Gomes, fra donne, cavallier, armi ed orrori
 
L'esame delle fonti è il punto di partenza per un lavoro che, snodandosi fra arti, miti e bassa gastronomia, fa luce sulla genesi del Guarany (1870). L'equilibrio ideologico del romanzo O Guarani di José Martiniano de Alenear (1857) cedette piano piano il passo ad una squallida morale colonialistica. La drammaturgia salvifica dell'opera di Gomes insegna che nel Bene (i bianchi) si nasconde il Male (il bianco cattivo) così come nel Male (gli indios) si nasconde il Bene (l'indio buono). Lungi dal denotare saggezza, la relativizzazione del Bene e del Male rivela una miopia colpevole. Applicate al Guarany, le tesi sull'antropofagia rituale Tupinamba avanzate da Alfred Métraux, Isabelle Combès e Francesco Remotti, svelano implicazioni antropologiche di grande interesse. In questa prospettiva l'opera diventa un’icona del teatro musicale italiano in una fase di transizione finora piuttosto negletta.

 

Anna Tedesco, Scelte lessicali di critici. Sulla terminologia usata per designare il grand opéra
 
L'arrivo del grand opéra sulle scene italiane negli anni quaranta dell'Ottocento è un evento che provoca di volta in volta nella critica musicale italiana entusiasmo, scetticismo, o addirittura sgomento. Da questo sommovimento, però, non sembra coinvolta la terminologia musicale consueta. La mia attenzione si è soffermata in particolare sui termini usati per designare il genere: esaminando i libretti dei principali allestimenti italiani dei grands opéras di Giacomo Meyerbeer, e le critiche ad essi apparse sui giornali specializzati in un arco di tempo che va dal 1840 al 1870, si è rilevato come essi vengano etichettati nella maggior parte dei casi semplicemente come opere, o tutt'al più, come opere "con balli analoghi". La parola grand opéra non compare mai, né in un articolo, né sul frontespizio di un libretto. Il termine "opera-ballo", che sottolinea una delle caratteristiche formali del genere ossia la presenza strutturale di danze, compare (e solo sui libretti) solo raramente, mentre, a partire dagli anni settanta, verrà utilizzato comunemente per designare i pochi titoli della versione italiana del grand opéra (Il Guarany, La Gioconda eccetera). Se dunque esiste da parte della critica la consapevolezza di avere davanti un fenomeno nuovo, o comunque diverso dall'opera italiana, non pare si senta la necessità di coniare parole nuove per definirlo. Tutto ciò è indicativo se paragonato a ciò che avviene con il musik-drama wagneriano. Nel caso di Wagner, già prima dell'arrivo delle sue opere sulle nostre scene, la critica utilizza per esse il termine "dramma musicale". In conclusione, anche dalle scelte lessicali di critici ed editori si può dedurre che il grand opéra non pare segnare, agli occhi dei suoi contemporanei, una cesura dirompente rispetto alla tradizione italiana per quel che riguarda la morfologia del genere operistico, pur essendo considerato innovativo per alcuni aspetti, quali la spettacolarità e la forma della melodia. Al contrario, Wagner sembra portare a termine una frattura insanabile.

 

Antonio Rostagno, Antonio Bazzini: la recezione di Meyerbeer e di Wagner attraverso il sinfonismo
 
Il grand opèra italiano e il poema sinfonico italiano (la ripetizione, inevitabile, indica le varianti nazionali dei due rispettivi generi) sono fenomeni culturali tardivi che hanno principi linguistici ed estetici simili. Tardività non significa epigonismo. Si deve piuttosto parlare di contaminazioni linguistiche su una persistenza di tradizioni. Se nel grand opéra italiano persistenze e contaminazioni sono state ampiamente studiate, per il poema sinfonico italiano manca anche un provvisorio studio, né si ha conoscenza dei maggiori lavori più rappresentativi. Protagonista della formazione del poema sinfonico è Antonio Bazzini (1818-1897), figura che sintetizza alcune tendenze strutturali in atto: 1) fu il solo compositore eminentemente sinfonico nei decenni delle prime società orchestrali italiane; 2) diresse il Conservatorio di Milano quando divenne centro di riferimento nazionale; 3) ebbe fra i suoi allievi Catalani e Puccini, le due alternative al dramma verdiano; 4) il suo linguaggio orchestrale mostra nette somiglianze con quello del contemporaneo teatro verdiano.
L'evoluzione come sinfonista inizia con l'ouverture Saul (1867): il linguaggio si fonda sulla tecnica dei temi ricorrenti ognuno associato ad un personaggio descritto nell'Illustrazione autografa (ediz. Guidi, 1869); il modello è l'ouverture Struensée di Meyerbeer (ediz. Guidi, 1862). I temi lunghi e articolati vengono ripresi e intrecciati con riesposizioni, ma con minimi smembramenti in motivi secondari ("segmentazioni", Döhring), mantenendo invece l'immediata riconoscibilità di primo piano; manca il suggerimento psicologico del motivo conduttore wagneriano, indirizzato alla parte inconscia dell'ascoltatore. Nel successivo Re Lear (1871) i lunghi temi ricorrenti si contraggono in brevi motivi, simili per molti aspetti a quelli della contemporanea Aida (Parker ne segnala alcuni esempi). Il primo poema sinfonico ufficiale è Francesca da Rimini (1879, rev. 1885). Qui Bazzini impiega la tecnica dei motivo conduttore wagneriano, suscettibile di elaborazioni, contrazioni, assemblaggi con altri motivi e montaggi di temi e motivi derivati molto più allusivi e raffinati che in precedenza. Si tratta dell'acquisizione del concetto di sinfonico teorizzato da Wagner in Oper und Drama: una "corrente di motivi" (Besseler) estesa attraverso l'intero discorso musicale, ispirata, secondo Wagner, all'ultimo sinfonismo di Beethoven.

 

Ugo Piovano, Francesco Tamagno: influenza sulle partiture di Verdi e nascita di una nuova vocalità tenorile
 
Il presente studio si occupa dei rapporto fra le partiture di Verdi e le caratteristiche vocali e sceniche di Francesco Tamagno. Il problema è stato considerato in paragone ai casi documentati dei principali interpreti verdiani. Le caratteristiche vocali di Francesco Tamagno sono state ricostruite sulla base delle critiche e delle testimonianze epistolari dell'epoca, del suo repertorio e delle numerose registrazioni fonografiche esistenti. L'analisi delle partiture di Simon Boccanegra, Don Carlo e Otello, scritte o riviste espressamente per lui, mostra in modo evidente come Verdi ne abbia da un lato sfruttato al meglio le doti eccezionali e, dall'altro, ne abbia anche favorito l'evoluzione e maturazione artistica costringendolo a cercare effetti che non era inizialmente in grado di ottenere. In questo modo Verdi riuscì a portare a compimento il progetto, avviato già con Fraschini, di creare un nuovo tipo di vocalità tenorile più completa e moderna.

 

Vincenzo Borghetti, Due sistemi a confronto: "La Fedra" di Gabriele D'Annunzio e la musica di Ildebrando Pizzetti
 
Già prima della sua nascita sui palcoscenici italiani La Fedra, opera che Ildebrando Pizzetti realizzava intonando il testo dell'omonima tragedia dannunziana, suscitava grandi aspettative e alimentava numerose polemiche. Il colpo era grosso o, almeno, avrebbe potuto esserlo. Il poeta più musicale d'Italia avrebbe finalmente trovato la voce adatta alle sue tragedie per mezzo del giovane compositore dell’‘80’.Ovviamente il rapporto tra i due ingegni, benché duraturo e proficuo, non si rivelò cosa facile proprio sul terreno del "dramma musicale latino", vagheggiato da entrambi ma con presupposti e caratteristiche estremamente differenti. La drammaturgia dannunziana mostrava evidenti punti di contatto anche col melodramma di conio italiano (di fatto mai confessati dal D'Annunzio maturo sebbene rilevati, per quanto timidamente, qui e là dalla critica più attenta). Pizzetti, autore di numerosi e ponderosi saggi sull'argomento, procedeva invece sui rigidi binari di una – presunta – ortodossia wagneriana secondo la quale il dramma di un dramma musicale era da ricercare solo nel testo poetico, cui, pena la ricaduta nelle "paludi" dell'opera tradizionale, la musica poteva aggiungere ben poco."Fedra. Tragedia di G. D'Annunzio, musica di I. da Parma" recitavano con aria un po' sostenuta i libretti e gli spartiti, ma il sottotitolo, come si vedrà, calzava come un guanto. La tragedia prescelta non aveva nulla in comune, ad onta del suo nome, con il teatro antico, incarnava invece uno dei punti massimi della tensione di D'Annunzio verso il teatro musicale (l'influenza italiana e wagneriana sono indissolubilmente fuse l'una con l'altra). Tuttavia, nel passaggio a libretto, Fedra sacrificava proprio quegli elementi che il poeta aveva mutuato da questa tradizione (cori, preghiere, scene rituali ecc.) e che meglio di altri avrebbero avuta vita facile nel teatro d'opera, manifestando un rigore drammatico e un'asciuttezza quasi inedite per il teatro dannunziano. Ciononostante la sua fisionomia non ne risultava alterata (come già era accaduto per La figlia di Iorio di Franchetti) e Pizzetti si trovò con Fedra a diretto confronto col vero teatro dannunziano, e non (come Mascagni con Parisina) con una sua versione addomesticata per la scena lirica. Con l'aiuto di metodologie e tecniche d'analisi messe a punto dalla drammaturgia musicale è stato possibile sia leggere il teatro dannunziano alla stregua del teatro d'opera (alcune scene risultano addirittura un'applicazione esemplare nel teatro recitato della "solita forma") sia fondare in modo concreto la sua fascinazione musicale (frutto non soltanto della conclamata abilità del poeta nel disporre armoniosamente le parole). A partire da queste considerazioni sono stati affrontati sia la drammaturgia pizzettiana (calco al negativo di quella dannunziana sia sotto il profilo strutturale sia sotto quello estetico) sia i mezzi drammatico-musicali messi in campo dal musicista per recuperare a suo vantaggio senza forzature troppo appariscenti un testo a lui fondamentalmente estraneo.

