Archivio Storico:- ex Dipartimento di Musica e Spettacolo - Universita' di Bologna Prove di Drammaturgia

Prove di Drammaturgia


La Storia in cucina:
il
Quartetto di Spiró György *

di Ilona Fried

 

Sfogliando i programmi culturali di Budapest, si nota la presenza di almeno una trentina di teatri, di varia grandezza, per lo più con compagnie stabili. Il dinamismo della vita teatrale è una caratteristica cittadina che risale al secolo scorso, quando negli anni del Risorgimento ungherese coloro che si impegnavano nello sviluppo della cultura nazionale si sono resi conto dell’importanza del teatro. Il teatro, in seguito, ha spesso avuto un ruolo politico. In questo modo, oltre alla tradizione delle commedie da boulevard, conosciute e rinomate nel resto del mondo fra le due guerre, è sopravvissuto anche quella del teatro impegnato, il quale, considerato che durante il regime Kádár mancavano altri efficaci canali d’informazione, si è spesso addossato questo compito esercitando una pungente critica sociale.

Così negli anni ’60, parallelamente a quanto accadeva nel cinema, sono apparsi nel teatro ungherese generi atti alla critica sociale: la ‘parabola’ (spesso anche con toni grotteschi) consentiva, ad esempio, di rappresentare il presente sotto forma di dramma storico. I drammaturghi che hanno caratterizzato questo periodo sono Örkény István, Sarkadi Imre, Illyés Gyula, Mándy Iván, Eörsi István, Görgey Gábor, Csurka István, Szakonyi Károly, Mészöly Miklós, ecc.

Negli ’70 e ’80 il rinnovamento teatrale è partito da alcune città di provincia, con teatri meno in vista di quelli di Budapest, e quindi anche meno controllati dal regime. L’impostazione psicologica alla Stanislavski – mediata dall’imperante naturalismo -, si è allora arricchita di un microrealismo tendente all’ironia, politicamente impegnato e fortemente critico. I maggiori successi di quegli anni si collegano a produzioni di questo tipo. Si erano nel frattempo formate anche delle compagnie omogenee, di alto livello professionale e guidate da registi che, spesso, lavoravano insieme a artisti come scenografi o costumisti. Mentre l’editoria provvedeva alla pubblicazione di drammi.

Quando, nel 1989, i cambiamenti politici hanno aperta la strada alla libertà di espressione, il teatro ha cercato nuove risorse. Oggi, se da una parte si rinnovano le tematiche della critica sociale, dall’altra si cercano nuove impostazioni e le ricerche teatrali sono in pieno vigore. Pur mantenendo un vivo interesse per il sociale, alcuni drammaturghi e registi tentano nuovi modi di espressione: anche se il testo rimane importante, l’uso della lingua, delle trovate linguistiche e dei gerghi assumono un ruolo centrale. D’altra parte, il dramma tende a far proprie soluzioni già sperimentate da altri generi letterari: intrecci meno lineari, caratteri meno concreti, argomenti che lasciano la tradizione naturalista per risolversi in un teatro più movimentato, che coinvolge gli spazi, i corpi e le tecniche sceniche. Fra i giovani drammaturghi ricordiamo Parti Nagy Lajos (anche scrittore di successo), Kárpáti Péter, Tasnádi István, Matúz István, ecc.

Il dramma che ho scelto di presentare si collega a entrambe le tradizioni di questi ultimi decenni: quella di critica sociale e quella sperimentale. Spiró György è forse l’autore ungherese oggi più rappresentato e, fra quelli della sua generazione, uno dei più impegnati sul versante teatrale (altri hanno prodotto di più nel campo della narrativa: Nádas Péter, Esterházy Péter, Korniss Mihály, Bereményi Géza). Come scrive di sé in una nota autobiografica: "Sono nato a Budapest nel 1946, e da allora vivo senza interruzione, per lo più a Budapest. Amo molto vagabondare. Ho percorso tutta l’Europa dell’Est, dopo aver imparato quasi tutte le lingue di quelli che ci vivono, ho vagabondato anche nella loro storia culturale in particolare di questi ultimi due secoli, e vengo addirittura pagato quando ne parlo in un’istituzione che si chiama Facoltà di Lettere."

