Archivio Storico:- ex Dipartimento di Musica e Spettacolo - Universita' di Bologna Rivista semestrale Anno V

Prove di Drammaturgia


Editoriale

UN SENTIERO CHE SI CHIAMA STORIA

 

"Prove di Drammaturgia" è nata come spazio offerto agli artisti di teatro; poi, crescendo, ha incominciato a dialogare con loro, trasformandosi da strumento di documentazioni e riflessioni retrospettive in contesto di rapporto.

E questo rapporto, svolgendosi attraverso i convegni, gli incontri e i dialoghi a distanza, che costituiscono una parte sempre più notevole di queste pagine, sta, in un certo senso, completando il percorso di conoscenza intrapreso dai singoli artisti di teatro nei riguardi delle loro stesse esperienze creative.

Non è un caso, che alcuni nomi ricorrano: Gabriele Vacis, Marco Martinelli, Enzo Moscato, Vanda Monaco Westerståhl… Dall’autobiografia al confronto, il passo è breve e si muove lungo una stessa traiettoria. La tensione all’autobiografia, quando è autentica e ignora bellurie e compiacimenti, arricchisce infatti la memoria dei fatti con nuovi valori e significati, che chiedono di venire confermati, verificati, circoscritti o applicati ad altri, ponendo così le premesse di confronti ulteriori e necessari.

Il cammino dell’artista di ricerca si svolge, per definizione, su terreni vergini dove dissoda nuovi spazi e possibilità. Ricostruendo attraverso "Prove di Drammaturgia" una filiera di questi camminamenti, ci siamo però accorti che accanto alle orme dei singoli percorsi ve ne erano altre, lasciate poco prima o poco dopo, e che, in realtà, più che una traccia, ciò che stavano osservando era un sentiero. Un luogo formato dai frequenti passaggi, e che, per essere conosciuto, richiede un lavoro di ricognizione, che individui le cause di quei movimenti, le mete che perseguivano, il perché sono stati scelti quei determinati tratti e passaggi e non altri.

Con questa metafora vorremmo comunicare un’immagine umile, discreta ed appartata della nostra Storia teatrale. E’ una Storia che si stacca dai fatti d’ognuno e prende la maiuscola per via di sottili reti di analogie e convergenze, che uniscono le biografie degli artisti individuando intorno a esse un luogo comune, un unico spazio frequentato da molti e vissuto in solitudine. Un sentiero, per l’appunto: la Storia o, meglio, una sua particolare possibilità di essere.

Il teatro, infatti, come dicevamo in un nostro precedente Editoriale, "sembra essere sgusciato fuori dalla Storia – che è fatta di superamenti vissuti come necessari – per approdare ad una democratica coabitazione di diversità".(1/99) Ma proprio questo suo sottrarsi alla dimensione collettiva del divenire, rivelandosi, di fatto, un gesto d’avanguardia nel senso letterale dell’espressione, ha in parte accompagnato e in parte preceduto una crisi senza precedenti dei modelli dialettici. Per cui, ora, il teatro sgusciato fuori dal Novecento, secolo di rivoluzioni e generosi progetti di trasformazione antropologia e planetaria, può guardarsi alla spalle e valutare con una certa soddisfazione la piccola, appartata Storia di tracce sovrapposte che ha saputo costruirsi, al di là della crisi della Storia maggiore, seguendo le proprie necessità, e mettendosi al centro d’una ricerca di valori e di identità artistica, che si è manifestata in molti, diversi modi.

Va poi evidenziata in questo numero la novità della dichiarazione sul "teatro popolare di ricerca" sia perché stiamo perdendo l’abitudine ai manifesti che corrispondono alle confluenze artistiche sia per la sua specifica motivazione. Nonostante le ragioni di Gramsci, Asor Rosa ha così tempestivamente stigmatizzato le continuità populiste della letteratura italiana, che il suo Scrittori e popolo istituì un post quem opportunamente refrattario in materia, e che non si diedero più dignitosi tentativi "dal basso". Ma nel "mondo parallelo" del teatro non hanno mai contato gran che gli "abbassamenti" degli scrittori, sicché dall’Opera dei pupi all’Agit prop spontaneo, dalla prima sceneggiata alla teorizzazione brechtiana degli ingrandimenti popolari al miracolo di Totò, l’oralità degli esiti ha fatto fiorire le più varie istanze alternative. E la tendenza si è rilanciata lungo l’effervescenza del ’68 con il teatro di base, che, dalle sue periferie, diede un essenziale contributo alla crescita del nuovo teatro fra il ’67 di Ivrea e il ’77 di Casciana Terme.