 

Daniela Castaldo, Apollo e il pantheon musicale
 
Nelle scene in cui compaiono gli dèi del pantheon greco, sia che rappresentino episodi del mito, sia semplici assemblee, Apollo citaredo è quasi sempre presente. Questo lavoro si propone dunque di definire il ruolo della musica di Apollo rispetto a quella di Dioniso e delle altre divinità che compaiono con attributi musicali. Cercheremo di ripercorrere la fitta trama dei rapporti che uniscono Dioniso e Apollo tra loro e con le altre divinità del pantheon greco, usando come filo conduttore la musica e come terreno di ricerca il vasto e articolato corpus delle pitture vascolari attiche. A tal fine, cercheremo di svolgere una ricerca il più possibile sistematica per verificare – senza ricorrere a spiegazioni esterne all'iconografia e cercando di prescindere dalle interpretazioni tradizionali – quali strumenti musicali e quale tipo di musica fossero propri di Apollo e di Dioniso.
Per quanto riguarda la musica della Grecia antica, l'approccio iconografico è piuttosto insolito: infatti gli studi che si occupano di questo settore della musicologia si sono tradizionalmente basati sui testi, facendo ricorso ai documenti visivi solo a sostegno od esemplificazione delle fonti scritte. Questa indagine invece, ha preso in esame principalmente, le immagini secondo i più attuali orientamenti dell'iconografia classica elaborati nell'ambito delle scuole di Losanna e Parigi. Le scene che compaiono sui vasi, organizzate per serie e ordinate secondo il loro schema iconografico, sono state analizzate in base a criteri interni all'immagine; mentre si è fatto ricorso ai testi soprattutto per rilevare in che misura e per quali motivi la tradizione letteraria fosse parallela o discordante rispetto alle fonti iconografiche. Un'indagine di questo tipo ha reso possibile tracciare un quadro dell'universo musicale della Grecia antica piuttosto diverso rispetto a quello elaborato dalla storiografia musicale tradizionale, basata principalmente sull'analisi delle fonti letterarie.
Ciò soprattutto per la loro scarsità e la loro tipologia particolare: infatti, a parte qualche accenno indiretto in testi che non trattano di musica, la maggior parte della documentazione di cui siamo in possesso è costituita da opere teoriche o pedagogiche. Le notizie sulla musica nei suoi aspetti più concreti e pratici, quali i contesti in cui veniva eseguita o le modalità di reazione, sono rimaste dunque piuttosto vaghe.

 

Donatella Restani, La cultura musicale nell'età di Boezio
 
Questa proposta di studio muove da una certezza acquisita e va, per ora, verso terreni incerti. La certezza è la considerazione che gli importanti studi degli ultimi 50 anni – Marrou, Riché, Berschin, Cavallo e altri, che hanno recuperato i secoli VI-VIII alla storia dell'educazione e, in generale, della cultura – contengono a proposito del ruolo della musica nel sistema formativo solo qualche convenzionale menzione dei trattati di Boezio, Cassiodoro, Isidoro e pochi altri. D'altra parte anche gli storici della musica e gli studiosi di teoria musicale che hanno approntato rigorose edizioni recenti (Bower per tutti), non hanno dimostrato particolare interesse per il contesto storico e gli ampi orizzonti entro cui la musica era collocata e entro i quali, oggi, va certamente ripensata.
Si partirà da una contestualizzazione dei pochi documenti superstiti. Alcuni dei quali non sono ancora stati considerati in questa prospettiva ma sono tali da far intravedere nuove aperture in ambiti che all'epoca erano contigui al sapere musicale (per esempio nel curriculum di scuole alla moda, come quella di Alessandria in Egitto, dalla quale provenivano idee e maestri dal seguito documentato in Occidente e, soprattutto, in Italia). Prima di estendere la ricerca alle antiche e nuove capitali della cultura Milano, Roma, poi anche Lucullanum e Vivarium, si prenderà in considerazione il caso di Ravenna.
Muovendo dalla coincidenza, straordinaria nella prospettiva musicologica, della compresenza di Boezio e di Cassiodoro presso la corte di Teoderico, si andrà a verificare se, in un territorio eccezionale per continuità nella documentazione archeologica, epigrafica, numismatica, letteraria e documentaria, non restino anche per la cultura musicale tracce significative sull'adozione di modelli teorici e di terminologie rimasti poi inalterati almeno sino all'età moderna.

 

Giuliano Di Bacco, Teoria, tradizione e storia (Ri)considerando le fonti della trattatistica musicale tardomedievale
 
Due noti manoscritti si rivelano frammenti di un'antica raccolta più ampia e strutturata, nel primo Cinquecento nelle mani di Pietro Aaron e Giovanni del Lago. Altri esempi confermano l'inadeguatezza delle indagini sinora compiute sull'origine e provenienza dei codici, considerati solo quali contenitori di testi. In una sistematica rivisitazione, le caratteristiche materiali sono poste in relazione con le tipologie di contenuto, anche extramusicale; la qualità di ogni testimonianza, indipendentemente dalla sua fedeltà all'originale, è valutata nel possibile contesto di origine. L'analisi della tradizione come somma di esperienze culturali recupera così allo studio della trattatistica una dimensione piu propriamente storica.

 

Alessandra Fiori, Polifonie semplici nei mss. italiani del '400
 
Una ricerca in atto da alcuni anni, tesa alla ricognizione, allo studio ed eventualmente all'esecuzione di polifonie semplici del repertorio sacro italiano tre-quattrocentesco, ha prodotto la selezione di un nucleo di composizioni interessanti per alcune loro caratteristiche.
I brani sono quasi tutti a quattro voci, hanno andamento sillabico, scrittura accordale e sono notati in modo molto semplice (note dello stesso valore oppure alternanza di lunghe e brevi), talvolta in partitura; nella maggior parte dei casi si inseriscono tra i canti appartenenti al rito della Settimana Santa (non tutte le composizioni sono basate su cantus firmus), il testo è sempre in latino: solo occasionalmente si sono trovati brani misti in latino e volgare.
Una prima indagine ha creato i presupposti per una ricerca esaustiva sulle fonti italiane quattrocentesche, al fine di censire i brani rispondenti a determinati requisiti e, successivamente, poterli esaminare secondo diverse prospettive di ricerca. Un primo sguardo al materiale già catalogato ha messo in luce alcuni aspetti che meritano un approfondimento: le modalità di inserimento di questi canti all'interno dei mss. esaminati (a volte si tratta dell'accorpamento in un fascicolo, altre volte di aggiunte occasionali); la presenza, in fonti differenti, di più versioni di uno stesso brano, indizio della mobilità di un repertorio che veniva continuamente reinventato; il rapporto fra declamazione e notazione musicale.
Queste composizioni sono documenti superstiti di un repertorio di frontiera con la tradizione orale, approdati fortuitamente ad una redazione scritta: la loro esiguità numerica non deve trarre in inganno, poiché essi appartengono probabilmente a quel genere di musica che non aveva bisogno di essere scritto, proprio perché molto praticato. Nel periodo in cui, anche nel nostro territorio, la polifonia fiamminga era la principale espressione del linguaggio musicale colto, questo repertorio testimonia la diffusione di una pratica polivocale autoctona di uso più ordinario o eseguita in ambienti meno altolocati; si auspica che un'accurata indagine sulla provenienza dei manoscritti possa in qualche modo fare luce sugli aspetti legati all'esecuzione ed alla fruizione di queste musiche. La collocazione di queste polifonie tra Medioevo ed età moderna pone una serie di interrogativi che coinvolgono il loro legame col passato (risalendo indietro fino al cosiddetto cantus planus binatim), ma anche con gli avvenimenti successivi: la loro innegabile accordalità è una caratteristica che si pone in modo del tutto innovativo rispetto al repertorio preesistente.