Qualcuno chiama il teatro di Spiró un teatro moralista-politico. Tant’è vero, che i suoi due più grandi successi come drammaturgo sono legati a precise prese di posizione nei riguardi della realtà sociale. L’impostore (Az imposztor) è stato presentato nel 1983. Il dramma si svolge nella Polonia sotto l’occupazione russa, circa 100 anni fa, il protagonista del dramma è un grande attore, ormai anziano, che arriva nella città di Vilna per rappresentare il Tartuffe di Molière. Tema centrale del dramma è la libertà dell’intellettuale: l’attore dovrebbe infatti dare un esempio di come l’intellettuale lotta contro il potere. La domanda, che resta aperta fino al finale, è se questo vecchio attore riuscirà a far rivivere il suo vecchio io da artista, il proprio mito leggendario o sceglierà al contrario la soluzione più comoda, più conformista. Il primo interprete dell’Impostore è stato un grande attore, Major Tamás, che il pubblico poteva facilmente identificare con il protagonista, proiettando su di lui – e quindi sul presente - i dubbi, i timori e la scelta catartica di quest’ultimo. L’impostore è stato forse l’unico dramma di Spiró in cui l’intellettuale sia riuscito a compiere la sua missione sociale. Presto, ha perso il suo potere magico per divenire anch’egli, come gli altri modelli sociali di Spiró, una vittima dell’ingranaggio sociale.

Un’altra tappa particolarmente importante nella carriera di Spiró György è stata la messinscena di Teste di pollo (Csirkefej) nel 1986. Il dramma si svolge nel cortile di un tipico palazzo d’abitazione in un quartiere popolare di Budapest, e trasmette al pubblico la sua realtà priva di valori inquadrandola in una struttura da tragedia greca. Le "teste di pollo" del titolo sono quelle che la Vecchia porta a casa in un sacchetto pensando di darle al suo gattino, che invece trova brutalmente impiccato dal Ragazzo e dal suo amico. I due personaggi principali, la Vecchia e il Ragazzo, potrebbero vivere una vita migliore, ne sarebbero degni, ma seguendo il loro ‘destino’ anziché diventare alleati, diventano nemici: e il giovane, tornato appena per un giorno dall’istituto dove deve vivere avendo i genitori alcolizzati e incapaci di mantenerlo, diventa suo malgrado l’assassino della portiera anziana. La tensione scenica deriva

dalla caratterizzazione dei personaggi, studiati fin nei minimi dettagli, tutti contraddistinti da linguaggi tesi e serrati, dall’aristotelica unità di luogo e anche dai contrasti interni fra le diverse coppie di personaggi: due poliziotti, due giovani amici, due studentesse, ecc. Il dramma oscilla fra la piccolezza delle vite coinvolte e l’inesorabile grandezza del destino. Gli attori sono riusciti a calarsi nel mondo dei personaggi, interpretandolo in ogni loro gesto, in ogni loro accento, di modo che al pubblico sembrava veramente di stare in un cortile di periferia. Anche in questa rappresentazione, così come ne L’impostore, hanno recitato una grande attrice – che interpretava il ruolo della portiera - e una compagnia di altissimo livello e in stato di grazia (ancora una volta, quella del teatro Katona Jozsef). Si è dunque trattato di un dramma sociale, e cioè di una presa di posizione da parte del teatro su una caratteristica dei nostri tempi: la compresenza di piccolezza e tragicità.