Quasi tutti gli odierni teatri di gruppo recano questo segno genetico di differenza, anche quando i loro sviluppi hanno teso a rimuoverlo, e non è detto che gli attuali fenomeni di impoverimento degli strati medio bassi delle società europee non risveglino ancora per bruciante contrasto queste diverse volontà di cantare, il loro fantasma che le scene hanno saputo stornare dalla predestinazione campanilistica.

Lentamente, attraverso continui rimbalzi di idee e di parola fra gli artisti e i curatori del dossier, prendono corpo intorno al Teatro Popolare di Ricerca criteri di valutazione e riconoscimento, che contribuiscono a rendere più visibili e chiari gli anni ’80 del teatro, rivendicando, per la generazione stretta fra i Maestri e gli episodi di rottura degli anni ’90, il merito di aver riportata l’arte dell’attore ad una profonda continuità di esperienze, e i rapporti col pubblico a un più esteso reticolo di relazioni. Ci sono certamente artisti di grande evidenza fra quelli cresciuti negli anni di mezzo, e alcuni di loro sono presenti in questo numero, tuttavia il dibattito che si sta qui producendo non riguarda solo questi emergenti, ma anche il sostrato di azioni e vite teatrali nel quale si sono formati, e che fa dell’Italia un paese teatralmente anomalo, in cui la condizione della ricerca – pur fra mille difficoltà – ha continuato ad essere ed è tuttora una costante largamente diffusa. Per allargare a questo sostrato, il pensiero maturato dall’indagine sul Teatro Popolare di Ricerca sono previsti sul prossimo numero ulteriori approfondimenti: di Cristina Valenti, sul "teatro del disagio" inteso come teatrale modalità di incontro fra persone e realtà irriducibili alle categorie del sociale e del teatro; di Gerardo Guccini, sui rapporti fra la ricerca artistica e il "popolare" nel teatro del Novecento (da Gémier e Rolland, a Leo de Berardinis).

Proseguono frattanto le aperture europee avviate dal precedente numero. Sautner, seguendo le messinscene del Sogno, ripercorre un secolo di teatro svedese; il lettore, però, attraverso i ricordi di questa sua guida d’eccezione, potrà scorgere non solo i mutamenti intervenuti negli stili degli attori e dei registi, ma anche nella sensibilità e nei valori dello spettatore teatrale. Vanda Monaco Westerståhl ci guida all’interno di quel tempio del teatro che è il Dramaten, offrendoci l’opportunità di spiare i complessi processi di svolgimento d’una drammaturgia decisamente letteraria e d’autore – quella di Staffan Göthe – che si apre agli apporti degli attori. Con il saggio di Ilona Fried, "Prove di Drammaturgia" incomincia a documentare i protagonisti e le opere del nuovo teatro ungherese. La storia dell’Ungheria ha conosciuto in tempi recenti strappi improvvisi e rimozioni a catena, per questo abbiamo volentieri raccolto l’indicazione della Fried presentando all’attenzione del lettore italiano l’opera d’un drammaturgo (Spiró György) che questa storia ha voluto ritrarre con sguardo ironico e partecipe, cogliendone il tragico sonno sotto la crosta del vivere quotidiano.

Il pezzo di Moscato su Compleanno, uno dei lavori più belli e significativi dell’autore napoletano, è una poetica e una poesia, e in quanto opera dell’immaginario sui suoi precedenti frutti creerà forse un ricordo dello spettacolo anche in quanti non l’hanno visto. Anche nei prossimi numeri, vedremo di proporre momenti di riflessione su singoli spettacoli, radicandone la memoria nella cultura teatrale fluttuante, ma anche sempre più popolata di questo squarcio di secolo.

Questo numero è più voluminoso dei precedenti; 48 pagine con le consuete 32. Per portare avanti la filiera delle indagini, dei confronti, delle aperture occorre spazio, e, anche, la solidarietà e il sostegno delle realtà culturali che perseguono i nostri stessi fini, come la Corte Ospitale di Rubiera che, dopo aver promosso due importanti incontri sul Teatro Popolare di Ricerca, ha in parte sostenuto la pubblicazione del presente fascicolo.

Claudio Meldolesi
Gerardo Guccini


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