 

Stefano La Via, Dal Tasso a Monteverdi: una lettura aristotelica del "Combattimento"
 
Attraverso l'analisi comparata dell'originale testo poetico tassiano e della sua rivisitazione monteverdiana, è possibile illustrare come il Combattimento (rappresentato a Venezia già nel 1624, poi pubblicato nel 1638) costituisca una delle prime e più fedeli realizzazioni moderne della concezione aristotelica di tragedia. Guidato dai principio drammaturgici della Poetica prima ancora che da considerazioni musicali, Monteverdi sottopone l'episodio centrale della Gerusalemme Liberata, canto XII, a una libera quanto illuminata operazione di taglio, compressione e parziale riscrittura. Fine ultimo di questo suo creativo "ritrovamento" è la rivelazione ancora più completa, sintetica ed efficace di quella "favola tragica complessa" che le ottave tassiane contengono in nuce e che tuttavia non sono ancora in grado di rappresentare. Punto di riferimento dell'analisi sono le definizioni di Aristotele, dei teorici letterari cinque-seicenteschi (compreso il Tasso) e dello stesso Monteverdi.

 

Paolo Gozza, La musica e le passioni: il primo e il secondo Descartes
 
Tra il primo e il secondo Descartes – tra il Compendium musicae (1618) e alcuni scritti della maturità, Traité de l'homme (1632) e Passions de l'âme (1649) – c'è nella storiografia un'indistinzione di cui ha fatto le spese il giovane autore del trattato musicale e che ha finito per confondere due diverse filosofie del rapporto musica-passioni. Le fugaci notazioni del Compendium sull'argomento non muterebbero sostanzialmente neanche dopo l'adesione di Descartes al programma meccanicista (Traité de l'homme) e alle sue conseguenze sulla visione dell'uomo morale (Passions de l'âme); a unificare i due personaggi rimarrebbe "il relativismo" di Descartes in campo estetico-musicale (eg. G. Rodis-Lewis). Intento della mia relazione è distinguere i due personaggi, e argomentare che la visione meccanicistica del mondo porta il secondo Descartes a una concezione della relazione mente-corpo inconciliabile con la scienza rinascimentale del Compendium. La nuova filosofia dell'unione mente-corpo muta anche la spiegazione della relazione musica-passioni, come mostra lo svolgimento delle tematiche musicali nella Correspondance e negli scritti posteriori.

 

Luca Marconi, Marin Mersenne: la musica come "imitazione del movimento delle passioni"
 
Nel più importante trattato musicale di Marin Mersenne, l'Harmonie Universelle, si afferma che "il faut suivre et imiter le mouvement de la passion à laquelle on veut exciter les auditeurs". Per interpretare queste parole, si considererà la relazione tra i discorsi coi quali Mersenne esemplifica tale principio e le teorie aristoteliche sull'ethos musicale, mostrando come in tali discorsi si possa individuare una posizione sull'argomento diversa da quella di altri umanisti musicali come Gioseffo Zarlino e Girolamo Mei.

 

Antonio Lovato, Diego Toigo, Anna Vildera, Progetto per lo studio delle fonti di musica liturgica dell'Italia nord-orientale
 
Il progetto Centro di documentazione per lo studio delle fonti di musica liturgica (CDFLM), presentato al CNR dalle Università di Padova, di Bologna e di Venezia, ha come obiettivo la creazione di un centro in cui confluiranno sia materiale bibliografico specialistico (microfilm, pubblicazioni, edizioni discografiche), sia i risultati del lavoro di catalogazione e collazione delle fonti effettuato dai collaboratori al progetto. Caratteristica fondamentale è la selezione delle fonti da catalogare sulla base di criteri storico-geografici, giustificati da:
1) motivazioni scientifiche: la ricerca condotta sinora ha evidenziato parentele significative nell'area dell'Italia nord-orientale;
2) auspicabile azione di supporto del Centro ai corsi di laurea in Conservazione dei Beni culturali ad indirizzo musicale, situati in questa zona geografica (Udine, Venezia, Ravenna);
3) possibilità di lavorare in loco, con notevole risparmio di costi ed energie.
Non si tratta di una linea di ricerca chiusa, bensì di una scelta metodologica, che permetta di limitare il numero delle fonti da catalogare grazie ad un criterio logico e non casuale: l'area circoscritta, consentirà inoltre di proseguire l'indirizzo di ricerca già avviato, stabilendo mano a mano quali saranno le altre vie da percorrere per un ampliamento del confronto, sulla base dei dati e delle corrispondenze riscontrati nella collazione con i repertori editi (es.: Europa nord-orientale; area beneventana).
Ogni fonte presa in esame costituirà un ciclo di ricerche analitiche, suddiviso nelle seguenti fasi:
1) catalogazione con il programma ARCHIVUM;
2) identificazione dei testi (ed eventualmente delle melodie), in base a confronti con altre fonti edite, ove possibile;
3) estrapolazione degli unica o dei brani rari o significativi, comprendente:
a) edizione critica dei testi;
b) edizione critica delle musiche (se riportate dalla fonte o se in grado di essere ricostruite).
Sono previsti anche collegamenti con altri progetti, tra i quali sono già stati attivati: 1) partecipazione al progetto per l'accesso ai fondi MURST dei 40%, che si prefigge l'informatizzazione della catalogazione liturgico-musicale, utilizzando il data-base ARCHIVUM, elaborato a tal fine;
2) scambio di informazioni con il Bruno-Stäblein-Archiv dell'Università di Erlangen (Germania), il Corpus Troporum (CT) di Stoccolma, l'Università di Basilea (prof. Wulf Arlt).
Sono invece ancora in fase di discussione: 1) collaborazione con CANTUS Project (prof.ssa Ruth Steiner, Catholic University of Washington); 2) possibilità di prestito scambievole di microfilm con altri enti (ad es. il Bruno-Stäblein-Archiv).

 

Francesco Facchin, Recezione dell'opera di Francesco Landini fra '300 e '400
 
Nel termine 'recezione' convergono più significati: dai problemi che la trasmissione del repertorio nelle sue fonti scritte fa sorgere, alla diffusione e dispersione delle varie fonti, il loro grado di affinità con un possibile antigrafo o le loro divaricazioni rispetto ad una tradizione più o meno consolidata, sia relativamente ai testi poetici sia a quelli musicali. In questo contributo ho tentato di applicare alcuni concetti oggi in uso nella valutazione del grado di diffusione di opere soprattutto scientifiche. Si tratta del concetto di Impact factor rispetto al Citation index. Ricorderemo che l'Impact factor viene definito come "la misura della frequenza con cui un "normale articolo" in una rivista è stato citato in un particolare anno. L'Impact factor è fondamentalmente una proporzione tra le citazioni e i recenti titoli citabili pubblicati" (Journal Citation Reports. A Bibliometric Analysis of Science Journals in the ISI Database, Philadelphia, Institute for Scientific Information, 1995, p. 10. Naturalmente nel caso specifico la definizione va interpretata in modo estensivo). Il Citation index "è una lista alfabetica, dal primo autore, di titoli citati in note a pié di pagina o bibliografie di un articolo-fonte" (Journal Citation Reports. A Bibliometric Analysis of Science Journals in the ISI Database, p. 10).
Partendo da tale presupposto il campo di osservazione è stato limitato all'aspetto musicale. Per quanto concerne l'opera di Francesco Landini, inizialmente si è ricercata la presenza di citazioni di sue opere soprattuto negli incipit di altri autori. Un'ulteriore osservazione, conseguente alla necessità di spiegare perché alcune ballate abbiano assunto un testo di laude, ha portato a valutare meglio il fenomeno. Si ipotizza che la penetrazione di alcune opere di Landini non si sia limitata a brevi citazioni o allusioni nei soli incipit, o in brevi sezioni melodiche di tenor, ma abbia interessato le strutture stesse di alcune composizioni con elaborazioni-variazioni ampie, nelle quali è sempre apprezzabile il riferimento all'originale di Landini.
Questo primo esame ha così evidenziato la non infrequente presenza sia di incipit, anche di soli tenor, sia di formule ritmiche variamente modificate tipiche dello stile di Landini, sia di ampie elaborazioni di intere ballate.

 

Nicoletta Guidobaldi, Les images de la musique à la Renaissance. Database e progetti di ricerca sull'immaginario musicale del Rinascimento.
 