Anche negli altri drammi di Spiró sono presenti riferimenti storici e, più spesso ancora, riferimenti sociali. Alcuni critici definiscono i drammi di Spiró ‘Zeitstück’, vale a dire articoli d’opinione collegati a un determinato problema di attualità. Il presente al quale tali "articoli" si riferiscono, può incidere negativamente sulla durata dei drammi, che rischiano di risultare presto datati. È una possibilità tenuta ben presente. L’autore ha infatti espresso in un’intervista la convinzione che il teatro debba trasmettere alla gente quello che questa, comunque, sa già. Però, nei suoi drammi migliori, Spiró è andato oltre, e, pur esprimendo problematiche sentite da molti, ha trovato soluzioni artistiche nuove e profonde. L’ultimo dramma di Spiró, dal titolo intraducibile (letteralmente "Serenità di Patria", con riferimento a Budapest) è ironico: la sua storia, che raccontata la vita di 4 personaggi anziani e un po’ strani, continua eplicitamente il filone delle commedie da boulevard, l’eredità di Molnár Ferenc.

Il microrealismo e l’impegno sociale sono al centro di un recente successo di Spiró, Kvartett, Quartetto (il titolo, in ungherese, suggerisce però qualcosa di impreciso, di non così immediatamente riferibile, come in italiano, ad una formazione musicale). Kvartett è stato rappresentato nel 1997 e ha vinto il premio dei critici.

 

Trama

Siamo nella cucina di una casa semplice, povera; arriva una visita inaspettata. L’Ospite è un emigrante ungherese, che aveva lasciato il paese nel 1957 in seguito all’avvertimento che gli era stato fatto pervenire dal proprietario del piccolo appartamento, il Vecchio, allora agente della temuta polizia di stato. Il Vecchio, che giocava con l’Ospite nella stessa squadra di calcio, gli aveva fatto capire di essere sulla lista di quelli che dovevano venire arrestati.

L’Ospite torna dunque in Ungheria per ringraziare il suo benefattore, e con il desiderio di condividere con lui e con la sua famiglia quanto è riuscito a guadagnare.

La Moglie, che lo riceve, non capisce chi sia, lo crede un assicuratore; il Vecchio, a sua volta, non lo ricorda o, forse, non vuole ricordarlo. L’unica che vorrebbe accettare quanto l’Ospite offre, è la Figlia, ma il suo è un puro calcolo. Le interessa avere una buona macchina, una casa, la possibilità di viaggiare. Mano a mano il dramma prosegue, il conflitto tra i due mondi (quello del passato regime, incarnato dal Vecchio, e quello attuale rappresentato dall’Ospite) si fa sentire sempre più intenso e vacuo, scava il vuoto intorno a sé: tra i due personaggi il dialogo è impossibile. Il Vecchio, comunista fanatico e carattere grottesco, non ricorda più nulla della rivoluzione e nega di aver fatto parte del corpo più duro del regime, dice di aver fatto il servizio militare al confine, ricorda di esser stato sindacalista e vuole conservare la memoria storica del passato: teme che quanto di buono ha fatto il regime venga cancellato dalla coscienza pubblica, per cui, tre volte alla settimana, va in biblioteca per copiare su un quaderno gli articoli dei giornali. Articoli che insieme ai suoi commenti personali e alle liste con i nomi delle persone per bene e dei traditori, nasconderà in un posto sicuro tenendoli in serbo per il futuro.

In seguito al rifiuto del Vecchio, che non vuole i beni dell’Ospite né vivere insieme a lui, questi si rende conto che, anche se il suo mondo americano è un mondo senza valori veri, non può e non vuole tornare nel mondo degli altri tre. Capisce che, per lui, non c’è patria. Il dramma finisce con la duplice partenza, sua e della figlia che porta con sé il pollo alla paprika fatto dalla madre.

Svolgendo quest’argomento serio, impegnato e quasi tetro, il testo sfrutta al massimo la comicità delle situazioni, e intesse battute, fraintendimenti ed equivoci, suscitati dalla compresenza di linguaggi diversi, non atti a comunicare. Ogni personaggio rappresenta al contempo un tipo umano e un modello sociale, ed ha un suo linguaggio, un suo modo di parlare, un suo modo di comportarsi ed essere - così anche i vestiti, gli oggetti e i cibi si caricano di valori drammatici. Le situazioni rispecchiano una vita familiare estremamente banale e desolante. La Moglie, un’operaia in pensione, è stanca, con i piedi fasciati, nella sua vita di routine svolge attività senza senso (le maglie che fa non servono a nessuno, ne regalerebbe all’Ospite una decina, ma non gli servono), i piatti che prepara non vengono mangiati, se non da lei stessa. Nel finale, è la Moglie che mangia la pasta con il papavero fredda, avanzata perché nessuno ne voleva. Però, malgrado la sua rozzezza, lei è l’unica a entrare in relazione con l’Ospite, vuole parlargli e si interessa a lui, anche se non capisce bene quanto questi le sta dicendo; così nascono battute grottesche, e ogni suo tentativo di mediazione - tra il Vecchio e l’Ospite, poi tra la Figlia e l’Ospite – naufraga nel ridicolo. Quando una parola non le viene in mente – il succede frequentemente -, usa "coso" per sostituirla.

Anche l’Ospite ha problemi con la lingua: a causa della sua lontananza dall’Ungheria molti termini gli sfuggono, perciò usa l’inglese. La dizione del personaggio oscilla tra le due lingue in modo spontaneo e naturale. Dei quattro, l’Ospite è l’unico ad attraversare un processo di maturazione: da "outsider", che è al di fuori di tutto e non riesce a penetrare nella vita degli altri personaggi, arriva a comprenderne il nocciolo, la vacuità, e da quel momento tralascia le proprie debolezze e i propri problemi, esprimendo la volontà etica di vivere in un mondo meno chiuso e meschino.

Il Vecchio, con la sua tuta da casa (caratteristica anche questa di un certo ceto sociale), il suo modo di essere, la sua opposizione al nuovo regime democratico, l’indistruttibile amore per il comunismo, è un personaggio-tipo, quasi una maschera. Esprime le sue ossessioni con monologhi lunghissimi, in cui il ragionamento segue una logica rigorosa, certamente indotta, e che però s’ingarbuglia, rappresentando proprio attraverso i suoi momenti di sospensione e rottura il messaggio più diretto del dramma.

La Figlia (nessuno dei personaggi ha un nome proprio: succede spesso nei drammi di Spiró), incarna i nuovi valori, ma anche se ha imparato i termini tecnici della vita economica, finanziaria, non avendo soldi e possibilità, non ne prende parte, ne vede solo la superficie; visti attraverso di lei, i nuovi valori risultano attraenti e vuoti. Non si può però considerare la Figlia un’arrivista o una sfruttatrice, perché nello stesso momento in cui insegue il benessere ogni suo gesto fa capire che anche lei è una vittima, e che non riuscirà mai a vivere una vita serena.

Il regista Vincze Jànos, che ha messo in scena tre volte il dramma, ne ha rappresentato la parabola storico-sociale, mettendo in evidenza ogni elemento realistico e grottesco del suo mondo piccolo borghese.

Quattro mondi, chiusi in se stessi, neanche il miracolo del benessere li può aiutare, può cambiare nulla. "Si rovina la vita a tutti", dice l’Ospite: e infatti i drammi di Spiró trattano di vite rovinate, di conflitti irrisolti e di piccolo formato, tragicomici, grotteschi, che riguardano tutti noi.

 

* Spiró György è scrittore, drammaturgo, traduttore, studioso di letteratura e professore universitario. Ha ottenuto i primi successi letterari con due romanzi; L’impostore, il suo primo dramma di grande successo, è stato tratto da un precedente testo narrativo. Ha pubblicato novelle, drammi e poesie. A Budapest, dal 1978 ad oggi, sono stati messi in scena 16 suoi testi. È notevole anche la sua attività di saggista e traduttore.


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