La costituzione di un database sulle immagini musicali dei Rinascimento è stata avviata al C.E.S.R. (Centre d'études Supérieures de la Renaissance) di Tours come parte dei programma internazionale di documentazione musicologica "Ricercar". La base iconografica – concepita in modo da costituire al tempo stesso un luogo privilegiato di consultazione e uno stimolo all'elaborazione di studi, tesi e dissertazioni – è funzionale allo sviluppo di un ampio progetto di ricerca interdisciplinare sul ruolo della musica nell'immaginario dei Rinascimento.
La base si arricchisce progressivamente grazie alla catalogazione sistematica di raffigurazioni a soggetto musicale; i dati sono via via inseriti in schede informatizzate, modificabili e consultabili fin d'ora al C.E.S.R., disegnate in modo da consentire ricerche per autore, titolo, data, collocazione, tema iconografico ecc. L'adozione di nove campi descrittivi standard, definiti nel corso delle Journées d'étude su Catalogage et informatisation en iconographie musicale (C.E.S.R., 1994) facilita gli scambi d'informazioni con altre basi iconografiche già attive o in via di organizzazione (a Monaco, lnnsbruck, Parigi, Milano: cfr. compte rendu di Florence Gétreau, in "Musique, lmages, lnstruments", I, 1995, pp.192-193). In alcuni casi è prevista la pubblicazione in forma sintetica di schede e foto; per raccolte di particolare rilievo e consistenza, i dati vengono pubblicati in forma integrale, preceduti da un'introduzione critica, nella collezione "Ricercar": è in corso attualmente la preparazione del catalogo dei dipinti dei Louvre, cui farà seguito uno studio sulle figure musicali nei trattati cinquecenteschi di emblematica.
La principale direzione di ricerca per i prossimi anni (in collaborazione con i Dipartimenti di Storia dell'arte e di Iconologia dei C.E.S.R.) riguarderà la rappresentazione della musica nelle decorazioni dei palazzi signorili italiani, e in particolare il significato di figure e temi musicali (la musica come arte liberale, il Parnaso, l'invenzione della musica, ecc.) nell'ambito dei programmi iconografici celebrativi dei XV e XVI secolo. La ricerca intende studiare la struttura e le modalità di trasmissione dei temi iconografici e le loro intersezioni e trasformazioni, in relazione alle attività e agli ideali musicali dei diversi ambienti. La prima fase del lavoro consisterà nel censimento dei cicli decorativi, nella raccolta di foto, descrizioni, progetti iconografici, e nella compilazione di schede in cui ampio spazio sarà dedicato all'individuazione degli elementi che confluiscono nell'immagine musicale (tradizioni letterarie e figurative, riferimenti a motivi interni all'ambiente, o ad eventi musicali e spettacolari riconoscibili, ecc.). Dal punto di vista materiale, la ricerca dovrebbe condurre ad un repertorio iconografico organizzato in senso cronologico, geografico e tematico; per le raffigurazioni dei miti musicali, e più in generale della musica "all'antica", è previsto un approfondimento specifico, sulle fonti classiche utilizzate dall'artista (per es.: Muse nel Pamaso di Raffaello: sarcofago Mattei). I risultati di questa indagine – che completa e sviluppa gli studi intrapresi dal Warburg lnstitute – dovrebbero permettere una valutazione globale dell'impatto dei modelli figurativi classici sulla rappresentazione dell'antichità musicale nel Rinascimento. Oltre alla pubblicazione di questi repertori, la ricerca darà luogo a indagini incrociate sulla storia delle immagini musicali e degli ambienti che le hanno prodotte: una sorta di geografia e storia dell'iconografia musicale, da pubblicare in uno studio collettivo. La struttura di questo studio verrà precisata nel corso di incontri di bilancio e riflessione, fissati al termine di ogni fase di lavoro: il primo, previsto per l'autunno 1998, sarà concentrato su tematiche quattrocentesche.

 

Antonio Vassalli, Angelo Pompilio e Concetta Assenza, Repertorio della poesia italiana musicata dal 1500 al 1700
 
La ricerca, avviata nel 1977 da Lorenzo Bianconi e Antonio Vassalli, si proponeva in origine l'obiettivo di identificare il massimo numero possibile di autori dei testi messi in musica nei secoli XVI-XVII sulla base dell'incipitario del Nuovo Vogel. Dopo una prima ricognizione delle fonti letterarie – che ha consentito di individuare circa 2500 raccolte di poesia di autori attivi fino alla metà del Seicento – si è passati alla consultazione diretta delle fonti per l'identificazione dei singoli testi. Questa fase della ricerca, oggi conclusa, ha consentito di identificare circa 9000 testi e di compilare 1300 schede bibliografiche delle raccolte di poesia consultate. Tutti i materiali elaborati sono stati riversati su supporti informatici e sono consultabili, da un anno, presso le due istituzioni che hanno sostenuto questo progetto di ricerca: il Dipartimento di Musica e Spettacolo dell'Università di Bologna e l'Istituto di Studi Rinascimentali di Ferrara. Di questi materiali si prevede anche la pubblicazione (nel 1998) in un volume a stampa nella collana Biblia. Biblioteca del libro antico, diretta da Amedeo Quondam, per i tipi della Editrice Bibliografica di Milano.
Nella descrizione bibliografica di ciascuna fonte consultata si riporta: la trascrizione completa del frontespizio, le note tipografiche, il colophon, la paginazione, il dedicatario, eventuali stralci della lettera dedicatoria, la data della dedica, il dedicatore, stralci di eventuali prefazioni o altri testi introduttivi, l'elenco completo degli autori dei testi ospitati nella raccolta, l'elenco delle persone citate nei testi delle dediche e delle prefazioni, il tipo di indice, un'indicazione del numero di testi poetici presenti (computati per forma metrica), la sigla della biblioteca e la segnatura; per ciascun testo identificato si dà: il nome del poeta, l'incipit (i primi due versi trascritti in forma normalizzata), la forma metrica, il riferimento alle fonti letterarie con l'indicazione della pagina, altre eventuali indicazioni presenti nelle fonti (il titolo, l'occasione, la dedica o altre didascalie), i rinvii ai repertori bibliografico-musicali (Nuovo Vogel e Vogel-Einstein per le raccolte collettive). L'edizione a stampa sarà articolata in due parti: l'incipitario (primi due versi, forma metrica, nome del poeta, rinvio alle fonti letterarie, rinvii ai repertori) e la descrizione bibliografica delle fonti (frontespizio completo, note tipografiche, dedicatario, data della dedica, paginazione, biblioteca e segnatura, rinvii agli incipit). La seconda parte sarà articolata in due sezioni: la prima conterrà un indice di tutti gli autori con la descrizione delle raccolte individuali, la seconda quella delle raccolte collettive, disposte in ordine cronologico. L'esperienza maturata in questi venti anni di ricerca ha tuttavia messo a nudo una serie di problemi pratici e di metodo nella individuazione e nella elaborazione dei materiali di questo repertorio che ancora oggi hanno bisogno di ulteriori verifiche e approfondimenti. La vastità dei repertorio, la variegata tipologia delle fonti, l'incompletezza e l'incerta attendibilità dei repertori di riferimento esistenti sono alcune delle ragioni che inducono a considerare il risultato finora raggiunto soltanto una prima, importante tappa del progetto. In particolare è stata avvertita la necessità di dover disporre di repertori di fonti musicali più affidabili di quanto non siano il Nuovo Vogel e il Vogel-Einstein (con incipit omessi o troppo brevi, o estesi arbitrariamente). Il lavoro di verifica degli incipit identificati è stato condotto pertanto direttamente sulle fonti musicali e per questa ragione è stata presa, di recente, la decisione di avviare un lavoro sistematico di revisione dei due citati repertori di fonti di musica profana a stampa: questa revisione, tuttora in corso, si spera di poterla ultimare nei prossimi due anni. Il progetto, in corso presso il Dipartimento di Musica e Spettacolo dell'Università di Bologna, si è avvalso dei contributi finanziari del Fondo Nazionale Svizzero per la Ricerca, del MPI e poi del MURST, dell'Università di Bologna, dell'Istituto di Studi Rinascimentali di Ferrara. Al progetto hanno collaborato: Livio Aragona, Cecilia Luzzi, Gian Mario Merizzi e Roberta Ziosi.

 

Frans Wiering, Multimedia nel Rinascimento. Il Thesaurus musicarum Italicarum (TMI)
 
I mezzi elettronici per la ricerca musicologica hanno avuto impiego e si sono sviluppati a partire dagli anni Sessanta. Inizialmente ciò accadeva su piccola scala, ma l'arrivo del PC e di Internet ha accelerato enormemente tale processo. Oltre allo sviluppo del software si è intrapresa anche la realizzazione di grandi archivi di dati. L'idea di fondo consiste nel fatto che l'operazione di ricerca di informazioni sulla grande quantità di materiale originale può essere svolta in modo più efficace e affidabile tramite il computer rispetto al metodo manuale.
Una delle iniziative più note in questo campo è costituita dal "Thesaurus musicarum latinarum", un database di testi-ASCII di un grande numero di trattati sulla musica in latino del tardo mondo antico, del Medioevo, del Rinascimento. In realtà molti dei più importanti trattati del Rinascimento sono scritti in altre lingue, e soprattutto in italiano. Per rendere possibile la consultazione in forma elettronica anche di questi trattati in italiano, il Dipartimento Computer e Lettere ha intrapreso l'iniziativa di un progetto analogo: il "Thesaurus musicarum italicarum" (TMI). La prima fase di questo progetto si è conclusa di recente con la pubblicazione di un CD-ROM sperimentale dei trattati di Gioseffo Zarlino (Le istituzioni harmoniche, 1558 e le prime tre parti Tutte le opere del 1589).
Il TMI è stato progettato come un'applicazione dei SGML (Standard Generalized Markup Language). SGML ha tra le altre possibilità: 1) inserire varianti e note critiche al testo mantenendo la versione originale; 2) combinare testi, suoni e immagini in maniera intuitiva; 3) stabilire collegamenti con altri documenti sul proprio computer o sul WWW.

 

Fiamma Nicolodi - Paolo Trovato, Notizie sul "Lessico della musica e della critica musicale italiana, 1500- 1960" (LESMU)
 
Il LESMU è un progetto finanziato dal MURST, al quale partecipano una ventina di studiosi di 6 sedi universitarie e di vari conservatori. Si tratta di una banca dati, che raccoglie schede lessicografiche ricavate da opere a stampa di letteratura musicale in latino e in italiano apparse tra il 1500 e il 1960.
Obiettivi
L'obiettivo della ricerca è una raccolta di esempi della terminologia musicale, organizzata in ordine cronologico, che sia più ampia e precisa degli strumenti finora disponibili (dizionari storici d'italiano, ove la musica è sottorappresentata; lessici musicali, in genere più attenti all'evoluzione storica che alla documentazione lessicografica). Allo scopo si è individuato, un corpus di varie centinaia di testi di interesse musicale che i compilatori spogliano in modo selettivo servendosi di una scheda lessicografica cartacea appositamente concepita. Dopo essere state controllate dai revisori le schede, cartacee così compilate vengono immesse nel programma informatico DBT (Data Base Testuale). Allo stato attuale sono state immesse più di 10.000 schede (pari a 1.200.000 parole). Si prevede che la banca dati debba raggiungere una dimensione di ca. 2.000.000 di parole. La banca dati si modella sui grandi dizionari storici (cartacei) delle principali lingue europee (Crusca, ecc.) secondo un'articolazione a due livelli: 1) definizione delle parole; 2) ampio repertorio di esempi storicamente disposti. La mira è rivolta, oltre alla comprensione dei testi, ai diversi modi di porsi della critica musicale: mutuazioni terminologiche da altre discipline, formulazione di giudizi di valore mediante aggettivi, ricerca di una lingua semplice per scopi divulgativi o, viceversa, arricchimento del livello analitico per fini elitari, frequente ricorso a metafore descrittive, elusione dei linguaggio tecnico, ecc.
Come si è anticipato, si schedano (ben inteso, non integralmente) tutte le fonti relative alla musica pubblicate in italiano e in latino nel nostro paese, incluse le traduzioni italiane dei più importanti testi stranieri, spesso fondamentali per la circolazione delle idee. Lo spoglio di tutta questa letteratura (trattati, epistolari, biografie, pamphlets, ma anche prefazioni a partiture, dedicatorie di saggi ecc., con una parca assunzione di scritti di organologia) non è mai stato intrapreso in maniera sistematica.
Metodologia, software e organizzazione del lavoro
La maggior parte dei ricercatori, organizzati in unità operative autonome, si occupa di schedare su moduli cartacei i termini della critica musicale contenuti nel corpus di cui si è detto con i relativi contesti, definizioni ecc. Per evitare sprechi (di tempo e di memoria elettronica), dato un determinato contesto, lo schedatore può scegliere un solo lemma e compilare una sola scheda lessicografica (gli altri lemmi di rilievo eventualmente presenti in quel contesto sono individuabili mediante un uso appropriato del programma informatico, che consente di interrogare la maggior parte dei campi della scheda). La procedura utilizzata per la banca dati lessicale è Pi-System, realizzata da E. Picchi (Istituto di Linguistica computazionale, CNR, Pisa). È composta da due moduli integrati: WSLexxik e DBT. Il primo modulo, WSLexxik, permette la creazione e la manutenzione di archivi strutturati ed è fornito di appropriate funzioni per la gestione di materiale bibliografico, con particolare riferimento a documentazioni basate su analisi testuali. Il secondo modulo, DBT (una procedura brevettata CNR, impiegata, tra l'altro, nel noto CD-ROM della LIZ, Letteratura italiana Zanichelli, e ora disponibile in versione per Windows), permette l'indicizzazione automatica degli archivi generati da WSLexxik e rende disponibile, oltre ad applicativi personalizzati per l'utilizzazione di tale materiale, la procedura di interrogazione interattiva propria del DBT. (È particolarmente comodo studiare le co-occorrenze dei tipo 'basso' + 'continuo', costituendo famiglie di parole tramite gli operatori booleani AND e OR. Facile anche introdurre restrizioni, cronologiche o di lingua o di genere o altro: per es. cercando tutte le attestazioni di 'bisdiapason' o 'disdiapason' anteriori al '700.) Già ora il corpus delle schede immesse nella banca dati è molto più ricco di quello offerto negli attuali dizionari storici dell'italiano: dove le fonti musicali presenti sono, mediamente, 26 e il picco è costituito dalle 50 fonti musicali dei vecchio Tommaseo-Bellini.
Utilizzazione del prodotto
Oltre ai normali controlli lessicografici, il ricorso alla banca-dati così costituita – possibile da quando, nel 1995, si sono immessi i primi dati –, consente già da ora la produzione di lavori scientifici impostati sotto forma di monografie tematiche attente all'evoluzione semantica dei termini più significativi.

 

Marina Mayrhofer, Angeli, demoni e spettri: all'Opera si canta in tedesco. Tematiche e formule stilistiche nell'opera tedesca del primo Ottocento.
 
Il progetto di ricerca è impostato sulla seguente tesi: individuare le principali matrici stilistiche corrispondenti a tre specifici aspetti, ricorrenti con alterna incidenza nelle tematiche dell'opera tedesca del primo cinquantennio dell'Ottocento: dimensione fantastica, identità tedesca e carattere popolare. Oggetto di analisi sono tre opere, indicative dell'evoluzione di alcune formule drammaturgiche nel periodo preso in esame: Fidelio di Beethoven, Der Freischútz di Weber, Der fliegende Holländer di Wagner.
La componente fantastica è senza dubbio più palese nelle due romatische Opern di Weber e Wagner, dotate rispettivamente di diavoli e spettri mentre in Beethoven l'Engel-Leonore, oltre ad essere personaggio, esprime una valenza ideologica che presuppone il tema dell'Erlösung, ampiamente rappresentato nell'opera tedesca dell'Ottocento e già presente in Freischütz e Fliegende Holländer.
L'indagine parte dai generi che interessano i tre campioni scelti. Il Singspiel, infatti informa con la sua struttura specifica sia Fidelio che Freischütz. Ma l'opzione per questa formula non è esclusiva: altri generi sono infatti individuabili. In Fidelio quello dell'opéra de sauvetage, comporta, quasi implicitamente, l'uso del Melodram. Tale formula, pur mutuata dal teatro francese, assume tuttavia nell'opera di Beethoven precisi significati concettuali riconducibili all'impostazione a tesi dell'opera. Singspiel a tutti gli effetti, Der Freischütz, fu definito da Weber eine romantische Oper. Studi recenti hanno però individuato in quest'opera molti stilemi di filiazione francese, segnatamente per ciò che concerne la categoria del popolare, ampiamente rappresentata nell'opera.
In merito alla denominazione di "opera nazionale tedesca", sono state prese in considerazione, oltre alle circostanze storiche che incisero sull'appellativo, specifiche peculiarità stilistiche che giustificano, sul piano più strettamente drammaturgico, una tale terminologia. Si sono infatti osservate analogie tra la tecnica teatrale del musicista ed alcuni criteri narrativi caratteristici della scrittura di un altro grande romantico, E. T. A. Hoffmann. Nel saggio, premesso alla recente edizione dell'antologia Romantici tedeschi (Milano, Rizzoli, 1995), O. Bevilacqua mette in rilievo, prendendo in esame i celebri Racconti di Hoffmann, il procedimento, caratteristico dello stile dello scrittore ed emblematico dell'estetica romantica tedesca, che istituisce, spesso, il repentino passaggio dall'heimlich (quotidiano, domestico, rassicurante) all'unheimlich (arcano), suscettibile, a sua volta, d'immediata reversibilità. Lo stesso criterio, applicato alla drammaturgia musicale, si può riscontrare in II, 6-8 e in III, 14 del Freischütz di Weber. Anche Wagner in Fliegende Holländer (II, 4) sembra ricalcare la tecnica hoffmanniana, secondo misure drammaturgiche molto simili a quelle già attuate da Weber. In questo senso la sensibilità romantica di segno squisitamente tedesco incide sul trattamento del soprannaturale, che diventa categoria psichica, capace di alterare lo stato d'animo dei personaggi.
Il carattere popolare, tanto in Freischútz che in Fliegende Holländer, scaturisce essenzialmente dall'impiego di leggende, fonti primarie delle due opere. La lettura drammaturgica si esercita essenzialmente attraverso la descrizione di una natura animistica, fatta di foreste nell'opera di Weber e di mare in quella di Wagner, sul cui sfondo si materializzano diavoli e spettri.
Appare così tracciato un percorso che porterà lontano; ne scaturirà un drammaturgia complessa, su più versanti, custode tenace, tuttavia, della propria identità tedesca.

 

Antonio Carlini, Attività vocali collettive nell'Italia dell'Ottocento. Indagine preliminare
 
L'attenzione riservata alla dimensione corale – da intendersi sia come momento privilegiato di una "educazione" alla musica, sia come produzione di musica destinata a formazioni vocali o come incentivazione al formarsi e al diffondersi di compagini corali – appare tra i fenomeni significativi della committenza musicale ottocentesca. Nella tradizione storiografica il fenomeno in Italia è stato prevalentemente considerato a latere del più ampio discorso sull'espansione del melodramma e sulla evoluzione della funzione drammaturgica riservata al coro nel passaggio tra il teatro musicale settecentesco e quello del secolo XIX. In questo contesto la funzione simbolica della massa corale, eletta a metafora del popolo "risorgimentale", conosce ampie ed approfondite riflessioni. Assai meno indagato invece è quanto accade nel settore corale al di fuori dell'ambito teatrale: un 'esterno' di cui il melodramma è insieme causa (per quel fenomeno di divulgazione che innesca anche l'espansione delle bande) e conseguenza (come indicatore dell'affermarsi di strategie socio-politico-culturali di tipo borghese-democratico). Di fatto l'espandersi del costume corale nell'Italia ottocentesca conferma nell'attività del coro l'individuazione d'un ottimo mezzo per propagandare gli ideali portanti della costruenda, e poi costruita, nazione italiana. Capace di distribuire con un meccanismo partecipativo (e non semplicemente imposto dal potere) i nuovi valori (Dio - Patria - Famiglia), il coro diventa referente principale di quel repertorio innodico religioso o civile, che serviva a finalità sia celebrative che educative. L'evidenza di una perfetta funzionalità socio-politica si realizza poi nell'intervento dello Stato, che afferma perentoriamente il valore formativo (politico) della pratica corale, inserendone l'esperienza nei programmi della scuola pubblica, facendo propria una pedagogia musicale già conosciuta in orfanotrofi e collegi dei vari ordini religiosi. All'ambiente del teatro (va ricordato che nel sistema teatrale italiano le masse corali, dapprima di tipo professionale, diventano sempre più legate al mondo del dilettantismo locale in corrispondenza del loro più massiccio utilizzo), a quello della chiesa (dove l'antica cappella assorbe sempre più laici aprendosi ad altre pratiche repertoriali), a quello della scuola, vanno poi aggiunte le nuove realtà di tipo associazionistico ( mutualistiche, sportive o dopolavoristiche che siano): l'organizzazione del tempo libero spesso comprende la dimensione collettiva, socializzante dei cantare assieme. E sono queste ultime realtà – diffuse soprattutto nel mondo urbano artigianale – a fornire, il tramite tra l'antico universo colto e l'altrettanto antica tradizione dei canto popolare, non senza conseguenze interessanti per l'uno e per l'altro settore. Predisponendo una suddivisione della materia in tre grandi, categorie, legate all'associazionismo, all'educazione, ed all'attività professionale, si possono individuare per ciascun capitolo i seguenti percorsi di ricerca:
1) Associazionismo: dimensioni legislative e organizzativi attraverso la lettura dei regolamenti e degli statuti; attività sociale, composizione sociologica; azione d'appoggio della chiesa e poi dei partiti e del potere in genere per indirizzare il consumo del tempo libero; differenze con le analoghe esperienze europee.
2) Educazione: imposizione del canto religioso nelle fasce primarie della scuola e poi del canto civile, non solo "come educatore del cuore e della mente, ma anche come ginnastica per gli organi della respirazione"; intervento istituzionale (scuola dell'obbligo e movimento ceciliano) per "addolcire" l'emissione vocale; inventario/analisi dei metodi.
3) Canto professionale: l'esercizio dell'attività vocale in ambienti specifici (chiesa, teatro, sale da concerto) suggerisce presenze regolari più o meno retribuite, caratterizzate ciascuna da specifiche modalità comportamentali.

 

Gabriella Biagi Ravenni, Michele Girardi, L'epistolario di Giacomo Puccini: l'edizione critica nell'epoca dell'informatica
 
1. Nonostante il favore di pubblico da sempre riscontrato, Giacomo Puccini è stato prima denigrato da rivali meno dotati, bistrattato da critici puristi, contestato dalla critica italiana del suo tempo come rappresentante della piccola borghesia, poi osteggiato da una classe pseudo-elitaria imbevuta di pregiudizi idealistici. Con il risultato che gli studi scientifici su di lui ne hanno fortemente risentito. La musicologia di rango – soprattutto quella anglosassone, con pochissime eccezioni italiane – ha cominciato a dedicarsi alle sue opere solo recentemente. Quasi tutta la bibliografia – una messe davvero incredibile – prodotta prima deve essere vagliata attentamente: le biografie indulgono per lo più all'aneddoto, e i numerosi volumi che raccolgono parte dell'epistolario non seguono criteri filologici, né mostrano alcun coordinamento nelle indispensabili annotazioni; limitate raccolte di lettere sono inoltre contenute in pubblicazioni minori, di respiro locale, con una circolazione pressoché nulla. Oltre alle lettere pubblicate, ne esistono molte ancora inedite (di proprietà di collezionisti, o custodite in biblioteche) che alcuni collaboratori della ricerca proposta hanno individuato e segnalato. Altre ancora continueranno sicuramente a venire alla luce, soprattutto nel mercato antiquario: un censimento provvisorio ne segnala oltre 4000, tra edite e inedite.
2. L'obiettivo della ricerca è creare un data base di tutte le lettere di Giacomo Puccini, edite e inedite, che permetta una indicizzazione a più livelli e un'analisi del linguaggio, come punto di partenza per la realizzazione di altri obiettivi futuri, come l'edizione critica complessiva dell'epistolario, nel doppio formato, cartaceo ed elettronico (con applicazioni multimediali).
La ricerca si articolerà nelle seguenti fasi:
a) raccolta di tutte le pubblicazioni esistenti che contengano lettere di Giacomo Puccini;
b) riproduzione di tutte le lettere inedite che i collaboratori hanno già individuato e censito;
c) ideazione, con la collaborazione dei CISIAU (Centro interdipartimentale di servizi informatici per l'area umanistica), del CIBIT (Centro interuniversitario biblioteca italiana telematica) e del Centro di linguistica computazionale dell'Università di Pisa, di una scheda tipo che si adatti agli scopi sopra descritti.
Seguiranno:
d) inserimento dei dati;
e) scansione delle lettere già pubblicate e di quelle inedite;
f) analisi del linguaggio epistolare pucciniano tramite l'utilizzo del programma DBT di text-encoding progettato da Picchi del Centro di linguistica computazionale;
g) realizzazione di un catalogo informatico di tutto l'epistolario, con indicizzazione completa;
h) sintesi dei risultati del lavoro di analisi del linguaggio.
3. Dopo aver riunito tutte le fonti, e aver formulato la scheda-tipo, ogni lettera verrà schedata in modo tale che emergano i seguenti dati:
a) datazione topica e cronica (presente o desunta, quindi proposta);
b) destinatario;
c) sintesi dei contenuto;
d) elenco dei nomi di persone, enti/istituzioni, luoghi, opere letterarie, composizioni musicali citati o a cui si allude.
La realizzazione della singola scheda richiederà ovviamente una consultazione continua delle schede già realizzate e di tutta la bibliografia pucciniana, e soprattutto non pucciniana, che consenta la datazione (se non presente), l'identificazione di persone, enti/istituzioni, luoghi, opere letterarie, composizioni musicali.
4. Il progetto ha ottenuto dal CNR fondi per il 1997, ed è stato aggiornato e ripresentato nel 1998; ha sede presso l'Università di Pisa e Gabriella Ravenni figura come responsabile scientifico presso il CNR; i collaboratori sono: Julian Budden, Gabriele Dotto, Michele Girardi, Arthur Croos, Jürgen Maehder, Dieter Schickling.

 

Elisabetta Pasquini, Materiali sonori e archiviazione, catalogazione e conservazione. Il caso di due discoteche storiche d'opera
 
Da ormai alcuni anni l'attenzione degli studiosi per i documenti musicali del nostro secolo si è timidamente rivolta anche ai materiali sonori, intesi non solo come mezzi di trasmissione di informazioni, ma anche e soprattutto come beni culturali da tutelare. Chi scrive si sta occupando della catalogazione e dello studio di due discoteche storiche conservate in Emilia-Romagna, tra le più importanti per dimensioni e valore storico-documentario fra quelle pubbliche in Italia dopo la Discoteca di stato. La raccolta "Agosti", conservata presso il Teatro Municipale Valli di Reggio Emilia, documenta con eccezionale completezza la fortuna della discografia (soprattutto italiana) relativa al melodramma, con migliaia di esecuzioni storiche di opere di repertorio, ma anche settecentesche e moderne. La collezione "Bruun", oggi all'Istituto nazionale di studi verdiani di Parma, ripercorre invece in maniera esclusiva la storia della discografia verdiana del nostro secolo, con una particolarissima attenzione anche per le incisioni di interpreti dell'Est europeo, testimonianze di difficile reperimento in Italia e nei paesi in cui la fonografia d'opera godette tradizionalmente di migliore fortuna.
Le due discoteche sono dunque testimoni insostituibili, in maniera diversa – e con prerogative proprie – di una storia musicale per così dire 'parallela', ma complementare a quella ufficiale (dei documenti scritti relativi a grandi compositori e alle loro opere), di una microstoria della diffusione, interpretazione e reazione della musica attraverso quasi un secolo di acquisizioni culturali e storiche, critiche e filologiche. Ma la frequentazione pressoché quotidiana con questi documenti ha messo in luce numerosi problemi di cui questo settore di ricerca, giovanissimo, ancora soffre, quali l'inesperienza (catalografica e conservativa) degli addetti ai lavori, che spesso si trovano di fronte a materiali non così immediatamente collocabili e intelleggibili e, nondimeno, l'inadeguatezza di risorse (umane e materiali) a esso devolute.

 

Marco Mangani, Relazioni tonali e processi formali nella musica da camera di Luigi Boccherini
 
I recenti saggi sulla produzione cameristica di Boccherini testimoniano tutti la difficoltà di trovare un approccio pertinente all'analisi dei processi formali: o si incentrano sul raffronto con gli schemi scolastici (forma-sonata) riferiti al classicismo viennese (è il caso del fondamentale lavoro di Christian Speck, Boccherinis Streichquartette, München, Wilhelm Fink Verlag, 1987), o si appuntano decisamente su altri parametri (si veda il numero monografico di "Chigiana", XLIII, 1993, in particolare i saggi di Miriam Tchernowitz-Neustadtl, pp. 157-169 e di Guido Salvetti, pp. 337-352).
La quantità di eccezioni che la musica di Boccherini presenta rispetto agli schemi scolastici sconsiglia di seguire con troppa fiducia il primo procedimento, a meno che non si voglia presupporre un'inferiorità estetica in tutto ciò che diverge dal modello viennese (sempre ammesso che questo sia correttamente definito dagli schemi scolastici medesimi), o che, al contrario, non si inclini a gridar d'entusiasmo ogniqualvolta il compositore infranga regole fissate dopo la sua morte e a prescindere da lui. Chi abbia, anche solo per pratica d'ascolto, dimestichezza con la musica da camera di Boccherini sa, tuttavia, che essa trasmette un chiaro senso di solidità sotto le sembianze d'una fantasia incontenibile. Rinunciare a comprendere le ragioni di ciò non è opportuno: approccio analitico pertinente andrà dunque trovato. La relazione che qui si presenta costituisce un tentativo in questa direzione. Punto di partenza è la constatazione che, nella costruzione dei temi come nella loro connessione, le relazioni armoniche di terza, e talvolta quelle di grado congiunto, rivestono in Boccherini un'importanza almeno paragonabile a quella delle relazioni di quinta. Si cercherà in primo luogo di dimostrare che le ragioni di ciò vanno cercate nell'adesione dei musicista al principio della progressione, estrinsecato nel procedimento lineare del basso, adesione che testimonia una concezione del linguaggio armonico radicata più nella tradizione pratica del basso continuo che non in una visione funzionale. Si passerà poi a mostrare come le relazioni armoniche derivanti da tale principio, e presenti a livello microformale, si ripercuotano sulla macroforma come relazioni tonali fra le parti che compongono un singolo movimento (Quintetto per pianoforte e archi in mi minore op. 56, 1, Minuetto) o addirittura fra i movimenti d'un intero ciclo (Quintetto per archi in sol maggiore op. 31,2). Si vedrà inoltre come tali relazioni possano originare dei procedimenti di sviluppo e come ciò avvenga, contrariamente a quanto comunemente sostenuto, fin dagli esordi della produzione boccheriniana (Quartetto in do minore op. 2, 1, Finale). Si proporrà infine l'analisi del primo movimento del Quartetto in do maggiore op. 52, 1, cercando di provare: 1) che anche in questo caso la promozione delle relazioni armoniche a relazioni tonali è alla base del processo formale; 2) che sulla base di tali osservazioni è possibile operare una distinzione tra la tonalità nominale del brano e la sua tonalità portante; 3) che se, in base alla tonalità nominale, si può ancora tentare una lettura del brano come esempio, sia pure pieno di eccezioni, di forma-sonata, è solo sulla base della tonalità portante che si può dar conto di tutti gli aspetti formali e di tutti i dettagli di scrittura, ivi compreso un altrimenti inspiegabile segno di ritornello "fuor di posto".

 

Paolo Russo, Recezione e volontà d'autore nella "Symphonie fantastique"
 
La prima sinfonia di Berlioz è stata tradizionalmente interpretata secondo un percorso storiografico che muoveva dal sinfonismo beethoveniano per giungere al poema sinfonico di Liszt, all'insegna quindi di un'idea di musica a programma propria della seconda metà dell'Ottocento. Misurarla secondo criteri estetici cronologicamente posteriori alla data di composizione era stata l'unica via per garantirle validità estetica in un'epoca che valutava il primo cinquantennio del secolo secondo l'esclusivo parametro della tradizione viennese e dell'autorevolezza beethoveniana. Questa interpretazione è quella maggiormente diffusa nella letteratura musicologica corrente e di consultazione. Negli ultimi tempi, tuttavia, studi specifici di Mongrédien, Brook, Cooper (in italiano ben sintetizzati da Della Seta nel 9° volume della Storia della Musica della Società Italiana di Musicologia) hanno delineato un quadro sufficientemente dettagliato della musica francese del primo trentennio dell'Ottocento e della sua tradizione strumentale: hanno così costretto a rivedere radicalmente i tradizionali schemi storiografici e hanno imposto nuovi modelli ordinatori della storia della musica francese fino al 1850. La Symphonie fantastique potrebbe così essere intesa non come un allontanamento dal modello beethoveniano, quanto invece come un avvicinamento a partire da una tradizione strumentale lontanissima da quel modello. La Symphonie fantastique si offre dunque come un caso ideale per verificare come muti un oggetto estetico al variare dell'ipotesi ordinatrice della storia. Non si tratta infatti solo di ricostruire la reale 'intenzione d'autore' di Berlioz (per estendere a problemi di reazione categorie proprie della filologia dei testi a stampa), e le condizioni culturali e poetiche della musica francese degli anni trenta (produzione di sinfonie concertanti, symphonies à programme come la Bataille de Jemmappes di Devienne, reazione del sinfonismo beethoveniano, estetica dell'imitazione di Le Sueur e Lacépède, prime espressioni dell'estetica romantica). Si tratta anche di riconoscere come dato storiografico necessario alla narrazione della Storia della musica dell'Ottocento l'esistenza di due Symphonies fantastiques. una che risponde all''intenzione d'autore' di Berlioz e una che risponde alla reazione di quel testo da parte della cultura di metà secolo, una reazione (o mis-reading) che ha davvero spinto Liszt a inventare il poema sinfonico, dando corpo e nuova dignità estetica alla musica a programma degli anni '50-'70. Il progetto di ricerca non si nasconde tuttavia che tali acquisizioni non risolvono il problema Sinfonia fantastica. Le conseguenze teoriche sono infatti rilevanti sotto almeno due aspetti. 1) Paradossalmente, la Symphonie fantastique si è pienamente affermata solo dopo il crollo del mondo estetico che l'aveva prodotta. Lo studio delle due Symphonies fantastiques deve quindi narrare le dinamiche di recezione che hanno consentito ad una sinfonia di affermarsi come opera d'arte negando l'originaria intenzione poetica d'autore. È un passo necessario per spiegare secondo quale dinamica la prefazione al programma letterario sia stata alternativamente aggiunta e soppressa da Berlioz producendo diverse "ultime volontà d'autore" (Tanselle). 2) Lo studio delle diverse interpretazioni non si fonda su alterazioni del testo originale (come invece accade nello studio della librettistica e delle partiture d'opera), perché la partitura della Symphonie fantastique è rimasta sostanzialmente invariata dalla prima esecuzione in poi. La medesima disposizione di note sulla partitura è stata quindi in grado di generare molti sensi, talora fra loro antitetici, quando è entrata in contatto con culture differenti: è un assunto condiviso anche dagli analisti più avvertiti, ma la Symphonie fantastique impone di verificare nell'analisi concreta come la medesima partitura interagisca differentemente con le culture che la recepiscono.

 

Michela Garda, Strategie narrative nelle biografie musicali degli anni Novanta
 
Nell'ambito della storiografia generale è stato rilevato un "revival del racconto" (Stone) a partire dalla fine degli anni Settanta. Questo ritorno alla dimensione retorica e fittiva della ricostruzione storica è stata enfatizzata da quelle tendenze storiografiche (Hayden White) che negano una distinzione sostanziale tra prosa letteraria e prosa storica. È possibile parlare di un "revival del racconto" anche in musicologia? La relazione discute alcune biografie musicali uscite negli anni Novanta: due volumi dedicati alla compositrice Fanny Mendelssohn Hensel (Tillard e Olivier), Mozart di Maynard Solomon e Stravinskij and the Russian Tradition di Richard Taruskin, rilevando il diverso grado di approfondimento del rapporto che intercorre tra resoconto biografico e interpretazione dell'opera. In conclusione l'intervento abbozza un progetto biografico incentrato sulla figura di Fanny Mendelssohn Hensel volto ad individuare il soggetto compositivo come correlato fittizio delle strategie retoriche consapevoli e inconsapevoli che caratterizzano la sua produzione verbale (soprattutto epistolare) e musicale.

 

Anna Quaranta, La recezione di Brahms in Italia fra Otto e Novecento
 
La comunicazione intende delineare modi e forme della recezione italiana di Brahms attorno alla svolta di secolo, attraverso lo spoglio delle principali riviste musicali. Il lavoro si propone di far confluire, in un quadro sistematico i dati provenienti da un materiale assai eterogeneo, attraverso lo studio del lessico della critica, l'eventuale ricorrenza di concetti e parole chiave, allo scopo di rinvenire tipologie di lettura analoghe e orientamenti critici convergenti. Specifici elementi d'indagine serviranno a ricostruire l'orizzonte culturale entro il quale è stata accolta la produzione brahmsiana nel tentativo di stabilire se ed in che misura il dibattito critico sviluppatosi oltralpe sia giunto in Italia, ed in che modo una tradizione musicale, prevalentemente operistica si sia confrontata con le tematiche della musica assoluta e con l'opposizione Brahms/Wagner.

 

Pietro Cavallotti, Forma globale, procedimenti compositivi e risultato acustico nel "Requiem" di György Ligeti
 
L'intervento mira a evidenziare gli stretti collegamenti tra le posizioni teoriche di György Ligeti sulla forma musicale espresse nel 1965 ai Ferienkurse di Darmstadt e i procedimenti tecnico-compositivi adottati nella composizione del coevo Requiem. Nell'ambito delle conferenze organizzate da Wolfgang Steinecke sul tema Form in der neuen Musik, Ligeti intervenne con due seminari, di cui rimane una registrazione nell'archivio dell'Internationales Musikinstitut Darmstadt che differiscono sensibilmente dal testo riveduto dal compositore e pubblicato nel X numero dei "Darmstädter Beiträge zur neuen Musik". Nei due interventi Ligeti parte da una critica a tutti i procedimenti compositivi che pre-stabiliscono un metodo di elaborazione destinato a influenzare sensibilmente la forma della composizione. Come si può facilmente intuire questa critica è rivolta sia ai procedimenti seriali sia a quelli aleatori, entrambi accusati di provocare un generale appiattimento formale. La soluzione proposta da Ligeti mira a recuperare una posizione di priorità della forma rispetto alla tecnica compositiva. La prima operazione risulta quindi essere la prefigurazione di una struttura formale potenzialmente in grado di suscitare nell'ascoltatore determinate impressioni acustiche. Solo in un secondo tempo vengono stabiliti procedimenti compositivi atti a realizzare le intenzioni di partenza, naturalmente validi solo per la composizione in questione. Grazie ad un'attenta analisi dei principali espedienti tecnici adottati da Ligeti nel Requiem, condotta a partire dagli schizzi autografi gentilmente messi a disposizione dallo stesso autore, si cercherà di mettere in luce fino a che punto le strutture dell'opera si adattino alla forma globale e realizzino le intenzioni di partenza.

 

Benedetto Passannanti, Lo statuto del testo nelle musiche aleatorie.
 
L'analisi di alcune composizioni d'avanguardia (Franco Evangelisti, Aleatorio; Pierre Boulez, Terza Sonata; Witold Lutoslawski, Quartetto per archi) rivela che l'alea non annulla il concetto di opera musicale tout court. Semmai mette in discussione un concetto specifico di opera, ossia quello che rimanda all'unità organica e coerente tra le singole parti e il tutto. Dal punto di vista critico-testuale v'è una sostanziale differenza tra le diverse esecuzioni di una sonata per pianoforte di Beethoven e le diverse esecuzioni di un'opera come la Terza Sonata per pianoforte di Pierre Boulez. Le diverse esecuzioni di Beethoven, per dirla con Eggebrecht, appartengono alla storia 'esterna' dell'opera e non hanno nessun rilievo nella determinazione dell'Urtext. L'immagine sonora 'autentica' dell'opera è contenuta interamente nella pagina scritta del testo tramandato. La Terza Sonata di Pierre Boulez esiste invece nelle intenzioni dell'autore e nella sua forma definitiva solo come progetto. Le diverse parti dell'opera non soggiacciono ad un principio di causalità e sono entro certi limiti liberamente interscambiabili. L'opera rivela la sua identità, sempre mutevole, solo all'atto della realizzazione sonora, in base a scelte esecutivo-compositive espressamente richieste dall'autore e di volta in volta compiute dall'esecutore, che diventa in tal modo coautore dell'opera. Qui le diverse esecuzioni non appartengono alla storia esterna dell'opera, ma al contrario ne determinano in modo pregnante l'interna identità: esse rappresentano la volontà originaria dell'autore-ideatore, che nella richiesta di un intervento compositivo all'interprete ha individuato un aspetto essenziale della poetica dell'opera. Tale prescrizione ha la stessa funzione che un crescendo o un diminuendo, un piano o un forte hanno in un'opera tradizionale: è un elemento costitutivo del testo, che a torto potrà essere espunto da un'edizione che miri a restituire fedelmente la volontà dell'autore e l'immagine sonora 'autentica' dell'opera.
Se compositore e interprete diventano coautori di un'opera musicale, ciò non può non avere conseguenze sul piano filologico. L'editore di un'opera aleatoria dovrà infatti optare tra due possibilità: o considerare 'opera' il solo testo scritto di pugno dal compositore (che in alcune partiture aleatorie è esclusivamente verbale) o puntare ad una lezione (sempre provvisoria e mai definitiva) come risultato delle occorrenze in cui il testo s'è configurato sonoramente, in forma intelligibile, mediante l'intervento di esecutori-coautori dell'opera intera o di sue parti specifiche. In altre parole, individuerà nella storia della recezione esecutiva dell'opera un elemento non accidentale e accessorio, ma fondamentale e costitutivo per l'identità e la restituzione testuale dell'opera stessa.
La scelta comporterà delle conseguenze anche sul piano della recensio dei testimoni e della tecnica editoriale.

 

Antonio Trudu, A proposito di una recensione
 
L'intervento si riferisce alla recensione di Pascal Decroupet al volume La "scuola" di Darmstadt di Antonio Trudu ("Il Saggiatore musicale", III, 1996, pp. 196-201), e si divide in due parti. Nella prima, vengono contraddette alcune affermazioni del recensore che, secondo l'autore, non rispettano la realtà del libro recensito. Si precisano inoltre elementi forniti dalle pagine relative alla partecipazione di John Cage ai Ferienkurse del 1958: alcuni documenti dimostrano infatti che nel libro non si può ravvisare l'errore materiale individuato invece dal recensore. Nella seconda parte dell'intervento si pongono alcuni interrogativi sulle finalità delle recensioni, alcuni dei quali possono essere estesi alla ricerca musicologica in generale.

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Archivio Storico:- ex Dipartimento di Musica e Spettacolo - Universita' di Bologna